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Sezione controllo; deliberazione 22 maggio 1980, n. 1066; Pres. Bennati, Rel. Buscema; Pres. cons....

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Sezione controllo; deliberazione 22 maggio 1980, n. 1066; Pres. Bennati, Rel. Buscema; Pres. cons. ministri Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 455/456-457/458 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23172636 . Accessed: 28/06/2014 09:20 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.49 on Sat, 28 Jun 2014 09:20:51 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione controllo; deliberazione 22 maggio 1980, n. 1066; Pres. Bennati, Rel. Buscema; Pres. cons. ministri

Sezione controllo; deliberazione 22 maggio 1980, n. 1066; Pres. Bennati, Rel. Buscema; Pres.cons. ministriSource: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 455/456-457/458Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172636 .

Accessed: 28/06/2014 09:20

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PARTE TERZA

quell'organo che avessero a concernerli personalmente (future

promozioni, trasferimenti, ecc.). Ma sarebbe proprio in questa successiva sede — e per l'ipotesi

di lesione di un loro specifico interesse protetto — che potrebbe da essi esperirsi la pretesa processuale tendente al riconoscimento

della posizione giuridica sostanziale ed alle utilità concrete diret

tamente conseguenziali a tale riconoscimento, coinvolgendo, come

causa efficiente della lesione, la (asserita) irregolare composizione

dell'organo.

Appare, in ogni caso, pacifico, che in questa sede, all'accogli

mento in merito delle doglianze poste con il ricorso non derive

rebbe ai ricorrenti Topi, Gustapane e Gallucci alcun vantaggio

giuridicamente protetto ed individualizzato nelle loro persone

posto che non è in discussione alcun atto che li concerna; né gli

stessi si fanno latori di un interesse generale e categoriale posto

che essi agiscono in nome proprio e non in rappresentanza della

categoria. Onde, prestandosi adesione al consolidato indirizzo giurispru

denziale che prevede la esperibilità dell'azione solo quando dal

l'accoglimento del gravame derivi al ricorrente un vantaggio

qualificato nelle maniere sopra considerate, le sezioni riunite

ritengono, in conformità delle conclusioni scritte ed orali del

procuratore generale, la mancanza nei ricorrenti della legittima

zione ad agire. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile; (Omissis)

Per questi motivi, ecc.

CORTE DEI CONTI; Sezione controllo; deliberazione 22 maggio

1980, n. 1066; Pres. Bennati, Rei. Buscema; Pres. cons, mini

stri.

Contabilità e bilancio dello Stato — Somme per le popolazioni

colpite dal disastro del Vajont — Gestione fuori bilancio —

Soppressione (Legge 25 novembre 1971 n. 1041, gestioni fuori

bilancio nell'àmbito delle amministrazioni dello Stato, art. 1,

6, 7, 9).

Costituisce gestione fuori bilancio non autorizzata da legge spe

ciale, e pertanto deve essere soppressa, l'amministrazione da

parte della commissione istituita con decreto del presidente

del consiglio dei ministri delle somme offerte spontaneamente

dalla collettività nazionale per sovvenire le popolazioni colpite

dal disastro del Vajont. (1)

La Corte, ecc. — La sezione ritiene di dover preliminarmente

esaminare il problema della qualificazione giuridica della gestione

(1) Negli esatti termini non risultano precedenti. La ragione che

origina la costituzione delle gestioni fuori bilancio è, comunemente,

individuata nella « esigenza di affrontare con urgenza e tempestività

specifici problemi concreti », cosicché gli interventi in caso di calamità

naturali costituiscono esemplificazione frequente dell'utilizzazione di

siffatte gestioni: in questi termini, in dottrina, Buscema, Trattato di

contabilità pubblica, II, La contabilità dello Stato, 1981, 827 (quest'au

tore, che è l'estensore della deliberazione che si riporta, riconduce

espressamente alla categoria delle gestioni fuori bilancio l'ipotesi in cui

organismi o uffici statali utilizzino mezzi forniti da privati); Bennati.

La disciplina legislativa delle gestioni fuori bilancio, in Cons. Stato,

1978, II, 517 (l'autore ricorda, tra le gestioni fuori bilancio, quella relativa ai fondi per gli interventi nelle zone terremotate del Friuli-Ve

nezia Giulia). La giurisprudenza della Corte dei conti, per l'individuazione del

carattere di fuori bilancio della gestione, richiede che sia un organo dell'amministrazione pubblica quello che percepisce ed eroga i fondi, e

che il denaro sia qualificato in senso pubblicistico per l'organo che lo

gestisce e per la destinazione attribuitagli; Corte conti, Sez. contr., 20

gennaio 1977, n. 733, 4 marzo 1976, n. 670, Foro it., Rep. 1977, voce

Contabilità dello Stato, nn. 16, 60. Poiché la gestione fuori bilancio è

una gestione anomala in seno all'amministrazione statale, Cons. Stato, Sez. Ili, 28 marzo 1973, n. 31, id., Rep. 1974, voce cit., n. 19, non è

ritenuta in questo senso qualificabile la gestione che esiste ed opera al

di fuori dell'amministrazione dello Stato, e non è gestita dai suoi

organi, ancorché i fondi provengano da finanziamenti statali, Corte

conti, Sez. contr., 20 maggio 1976, n. 692, id., Rep. 1977, voce cit., n.

15 (nella fattispecie, non sono state ritenute soggette alla particolare disciplina contenuta nella legge 25 novembre 1971 n. 1041 quelle affidate ad istituti di credito o ad enti pubblici). Cass. 4 maggio 1964,

Perrotti, id., 1965, II, 95, con nota di richiami, ha ritenuto che le

entrate derivanti dalle gestioni extra-bilancio costituiscono fondi appar tenenti alla pubblica amministrazione, cosicché si configura il reato di

peculato per distrazione nell'ipotesi in cui le somme siano state destinate a programmi estranei agli scopi a cui dovevano servire.

Per altri riferimenti, Correale, Profili problematici dell'attuale di

sciplina normativa delle gestioni fuori bilancio, in Giur. costit., 1978, II, 1270.

posta in essere con la creazione del Fondo di solidarietà nazionale

per il Vajont, mediante il decreto del presidente del consiglio dei

ministri in data 31 ottobre 1963 (pubblicato nella G. U. n. 291

dell'8 novembre 1963). Tale preliminare accertamento si rende

necessario per individuare la disciplina giuridica da applicare nella specie e, di- conseguenza, la competenza della Corte dei

conti in sede di controllo.

Per la soluzione del problema preliminare va tenuto presente che a seguito della catastrofe del Vajont, nel 1963, affluirono alla

presidenza del consiglio somme offerte spontaneamente dalla col

lettività nazionale e dirette a sovvenire le popolazioni colpite dalla catastrofe stessa.

In presenza dell'eccezionale fenomeno che ha dato luogo al

l'afflusso di offerte in denaro a favore dei sinistrati del Vajont, il

presidente del consiglio ritenne opportuno di dare una destinazio

ne immediatamente efficace ai contributi predetti affidando, con il

provvedimento suddetto, la gestione delle somme già pervenute e

di quelle che sarebbero pervenute in seguito per lo stesso scopo, ad apposita commissione presieduta dal commissario straordinario

del governo per la zona del Vajont. Si venne, così, a realizzare

una gestione di fondi, al di fuori del bilancio dello Stato, presso l'amministrazione dello Stato.

In un primo tempo, per le somme predette, era stata aperta

apposita contabilità speciale intestata al prefetto di Belluno, per il

successivo passaggio dei fondi al presidente della commissione cui

spettava l'amministrazione dei fondi stessi. Solo in un secondo

tempo, su invito del ministero del tesoro — ragioneria generale dello Stato — (nota n. 170661 del 17 novembre 1965), fu disposto il trasferimento dei fondi in conto corrente bancario fruttifero.

Intervenuta la legge 25 novembre 1971 n. 1041, che ha dettato

una disciplina di carattere generale per le gestioni fuori bilancio

svolte nell'ambito delle amministrazioni dello Stato, occorre accer

tare: a) se la gestione in esame debba essere qualificata obietti

vamente gestione fuori bilancio nel senso tecnico-giuridico da tale

normativa accolto; b) se, una volta accertata la natura di gestione fuori bilancio, la medesima debba rientrare fra quelle disciplinate nel titolo I, in quanto non autorizzate da leggi speciali, ovvero

fra quelle indicate nel titolo II, ove autorizzate da leggi speciali;

c) le conseguenze che ne discendono sulla disciplina da applicare nel caso in esame.

Quanto al primo punto è fuor di dubbio — come costantemen

te ha ritenuto la sezione — che la legge n. 1041/1971 ha inteso

porre ordine nel complesso fenomeno delle gestioni fuori bilancio,

quale che ne sia la denominazione e l'organizzazione. Il contrario avviso — manifestato dalla presidenza del consiglio

e condiviso anche dal ministero del tesoro — si basa sul fatto che

i fondi in esame, essendo stati costituiti da offerte spontanee, non

raccolti con atti impositivi dello Stato, dovrebbero esulare dal

l'ambito di applicazione della legge n. 1041. Tale tesi deve

ritenersi giuridicamente infondata, in quanto gli art. 1 e 9 della

citata legge n. 1041 non ancorano il concetto di gestione fuori

bilancio alle somme provenienti dal potere impositivo dello Stato, ma intendono riferirsi a tutto il fenomeno, divenuto patologico, delle gestioni in vario modo prosperanti al di fuori dei normali

canali della gestione del bilancio. In particolare, il riferimento alle

somme « percepite sotto qualsiasi denominazione o a qualsiasi titolo dalle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato »

non consente, nel modo più assoluto, di escludere dall'ambito di

applicazione della legge n. 1041 le somme pervenute all'ammini

strazione a seguito della spontanea manifestazione della « catena

della solidarietà » in favore dei sinistrati del Vajont.

D'altra parte, costituisce principio generale del nostro ordina

mento la qualificazione pubblica delle somme comunque pervenu te all'amministrazione come tale. Le eventuali deviazioni non

potrebbero sfuggire al rigore della giurisdizione contabile, oltre

che di quella penale. Una volta accertato in modo inequivocabile che le somme

raccolte per il Vajont con la « catena della fraternità » costitui

scono gestioni fuori bilancio nell'ambito dell'amministrazione dello

Stato, si pone il problema della disciplina da applicare: se quella del titolo I, ovvero quella del titolo II della legge n. 1041; per dedurne, nel primo caso, l'obbligo di immediata cessazione e

conseguente riconduzione nell'alveo della normale gestione del

bilancio e, nel secondo caso, l'assoggettamento al particolare sistema di gestione e di controllo.

Al riguardo, ritiene la sezione che non possa ritenersi applica

bile, nella specie, la disciplina contenuta nel titolo II, non

essendo la gestione in esame autorizzata da alcuna legge speciale. Trattandosi di gestione fuori bilancio sorta, al di fuori di espressa autorizzazione legislativa, prima dell'entrata in vigore della legge n. 1041/1971, non può che applicarsi la disciplina contenuta nel

titolo I, con conseguente obbligo di immediata riconduzione della

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

gestione nell'ambito del bilancio e l'accertamento, nella sede

competente, di eventuali responsabilità per il mancato adempi mento di quanto espressamente prescritto (art. 6 e 7 della legge).

Una volta accertato che la gestione in esame non rientra fra

quelle indicate nel titolo II della legge n. 1041, la sezione non ha

alcun provvedimento da adottare per l'acquisizione dei relativi

rendiconti, non essendo i medesimi assoggettati al suo controllo.

Trattandosi di gestione fuori bilancio rientrante nella disciplina del titolo I, spetta al procuratore generale della corte di promuo vere le eventuali iniziative per l'attuazione della volontà legislati va.

Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; Sezione I; decisione 4 gennaio 1981, n. 11; Pres. Tozzi, Est. Piscitello; Petrelli (Avv. Leoni) c. Min. interno.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; Sezione I; decisione 4 gennaio 1981, n. 11; Pres. Tozzi,

Impiegato dello Stato e pubblico — Parità uomo donna — Man

cata estensione agli uomini di beneficio ai fini del pensiona mento — Illegittimità — Esclusione (D. pres. 29 dicembre

1973 n. 1092, t. u. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, art. 42; legge 9

dicembre 1977 n. 903, parità di trattamento tra uomini e

donne in materia di lavoro, art. 19).

£ legittima la mancata concessione al dipendente statale di sesso

maschile, coniugato e con prole a carico, dell'aumento di cinque anni di servizio ai fini del computo dei vent'anni richiesti

per l'acquisto del diritto al trattamento di quiescenza in caso di

dimissioni volontarie, beneficio previsto solo per le dipendenti di sesso femminile, non configurandosi alcuna discriminazione

in violazione della normativa sulla parità uomo-donna in materia

di lavoro. (1)

Il Tribunale, ecc. — Il ricorso è infondato.

Secondo la tesi del ricorrente, la norma contenuta nell'art. 9

legge 9 dicembre 1977 n. 903 (concernente la parità di trattamen

to tra uomini e donne in materia di lavoro), che abroga espres samente tutte le disposizioni legislative in contrasto con le norme

della legge stessa e statuisce testualmente che « in conseguenza

cessano di avere efficacia le norme interne e gli atti di carattere

amministrativo dello Stato e degli altri enti pubblici in contrasto

con le disposizioni della presente legge », comporterebbe la neces

sità di applicare anche agli uomini (coniugati e con prole a

carico) il beneficio dell'aumento dei cinque anni di servizio

previsto dal 3° comma dell'art. 42 d. pres. 29 dicembre 1973 n.

(1) T.A.R. Abruzzo, ord. 30 luglio 1979, Foro it., 1980, III, 427, con nota di richiami, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità dell'art. 4 legge 903/1977 nella parte in cui non estende ai dipendenti statali di sesso maschile, coniugati e con prole a carico, la facoltà di fruire del beneficio dell'aumento di servizio fino a cinque anni previsto dall'art. 42, 3° comma, d. pres. 29 di cembre 1973 n. 1092. Sono state ritenute legittime e non in viola zione della legge 903/1977 le norme di bandi di concorso e re

golamenti organici richiedenti il requisito di una determinata altezza minima per posti di commissario di pubblica sicurezza e di vigile urbano, rispettivamente da T.A.R. Lazio, Sez. I, 28 novembre 1979, n. 959, id., 1980, III, 410, e Cons. Stato, Sez. V, 17 ottobre 1980, n. 828, Cons. Stato, 1980, I, 1329.

T.A.R. Sicilia 24 ottobre 1979, n. 365, Trib. amm. reg., 1979, I, 4022, afferma l'automatica perdita d'efficacia, per l'entrata in vigore della legge sulla parità 903/1977, delle norme di bando di concorso e

regolamento organico che, richiedendo l'assolvimento del servizio mi litare di leva, escludono le donne dalla carriera di guardia muni

cipale.

Analoga norma di bando di concorso, richiedente il requisito del l'avere prestato due anni di servizio militare per il posto di usciere

presso la Banca d'Italia, è stata ritenuta illegittima, per violazione dell'art. 1 legge 903/1977, da T.A.R. Lazio, Sez. I, 20 settembre

1979, n. 734, Foro it., 1979, III, 669, con nota di richiami. T.A.R. Sicilia 25 ottobre 1980, n. 606, Trib. amm. reg., 1980, I,

4457, afferma l'illegittimità, per violazione degli art. 1 e 19 legge 903/1977, di provvedimento del ministro per la pubblica istruzione attuante una discriminazione per sessi nel settore degli incarichi di

insegnamento presso scuole speciali istituite nelle carceri. Sull'effetto di eliminazione di alcune discriminazioni a sfavore del

l'uomo rispetto alla donna in materia previdenziale ad opera dell'art. 11 della citata legge 903/1977, v. Corte cost. 26 maggio 1981, n. 75, in questo fascicolo, I, 1852, con nota di richiami.

Per ulteriori riferimenti sulla legge 903/1977, cfr., da ultimo, Trib. Milano, ord. 29 maggio 1980, Foro it., 1981, I, 597, con nota di richiami.

1092, solo per le dipendenti coniugate e con prole a. carico, ai fini del computo dei vent'anni richiesti per il conseguimento del trattamento di quiescenza, in caso di dimissioni volontarie.

Ciò in quanto, da un lato, non può ritenersi abrogata la norma che prevede detto beneficio e, dall'altro, la mancata estensione, invocata dal ricorrente, del beneficio stesso, costituirebbe una discriminazione tra i due sessi che la legge n. 903/1977 ha inteso cancellare, in ossequio al precetto costituzionale sancito dall'art. 3, 1° comma, Cost, oltre che alle direttive comunitarie in materia di

disciplina del lavoro.

Ad evidenziare l'infondatezza dell'assunto del ricorrente giova, innanzitutto, precisare che il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, secondo il sistema normativo introdotto dalla citata legge n. 903 del 1977, si riferisce, in primo luogo, all'acces so al lavoro (art. 1) e, quindi, alla retribuzione, quando le prestazioni richieste siano uguali e di pari valore (art. 2), nonché all'attribuzione delle qualifiche e delle mansioni ed alla progres sione nella carriera (art. 3). Non è, invece, espressamente previsto il trattamento di quiescenza (che attiene, ovviamente, alla materia di lavoro, ma ne costituisce un aspetto dotato di particolare autonomia, anche sotto il profilo della disciplina normativa, per la complessità degli interessi, pubblici e privati, che vi sono implica ti); né può ritenersi che il legislatore lo abbia implicitamente ricompreso nel vasto concetto di « progressione nella carriera », dal momento che non mancano specifiche disposizioni, come

quella contenuta nell'art. 4, che chiaramente presuppongono la sussistenza di un diverso regime pensionistico tra uomo e donna.

Ed infatti, per il citato art. 4, « le lavoratrici, anche se in

possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia, possono optare di continuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislati ve, regolamentari e contrattuali... ».

Specifiche disposizioni, inoltre, sono contenute nella legge per estendere al marito alcuni benefici in materia di infortuni sul lavoro (art. 10) e prestazioni ai superstiti (art. 11 e 12).

Anche altri benefici estesi al padre lavoratore (art. 7) sono stati

oggetto di espressa previsione legislativa. Al di là dei sopracennati risultati favorevoli anche per l'uomo

ottenuti come effetto della parificazione legislativa tra i sessi in materia di lavoro, sembra evidente, però, che la ratio della legge 9 dicembre 1977 n. 903 sia stata quella di eliminare discrimina zioni limitative nei confronti del sesso femminile (nel segno di un orientamento già anticipato da alcune decisioni della Corte costi tuzionale) — tra cui merita d'essere ricordata la dee. n. 33 del 1960 (Foro it., 1960, I, 705) in materia di accesso a pubblici impieghi — piuttosto che quella di estendere agli uomini spe cifiche agevolazioni strettamente connesse (nella visione discrezio nale del legislatore) alla funzione della donna nella società e nelle sue varie articolazioni (prima tra tutte la famiglia, secondo il

principio sancito dall'art. 29 Cost.).

In ogni caso, il carattere abrogativo della norma generale , invocata dal ricorrente può soltanto determinare l'effetto negativo consistente nella soppressione di restrizioni alla sfera giuridica dei soggetti da essa contemplati, ma non già quello positivo dell'e stensione ad altri soggetti di norme di favore limitate a particolari categorie di destinatari (e non costituenti, di per sé, menomazione del principio generale di eguaglianza).

La Corte costituzionale, peraltro, ha già da tempo chiarito (cfr. dee. n. 56 del 3 ottobre 1958, id., 1958, I, 1393) che non è di per sé vietato l'assumere il sesso come criterio di distinzione ai fini della disciplina di determinate materie, ma occorre valutare la

ragione per cui la legge presenta quel determinato contenuto.

Nel caso di specie, il differenziato trattamento che non ha consentito al ricorrente di ottenere il trattamento di favore di cui all'art. 42 d. pres. 29 dicembre 1973 n. 1092 trova una sua

ragionevole giustificazione non solo (o non tanto) nella diffusa

pratica legislativa del c.d. favor verso le categorie sociali sottopro tette, quanto in motivi che possono identificarsi con principi e valori tutelati dalla Costituzione o con scopi che questa si

propone comunque di attuare, poiché l'anticipato collocamento a

riposo della lavoratrice coniugata o con prole a carico assolve, sotto diversi aspetti, ad una rilevante funzione sociale, mentre

analoga giustificazione non potrebbe riscontrarsi nell'attribuzione di identico beneficio al lavoratore coniugato o con prole a carico.

Devono disattendersi, infine, le censure di disparità di tratta mento e di insufficiente motivazione avanzate dal ricorrente con i due ultimi motivi, dato l'evidente carattere non discrezionale del

provvedimento impugnato e la piena trasparenza dell 'iter logico seguito dall'amministrazione ai fini della determinazione adottata.

Il ricorso deve, quindi, essere rigettato. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

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