sezione disciplinare; sentenza 12 dicembre 1997; Pres. Grosso, Est. Gennaro, P.M. Morozzo DellaRocca (concl. diff.); VignaSource: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 3 (MARZO 1998), pp. 187/188-193/194Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192361 .
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PARTE TERZA
COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE; sezione VII; de
cisione 28 maggio 1997, n. 2685; Pres. Paleologo, Est. Ma
stelloni; Ufficio imposte dirette di Messina c. Soc. Sigert.
COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE;
Riscossione delle imposte e delle entrate patrimoniali ed esatto
re — Versamento — Omesso o insufficiente acconto di impo sta — Sanzioni (L. 23 marzo 1977 n. 97, disposizioni in ma
teria di riscossione delle imposte sui redditi, art. 2; d.l. 22
dicembre 1981 n. 787, disposizioni fiscali urgenti, art. 10; 1.
26 febbraio 1982 n. 52, conversione in legge, con modifica
zioni, del d.l. 22 dicembre 1981 n. 787, art. 1; d.l. 21 dicem
bre 1982 n. 923, provvedimenti urgenti in materia fiscale, art.
1; 1. 9 febbraio 1983 n. 29, conversione in legge, con modifi
cazioni, del d.l. 21 dicembre 1982 n. 923, art. unico).
Non è soggetto alla sanzione di cui all'art. 2 I. 23 marzo 1977
n. 97 l'insufficiente versamento dell'acconto dell'imposta sul
reddito delle persone giuridiche, qualora lo stesso (effettuato, nella specie, nel 1983), risulti inferiore alla misura (pari al
novantadue per cento) di cui all'art. 10 d.l. 22 dicembre 1981
n. 787, confermato dal d.l. 21 dicembre 1982 n. 923, ma non
anche a quella (pari al settantacinque per cento) prevista dal
l'ultimo comma dell'art. 2 l. 97/77. (1)
Diritto. — Osserva la sezione che il d.l. n. 923 del 1982 con
ferma per l'anno 1983 il versamento d'acconto — di cui si con
trovede — nella misura prevista dall'art. 10 d.l. n. 787 del 1981, acconto elevato dal novanta per cento al novantadue per cento.
La misura dell'acconto non è normativamente collegata ad
un corrispondente aumento della originaria sanzione introdot
ta, con l'acconto del settantacinque per cento, con l'art. 2, ulti
mo comma, 1. 23 marzo 1977 n. 97 (come sostituito dall'art.
1 1. 17 ottobre 1977 n. 749). Non si può dubitare che una diversa disciplina della sanzione
avrebbe potuto essere imposta, ma soltanto con una apposita norma espressa.
Il ricorso dell'ufficio è, di conseguenza, infondato.
(1) In origine, la misura dell'acconto delle imposte sul reddito e la
soglia di punibilità per il suo insufficiente versamento coincidevano: la 1. 23 marzo 1977 n. 97 (nel testo modificato dalla 1. 17 ottobre 1977 n. 749) fissava al settantacinque per cento dell'imposta dovuta per l'an no precedente l'acconto da versare e sanzionava il pagamento inferiore a tale percentuale, a condizione che fosse inferiore anche al settantacin
que per cento dell'imposta dovuta per l'anno in corso. Successivamente (con il d.l. 31 ottobre 1980 n. 693, convertito nella
1. 22 dicembre 1980 n. 891), si è variata (aumentandola) la misura del
l'acconto, senza toccare la soglia di punibilità, sì che, almeno apparen temente, a fronte dell'obbligo di versare un'imposta pari al novanta
per cento, ovvero (dopo il d.l. 22 dicembre 1981 n. 787, convertito nella 1. 26 febbraio 1982 n. 52) al novantadue per cento, si prospettava la sanzione solo per il caso di versamento inferiore al settantacinque per cento dell'imposta dovuta per l'anno in corso.
In giurisprudenza, Comm. trib. I grado Bergamo 14 luglio 1992, Fo ro it., Rep. 1992, voce Riscossione delle imposte, n. 60, ha cercato di superare il dato formale e ha ritenuto legittima la sanzione irrogata dagli uffici finanziari in caso di versamento compreso tra il settantacin que per cento dell'imposta dovuta per l'anno in corso ed il novantadue per cento di quella relativa all'anno precedente, sul rilievo che la norma che ha elevato la percentuale di versamento dell'acconto di imposta va interpretata come automaticamente correttiva della percentuale di demarcazione della soglia della punibilità per insufficiente versamento (in termini analoghi, Comm. trib. I grado Treviso 24 novembre 1989, inedita; Comm. trib. I grado Reggio Emilia 17 ottobre 1986, inedita).
Diversamente — e cioè nel senso (fatto proprio dalla Commissione tributaria centrale con la presente decisione) che la modifiche legislative espressamente circoscritte ad incidere sulla sola misura dell'acconto non possono esplicare alcuna efficacia nei riguardi della soglia di punibilità — v. Comm. trib. II grado Firenze 14 marzo 1996, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 257; Comm. trib. I grado Treviso 26 novembre 1992, ine dita; Comm. trib. I grado Milano 14 aprile 1992, id., Rep. 1992, voce cit., n. 61; 9 novembre 1990, id., Rep. 1991, voce cit., n. 144; Comm. trib. I grado Rimini 5 luglio 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 68, e Società, 1989, 105, con nota di S. Dus, Acconto d'imposta inferiore al dovuto-, Comm. trib. I grado Venezia 17 giugno 1988, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 69, e Ross, trib., 1989, II, 59, con nota di E. Belli Contarini, Acconto d'imposta: limiti per l'applicabilità della soprat tassa per insufficiente versamento-, Comm. trib. I grado Voghera 8 lu glio 1987, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 107; Comm. trib. I grado Alba 26 giugno 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 51; Comm. trib. I grado Grosseto 12 marzo 1987, inedita.
Il Foro Italiano — 1998.
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA; sezione disciplinare; sentenza 12 dicembre 1997; Pres. Grosso, Est.
Gennaro, P.M. Morozzo Della Rocca (conci, diff.); Vigna.
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA;
Ordinamento giudiziario — Magistrato — Responsabilità disci
plinare — Dovere di riservatezza anche in presenza di viola
zione del segreto investigativo da parte di terzi — Fattispecie
(R.d.leg. 31 maggio 1946 n. 511, guarentigie della magistra
tura, art. 18). Ordinamento giudiziario — Magistrato — Responsabilità disci
plinare — Dovere di riservatezza — Fattispecie.
La circostanza che altro soggetto — estraneo all'ordine giudi ziario — abbia in precedenza ed autonomamente violato la
norma penale a tutela del segreto degli atti di indagine è inin
fluente sulla responsabilità disciplinare che deve riconoscersi
a carico del magistrato che abbia propalato notizie concer
nenti indagini di grande presa presso la pubblica opinione, con un grado di attendibilità e carattere di certezza massimo
derivante dalla qualità di magistrato titolare delle indagini cui
la propalazione si riferisce. (1) Il dovere di riservatezza proprio del magistrato non può essere
derogato dal fine di contribuire ad una corretta informazione della pubblica opinione allorché la deroga implica necessaria
mente il sacrificio del segreto e della riservatezza degli atti
di indagine e/o comporta il rischio di pregiudicare indagini in corso ovvero di interferire sul corretto e sereno svolgimen to di processi in corso di trattazione (nella specie, si è censu
rata l'intervista radiofonica che si è sostanziata in una antici
pazione del contenuto di dichiarazioni di un imputato «eccel
lente», che si ponevano sul crinale delicatissimo che nel c.d.
«processo Andreotti» divide il partito dei colpevolisti da quello
degli innocentisti, facendo insorgere nuove polemiche sulla
gestione dei collaboratori di giustizia e sulle finalità destabi
lizzanti dei «pentimenti mirati»), (2)
Fatto e diritto. — Con nota n. 25/S/4 ris del 3 ottobre 1996, diretta al ministro di grazia e giustizia, il procuratore generale della repubblica presso la Corte suprema di cassazione ha eser
citato l'azione disciplinare nei confronti del dr. Pietro Luigi Vi
gna, procuratore della repubblica presso il Tribunale di Firenze, in relazione al contenuto di un'intervista dal predetto magistra to rilasciata il 30 agosto 1996 ad un'emittente radiofonica, con
(1-2) Importanti affermazioni della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, ora sottoposte al vaglio delle sezioni unite civili della Cassazione, in tema di dichiarazioni alla stampa da parte del magistrato sul procedimento di cui egli stesso è assegnatario.
La decisione, inoltre, si segnala anche per importanti sottolineature in tema di dovere di riservatezza, come corollario deontologico dei principi costituzionali di indipendenza ed imparzialità del magistrato (Corte cost. 8 giugno 1981, n. 100, Foro it., 1981, I, 2360, con nota di S. Cantisa ni. Il «buon giudice» ed i suoi censori), sul ruolo della sezione nella formazione di un codice deontologico del magistrato, sui rapporti tra la libertà di manifestazione del pensiero e i doveri del magistrato, sulla possibilità e/o opportunità di emettere comunicati stampa, eventual mente, anche in forma congiunta.
Sui rapporti tra magistratura e stampa, il Consiglio superiore è inter venuto varie volte con le risoluzioni adottate nelle sedute del 18 aprile 1990, 19 maggio 1993 e 1° dicembre 1994.
Il ministro di grazia e giustizia, in data 20 settembre 1996, ha inviato al Consiglio superiore della magistratura ed al procuratore generale presso la Corte di cassazione una nota nella quale, intervenendo «nella quasi quotidiana frequenza del ripetersi di dichiarazioni alla stampa rese da
magistrati» e richiamando, limitatamente alla materia in esame, i prece denti interventi in materia del Consiglio superiore e del procuratore generale, le norme del codice etico approvato dall'associazione naziona le magistrati e la tipizzazione degli illeciti disciplinari, contenuta nel disegno di legge in discussione alle camere, anticipava che, nell'eserci zio dell'azione disciplinare, si sarebbe attenuto a tali indirizzi e direttive «con criteri di proporzionalità ed adeguatezza ... al fine di salvaguar dare l'ordine giudiziario da rischi di sovraesposizione e delegittimazione».
Sul codice etico dei magistrati, cfr. la documentazione in Foro it., 1996, III, 38, e lo scritto di G. Barbagallo, ibid., 36; L. De Ruggiero-G. Ichino, Il codice etico dei magistrati, una prima riflessione in tema di deontologia, in Questione giustizia, 1994, 17; E. Paciotti, Nono stante i dubbi di legittimità costiuzionale i giudici hanno adottato il proprio codice etico, in Guida al diritto, 1995, fase. 47.
In tema di responsabilità disciplinare, v. gli atti del corso di studi, organizzato dal Centro internazionale magistrati «Luigi Severini», Pe rugia, 11-13 ottobre 1996, La disciplina dei magistrati, Rimini, 1997.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
riferimento alle dichiarazioni rese dal detenuto Giovanni Brusca
al cui interrogatorio il dr. Vigna aveva proceduto unitamente
a magistrati delle procure della repubblica presso i Tribunali
di Palermo e di Caltanissetta.
Nel corso dell'istruttoria, condotta con il rito sommario, il
dr. Vigna ha inoltrato in data 6 novembre 1996 al procuratore
generale presso la Corte di cassazione memoria scritta corredata
da numerosi allegati. In data 4 dicembre 1996, a seguito di presentazione sponta
nea, si è proceduto all'interrogatorio del dr. Vigna, il quale ha
prodotto ulteriore documentazione.
In data 24 gennaio 1997 è stato escusso, in qualità di teste, Daniele Biacchessi, redattore dell'emittente radiofonica «Italia
Radio», il quale ha consegnato una copia della registrazione concernente l'intervista rilasciata dal dr. Vigna il 30 agosto 1996.
Con separato provvedimento di pari data è stata disposta l'ac
quisizione agli atti del nastro magnetofonico relativo all'intervi
sta in questione, il cui contenuto è stato successivamente tra
scritto da personale della segreteria disciplinare della procura
generale presso la Corte di cassazione.
Il processo verbale della trascrizione dell'intervista è stato in
data 5 febbraio 1997 comunicato al dr. Vigna, il quale, con
nota del 10 febbraio 1997, ha comunicato di nulla eccepire. Tratto al giudizio della sezione disciplinare, il dr. Vigna è
comparso all'udienza dibattimentale odierna con l'assistenza del
dr. Gabriele Chelazzi ed ha reso interrogatorio, confermando
quanto già dichiarato in istruttoria e richiamando il contenuto
della memoria difensiva del 6 novembre 1996.
La sezione, sentito il p.g. di udienza, il quale ha espresso
parere favorevole, ha disposto l'acquisizione di copiosa docu
mentazione prodotta dal difensore del dr. Vigna. Al termine della orale discussione, il p.g. e il dr. Chelazzi
hanno concordemente richiesto l'assoluzione del dr. Vigna per essere rimasto escluso l'addebito.
La sezione disciplinare ha deciso come da dispositivo in atti
di cui è stata data lettura.
L'addebito disciplinare fa carico al dr. Vigna di «avere riferi
to il contenuto di dichiarazioni a lui rese da Giovanni Brusca . . .
e in particolare rivelato che il Brusca, con riferimento al sen.
Andreotti, aveva messo in dubbio lo scambio del bacio con Rii
na, ma nel contempo aveva promesso rivelazioni sui rapporti tra il sen. Andreotti e Cosa nostra attraverso i cugini Salvo
e Salvatore Lima, in tal modo rendendo pubblico il contenuto
di atti di indagine in violazione del dovere di riservatezza . . .».
L'atto di incolpazione riassume in sintesi il contenuto delle
dichiarazioni che i quotidiani del 31 agosto 1996 hanno con
carattere di evidenza al dr. Vigna attribuito. Si veda, tra i tanti,
l'articolo del Messaggero: «... Anche se finora (Brusca) ha
fatto un doppio discorso: mette in dubbio la storia del bacio
tra Andreotti e Riina raccontata da Balduccio, mentre promette rivelazioni sui rapporti tra Cosa nostra e il senatore attraverso
i rami dei cugini Salvo e Lima»; o quello, di contenuto non
dissimile, pubblicato dal quotidiano L'Unità: «Brusca ha fatto
una sorta di doppio discorso in relazione alla posizione del se
natore Andreotti: dice di non credere per via logica al bacio
tra Riina e Andreotti e intende dimostrare i rapporti con Cosa
nostra attraverso i rami dei Salvo e di Lima».
Si tratta di dichiarazioni a loro volta «riprese» dall'intervista
radiofonica rilasciata il giorno precedente (30 agosto) dal dr.
Vigna all'emittente radiofonica «Italia Radio».
La trascrizione in parte qua di detta intervista risulta, infatti,
del seguente tenore: «Ma direi ... ve lo spiegherà penso più
dettagliatamente il mio collega Giancarlo Caselli, che Brusca
ha fatto un doppio discorso in relazione al senatore Andreotti
come riportano i giornali di oggi. Da un lato dice così: "non
credo in via logica", per così dire, "alla questione del bacio",
mentre "vi dimostrerò che c'erano determinati rapporti attra
verso i rami di Lima e di Salvo". Ma poi certe spiegazioni in
questo punto, se riterrà, ve le potrà dare il mio amico Giancarlo».
Con riferimento, dunque, al fatto materiale in ordine al qua
le la sezione disciplinare è chiamata a pronunciarsi, può conclu
dersi che le espressioni attribuite al dr. Vigna nell'atto di incol
pazione sono effettivamente corrispondenti a quelle che il magi
strato predetto ha pronunciato nel corso dell'intervista.
Del resto, ancor prima che venisse disposta l'acquisizione del
nastro magnetofonico, il dr. Vigna aveva precisato che le sue
dichiarazioni erano state «fedelmente riportate dai quotidiani
del 31 agosto 1996» e tale valutazione egli ha tenuto ferma an
II Foro Italiano — 1998.
che dopo aver ricevuto comunicazione della trascrizione inte
grale del testo dell'intervista.
Tanto premesso, ritiene la sezione disciplinare che non possa no trovare accoglimento le argomentazioni svolte dal procura tore generale (pure adesivamente richiamate dall'assistente del
dr. Vigna) a sostegno della richiesta di assoluzione «per essere
rimasto escluso l'illecito disciplinare». Secondo tale prospettazione, il dr. Vigna si sarebbe limitato
ad esporre sinteticamente notizie che quella stessa mattina del
20 agosto erano pubblicate, addirittura in forma più ampia, su alcuni tra i più diffusi quotidiani nazionali.
In altre parole, mentre si fa carico al dr. Vigna di avere rive
lato notizie riservate concernenti l'interrogatorio di Giovanni
Brusca, le acquisizioni documentali proverebbero che quelle no
tizie sarebbero state ancor prima divulgate da persona diversa
dall'odierno incolpato.
Ora, è pur vero che la mattina del 30 agosto alcuni quotidiani di grande diffusione riferivano, ancor prima dell'intervista del
dr. Vigna, che Brusca si era detto disposto a parlare del senato
re a vita Andreotti e anche a dire quanto sapeva del presunto incontro suggellato, secondo i pentiti, da un bacio tra Andreot
ti e Totò Riina. Tuttavia, tale circostanza, ad avviso della sezione disciplinare,
non appare idonea ad elidere la responsabilità del dr. Vigna. L'il
lecito disciplinare contestato, infatti, prescinde del tutto dalla vio
lazione di norme poste a tutela del segreto degli atti d'indagine. Com'è noto, l'art. 329, 1° comma, c.p.p. prevede che «gli
atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia
giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e comunque non oltre la chiusu
ra delle indagini preliminari». D'altra parte, anche quando gli atti non sono più coperti dal
segreto, il pubblico ministero può disporre, con decreto motiva
to, l'obbligo del segreto per singoli atti, nonché il divieto di
pubblicazione di singoli atti, nelle ipotesi previste dall'art. 329, 3° comma, c.p.p.
Parallelamente, l'art. 114 c.p.p. vieta la pubblicazione, anche
parziale, degli atti coperti dal segreto istruttorio.
Ora, la richiesta assolutoria del p.g. sembra attagliarsi a quelle
ipotesi di illecito disciplinare la cui condotta sia sostanzialmente
coincidente con la condotta integrante estremi di reato, così che
il venir meno della responsabilità penale (perché il fatto non
sussiste, ovvero risulta commesso da persona diversa), compor ta anche il venir meno della responsabilità disciplinare.
Senonché, nei confronti del dr. Vigna non risulta essere stata
mai elevata imputazione, né promossa indagine, per il reato di
cui all'art. 326 c.p., che, com'è noto, sanziona la violazione
da parte del pubblico ufficiale dell'obbligo di non rivelare noti
zie destinate a rimanere segrete. Ciò che invece al dr. Vigna si contesta — come risulta dal
tenore letterale dell'incolpazione — è «la violazione del dovere
di riservatezza . . . con riferimento a fatti dei quali i magistrati
vengono a conoscenza nell'esercizio delle loro funzioni».
Si tratta di un'ipotesi di illecito disciplinare che si riconnette
in modo particolare allo status di magistrato che è proprio del
dr. Vigna, così che la circostanza che altro soggetto — il quale non riveste tale «qualità», in quanto estraneo all'ordine giudi ziario — abbia potuto, in precedenza ed autonomamente, viola
re la norma penale posta a tutela del segreto di atti d'indagine, è del tutto ininfluente ai fini della valutazione che qui interessa.
La tesi dell'insussistenza dell'illecito disciplinare non può tro
vare accoglimento anche per un altro ordine di considerazioni.
Le propalazioni di notizie concernenti indagini di grande «pre sa» presso la pubblica opinione possiedono, secondo un dato
di comune esperienza, un grado di attendibilità variabile, a se
conda dei soggetti da cui promanano. Ed è abbastanza comprensibile che il grado di attendibilità sia
massimo quando le propalazioni provengano dallo stesso magi
strato titolare delle indagini cui quelle propalazioni si riferiscono.
Il dr. Vigna è intervenuto, con l'autorevolezza ed il prestigio
personale che gli sono propri, su questioni che in quei giorni erano state a lungo dibattute dopo la divulgazione della notizia
del possibile «pentimento» di Giovanni Brusca. Interessava, in
particolare, conoscere il contenuto delle sue «verità» sul versan
te dei rapporti mafia-politica. In tale contesto, le dichiarazioni rese dal dr. Vigna nell'inter
vista del 30 agosto 1996 hanno indubbiamente finito per confe
rire carattere di certezza a notizie che fino a quel momento co
stituivano espressione di valutazioni interessate e del tutto prive
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PARTE TERZA
di riscontro oggettivo, volte in vario modo a screditare o valo
rizzare le dichiarazioni di Brusca.
Deve concludersi, dunque, che l'intervista di cui si tratta ha
realmente prodotto l'effetto di «far conoscere gli atteggiamenti del Brusca nell'ambito del procedimento a suo carico» — così
come precisato nel capo d'incolpazione — in quanto solo dopo le dichiarazioni del dr. Vigna si è avuta certezza del reale conte
nuto delle affermazioni in parte qua al Brusca attribuite.
La tesi dell'insussistenza dell'illecito disciplinare è stata anche
ripresa e sviluppata dal dr. Chelazzi, difensore del dr. Vigna, con argomentazioni che, per la novità e la delicatezza delle que stioni sollevate, è opportuno in questa sede riportare nelle parti
più significative. Ha sostenuto, dunque, il dr. Chelazzi che «l'oggetto delle di
chiarazioni contestate rivestiva, comunque, un indubitabile e non
comprimibile interesse pubblico, in quanto faceva capo ad una
complessa situazione che ripetutamente e sotto varie angolazioni era stata affrontata dagli organi di informazione in relazione alla
collaborazione da parte del detenuto di mafia Giovanni Brusca . . .
e che aveva comportato, per i magistrati che di tale vicenda si oc
cupavano, la necessità di interventi chiarificatori attraverso i quali
garantire all'attività giudiziaria e a tutti i suoi protagonisti un con
testo ed un clima il più possibile pacato e scevro da strumentaliz
zazioni, e, al contempo assicurare alla pubblica opinione un'in
formazione ufficiale, chiara ed esatta».
Secondo tale prospettazione, l'intervento del dr. Vigna era
addirittura «indispensabile per la tutela del corretto funziona
mento dell'attività giudiziaria e, per conseguenza, del prestigio dell'ordine giudiziario», così che l'illecito disciplinare contesta
to al dr. Vigna dovrebbe ritenersi del tutto escluso. Neppure tale ordine di argomentazioni può, ad avviso della sezione disci
plinare, trovare accoglimento. Lo status di magistrato risulta, invero, connotato da molteplici
doveri (di correttezza, di diligenza, di imparzialità, di operosità
e, appunto, di riserbo), cui corrispondono fattispecie di illecito
disciplinare non tipicizzate, il contenuto delle quali è stato nel corso
degli anni elaborato dalla giurisprudenza di questa sezione.
L'intervento pretorio della sezione stessa — sviluppatosi in
maniera episodica, sia per la natura facoltativa dell'azione di
sciplinare, sia per la valutazione non sempre rigorosa e coerente
della rilevanza disciplinare attribuita a talune condotte — con
sente tuttavia all'interprete di delineare una sorta di codice deon
tologico del magistrato, in cui trova posto una (sia pur fram
mentaria) enucleazione di principi concernenti il tema dei rap
porti tra libertà di manifestazione del pensiero e limiti che il
magistrato incontra nell'esercizio di tale diritto, con particolare riferimento all'esercizio del diritto di critica.
Peraltro, la sezione non sembra mai prima d'ora essersi pro nunciata ex professo sulle tematiche che interessano più da vici
no il presente procedimento, e che attengono alla natura, alla
portata e ai limiti propri del canone deontologico della riserva
tezza, inteso come regola di condotta ispirata a criteri di caute
la, prudenza e responsabilità. Pur non sottovalutando il rischio di una possibile enfatizza
zione del discorso, la sezione ritiene di dover affermare con forza che il canone deontologico della riservatezza costituisce un valore essenziale della funzione giudiziaria, concorrendo, uni tamente ai principi di imparzialità e correttezza, a delineare il
quadro dei fondamentali doveri del magistrato. È appena il caso di richiamare, a tal riguardo, l'autorevole
insegnamento del giudice delle leggi, secondo cui il dovere di riservatezza costituisce una regola deontologica che «dev'essere osservata in ogni comportamento, al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della indipendenza e imparzialità dei ma
gistrati nell'adempimento del loro compito» (cfr. Corte cost. 7 giugno 1981, n. 100, Foro it., 1981, I, 2360).
Il dovere di riservatezza costituisce, in altre parole, il corolla rio deontologico dei principi costituzionali di indipendenza e imparzialità che caratterizzano il ruolo della magistratura nel l'ordinamento vigente.
Esso ha, pertanto, natura e portata di canone generale. Stabilire se, e in quali casi, sia consentito di derogare a tale
regola deontologica generale è questione di non agevole soluzione. Nella ricostruzione operata dalla difesa del dr. Vigna, il do
vere di riservatezza sembra assumere carattere recessivo, in pre senza di situazioni tali da giustificare un intervento chiarificato re del magistrato, volto ad assicurare una informazione corretta e a consentire che le indagini in corso si svolgano in un clima scevro da strumentalizzazioni.
Il Foro Italiano — 1998.
Ad avviso della sezione, se è corretto ipotizzare situazioni
che astrattamente rendano utile ed opportuno un intervento chia
rificatore del magistrato, non è viceversa condivisibile la con
clusione che la difesa del dr. Vigna sembra trarre da questa
premessa. La valutazione che la sezione è chiamata a compiere, infatti,
non può — neppure indirettamente — riconnettersi all'esercizio
da parte del dr. Vigna del diritto di libertà di manifestazione
del pensiero che appare, pertanto, nella vicenda in esame non
correttamente evocato.
Deve, infatti, ribadirsi che il principio fondamentale della li
bertà di manifestazione del pensiero «non tollera limiti soggetti vi e compete quindi anche ai magistrati, ai quali non può essere
inibito di esprimere le proprie opinioni ...» (cfr. Corte cost.
100/81). Il Consiglio superiore della magistratura, nelle risoluzioni adot
tate in subiecta materia, ha più volte ribadito che è consentito
ai magistrati — in virtù del diritto di libertà di manifestazione
del pensiero loro riconosciuto dall'art. 21 Cost. — di fornire,
«segnatamente nelle inchieste giudiziarie di particolare rilievo, le precisazioni necessarie per dissipare equivoci e per impedire
distorsioni, al fine di contribuire ad una corretta informazione»
(cfr. risol. Csm 19 maggio 1993). Così come va ribadito che l'esercizio di tale diritto ad opera
dei magistrati non gode di una tutela assoluta, ma è soggetto a taluni limiti derivanti dall'esercizio della funzione giudiziaria e dai doveri ad essa connessi.
La sezione ha avuto in passato occasione di precisare che il
diritto di libertà di manifestazione del pensiero incontra limiti
«... derivanti dai doveri connessi all'esercizio di determinate
funzioni che, per i magistrati, si riassumono nei doveri di riser
vatezza, di obiettività e di imparzialità, dai quali derivano par ticolari limiti di comportamento, in perfetta sintonia con l'art.
21 Cost.» (cfr. sent. 23 aprile 1974, proc. nn. 247 e 254). In realtà, il richiamo all'esercizio da parte del dr. Vigna del
fondamentale diritto di cui all'art. 24 Cost., non appare perti nente. In quanto la vicenda in esame impone di verificare uni
camente se sia consentito ai magistrati derogare al dovere di
riservatezza e, in caso affermativo, se la deroga possa ritenersi
giustificata dal fine di contribuire ad una corretta informazione.
La sezione disciplinare ritiene di dover dare al quesito rispo sta negativa quante volte la deroga implica necessariamente il
sacrificio del segreto e della riservatezza degli atti di indagine e/o comporta il rischio di pregiudicare indagini in corso ovvero
di interferire sul corretto e sereno svolgimento di processi in
corso di trattazione.
La conoscibilità degli atti d'indagine costituisce, infatti, un
momento essenziale delle scelte strategiche del pubblico ministe
ro, alle quali l'ordinamento vigente appresta tutela, da un lato, attraverso un'articolata previsione dei casi in cui gli atti d'inda
gine sono coperti dal segreto e, dall'altro, attraverso la commi natoria di sanzioni penali quando il segreto risulti violato.
Il segreto, come pure la riservatezza, degli atti d'indagine, è principio normativamente definito, di natura strumentale, in
vista del conseguimento delle finalità tipiche del processo. Per
tanto, allorché si verta in materia coperta dal segreto o destina ta a restare riservata entro i limiti stabiliti dalla norma, il magi strato, in assenza di specifiche disposizioni di legge derogatrici del segreto, non è legittimato a decidere — in forza di valuta zioni ancorate a canoni soggettivi e come tali opinabili — se ed in quali casi sia consentito derogare al segreto.
L'esattezza di tale assunto sembra trovare conferma nella di
sposizione dell'art. 6 del codice etico adottato negli anni '90
dall'associazione nazionale magistrati. La predetta norma, per quanto qui rileva, stabilisce, infatti,
che il magistrato, «quando non è tenuto al segreto e alla riser
vatezza su informazioni conosciute per ragioni del suo ufficio e ritiene di dover fornire notizie sull'attività giudiziaria al fine di garantire la corretta informazione dei cittadini e l'esercizio del diritto di cronaca, ovvero di tutelare l'onore e la reputazio ne dei cittadini, evita la costituzione o l'utilizzazione di canali
informativi personali riservati o privilegiati». Essa stabilisce, da un lato, che, in situazioni particolari, il
magistrato può fornire notizie sull'attività giudiziaria, ma chia
risce, dall'altro, che ciò è consentito solo quando egli non sia tenuto al segreto e alla riservatezza su informazioni conosciute
per ragioni del suo ufficio, e che non possono utilizzarsi canali
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
informativi privilegiati — come, ad esempio, una dichiarazione
ad un singolo mezzo d'informazione — ma si devono usare mo
dalità idonee ad informare nella loro generalità e senza privilegi i mezzi d'informazione stessi.
Neppure può ritenersi giustificata, ad avviso della sezione, la violazione del dovere di riservatezza quando il magistrato,
pur non vincolato al segreto, divulghi tuttavia notizie, apprese
per ragioni del suo ufficio, che rischiano di pregiudicare il pro ficuo sviluppo di indagini in corso o di interferire su processi in corso di svolgimento.
In altre parole, il fine di contribuire ad una corretta informa
zione non costituisce per il magistrato ragione sufficiente a giu stificare l'incisione di canoni deontologici preordinati ad assicu
rare il corretto svolgimento della funzione giudiziaria, tra i qua li primario rilievo assume il dovere di riservatezza inteso come
dovere di improntare la propria condotta a senso di responsabi
lità, cautela e riserbo.
È appena il caso di aggiungere che non ogni e qualsivoglia notizia divulgata, relativa al contenuto di atti di indagine, deve
ritenersi rilevante e dunque idonea ad integrare la violazione
del dovere di riservatezza, sanzionabile in sede disciplinare, bensì
la notizia che, per il suo contenuto intrinseco e per il contesto
temporale in cui si colloca, appare astrattamente idonea a pro vocare quel rischio di interferenza o di pregiudizio alle indagini di cui si è fatto cenno in precedenza.
Le ragioni che hanno più volte spinto il Consiglio superiore a richiamare tutti i magistrati al rigoroso rispetto del dovere
di riserbo vanno, dunque, ricondotte allo speciale rilievo che
questo canone deontologico assume, costituendo esso, da un
lato, il corollario dei principi di autonomia e l'indipendenza della magistratura e, dall'altro, il fondamento sul quale riposa la diffusa aspettativa dei consociati ad una giustizia aliena dai
clamori che ne offuscano la credibilità.
Conviene qui richiamare — anche per l'esplicito riferimento
contenuto nel capo d'incolpazione — la risoluzione adottata dal
Csm nell'adunanza plenaria del 1° dicembre 1994, nella parte in cui afferma testualmente: «. . .il consiglio ritiene di dover
richiamare tutti i magistrati all'esigenza di una scrupolosa os
servanza del canone di riservatezza che i magistrati stessi si so
no dati con l'art. 6 del loro codice etico».
Nel caso di specie, deve ritenersi che le notizie dal dr. Vigna
divulgate nell'intervista di cui si tratta erano di per sé idonee
ad interferire sul processo in corso di svolgimento avanti al Tri
bunale di Palermo a carico del senatore a vita Giulio Andreotti.
In tale processo, infatti, si dibatteva, tra l'altro (ed ancora
oggi si dibatte), il tema dei presunti rapporti tra il senatore An
dreotti e il capo di «Cosa nostra», Totò Riina, sul quale si
fonda l'accusa di partecipazione all'associazione per delinquere di tipo mafioso denominata «Cosa nostra», formulata a carico
del predetto parlamentare. L'affermazione — contenuta nell'intervista del dr. Vigna a
«Italia Radio» — che il mafioso Giovanni Brusca aveva dichia
rato di non credere alla veridicità dell'episodio del bacio tra
Andreotti e Riina e che i canali attraverso i quali Riina raggiun
geva il senatore Andreotti non erano personali e diretti, bensì
«mediati» da Lima e dai cugini Salvo, è stata in pratica ripresa da tutti i quotidiani del 31 agosto 1996, a dimostrazione del
clamore che essa ha suscitato, stante l'interesse del pubblico e dei «media» per la vicenda processuale del senatore Andreotti.
L'interesse del pubblico, tuttavia, è cosa diversa dall'interesse
pubblico in nome del quale il dr. Vigna assume di aver rilascia
to quell'intervista. L'intervista si sostanzia in un'anticipazione, incauta, inop
portuna ed imprudente, del contenuto di dichiarazioni di un
imputato «eccellente», che si ponevano sul crinale delicatissimo
che nel c.d. «processo Andreotti» divide il partito dei colpevoli
sti da quello degli innocentisti. L'intervista ha determinato, infatti, l'insorgere di nuove po
lemiche sulla tenuta dell'accusa nel «processo Andreotti», sulle
metodologie seguite dai magistrati nella gestione dei collabora
tori di giustizia e sulle finalità destabilizzanti da taluni di essi asseritamente perseguite attraverso «pentimenti» mirati, perdi
più in un contesto temporale in cui le dichiarazioni di Giovanni Brusca dovevano ancora essere sottoposte al vaglio del dibatti
mento nella sede processuale sua propria. Ad avviso della sezione disciplinare le propalazioni del dr.
Vigna, deontologicamente censurabili in quanto lesive del dove
II Foro Italiano — 1998.
re di riservatezza, conservano appieno la loro rilevanza discipli nare ove pure si consideri la peculiare situazione investigativa determinatasi in quel lasso di tempo, tale da indurre ben tre
procuratori della repubblica di diverse città a procedere simul
taneamente all'espletamento dell'interrogatorio di Brusca
Giovanni.
Se com'è certo quell'atto istruttorio era stato posto in essere
dai procuratori di Palermo, Caltanissetta e Firenze, deve esclu
dersi che spettasse unicamente al dr. Vigna il compito di valuta
re se fornire o meno chiarimenti su quanto dichiarato da Gio
vanni Brusca, né che spettasse al medesimo dr. Vigna di deci
derne il contenuto.
Tale valutazione avrebbe dovuto, semmai, effettuarsi in for
ma collegiale da tutti e tre i procuratori ed assumere, in ipotesi, la veste di un comunicato riconducibile a tutti e tre i procurato
ri, essendo tutti e tre abilitati a valutare, ciascuno nell'ambito
delle rispettive indagini, le eventuali ripercussioni negative che
la divulgazione di una certa notizia avrebbe potuto determinare.
D'altra parte, la circostanza che sia stato il dr. Vigna soltan
to ad avvertire la necessità di quell'intervento, non può neppure attribuirsi ad un interesse processuale del suo ufficio, per le
indagini su «Cosa nostra» e sulle stragi di mafia, più ampio di quello delle procure di Palermo e Caltanissetta, vero essendo
semmai il contrario.
Conviene infine aggiungere che le dichiarazioni dei procura tori di Palermo e di Caltanissetta rese nei giorni successivi al
l'intervento del dr. Vigna dimostrano che non vi è stata neppu re una sorta di tacito consenso dei primi due all'odierno incol
pato al rilascio di quell'intervista. È significativo al riguardo ricordare che i quotidiani del 31
agosto hanno ritenuto di evidenziare la divergenza di opinioni esistente tra il dr. Caselli e il dr. Vigna circa la credibilità di Brusca (cfr., per tutti, La Repubblica) e di cogliere un segnale del diverso atteggiamento dei due procuratori nella preoccupa zione del dr. Caselli «per lo stillicidio di notizie», nel suo «rin
novato invito alla prudenza» e nel negare a Giovanni Brusca
«la patente di pentito, definendolo "collaborante"» (cfr. La
Repubblica), mentre il dr. Tinebra ha preso indirettamente le
distanze dall'intervista del dr. Vigna, dichiarando a L'Unità del
1 ° settembre: «Se noi magistrati tenessimo la bocca un po' più
chiusa, probabilmente riusciremmo a custodire meglio i segreti».
Conclusivamente, deve ritenersi che la condotta posta in esse
re dal dr. Vigna per il clamore suscitato e le ripercussioni che
si sono riprodotte su procedimenti in corso di svolgimento, ha
determinato un vulnere al prestigio dell'ordine giudiziario. Il dr. Vigna dev'essere pertanto ritenuto responsabile dell'il
lecito disciplinare ascrittogli in epigrafe. La sezione disciplinare ritiene che nell'individuazione della san
zione da irrogare, occorre avere riguardo innanzitutto alla per sonalità dell'incolpato, quale emerge dagli atti del presente pro cedimento e dal dato notorio della sua elevata e sperimentata
professionalità, maturata nella conduzione di complesse indagi ni e vieppiù ribadita dai significativi ed originali contributi dot trinari disseminati nelle più importanti riviste giuridiche.
Occorre, altresì, considerare che le giustificazioni prospettate dal dr. Vigna, seppur non sono state ritienute idonee ad elidere
l'illecito disciplinare, forniscono tuttavia un quadro sufficiente
mente preciso delle difficoltà che hanno caratterizzato le indagi ni susseguenti alla collaborazione di Giovanni Brusca, in occa
sione delle quali l'illecito disciplinare risulta commesso.
Alla stregua delle considerazioni testé svolte, la sezione ritie
ne giusta l'irrogazione della sanzione disciplinare dell'ammo
nimento.
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