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sezione di Lecce; sentenza 24 novembre 1986, n. 376; Pres. Ventura, Est. Catoni; Stasi (Avv.Sticchi Damiani) c. Min. grazia e giustizia (Avv. dello Stato Gustapane), Buccarella (Avv.Pellegrino)Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 10 (OTTOBRE 1987), pp. 511/512-513/514Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179251 .
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PARTE TERZA
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PU
GLIA; sezione di Lecce; sentenza 24 novembre 1986, n. 376;
Pres. Ventura, Est. Catoni; Stasi (Avv. Sticchi Damiani) c.
Min. grazia e giustizia (Avv. dello Stato Gustatane), Bucca
rella (Avv. Pellegrino).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PU
GLIA; sezione di Lecce; sentenza 24 novembre 1986, n. 376;
Ordinamento giudiziario — Consiglio superiore della magistratu
ra — Deliberazione — Impugnabili diretta — Fattispecie
(Cost., art. 113; r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, t.u. sul Consiglio di Stato, art. 26; 1. 24 marzo 1958 n. 195, norme sulla costitu
zione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magi
stratura, art. 10, 11, 17).
È direttamente impugnabile da parte del magistrato interessato
la deliberazione del Consiglio superiore della magistratura di
spositiva del suo stato giuridico. (1)
Diritto. — L'inammissibilità del ricorso, rilevata dalle parti in
timate, trova conforto in numerose decisioni della giurisprudenza amministrativa che appare pressoché unanime e al cui indirizzo
ha aderito nel passato anche questa sezione del T.A.R. Puglia.
Peraltro, in una prospettiva evolutiva del processo amministra
tivo che deve di necessità adattarsi il più possibile al dettato co
stituzionale, non è inopportuno riconsiderare nuovamente la
questione, anche alla luce di una circostanza assai rilevante, ov
vero delle sempre più frequenti impugnative dei provvedimenti
propri del Consiglio superiore della magistratura che gli interes
sati sono costretti a proporre nella materia d'interesse per evitare
che le pronunce nel merito si limitino a mere espressioni di prin
cipi giuridici senza che ne venga contemporaneamente resa effet
tiva la tutela giurisdizionale che il costituente ha voluto garantire anche nelle azioni tra il cittadino e la p.a. Non è infrequente il caso, infatti, che la decisione sul ricorso finisca per rivelarsi
del tutto inutile per il ricorrente che ha visto accolte le sue prete
se; infatti, spesso, quando la pronuncia è intervenuta, non è più
possibile una sostanziale riparazione, per la limitata efficacia tem
porale che i provvedimenti impugnati talvolta posseggono o per la scarsa convenienza che il ripristino della situazione giuridica violata possa presentare, in vista della mutabilità degli interessi
personali a seguito del consolidarsi della posizione che si assume
va lesiva.
Né, del resto, è sempre possibile il ricorso alla tutela cautelare
per la complessità dei problemi e per la soluzione dei delicati
aspetti giuridici che involgono le questioni attinenti all'ordina
mento giudiziario proposte ai giudici amministrativi.
Deve, perciò, darsi carico il collegio di esaminare se le ragioni individuate dalla giurisprudenza, che osterebbero alla possibilità di autonoma impugnativa delle deliberazioni del Consiglio supe riore della magistratura, non siano effettivamente superabili con
maggiore soddisfazione e più ampia garanzia, non soltanto degli appartenenti all'ordine giudiziario, ma dello stesso interesse
pubblico. Una prima preclusione, ricordata anche nella recente sentenza
del Consiglio di Stato, richiamata dal controinteressato (cfr. sez.
IV 6 luglio 1982, n. 454, Foro it., Rep. 1982, voce Giustizia am
ministrativa, n. 198), andrebbe identificata nel carattere dell'or
gano, al di fuori della p.a. Si è sempre ritenuto in dottrina e giurisprudenza, infatti, che
i provvedimenti amministrativi impugnabili debbano essere tali
(1) La sentenza va segnalata perché si pone argomentatamente in con trasto con la giurisprudenza assolutamente prevalente, secondo la quale le deliberazioni del consiglio superiore della magistratura concernenti il
rapporto di impiego e lo status in genere dei magistrati non sarebbero direttamente impugnabili: il ricorso potrebbe investire solo i decreti (pre sidenziali, o, eventualmente, ministeriali), nei quali tali deliberazioni so no recepite, anche se, nel giudizio cosi introdotto, sono poi deducibili i vizi di esse; v. indicazioni di tale orientamento giurisprudenziale in nota a Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 1985, n. 593, Foro it., 1986, III, 247. Successivamente, sez. IV 14 novembre 1986, n. 729, Cons. Stato, 1986, I, 1728, ha confermato il principio suddetto, ma ha ritenuto non in contrasto con esso l'immediata impugnabilità di una circolare del con
siglio superiore, intesa come suo atto interno, riconoscendogli anche, per ciò, la legittimazione processuale passiva.
In dottrina, da ultimo F. G. Scoca, Atti del Consiglio superiore della
magistratura e loro sindacato giurisdizionale, in Dir. proc. amm., 1987, 5.
It Foro Italiano — 1987.
non soltanto in senso oggettivo ma anche soggettivo. Il confine
della giurisdizione amministrativa è delimitato in questo senso dal
l'art. 26 t.u. 26 giugno 1924 n. 1054 il quale letteralmente indica
«i provvedimenti di un'autorità amministrativa o di un corpo am
ministrativo deliberante». Siffatta interpretazione troverebbe con
ferma, nell'ordinamento repubblicano, nell'art. 113 Cost., ove
si indicano espressamente solo gli «atti della p.a.». In base a questo orientamento non sono, quindi, suscettibili
di impugnativa i provvedimenti, ancorché sostanzialmente ammi
nistrativi, emanati da organi legislativi o giurisdizionali. Il fondamento della esclusione trae ragione con tutta evidenza
dal convincimento che la tutela del cittadino contro gli eventuali
abusi della p.a., su cui è basata la giurisdizione amministrativa,
non sembra necessaria contro atti di organi a rilevanza costitu
zionale quali ad esempio le camere.
A parte il fondamento di un simile convincimento, non sembra
che siffatto indirizzo, tuttavia, sia strettamente aderente allo spi
rito ed alla previsione del 2° comma dell'art. 113 il quale ribadi
sce che la tutela non può essere esclusa per «determinate categorie di atti» e nessuno può negare che i provvedimenti di cui trattasi
ancorché formalmente non siano tali, nella sostanza sono sicura
mente ed esclusivamente provvedimenti amministrativi.
L'indirizzo è apparso restrittivo a parte della dottrina tanto
che proprio in sede parlamentare (approvazione dell'art. 12 del
regolamento della camera) una autorevole voce di essa ebbe ad
esprimere la convinzione che è soltanto una tradizione giuridica
che non ha più ragione di essere ad impedire che gli impiegati e i funzionari del parlamento e degli altri organi costituzionali
siano in possesso delle garanzie che il richiedente ha riconosciuto
a tutti i cittadini. Quindi, in un'ottica evolutiva del processo am
ministrativo non può escludersi che, in linea di massima, possa essere superato l'ostacolo, del resto dettato soltanto da ragioni
squisitamente formali, rappresentato dalla qualità del soggetto che
ha emanato l'atto. D'altra parte, proprio in aderenza all'espan sione delle garanzie di difesa, poiché la Corte costituzionale, con
sentenza n. 168 del 1963 (id., 1964, I, 3) aveva dichiarato la ille
gittimità costituzionale dell'art. 11 1. 24 marzo 1958 n. 195 «in
quanto per le materie indicate nel n. 1 dell'art. 10 escludeva l'ini
ziativa del Consiglio superiore della magistratura», la stessa corte
si era indotta successivamente a ritenere (cfr. sent. 14 maggio
1968, n. 44, id., 1968, I, 1396) che l'impugnativa di fronte al
giudice amministrativo non poteva essere limitata «solo ai vizi
relativi agli atti emanati dagli organi dell'esecutivo con esclusione
degli altri atti costituiti dalle statuizioni del Consiglio superiore della magistratura». Veniva cioè riaffermato il principio costitu
zionale che garantisce a tutti i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi. In sostanza, cioè, si riconosceva la impugnabilità degli atti del consiglio, ancorché
organo non amministrativo, sia pure attraverso il raccordo con
il d.p.r. di esecuzione del deliberato del consiglio.
Peraltro, a questo punto, s'impone una doverosa notazione sui
rapporti tra gli atti del Consiglio superiore della magistratura e
il d.p.r. di esecuzione. Al riguardo il collegio osserva che, ricono
sciuta al provvedimento del consiglio, almeno nella sostanza, la
natura amministrativa, è indispensabile un ulteriore esame, ovve
ro in quale categoria possa ricondursi. Deve escludersi in primo
luogo che esso possa annoverarsi tra gli atti della funzione con
sultiva; non ha, invero alcuno dei caratteri propri di essi. In ef
fetti, l'art. 17 1. n. 195 del 1958 esclude qualsiasi possibilità per l'esecutivo, non soltanto di discostarsi dalla deliberazione del Con
siglio superiore della magistratura, ma sinanche la discrezionalità
quanto a\Yan dato che l'emanazione del relativo provvedimento costituisce senza dubbio, nel quadro normativo, un atto dovuto.
Ne consegue che le deliberazioni del Consiglio superiore della ma
gistratura si pongono come atti necessari presupposti di un pro cedimento amministrativo, nel quale il decreto dell'esecutivo viene
a costituire una mera esternazione formale priva di qualsiasi sta
tuizione volitiva. Se ciò è vero, non si vede per quale ragione non possa compiersi un ulteriore sforzo ermeneutico e considera
re che al consiglio sono state attribuite con la ricordata sentenza
della corte del 1963 anche delle funzioni proprie dell'esecutivo
che era opportuno sottrarre a questo per salvaguardare in ogni modo il bene primario della indipendenza della magistratura. La
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
soluzione, del resto, troverebbe anche un autorevole precedente
giuridico, nel riconoscimento della diretta impugnabilità delle de
libere che il Consiglio superiore della magistratura emana nelle
materie di sua stretta competenza, come la proclamazione degli eletti al consiglio medesimo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 maggio 1971, n. 567, id., 1971, III, 213; Cass., sez. un., 7 ottobre 1972, n. 2918, id., 1972, I, 2762). D'altronde siffatta soluzione apre la possibilità d'impugnativa, anche in circostanze nelle quali l'at
tuale indirizzo giurisprudenziale priva della tutela giurisdizionale
gli interessati, allorché, cioè, per motivi d'ordine diverso, la voli
zione del consiglio resta a sé stante senza trasporsi nel formale
decreto dell'esecutivo.È il caso che offre alla considerazione del
collegio la stessa questione sottopostagli. Invero, la deliberazione
del febbraio 1986, con la quale è stato revocato il trasferimento
del ricorrente, arrecava senza alcun dubbio una lesione all'odier
no controinteressato, il quale, oltre ad un indubitabile interesse
sostanziale, possedeva, ad avviso del collegio, anche quello al ri
corso, non in via meramente eventuale ma potenziale, al quale, come è noto, l'ordinamento appresta tutela giurisdizionale. In ef
fetti la pubblicazione della vacanza del posto, sulla quale si è
fondata la deliberazione di annullamento, e la richiesta inoltrata
dal Buccarella radicavano in lui l'interesse al ricorso ove fosse
stato il primo tra i vari aspiranti o l'unico a richiedere il trasferi
mento in quella sede.
L'interpretazione sino ad oggi seguita, invero, senza il diretto
intervento del Consiglio superiore della magistratura con la deli
berazione impugnata, avrebbe in pratica impedito ogni tutela giu
risdizionale, data l'impossibilità della conseguente emanazione di
un decreto suscettibile di impugnativa. Quest'ultima considera
zione introduce immediatamente il discorso sulla seconda delle
ragioni che appaiono come ostative alla diretta impugnabilità dei
provvedimenti del Consiglio superiore della magistratura, ovvero
a quella tendenza che ritiene, comunque, le deliberazioni del Con
siglio superiore della magistratura atti intermedi del procedimen
to, come tali, perciò, impugnabili soltanto in una all'atto terminale
di esso. Va premesso sul punto che, come regola generale, qualo ra l'atto preparatorio sia suscettibile di immediata lesione, ne è
ammissibile l'impugnativa e, come si è avuto modo di osservare
in premessa, in realtà nelle fattispecie analoghe a quella in esame
la lesione è sempre propria dell'atto del Consiglio superiore della
magistratura che, spesso, inoltre, è posto in esecuzione prima del
l'intervento del d.p.r. Quindi, neanche siffatta argomentazione si presenta come insuperabile: in primo luogo per quanto si è
innanzi affermato sul carattere meramente esecutivo del d.p.r., nel quale si traducono gli atti del consiglio, in secondo luogo,
perché la natura di atto intermedio non sempre è stata valutata
come condizione preclusiva della impugnativa. È appena il caso
di rammentare la immediata impugnabilità degli strumenti urba
nistici privi di approvazione della regione, ripetutamente affer
mata dalla giurisprudenza, sia pure in connessione con la possibilità di emanazione delle misure di salvaguardia; in tale procedimento, tra l'altro, il ruolo della regione è esaltato dalla stessa se non
in misura superiore a quello del comune, laddove invece, come
più volte si è avuto modo di notare, il compito dell'esecutivo
nella materia d'interesse è di mera esternazione, privo di autono
mi contenuti.
In materia, poi, strettamente analoga nella procedura e nella
qualità dei soggetti incisi, contraddistinti da alta professionalità, il principio è stato già affermato dàlia giurisprudenza ammini
strativa.
Il collegio intende riferirsi alle deliberazioni dei consigli di fa
coltà universitarie sui conferimenti degli incarichi, le quali sono
state dichiarate immediatamente impugnabili per il contenuto di
spositivo immediatamente lesivo (anche per effetto della piena
esecuzione che ad esse viene dato) della sfera giuridica di even
tuali controinteressati (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 aprile 1982,
n. 194, id., Rep. 1982, voce cit., n. 264). Va rimarcata la singola
re analogia con le deliberazioni del Consiglio superiore della ma
gistratura che hanno del pari un contenuto dispositivo
immediatamente lesivo per la innanzi cennata irrilevanza che as
sume rispetto ad esse il decreto dell'esecutivo. Ritiene, pertanto,
il collegio che nella prospettiva evolutiva, più volte richiamata,
nella quale deve porsi l'interpretazione delle norme in materia
Il Foro Italiano — 1987.
di processo amministrativo, alla stregua delle avanzate argomen tazioni, il ricorso diretto contro atti del Consiglio superiore della
magistratura, dispositivi dello stato giuridico dei magistrati, è da
ritenersi ammissibile. (Omissis)
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA; sezione I; sentenza 29 ottobre 1986, n. 866; Pres. Mangione, Est. Franco; Oriana (Avv. Forlani) c. Min.
grazia e giustizia (Avv. dello Stato Procchio).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA; sezione I; sentenza 29 ottobre 1986, n. 866;
Ordinamento giudiziario — Magistrato — Candidatura elettorale — Esito sfavorevole — Trasferimento d'ufficio — Indennità di missione — Spettanza (L. 6 febbraio 1948 n. 29, norme per la elezione del senato della repubblica, art. 5; 1. 6 dicembre
1950 n. 1039, indennità ai magistrati promossi al terzo grado, art. 1, 3; d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361, t.u. delle leggi recanti
norme per la elezione alla camera dei deputati, art. 8; 1. 19
febbraio 1981 n. 27, provvidenze per il personale della magi stratura, art. 6).
Spetta l'indennità di missione al magistrato trasferito d'ufficio dalla sua sede originaria, perché compresa nella circoscrizione
nella quale egli si era presentato con esito sfavorevole come
candidato alle elezioni alla camera dei deputati. (1)
Diritto. — 1. - È fondata la domanda di annullamento propo sta in questa sede dal ricorrente — magistrato collocato in aspet tativa per ragioni elettorali ex art. 5 1. n. 29 del 1948 e art. 8
d.p.r. n. 361 del 1957 — contro il diniego oppostogli dal ministe
ro di grazia e giustizia a corrispondergli l'indennità di missione
a seguito del suo rientro in servizio — per l'esito negativo del
risultato elettorale — con destinazione all'ufficio istruzione del
Tribunale di Milano.
Invero l'istante, già pretore titolare dirigente della Pretura di
Lecco, non è rientrato automaticamente nella sede originaria di
certo non per sua volontà ma per il meccanismo normativo di
sposto dall'art. 8 d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361, il cui ultimo com
ma stabilisce che «I magistrati che sono stati candidati e non
sono stati eletti non possono esercitare per un periodo di cinque anni le loro funzioni nella circoscrizione nel cui ambito si sono
svolte le elezioni».
Risultando il comune di Lecco ricompreso nel collegio elettora
le nel cui ambito l'istante aveva posto la sua candidatura, si è
reso necessario il temporaneo trasferimento ad altra sede.
Ma detto trasferimento non può che considerarsi trasferimento
di ufficio, anzi un vero e proprio trasferimento ex lege nel quale non può rinvenirsi alcun elemento volontaristico.
In una fattispecie come quella in esame non si può nemmeno, in ipotesi, affermare che il dott. Oriana, nel candidarsi alla com
petizione elettorale in un collegio nel cui ambito rientrava la sede
del suo ufficio, abbia implicitamente accettato il rischio di subire
un trasferimento in caso di mancata elezione.
Una siffatta ipotesi contrasterebbe inaccettabilmente con il di
(1) Problema di trattamento economico del magistrato trasferito d'uf
ficio dalla sua sede originaria, perché compresa nella circoscrizione nella
quale si era presentato senza fortuna come candidato nella elezione alla
camera dei deputati, secondo norme il cui contrasto con gli art. 3, 51
e 107 Cost, è stato escluso da Corte cost. 26 ottobre 1982, n. 172, Foro
it., 1983, I, 2678, con nota di Messerini, e sulla cui applicazione v.,
per riferimenti, T.A.R. Sicilia 25 gennaio 1985, n. 34, id., Rep. 1985, voce Ordinamento giudiziario, n. 113.
Sulla corresponsione dell'indennità che la sentenza riportata ha dichia
rato spettare al ricorrente, v., sempre per riferimenti, Cons. Stato, sez.
Ili, 4 maggio 1982, n. 301/82, ibid., n. 106, che ne ha affermato la
compatibilità col normale trattamento di missione, nel caso di invio del
magistrato in missione fuori dalla sua ordinaria sede di servizio; nonché
T.A.R. Valle d'Aosta 16 aprile 1983, n. 34, id., Rep. 1983, voce cit., n. 96, che la distingue da tale trattamento di missione, affermandone
la incompatibilità con l'indennità di prima sistemazione.
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