Sezione I civile; ordinanza 20 giugno 1983, n. 515; Pres. Brancaccio, Rel. Santosuosso, P. M.Caristo (concl. conf.); Borriello (Avv. Gava) c. Proc. gen. App. Napoli e Proc. gen. CassSource: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 9 (SETTEMBRE 1983), pp. 2129/2130-2135/2136Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176993 .
Accessed: 28/06/2014 14:00
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 193.105.245.57 on Sat, 28 Jun 2014 14:00:13 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
pretore del luogo dal quale la convenuta effettua le trasmis sioni. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso ai sensi dell'art. 700
c.p.c. in data 11 febbraio 1982 la s.r.l. Quarta Rete con sede in
Cagliari chiedeva al pretore di detta città, che fosse inibito alla
s.p.a. Rete Quattro con sede in Milano l'uso dell'omonimo segno distintivo o marchio nelle trasmissioni televisive irradiate nella
regione sarda, lamentando che la s.p.a. Rete Quattro di Milano mettesse in onda trasmissioni e filmati vari utilizzando quale segno distintivo la dicitura Rete Quattro o R4 somigliante con quella propria, già utilizzata per le proprie trasmissioni televisive in
Sardegna con la conseguente confusione tra le attività delle due società nell'ambito della regione sarda. (Omissis)
Motivi della decisione. — La ricorrente s.p.a. Rete Quattro lamenta che il Pretore di Cagliari abbia erroneamente affermato la
propria competenza territoriale ai sensi dell'art. 701 c.p.c. in materia di trasmissioni televisive e di luogo di verificazione del fatto dannoso (dipendente dalla trasmissione) legittimante la tutela
innominata, mentre avrebbe dovuto correttamente affermare la
competenza territoriale del Pretore di Milano; secondo la ricorrente e con riferimento al criterio elaborato in materia della corte
regolatrice, il luogo del temuto pregiudizio nella sua manifestazio ne originaria coinciderebbe nella specie con quello della sede
principale della società di Milano, ove sono ubicati gli studi e gli impianti di trasmissione, ed ove i programmi televisivi vengono elaborati, confezionati in videocassette e spediti alle stazioni affiliate nelle varie regioni italiane: la società ricorrente indica il Pretore di Milano quale giudice territorialmente competente ai sensi dell'art. 701 c.p.c.
La resistente s.r.l. Quarta Rete rileva che l'illecito dedotto in causa si perfeziona nel caso di specie nel territorio di Cagliari mediante il fatto diverso ed ulteriore costituito dalla irradiazione del programma a mezzo della stazione televisiva locale della Rete
Quattro nella zona coincidente con l'area di precedente utilizza zione del segno distintivo da parte della soc. Quarta Rete.
L'istanza di regolamento de qua è ammissibile perché rivolta contro un provvedimento che ha esaminato e risolto una questione di competenza territoriale e che in relazione a tale statuizione ha carattere decisorio ed efficacia di sentenza impugnabile con rego lamento di competenza ( Cass. 1982 n. 1416, Foro it., Rep. 1982, voce Competenza civile, n. 185, e numerose altre decisioni).
L'istanza di regolamento è tuttavia infondata.
In linea di principio, per la determinazione del giudice territo rialmente competente ai sensi dell'art. 701 c.p.c. in relazione ad un fatto dannoso disseminabile nel territorio pur avendo unica
origine il criterio di collegamento è quello rappresentato dal luogo di verificazione della causa originaria ed unitaria del danno
potenziale, cioè di quella attività idonea a produrre le temute
(1) La sentenza ribadisce la soluzione già fatta propria da Cass. 4 novembre 1982, nn. 5799 e 5800, Foro it., Rep. 1982, voce Possesso, nn. 47, 48; 18 marzo 1982, n. 1755, ibid., voce Provvedimenti d'urgenza, n. 59; Pret. Milano 25 giugno 1979, ibid., n. 62, secondo una linea
interpretativa che si richiama all'orientamento giurisprudenziale, domi nante in sede di legittimità, che attribuisce rilevanza, ai fini dell'indi viduazione del giudice competente, al luogo dove viene posta in essere, o si teme venga posta in essere, l'attività dannosa, e non a quello in cui si verificano gli effetti (cfr., sul punto, Cass. 15 dicembre 1981, n. 6619, id., Rep. 1981, voce cit., n. 60; 30 maggio 1981, n. 3546, id., Rep. 1982, voce cit., n. 64). Alle su richiamate pronunce si contrappone Pret. Verona 29 luglio 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n. 55, che, in un caso in cui si chiedeva di provvedere d'urgenza per la cessazione di alcune interferenze provenienti da altra rete televisiva, ha riconosciuto la
competenza del pretore del luogo ove si verificavano le interferenze, malgrado la trasmissione dei programmi della società televisiva conve nuta avvenisse da altra città. V., inoltre, Cass. 6 aprile 1982, n. 2111, id., Rep. 1982, voce cit., n. 60, che ha attribuito rilevanza al luogo in cui si trovava il ripetitore dell'emittente convenuta (a quanto è dato di
capire dalla motivazione, sembra però che i disturbi fossero tecnicamen te causati dal ripetitore) e Pret. Roma 4 maggio 1982, id., 1982,1, 1727, con ampia nota di richiami di R. Pardolesi, che in una controversia tra la R.a.i. ed alcune reti televisive operanti su scala nazionale, nella
quale la prima affermava la violazione del suo diritto esclusivo a diffondere trasmissioni su tutto il territorio italiano, ha riconosciuto la
competenza del pretore ove la R.a.i. ha la sua sede. La sentenza riportata ha nuovamente riaffermato la possibilità di
impugnare, mediante regolamento, la decisione del giudice che, adito in
via di urgenza, abbia anche risolto una questione di competenza. In senso conforme v. Cass. 12 novembre 1982, id., Rep. 1982, voce
Competenza civile, n. 184; 27 ottobre 1982, n. 5624, ibid., voce Provvedimenti d'urgenza, n. 98; 6 marzo 1982, n. 1416, ibid., voce
Competenza civile, n. 185; 18 novembre 1981, n. 6128, id., Rep. 1981, voce cit., n. 221; 21 luglio 1981, n. 4687, id., 1982, I, 451; 2 luglio 1981, n. 4284, id., Rep. 1981, voce cit., n. 250; 30 giugno 1981, n. 3546, ibid., n. 248.
conseguenze dannose, il quale luogo è preminente rispetto alle
localizzazioni eventualmente diffuse e disseminate dalle varie
componenti della fattispecie « danno » (Cass. 1980 n. 4737, id., Rep. 1981, voce cit., n. 117: 1979 n. 2704. id., 1980, I, 2268; 1977 n.
5329, id., 1978, I, 33, ed altre). Nel caso particolare dei fatti
dannosi conseguenti alle trasmissioni provenienti da emittenti
televisive, che irradiano i loro programmi in diverse località, la
causa originaria ed unitaria del danno è individuabile nella sede
dell'emittente televisiva, cioè nel luogo in cui sono gli studi, gli uffici tecnici, gli impianti, ed in cui i programmi vengono
deliberati, eseguiti e poi irradiati nelle varie zone secondo la
potenza impiegata; ed in relazione a ciò non assume rilevanza il
luogo in cui siano eventualmente installati i ripetitori per una
migliore e più ampia diffusione dei programmi irradiati dalla
stazione centrale, poiché essi rappresentano elementi esclusivamen
te strumentali e dipendenti a carattere ripetitivo automatico (Cass. 1981 n. 1309, id., 1981, I, 1592; 1982 n. 1755, id., Rep. 1982, voce
Provvedimenti d'urgenza, n. 59). Il provvedimento del Pretore di Cagliari non si è discostato da
siffatti orientamenti, tenuto conto della particolare situazione
dedotta in causa.
Invero, nella specie in esame, l'attività enunciata come pregiudi zievole consiste esclusivamente nella emissione di programmi con
segno distintivo Rete Quattro a mezzo di stazione televisiva locale, funzionante nella regione sarda rispetto alla quale soltanto opere rebbe il preuso del segno distintivo da parte della società con sede
in Cagliari; pertanto il giudice deve limitarsi a pronunziare nell'ambito della proposta domanda, che fornisce gli elementi di
fatto necessari all'individuazione del giudice territorialmente com
petente, in presenza non di una configurable disseminazione del
danno ma di una precisa localizzazione del danno nel territorio di
Cagliari. Essendo cosi individuabile come unica fonte del pregiudizio
prospettato l'attività della stazione televisiva locale della soc. Rete
Quattro nel territorio di Cagliari, ove già operava con le sue
trasmissioni la soc. Quarta Rete, il luogo del fatto dannoso, al
quale l'art. 701 c.p.c. fa riferimento per l'individuazione del
pretore territorialmente competente ad emettere i provvedimenti di
urgenza (quando non sia pendente la causa di merito), deve essere
identificato nel territorio del comune di Cagliari, dove, come si è
già rilevato, hanno luogo le trasmissioni locali della soc. Rete
Quattro per la zona della Sardegna. In conclusione, il ricorso per regolamento di competenza della
s.p.a. Rete Quattro deve essere rigettato e deve essere dichiarata la
competenza territoriale del Pretore di Cagliari a statuire nella
controversia de qua. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; ordinanza 20 giugno
1983, n. 515; Pres. Brancaccio, Rei. Santosuosso, P.M. Ca
risto (conci, conf.); Borriello (Avv. Gava) c. Proc. gen. App.
Napoli e Proc. gen. Cass.
Stato civile — Norme in materia di rettificazione di attribuzione
di sesso — Questione di costituzionalità non manifestamente
infondata (Cost., art. 2, 3, 29, 30, 32; 1. 14 aprile 1982 n. 164, norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, art. 1, 5).
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame
alla Corte costituzionale) la questione di legittimità costituzionale
degli art. 1 e 5 l. 14 aprile 1982 n. 164, sulla rettificazione della
attribuzione di sesso, in riferimento agli art. 2, 3, 29, 30, 32
Cost. (1)
(1) Con la 1. 164/82, si è riconosciuto anche in Italia (come era già avvenuto in Germania con 1. 10 settembre 1980, « legge sul cambiamen
to dei prenomi e sulla determinazione dell'appartenenza sessuale in casi
particolari», e in Svezia, con 1. 21 aprile 1972), la possibilità di
rettificazione dell'atto di nascita con attribuzione di sesso diverso da
quello enunciato nell'atto stesso « a seguito di intervenute modificazioni
dei caratteri sessuali». L'iniziativa del legislatore (cui Corte cost. 1°
agosto 1979, n. 98, Foro it., 1978, I, 1929, aveva subordinato la
possibilità di attribuire rilevanza giuridica alla « schizosessualità ») ha
cosi risolto, sia pure in un modo che non manca di innescare delicate
questioni sul piano tecnico-interpretativo, un annoso problema. Il primo caso, riportato dalle cronache, di un transessuale (col
termine si indica chi ripudia il proprio sesso, cioè il soggetto in cui è
presente un desiderio intenso, pluriennale di appartenere al sesso
opposto a quello fenotipico, genetico, endocrino ed ovviamente ana
grafico) sottopostosi ad intervento chirurgico al fine di modificare i
propri attributi sessuali è quello di Jorge Jorgensen, che nel 1953 fu « trasformato » in Christine da un chirurgo americano (v. L'Espresso 28
This content downloaded from 193.105.245.57 on Sat, 28 Jun 2014 14:00:13 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2131 PARTE PRIMA 2132
I. - Va premesso, anche ai fini del giudizio di rilevanza delle
questioni di costituzionalità, che la fattispecie in esame riguarda un caso in cui — secondo l'accertamento compiuto dai giudici di merito, di primo e di secondo grado, sulla base dei dati
anamnestici forniti dalla stessa parte e dei risultati delle due
consulenze tecniche d'ufficio — è stato « affermato con sicurezza che
il Borriello appartiene al sesso maschile e che quindi la sua attuale
apparente condizione femminile deve ritenersi artificialmente pro vocata ».
Il ricorso per cassazione, depositato dal Borriello il 20 febbraio
1981, denunzia il cattivo uso delle prove da parte dei giudici di
merito e la insufficienza della motivazione, sostenendosi che, da
una più approfondita istruttoria, avrebbe potuto pervenirsi ad una
diversa conclusione. In pendenza del giudizio di cassazione, è
sopravvenuta la 1. 14 aprile 1982 n. 164, che il p.m. nella sua
requisitoria odierna ritiene fortemente sospetta di incostituzionali
tà.
II. - Le questioni di legittimità costituzionale della legge citata
del 1982 n. 164 astrattamente prospettabili sono molteplici e ne
investirebbero tutti gli articoli, in quanto a) le norme di cui agli art. 1, 2 e 3 suscitano dubbi di legittimità per violazione degli art.
2, 3, 29, 30 e 32 Cost, in ordine ai principi di rispetto della
persona umana, come singolo e nella sua vita di relazione, di
riconoscimento della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio, dei diritti-doveri nei confronti dei figli, e della tutela
della salute dell'individuo nell'interesse della collettività; b) l'art. 4
della legge si profila in contrasto con gli art. 29 e 30 Cost.,
prevedendo una ipotesi di automatico scioglimento del matrimo
nio, senza precisare se tale rilevante effetto giuridico, nonché il
relativo affidamento degli eventuali figli, debba essere pronunciato
novembre 1982, p. 211). La gravità del problema era dimostrata, del resto, dal proliferare di automutilazioni, espressione della disperazione cui sono portati tali individui, e sintomatici dello stato di conflittualità esistente tra il loro sesso psichico e quello fenotipico. Sul punto v. T. L. Schwarzenberg, Considerazioni medico legali sulla transessualità e sindrome collegate, in Rass. dir. civ., 1975, 1456 ss.; A. Chaves, Il diritto alla identità sessuale, id., 1981, 60.
La dottrina, pressoché unanime, si era schierata a favore di una nuova normazione che garantisse al transessuale il diritto all'identi tà sessuale, accordando quindi, in presenza di un intervento chirurgico di adeguamento, la prevalenza al sesso psichico rispetto a quello anatomico. In tal senso v., per tutti, P. Perlingieri, Note introduttive ai problemi giuridici del mutamesnto di sesso, in Dir. e giur., 1970, 830; M. Garutti, F. Macioce, Il diritto alla identità sessuale, in Riv. dir. civ., 1981, II, 273; S. Patti, M. R. Will, La giurisprudenza italiana e... l'Europa, in Dir. famiglia, 1981, 1224. Contra A. Caruso, Il « cambiamento » di sesso: orientamenti giurisprudenziali e dottrinari, id., 1978, 688.
Per quanto concerne la giurisprudenza, il panorama risultava estre mamente confuso: infatti, a fronte di alcune pronunce dei giudici di merito che accoglievano le domande di rettificazione dell'atto di nascita a séguito del mutamento dei caratteri sessuali dovuto ad interventi chirurgici (v. Trib. Montepulciano 10 febbraio 1977, Foro it., Rep. 1977, voce Stato civile, n. 8; Trib. Padova 16 luglio 1976, ibid., n. 9; Trib. Taranto 30 giugno 1976, ibid., voce Persona giuridica, n. 12; Trib. Lucca 17 aprile 1972, id., Rep. 1973, voce Stato civile, n. 5; App. Milano 29 gennaio 1971, id., Rep. 1971, voce cit., n. 7; Trib. Pisa 9 marzo 1970, ibid., n. 8), la Cassazione ha sempre ritenuto che la rettificazione dell'atto di nascita fosse autorizzabile solo in presenza di situazioni nelle quali il sesso non appariva ben definito al momento della nascita, *o a situazioni nelle quali il sesso, in quel momento apparentemente definito, si fosse successivamente rivelato di diversa realtà oggettiva in conseguenza di naturale evoluzione: v., per tutte, Cass. 9 marzo 1981, n. 1315, id., Rep. 1981, voce cit., n. 20, e 3 aprile 1980, n. 2161, id., 1980, I, 918 (annotata da R. Galbiati, « Transessua lismo » e rettifica dell'atto di nascita, in Giur. it., 1980, I, 1, 1865, e, con forti accenti critici da M. Finocchiaro, « Ei fu ». Qualche osserva zione sugli interventi chirurgici c. d. demolitori degli organi genitali esterni, in Giust. civ., 1980, I, 1517).
Con l'ordinanza qui riportata la Suprema corte sembra, nei fatti, ribadire il suo precedente orientamento, dando ingresso a dubbi di legittimità costituzionale che i primi commentatori della legge, non alieni dal rimproverarle lacune ed ambiguità, non avevano avvertito. Cfr. M. Finocchiaro, Divorzio e transessualismo, in Giust. civ., 1983, 998; M. Dogliotti, Il mutamento di sesso: problemi vecchi e nuovi. Un primo esame della normativa, id., 1982, 477. Soltanto S. Pat ti e R. Will, in uno scritto assai denso dal titolo La rettificazione di attribuzione di sesso: prime considerazioni, in Riv. dir. civ., 1982, 729, si pongono un problema di legittimità costituzionale in merito all'art. 7 della legge in esame, che prevede l'estinzione dei reati cui abbia eventualmente dato luogo il trattamento medico-chirurgico in presenza dell'accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzio ne di sesso.
Va infine rilevato che già diverse sono state le pronunce giurispru denziali applicative della legge: Trib. Milano 2 novembre 1982 (inedita); Trib. Roma 3 dicembre 1982, Giust. civ., 1983, 996; Trib. Roma 9 aprile 1983 (inedita).
con specifico giudizio autonomo, oppure nell'ambito dello stesso
procedimento di rettifica; c) l'art. 5 1. cit. si profila in contrasto
con gli stessi articoli della Costituzione, in quanto, non pubbliciz zando nei confronti dei terzi, nemmeno su autorizzazione dell'au
torità giudiziaria, la ragione fondamentale della pronuncia di
rettifica dell'atto dello stato civile, pone in pericolo irrinunziabili
esigenze di certezza ai fini del matrimonio e degli altri aspetti della vita di relazione; d) l'art. 6 della legge introdurrebbe una
irragionevole disparità di trattamento (art. 3 Cost.), ponendo un
termine di decadenza per coloro che pur si troverebbero nelle
stesse condizioni previste per altri soggetti dall'art. 2; é) l'art. 7
violerebbe lo stesso art. 3 Cost., poiché, mentre non prevede alcuna sanzione per chi esegue interventi operatori senza la
prescritta autorizzazione giudiziale, dall'altra fa dipendere dalla
domanda di un solo imputato la responsabilità di altri soggetti per i reati cui abbia eventualmente dato luogo il trattamento medi
co-chirurgico.
III. - Nell'esaminare la rilevanza nel presente giudizio delle
prospettate ipotizzabili questioni di legittimità costituzionale, que sta corte ritiene che alcune di esse (quelle relative agli art. 2, 3 e
4 1. 164/82) sono utilizzabili come elementi per argomentare sulla
non manifesta fondatezza dei dubbi di costituzionalità sugli art. 1
e 5, ma non si presentano in modo tale da assumere un'autonoma
consistenza.
Ritiene altresì che, in ordine alle questioni relative agli art. 6 e
7 della legge stessa, non risultino acquisiti agli atti elementi per affermare la loro rilevanza nella presente controversia.
La corte ritiene, invece, che le questioni di legittimità prospetta te in ordine agli art. 1 e 5 della legge siano rilevanti nel giudizio in corso, dal punto di vista sostanziale e processuale.
Sotto il primo profilo, invero, l'attuale formula normativa dei
citati art. 1 e 5 è potenzialmente idonea a conferire alla parte della presente causa — vertente, come si è notato nella premessa in fatto, in una ipotesi di creazione di un sesso artificiale — un
arco di diritti e di comportamenti, con caratteri di novità e di
gravità, nella sua condizione individuale e nella sua vita di
relazione.
Sotto l'aspetto processuale, va considerato che tale ius superve nìens è di immediata applicazione ai giudizi in corso; e questo
giudizio trovasi in una fase in cui risultano già svolte le essenziali
condizioni previste dalla legge (domanda, istruttoria, consulenze
tecniche); onde, ai fini della pronuncia definitiva di merito in
modo conforme ai nuovi criteri introdotti dalla 1. 164/82, si
presenta l'esigenza di affermazione di principi da parte di questa corte di legittimità.
IV. - Sia pure in ordine alla valutazione della non manifesta
infondatezza del dubbio di costituzionalità dell'art. 1 1. 164/82,
preliminare è l'indagine sul significato di questa norma e sulla
portata del nuovo principio da essa introdotto.
Se, in questa indagine, ci si limitasse all'espressione letterale del
citato articolo (« attribuire ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni
dei suoi caratteri sessuali »), anche considerando l'altra espressione (« adeguamento del sesso »), che si rinviene nei successivi art. 3 e
6, non si troverebbero insuperabili ostacoli ad intendere anche
restrittivamente la portata normativa, nel senso cioè della pre cedente giurisprudenza di questa. Suprema corte (sent. n. 1847/72, Foro it., 1972, I, 2399; 3948/74, id., Rep. 1975, voce Stato civile, n. 5; 1236/75, id., 1975, I, 1687; 2161/80, id., 1980, I, 918;
1315/81, id., Rep. 1981, voce cit., n. 20), secondo cui era
« consentita la rettificazione dei registri dello stato civile in
conseguenza di sopravvenute modificazioni dei caratteri sessuali
per una evoluzione naturale ed obiettiva di una situazione
originariamente non ben definita o solo apparentemente definita, ancorché coadiuvate da interventi chirurgici diretti ad evidenziare
organi già esistenti ed a promuovere il normale sviluppo. Tale
rettificazione non è possibile per il mero riscontro di una
psicosessualità in contrasto con quella desumibile dalla presenza di
organi sessuali chiaramente definiti, ovvero per interventi chirurgi ci diretti ad alterare, attraverso operazioni demolitorie e ricostrut
tive, gli organi genitali esistenti, nel senso di creare artificialmente
quelli dell'altro sesso». Le norme allora vigenti, cosi interpretate, sono state ritenute
costituzionalmente legittime dalla Corte costituzionale con sentenza 1° agosto 1979, n. 98 (id., 1979, I, 1929).
Senonché, all'interprete odierno non è evidentemente consentito
confermare il menzionato indirizzo giurisprudenziale, dal momento che la volontà normativa della 1. 164/82 non può essere limitata al
solo esame della lettera delle espressioni usate, ma deve essere
desunta dal contesto di tutte le disposizioni, illuminate daU'occasio
legis e dall'iter legislativo.
This content downloaded from 193.105.245.57 on Sat, 28 Jun 2014 14:00:13 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
È sufficiente, in proposito, osservare che il riconoscimento dei trattamenti medico-chirurgici già eseguiti e l'autorizzazione a realizzarne degli altri per « l'adeguamento del sesso », sono chia ramente motivati dalla proposta di legge presentata il 27 febbraio 1980 dai deputati De Cataldo ed altri per superare la giurispru denza sopra citata e per accogliere l'invito della Corte costituziona
le, che, mentre riteneva legittima quella interpretazione, richiama va l'attenzione del legislatore sulle sue possibilità di soluzione del
problema in termini diversi.
La formula originaria di quella proposta di legge faceva
riferimento, in modo lato, a « tutti quei casi in cui la realtà attuale non appaia più conforme a quella accertata al momento della nascita ».
Il successivo iter parlamentare, per quanto complesso, fu rapido e mantenne sostanzialmente inalterati lo spirito e la sostanza della
proposta De Cataldo.
Qui giova solo accennare che la commissione affari costituzio nali invitò il 20 maggio 1981 la commissione di merito a riformulare l'ultima parte del 1° comma « precisando quali siano le condizioni in base alle quali sia possibile la rettificazione di atti dello stato civile»; che fu presentato il 5 novembre 1981 dai senatori Rosi ed altri un disegno di legge in cui si precisava che il
mutamento di sesso poteva giudizialmente dichiararsi in tre casi: in riferimento a situazioni di sesso non definito all'atto di nascita, ovvero relative ad evoluzione naturale, o infine nel caso di
transessualismo irreversibile. La commissione igiene e sanità del Senato, il 16 dicembre 1981,
dava parere contrario alla proposta De Cataldo, mentre condizio nava il parere favorevole al disegno dei senatori Rosi ed altri all'introduzione di emendamento.
Ciononostante, la legge fu approvata con la formula vaga nella
quale ora si presenta, ma nel sicuro intendimento del legislatore di
ampliare i casi indicati dalla giurisprudenza per una legittima rettificazione degli atti di stato civile.
Una conferma di questo ampliamento praticamente ad ogni ipotesi, si ha nell'emendamento (divenuto 2° comma dell'art. 2) che, prevedendo per un soggetto con moglie e figli la legittima possibilità di farsi trasformare in donna, contempla l'ipotesi di un
soggetto con organi copulativi e generativi maschili che vengono parzialmente trasformati non ope naturae sed artis. Cosi, quando la legge conferisce al tribunale il potere di autorizzare trattamenti
medico-chirurgici, non precisa in quali casi ciò deve essere
disposto e quali criteri debbano essere seguiti nel compimento di tali interventi.
Deve, quindi, concludersi su questo punto che non solo manca qualsiasi collegamento fra la disciplina giuridica della 1. 164/82 e le acquisizioni scientifiche, pur emerse nel corso
delle discussioni .parlamentari, ma, per la sua indetermina
tezza, la formula usata nella norma in esame è suscettibile di essere applicata non soltanto nel caso di evoluzione naturale di situazione originariamente non ben definita o solo apparen temente definita, ancorché coadiuvata da interventi chirurgici diretti ad evidenziare organi già esistenti ed a promuovere il
normale sviluppo, ma anche nel caso in cui, sulla base di una
dichiarata psicosessualità in contrasto con la presenza di organi chiaramente dell'altro sesso, si intervenga con operazioni demolito
rie e ricostruttive, ad alterare gli organi esistenti per conferire al
soggetto la mera apparenza del sesso opposto. In altri termini, oltre all'ipotesi in cui l'adeguamento morfologi
co è compiuto a seguito di un approfondito esame dei casi per i
quali la discrepanza tra sesso cromosomico e gonadico da un lato
e sesso fenotipico (costituente di fatto uno stato intersessuale) viene risolta scegliendo la soluzione medico-chirurgica più realisti
camente praticabile, la 1. 164/82 è formulata in modo da ritenere
legittimi anche i mutamenti del tutto artificiali. Sono tali quelli
compiuti con la mutilazione totale dei genitali esterni, preceduta da trattamenti ormonali e seguita da una plastica intesa a creare
l'apparenza anatomica di un sesso diverso, e motivata non dalla
cure di alterazioni cromosomiche, gonadiche ed anatomiche con
genite od acquisite, ma essenzialmente dalla castrazione chirurgica e da una grave alterazione psichica dell'istinto sessuale di natura
non ancora chiarito. V. - Se questa ora enunciata è la potenzialità della norma in
esame, il Supremo collegio nutre forti dubbi che non sia ma
nifestamente infondata la questione di incostituzionalità dell'art.
1 1. 14 aprile 1982 n. 164, sotto diversi profili che saranno ora
esposti e che si sostanziano nel contrasto con gli art. 2, 3, 29,
30 e 32 Cost.
a) Risulta anzitutto da più norme costituzionali — specie da
quelle ora citate — che il nostro ordinamento rispetta e tutela la
persona umana, nella sua identità complessiva, e quindi anche con
i limiti alla disponibilità del proprio corpo. Questo principio
fondamentale di civiltà giuridica trova concreta applicazione in diverse norme di diritto civile e penale (art. 5 c.c.; art. 579, 580
c.p.). « La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana » (art. 32 Cost.).
In ordine alla questione in esame, va richiamata l'attenzione non soltanto con riferimento alla persona sulla quale si compiono operazioni di mutamento di sesso, ma anche e soprattutto sulle
persone che entrano in rapporto con la prima.
Le norme costituzionali, infatti, si interessano allo sviluppo della
persona umana soprattutto nella sua vita di relazione. Ed è noto
che nella materia degli status delle persone sono coinvolte situa
zioni di grande rilevanza giuridica, etica e sociale, tanto che il
nostro ordinamento conferisce in detta materia ampi poteri al p.m. Ora, la 1. 164/82, mentre giustamente si preoccupa (conferman
do il precedente orientamento) di venire incontro ad alcune
situazioni drammatiche di adeguamento morfologico e anagrafico ad
una diversa realtà sessuale accertata obiettivamente e scientifica
mente, non altrettanto considera le implicazioni che un'alterazione
meramente artificiale del sesso può determinare nella vita di
relazione cosi come si svolge nella nostra società, in cui alla
diversità di sesso corrisponde -anche una diversità di doveri e di
comportamenti {basti pensare al servizio militare ed agli stabili
menti carcerari).
b) La prima delle formazioni sociali in cui l'uomo svolge la sua
personalità è, come è noto, la famiglia, i cui diritti come società
naturale, fondata sul matrimonio, vengono solennemente ricono
sciuti dalla repubblica (art. 29 Cost.). La Corte costituzionale, nell'affermare (sent. n. 98 del 1979) che
il problema dell'identità sessuale poteva suscitare l'attenzione del
legislatore nelle sue possibilità di soluzione, immediatamente ri
chiamava « i limiti in ordine al matrimonio, che la Costituzione
definisce fondamento della famiglia come società naturale».
Ora, sembra al Supremo collegio che la legge in questione abbia
travalicato detti limiti quando, consentendo un mutamento di sesso
meramente artificiale, potenzialmente sconvolge l'ordine naturale
della società familiare, in modo ben diverso da quanto accade col
divorzio, in cui può aversi una successione di famiglie, ma col
rispetto dei ruoli dei suoi componenti. Nel caso, invece, di mutamento artificiale di sesso, uno dei
coniugi altera ed inverte il suo ruolo naturale, dando luogo, al
limite, a situazioni in cui egli dovrebbe contestualmente svolgere le sue funzioni di « padre » nella famiglia il cui matrimonio viene
sciolto a causa del mutamento di sesso, e di « madre » nella
famiglia, nei confronti di figli adottivi o fecondati in modo
innaturale ed eterologo.
In pratica, in questi casi di mutamento artificiale di sesso, si
determina uno squilibrio nella diversità delle figure genitoriali che
la natura e l'ordinamento giuridico esigono per un normale
svolgimento della vita familiare e del munus di mantenere, educare ed istruire i figli. Detto mutamento, quindi, consente per
legge ad uno dei genitori di sconvolgere l'ordine naturale e
costituzionale della società familiare, e di sottrarsi in particolare ai
suoi fondamentali doveri nei confronti dei figli.
Diverso è il caso di chi trovandosi in una condizione patologica di origine organica malformativa richiede un intervento chirurgico inteso a correggere, nella forma tecnicamente più compatibile con
una vita di relazione accettabile, la sua infermità.
In tale caso sussistono limitazioni alla vita matrimoniale e
familiare ma non diversamente da quelle ineluttabilmente legate ad altre forme morbose che colpiscono l'apparato genitale.
c) Per quanto in particolare attiene all'istituto del matrimonio,
costituzionalmente riconosciuto (art. 29 Cost.) fondamento della
famiglia, va osservato che la dottrina e la giurisprudenza (Cass.
569/75, id., 1976, I, 794; 2987/59, id., 1959, I, 1826; 3580/53, id., Rep. 1953, voce Matrimonio, n. 81; 350/52, id., 1953, I, 77)
quando pongono la diversità di sesso fra i requisiti di esistenza del
matrimonio, si riferiscono evidentemente al sesso avente una base
naturale, non a quello ottenuto artificialmente. Ne deriva che la 1.
164/82, riconoscendo come legittimo sesso anche quello ottenuto
senza un accertato fondamento naturale, ma solo in virtù di
interventi medico-chirurgici, consente la celebrazione di un matri
monio inesistente, violando la citata norma costituzionale.
Oltre che inesistente, un siffatto matrimonio pone delicati
problemi in ordine alla sua validità. La 1. 164/82 vieta che i terzi
possano sapere, nemmeno su autorizzazione giudiziale, quale fosse
lo status anagrafico originario, e quindi il coniuge del transessuale
viene messo nelle condizioni di cadere nell'errore previsto dall'art.
122, n. 1, c.c., quello cioè relativo alla « esistenza di una ma
lattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale,
tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale ».
This content downloaded from 193.105.245.57 on Sat, 28 Jun 2014 14:00:13 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2135 PARTE PRIMA 2136
Ora, la normalità della vita coniugale viene impedita da
interventi medico-chirurgici che, mentre eliminano la capacità copulativa e procreativa del sesso originario, avente un fondamen
to naturale, non conferiscono al soggetto gli organi necessari per svolgere le funzioni copulative e generative dell'altro sesso. L'ipo tesi più frequente è, invero, quella della castrazione e della
formazione di una pseuda vagina, con la permanenza dei residui
organi del precedente sesso (prostata e vescichette seminali). Tale mutamento di sesso, artificialmente realizzato, quindi,
determina da una parte lo scioglimento del precedente matrimonio
del soggetto, introducendo un'ipotesi che altera l'istituto del
divorzio — concepito nel nostro ordinamento come estremo
rimedio a situazioni obiettive e irreversibili — dall'altra autorizza il soggetto stesso a porre in essere un altro matrimonio, che è
quanto meno radicalmente nullo, con le ulteriori responsabilità patrimoniali, ma soprattutto lesivo dei principi costituzionali sul l'istituto matrimoniale e circa il rispetto della persona dell'altro
coniuge, ingannato da siffatto comportamento. d) Viene qui in considerazione anche il grave problema della
tutela della salute, che, secondo l'art. 32 Cost., la repubblica intende assicurare « come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività».
Nel dare parere negativo sul disegno di legge n. 1591, la commissione sanità del Senato, rilevava che esso non teneva in alcuna considerazione gli aspetti sanitari del problema, e non
prevedeva la possibilità di valutare se il cambiamento di sesso è avvenuto nel rispetto o contro il diritto alla salute ed all'integrità psico-fisica del soggetto interessato. E ciò avendo anche presente che l'eventuale intervento chirurgico plastico-demolitivo, solo in linea parziale e sostanzialmente apparente, riesce ad attribuire un
sesso diverso dall'originario; ed in ogni caso l'individuo viene irreversibilmente privato della sua funzione endocrina testicolare e
della capacità procreativa. Ma il testo normativo approvato non ha tenuto conto di tali
avvertimenti, e non ha considerato le conseguenze di interventi
pericolosi su organi tanto delicati. Detti interventi, spesso diretti ad eliminare la dissociazione tra soma e psiche, finiscono per complicare l'anormalità del soggetto, determinando nello stesso soma un contrasto tra elementi di un sesso (genitali esterni) e
quelli dell'altro sesso (cromosonico e persino ormonale).
Opportunamente, quindi, la commissione affari costituzionali della Camera aveva chiesto che la legge facesse una distinzione delle diverse ipotesi di mutamento di sesso, presumibilmente per escludere quelle in cui mancasse un adeguato coefficiente naturale
(psicologico, biologico, endocrino, genetico) che lo giustificasse. VI. - Questo Supremo collegio ritiene infine, che la norma
contenuta nell'art. 5 1. 164/82 presenti degli specifici profili di dubbia costituzionalità.
Essa, invero, non consentendo che un terzo possa conoscere, nemmeno a seguito di autorizzazione del giudice, i dati anagrafici originari, pone in pericolo delle irrinunziabili esigenze di certezza
(ai fini del matrimonio e di altri importanti aspetti della vita di
relazione), che appaiono prevalenti su quelle della riservatezza. Mentre queste ultime invero possono essere in certa misura
salvaguardate attraverso il sistema dell'autorizzazione giudiziale, l'assoluta preclusione ai terzi di conoscere la realtà di un muta mento di sesso, comunque avvenuto, può dar luogo a gravi conseguenze nella vita privata dei singoli e nel turbamento della vita collettiva. Ancora una volta con queste disposizioni (art. 5 1.
164/82) si profila la violazione delle norme costituzionali citate (art. 2, 3, 29, 30 e 32) relative al rispetto della persona umana, della vita di relazione, del matrimonio, della famiglia e della salute.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 13 giugno 1983, n. 4051; Pres. Brancaccio, Est. Contu, P.M. Paolucci
(conci, conf.); Marchese (Avv. Geraci) c. Longo (Avv. Agre
sti). Conferma Trib. Catania 27 febbraio 1981.
Demanio — Aree adiacenti ed aperte sul suolo pubblico — Pre sunzione di demanialità — Prova contraria — Ammissibilità —
Limitazioni (L. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F, sui lavori pub blici, art. 22).
Prescrizione e decadenza — Immemorabile — Nozione.
La presunzione di demanialità posta dall'art. 22 l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F, nei confronti delle piazze, spazi e vicoli situati all'interno delle città e villaggi che siano adiacenti alle strade comunali e sbocchino o siano in comunicazione diretta con il
suolo pubblico è una presunzione iuris tantum e può essere
vinta dalla prova contraria, circoscritta però all'esistenza di
consuetudini, che escludano la demanialità per il tipo di aree di
cui faccia parte quella considerata, o di convenzioni che
attribuiscono la proprietà a soggetto diverso dal comune, ovvero
alla natura privala dell'area stessa. (1)
L'immemorabile, attualmente operante solo nei rapporti di diritto
pubblico, non è un modo di acquisto del diritto ma costituisce
una presunzione di legittimità del possesso attuale fondata sulla
vetustas, e la sua prova deve provenire da soggetti appartenenti a due generazioni. (2)
(1-2) Negli stessi termini della prima massima si sono pronunciate: Cass. 23 giugno 1979, n. 3519, Foro it., Rep. 1980, voce Strade, n. 10; 15 luglio 1980, n. 4588, ibid., voce Distanze legali, n. 18; 17 aprile 1978, n. 1803, id., Rep. 1978, voce Strade, n. 18; 3 agosto 1977, n. 3449, id.,
Rep. 1977, voce Luci e vedute, n. 28; 30 aprile 1974, n. 1234, id., Rep.
1976, voce Strade, n. 11; 3 giugno 1974, n. 1594, id., Rep. 1975, voce
cit., n. 23; 14 marzo 1975, n. 975, ibid., voce Luci e vedute, n. 44; 24
novembre 1973, n. 3182, id., Rep. 1973, voce Strade, n. 20; Pret. Castel di Sangro 6 dicembre 1969, id., Rep. 1972, voce cit., n. 11; Cass. 16
giugno 1971, n. 1837, id., Rep. 1971, voce cit., n. 14; 4 aprile 1970, n.
921, id., Rep. 1970, voce cit., n. 10; 23 aprile 1969, n. 1275, ibid., n 9. Nel senso che la presunzione di demanialità di cui all'art 22 della 1.
2248/1865, all. F, non si riferisce ad ogni area comunicante con la
strada pubblica, ma solo a quelle che ne costituiscono una pertinenza in
quanto parti integranti della funzione viaria, v. Cass. 5 febbraio 1982, n. 671, id., Rep. 1982, voce cit., n. 14; 30 luglio 1981, n. 4862, id., Rep. 1981, voce cit., n. 6; 18 ottobre 1978, n. 4691, id., Rep. 1978, voce cit., n. 16; 8 settembre 1978, n. 4067, ibid., n. 17; 22 gennaio 1974, n. 180,
id., Rep. 1974, voce cit., n. 12. Per quanto riguarda la prova contraria alla demanialità Cass. 8 marzo 1979, n. 1430, id., Rep. 1979, voce cit., n. 6; 22 dicembre 1972, n. 3665, id., Rep. 1972, voce cit., n. 8; 9
giugno 1972, n. 1820, ibid., n. 10, hanno affermato che essa può essere data con qualsiasi mezzo (anche con testimoni e presunzioni). Infine, altre decisioni hanno dichiarato che la valutazione della prova, idonea a convincere il giudice di merito del carattere non demaniale degli spa zi adiacenti alle strade pubbliche, costituisce un apprezzamento insinda
cabile in sede di legittimità, se condotto con motivazione logica ed immu ne da errori di diritto; Cass. 15 giugno 1979, n. 3387, id., Rep. 1979, voce cit., n. 11; 4 novembre 1978, n. 5019, id., Rep. 1978, voce cit., n.
15; 5 luglio 1973, n. 1906, id., Rep. 1974, voce cit., n. 13; 10 luglio 1972, n. 2317, id., Rep. 1972, voce cit., n. 9; 27 ottobre 1970, n. 2171, id.,
Rep. 1970, voce cit., n. 15.
Ulteriori precedenti sono riportati nella nota di richiami a Cass. 13 marzo 1970, n. 646, id., 1970, 1. 1698, ove peraltro oggetto delli decisione è il comma 2° dell'art. 22 1. 2248/1865, all. F. Su questo argomento v., più di recente, Cass. 7 novembre 1978, n. 5065, id., 1979, I, 1527.
Meno numerosi i precedenti sulla seconda massima: nel senso che l'immemorabile non è un modo di acquisto del diritto, ma costituisce una presunzione di legittimità del possesso attuale fondato sulla
vetustas, v. Cass. 23 ottobre 1975, n. 3505, id., Rep. 1975, voce Prescrizione e decadenza, n. 146; 26 marzo 1973, n. 837, id., Rep. 1974, voce Usucapione, n. 5; 6 dicembre 1969, n. 3910, id., Rep. 1970, voce
cit., n. 5; 24 luglio 1964, n. 2000, id., Rep. 1964, voce cit., n. 2; 19
luglio 1962, n. 1944, id., Rep. 1963, voce cit., n. 8; 11 ottobre 1959, n.
3016, id., Rep. 1959, voce cit., n. 19; 20 marzo 1959, n. 860, ibid., voce Demanio, n. 13; 15 gennaio 1949, n. 33, id., 1949, I, 579, con nota di Pugliese Questioni sull'acquisto e l'estinzione delle servitù d'uso
pubblico. Per l'affermazione che l'immemorabile attualmente operi solo nei rapporti di diritto pubblico (mentre in quelli di diritto privato venne abrogato dal codice del 1865, senza essere richiamato in vigore dal nuovo codice) cfr. Cass. 18 giugno 1976, n. 2289, id., Rep. 1976, voce Prescrizione e decadenza, n. 183. A quest'ultimo assunto si lega l'affermazione secondo cui è necessario che la fattispecie si sia
perfezionata nel vigore della legislazione che attribuiva rilevanza giuridica all'immemorabile perché gli effetti di questo siano riconosciuti in un ordinamento che, come quello in vigore, non disciplina l'istituto: Cass. 23 ottobre 1975, n. 3508, id., Rep. 1975, voce cit., n. 147; 26 marzo 1973, n. 837, id., Rep. 1974, voce Usucapione, n. 6. Anche Trib. Parma 7 aprile 1950, id., Rep. 1951, voce cit., n. 22, a cui dire gli elementi costitutivi dell'immemorabile sono due: la coscienza che lo stato attuale è sempre esistito e la mancanza di memoria umana circa l'esistenza di uno stato contrario. Dal punto di vista probatorio Cass. 14 dicembre 1950, n. 2722, id., Rep. 1950, voce cit., n. 23, ha sostenuto che l'immemorabile non si diversifica, oggettivamente, da qualsiasi altro ma teriale di accertamento istruttorio, né presenta caratteristiche tali da ren derlo suscettibile di prova documentale. Sotto questo profilo va ricorda ta Cass. 3505/75 secondo la quale l'immemorabile può essere dimostra to con ogni mezzo di prova e, quindi, anche con presunzioni semplici. Infine, per l'affermazione che la prova dell'immemorabile deve provenire da soggetti appartenenti a due generazioni v. Cass. 3508/75, 837/73, 3016/59.
Sull'immemorabile come titolo costitutivo delle servitù pubbliche, cfr. Cass. 13 ottobre 1980, n. 5457, id., 1981, I, 427, con nota di richiami.
In dottrina v. A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1982, 152; Coco, Immemorabile (dir. vig.), voce dell'Enciclo pedia del diritto, Milano, 1970, XX, 161.
This content downloaded from 193.105.245.57 on Sat, 28 Jun 2014 14:00:13 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions