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sezione I civile; ordinanza 5 giugno 2004, n. 10742; Pres. Delli Priscoli, Rel. Bonomo, P.M. Golia...

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Page 1: sezione I civile; ordinanza 5 giugno 2004, n. 10742; Pres. Delli Priscoli, Rel. Bonomo, P.M. Golia (concl. diff.); T. (Avv. Pezzano) c. G. (Avv. Traldi)

sezione I civile; ordinanza 5 giugno 2004, n. 10742; Pres. Delli Priscoli, Rel. Bonomo, P.M. Golia(concl. diff.); T. (Avv. Pezzano) c. G. (Avv. Traldi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 10 (OTTOBRE 2004), pp. 2725/2726-2729/2730Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199052 .

Accessed: 28/06/2014 09:53

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

che le abbiano poste come reciprocamente condizionate o con

nesse e dipendenti, ovvero quando sia configurata dalla legge, e

non dalla volontà delle parti, una necessaria concatenazione giu ridica di elementi dispositivi in un unico rapporto giuridico tas

sabile in sede di registrazione» (così Cass. 11 agosto 1982, n.

4520, id., Rep. 1983, voce cit., n. 206). Analogamente deve

escludersi una connessione necessaria tra le due statuizioni di

condanna oggetto della sentenza registrata dall'Inail, per il fatto

che l'unica relazione esistente tra esse ha origine squisitamente

pattizia. In applicazione dei medesimi principi in maniera ancora più

eloquente per quel che riguarda la controversia in esame, può ancora ricordarsi la distinzione operata dalla giurisprudenza di

legittimità in tema di registrazione di atti che contengano più di

sposizioni, tra l'ipotesi dell'atto complesso e il ben diverso caso

del collegamento negoziale: l'atto complesso va assoggettato ad

un'unica tassazione di registro, in quanto le varie disposizioni che in esso confluiscono sono rette da un'unica causa, e quindi derivano necessariamente, per loro intrinseca natura, le une

dalle altre. Viceversa, le disposizioni che danno vita ad un col

legamento negoziale, ma sono rette da cause distinte, sono sog

gette ciascuna ad autonoma tassazione, in quanto la pluralità delle cause dei singoli negozi, ancorché funzionalmente colle

gate dalla causa complessiva dell'operazione, essendo autono

mamente identificabili, portano ad escludere che le disposizioni rette da cause diverse possano ritenersi derivanti, per loro in

trinseca natura, le une dalle altre (così Cass. 6 settembre 1996, n. 8142, id., Rep. 1997, voce cit., n. 80).

Conclusivamente ritiene pertanto questa corte potersi affer

mare che l'art. 21 più volte citato contiene al 1° comma una re

gola generale, che è quella secondo la quale quando in un solo

documento (atto giuridico privato o provvedimento giudiziario che sia) è racchiusa una pluralità di disposizioni, l'imposta di

registro si applica distintamente a ciascuna di esse; e al 2°

comma un'eccezione per il caso in cui le diverse disposizioni derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une

dalle altre. Tale eccezione, necessariamente di stretta interpreta zione, ricorre solo allorquando è la volontà della legge o l'in

trinseca natura delle diverse disposizioni a determinare tra esse

un rapporto di connessione oggettiva, necessaria e inscindibile, e non anche quando quel rapporto trovi origine nella mera vo

lontà delle parti. Un rapporto di connessione di quel genere non

può cogliersi nella relazione pur esistente tra più «disposizioni» aventi diverso titolo e funzione, e collegate soltanto per volontà

delle parti, come nel caso di sentenza di condanna di più conde

bitori, in solido, al risarcimento dei danni in favore di un sog

getto danneggiato, e di condanna di uno dei condebitori solidali, in favore dell'altro, a titolo di rivalsa in forza di garanzia con

trattualmente assunta.

Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso in esame

risulta fondato per essere la sentenza impugnata affetta dal vizio

di violazione di legge, così come dedotto. La sentenza stessa va

pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti

di fatto ai fini della decisione della controversia, ex art. 384

c.p.c. questa può definitivamente essere decisa nel merito con il

rigetto del ricorso introduttivo dell'Inail.

Il Foro Italiano — 2004.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; ordinanza 5 giu

gno 2004, n. 10742; Pres. Delli Priscoli, Rei. Bonomo, P.M.

Golia (conci, diff.); T. (Avv. Pezzano) c. G. (Avv. Traldi).

Filiazione — Filiazione legittima — Azione di disconosci mento della paternità — Esami ematologici — Ammissi

bilità — Limiti — Questione non manifestamente infonda

ta di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 29, 30; cod. civ., art.

235, 263).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co

stituzionale dell'art. 235, 1° comma, n. 3, c.c., nella parte in

cui ammette il marito a provare che il figlio presenta caratte

ristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con

le proprie, soltanto nell'ipotesi in cui dimostri che nel perio do del concepimento la moglie ha commesso adulterio, in ri

ferimento agli art. 3 e 24 Cost. (1)

Ritenuto che con atto di citazione notificato il 6-14 luglio 1998 S.T. proponeva dinanzi al Tribunale di Roma domanda di

disconoscimento della paternità di M.T.B., nata il 19 luglio 1997; •

che la domanda era respinta dal tribunale con sentenza depo sitata il 26 settembre 2000;

che la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 2-25 ottobre

2002 rigettava l'impugnazione proposta dal T., osservando, tra

l'altro: a) che la prova per testi dedotta era stata rettamente re

putata dal tribunale inidonea a dimostrare che la moglie avesse

commesso adulterio nel periodo del concepimento; b) che l'esi

stenza di relazioni in altri tempi non poteva fornire la prova per

presunzioni dell'adulterio in quel periodo, nemmeno ai fini del

l'espletamento della c.t. ematologica, gravando sull'attore l'o

nere della prova certa di un vero e proprio adulterio nel suddetto

periodo; c) che non potevano condividersi i prospettati dubbi di

incostituzionalità dell'art. 235 c.c.; che avverso la sentenza d'appello il T. ha proposto ricorso

per cassazione sulla base di due motivi, illustrati con memoria; che A.G. ed il curatore della minore hanno resistito con di

stinti controricors»; che con il primo mezzo d'impugnazione il ricorrente lamenta

violazione e falsa applicazione dell'art. 235, 1° comma, n. 3,

c.c., dell'art. 2697 c.c., degli art. 2727-2729 c.c., degli art. 112, 115 e 116 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria

(1) Con l'ordinanza in rassegna, la Suprema corte, muovendo dalla

premessa dell'insuperabilità in via intepretativa della regola che, in

materia di azione di disconoscimento della paternità, condiziona l'am missibilità delle prove genetiche ed ematologiche alla previa dimostra zione dell'adulterio della moglie (e ciò naturalmente anche nell'ipotesi che tali prove siano state espletate contemporaneamente alla prova del l'adulterio: Cass. 17 agosto 1998, n. 8087, Foro it., Rep. 1998, voce

Filiazione, n. 45; 23 gennaio 1984, n. 541, id., Rep. 1984, voce cit., n.

35, entrambe richiamate in motivazione), solleva la questione di legit timità costituzionale dell'art. 235, 1° comma, n. 3, c.c., in relazione agli art. 3 e 24 Cost., valorizzando la lesione del diritto di agire in giudizio

provocata dall'impossibilità o dall'estrema difficoltà di prova del l'adulterio.

Sulla ragionevolezza della limitazione prevista dal legislatore, in

quanto impedisce al marito di agire sulla base di semplici sospetti privi di fondamento e gli consente l'accesso alle prove ematologiche e gene tiche solo quando i suoi dubbi siano giustificati dalla condotta della

consorte, v. G. Cattaneo, Filiazione legittima, in Commentario Scia

loja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 103, il quale, pertanto, condivide la conclusione giurisprudenziale secondo la quale l'infedeltà della moglie deve essere dimostrata con prove distinte rispetto a quelle che mirano

ad escludere la paternità (p. 109). In dottrina, la questione (resa più grave dal fatto che l'indagine sul

verificarsi dell'adulterio non è vincolata da eventuali ammissioni rese

dalla moglie, le quali, riguardando diritti indisponibili, configurano elementi liberamente apprezzabili dal giudice: Cass. 20 febbraio 1992, n. 2113, Foro it.. Rep. 1992, voce cit., n. 27) era stata sinora affrontata

sul versante esegetico, sottolineando che l'incompatibilità genetica è la

prova principe dell'adulterio e che l'art. 235 c.c. non pone limiti alla dimostrazione di siffatto presupposto (v., in tal senso, M. Sesta, Filia

zione, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 2000, aggiornamento IV, 576; V. Carbone, È preferìbile un padre putativo a quello biologi co?, in Famiglia e dir., 1998, 433; A. Finocchiaro, Il disconoscimento

di paternità, id., 1994, 324, il quale sottolinea la rilevanza polivalente della prova ematologica e genetica; P. Vercellone, La fdiazione, Tori

no, 1987,72). -

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2727 PARTE PRIMA 2728

motivazione, sostenendo: A) che era illogica l'affermazione

della sentenza secondo cui non sarebbe bastata la prova di una

semplice relazione della donna, occorrendo invece un vero e

proprio adulterio, tale da procurare il concepimento; B) che la

prova articolata fin dal primo grado tendeva a dimostrare una

pluralità di incontri notturni della G. in camere d'albergo, estendentisi da prima del matrimonio al periodo del matrimonio

ed ancora a dopo la nascita del figlio e che dai fatti dedotti nei

capitoli di prova sarebbe stata desumibile, per presunzione, l'e

sistenza di adulterio nel periodo del concepimento; C) che,

inoltre, rispetto alla pretesa di disconoscimento fondata sul ce

lamento della nascita — circostanza che pure avrebbe abilitato

ex se all'effettuazione delle prove ematico-genetiche — si era

registrata un'omessa pronuncia, nonostante i capitoli di prova e

le deduzioni formulati al riguardo; che con il secondo motivo il ricorrente prospetta una questio

ne di costituzionalità, in riferimento agli art. 3, 24 e 30 Cost.,

dell'art. 235, 1° comma, c.c.;

che la controricorrente ha eccepito l'inammissibilità e l'im

procedibilità del ricorso per mancata formulazione delle conclu

sioni, in quanto la richiesta di rinvio ad altra corte d'appello per un nuovo esame non integrerebbe il requisito della specificità della domanda ex art. 99 c.p.c. ss., impedendo a posteriori la

pronuncia di cui all'art. 112 c.p.c. Considerato che l'eccezione della ricorrente non è fondata,

atteso che il ricorrente ha concluso, in via principale, affinché la

corte, in accoglimento del primo motivo del ricorso, annulli con

rinvio l'impugnata sentenza, e che tali conclusioni sono logica mente collegate al contenuto delle censure rivolte contro la de

cisione di secondo grado, confermativa del rigetto della doman

da di disconoscimento della paternità; che nemmeno il primo motivo di ricorso appare fondato per le

seguenti ragioni: a) la corte d'appello ha ritenuto che la prova testimoniale a conferma delle indagini eseguita da un'agenzia

investigativa — secondo cui la G. aveva lavorato per conto di

una società come «accompagnatrice per professionisti» soggior nando in camere di albergo con uomini divejsi dal T. il 19 lu

glio, il 27 luglio, il 29 ottobre ed il 30 ottobre dell'anno 1994,

nonché il 24 gennaio, il 3 marzo, il 7 agosto ed il 23 novembre

dell'anno 1995, oltre che il 30 marzo e dal 23 al 26 dicembre

dell'anno 1997 — era stata rettamente reputata dal tribunale

inidonea a dimostrare che la G. avesse commesso adulterio du

rante il periodo del concepimento (settembre, ottobre, novembre

e dicembre 1996); b) a giudizio del collegio la censura formu

lata dal ricorrente contro la suddetta affermazione non riguarda un punto decisivo della controversia, atteso che, ai sensi del

l'art. 235, 1° comma, n. 3, c.c., l'azione per il disconoscimento

è consentita quando l'adulterio è stato commesso nel periodo del concepimento, con la conseguenza che la relativa prova de

ve riguardare quel periodo (in tal senso, v. anche Cass. 7 set

tembre 1984, n. 4783, Foro it., Rep. 1984, voce Filiazione, n.

34), mentre le circostanze oggetto della prova testimoniale ri

chiesta nella specie riguardavano periodi diversi; c) la corte ter

ritoriale ha pure escluso che tali circostanze potessero essere

utilizzate per provare «per presunzioni» che l'adulterio avesse

avuto luogo anche nel periodo del concepimento e siffatta valu

tazione — riguardando un apprezzamento di fatto esente da vizi

di illogicità —

sfugge al sindacato di legittimità di questa corte;

d) quanto al vizio di omessa pronuncia riguardante il punto del

celamento della nascita e della relativa richiesta di prova, va ri

levato che la corte d'appello nella motivazione collega espres samente la lamentela del T. in ordine alla mancata ammissione

delle prove testimoniali non solo al profilo dell'adulterio, ma

anche a quello del celamento al marito della nascita del figlio, sicché deve ritenersi che il giudice di merito non abbia omesso

di prendere in considerazione tale aspetto, ma abbia considerato

irrilevante la prova relativa, tenuto conto della prospettazione dei fatti da parte dell'appellante :— che sin dal primo grado di

giudizio aveva sostenuto che la G. aveva rifiutato di comunicare

al marito il nosocomio in cui avrebbe partorito — e del tenore

dei capitoli di prova dedotti (dal testo dei quali, riportato nel ri corso per cassazione, si ricavano circostanze non decisive ai fini

della prova del celamento della nascita del figlio, atteso che, se

condo il T. egli avrebbe concordato con la moglie che il bambi

no sarebbe nato presso il policlinico Gemelli, mentre la sera

prima della nascita del bambino la G., senza comunicare la sua

Il Foro Italiano — 2004.

intenzione al marito, si era fatta ricoverare all'ospedale Fatebe

nefratelli dove aveva partorito); che non risultando il ricorso accoglibile per il primo motivo,

è necessario procedere all'esame del secondo, con cui il ricor

rente prospetta una questione di costituzionalità, in riferimento

agli art. 3, 24 e 30 Cost., dell'art. 235, 1° comma, c.c. nella

parte in cui consente l'azione di disconoscimento della paternità nei soli limitati casi ivi previsti e nel contempo ammette il ma

rito a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o di

gruppo sanguigno incompatibili con le proprie soltanto nell'i

potesi in cui provi che la moglie ha commesso adulterio o abbia

celato la gravidanza e la nascita del figlio;

che, secondo il ricorrente: — l'assetto normativo in questione è stato delineato negli anni '40 del secolo scorso, quando le ri

sultanze della prova biologica erano meramente probabilistiche ed appariva necessario per porre un freno a giudizi di discono

scimento con scopi meramente esplorativi, mentre la coscienza

sociale è ora, invece, sempre più incline, anche per effetto del

carattere assolutamente probante raggiunto dall'indagine gene

tico-ematica, a riconoscere rilevanza al dato sostanziale (favor

veritatis) rispetto al favor legitimitatis\ — la piena parificazione

della posizione di figli legittimi e naturali è stata realizzata dal

l'art. 30 Cost, e dalla legge del 1975, che ha disposto che la

prova della paternità e della maternità naturale può essere data

con ogni mezzo (art. 269, 2° comma, c.c.), ed analoga possibi lità è prevista in tema di impugnazione per difetto di veridicità

del riconoscimento del figlio naturale (art. 263 c.c.); — il favor

veritatis, e cioè la sollecitudine per l'interesse sia del genitore che del figlio di conoscere la realtà dei rapporti di sangue, e

quindi della propria origine, costituisce, secondo il ricorrente,

un valore assoluto del soggetto, che se può essere limitato nel

tempo, allo scopo di non turbare all'infinito i ritmi della fami

glia legittima, non può ammettere limitazioni di prova, pena la

violazione degli art. 3 e 24 Cost., oltre che delle disposizioni ri

guardanti la filiazione legittima o naturale (art. 29 e 30 Cost.);,

che, a giudizio del collegio, la questione di costituzionalità è

rilevante in quanto il T. si duole del fatto che la c.t.u. ematolo

gica da lui richiesta non sia stata espletata perché non ritenuta

ammissibile da parte del giudice di merito per integrare la prova carente dell'adulterio della moglie;

che, a seguito della nuova formulazione dell'art. 235, dopo la

riforma del diritto di famiglia, le prove ematologiche e geneti che non solo hanno dignità probatoria pari a tutte le fonti di

convincimento, ma possono formare oggetto di richiesta di pro

va, come gli altri mezzi istruttori, e non soltanto di istanza di

retta a sollecitare l'esercizio di un potere proprio del giudice

(Cass. 21 aprile 1983, n. 2736, id., Rep. 1983, voce cit., n. 89); che l'esclusione della c.t.u. da parte della Corte d'appello di

Roma è stata basata su una corretta interpretazione dell'art. 235,

n. 3, c.c. ed è coerente con la giurisprudenza di questa corte;

che nelle cause di disconoscimento di paternità del figlio con

cepito durante il matrimonio, la c.t.u. non può essere utilizzata

per conseguire attraverso indagini genetiche ed ematologiche la

prova dell'adulterio della moglie, atteso che l'art. 235, 1° com

ma, n. 3, c.c. (nel testo introdotto dalla 1. n. 151 del 1975 sulla

riforma del diritto di famiglia) stabilisce che l'adulterio costitui

sce una delle ipotesi in cui l'azione di disconoscimento è con

sentita e che «in tal caso» il marito è ammesso a provare che il

figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno

incompatibili con quelle del presunto padre; che è quindi chiaro che l'indagine sul verificarsi dell'adulte

rio ha carattere preliminare rispetto a quella sulla sussistenza o

meno del rapporto procreativo (Cass. 20 febbraio 1992, n. 2113,

id., Rep. 1992, voce cit., n. 27; 22 ottobre 2002, n. 14887, id., Rep. 2002, voce cit., n. 30; cfr. pure Cass. 15 ottobre 1994, n.

8420, id., Rep. 1995, voce cit., n. 36, secondo cui la prova del l'adulterio pur essendo fortemente indicativa della fondatezza

dell'azione, non è mai di per sé sufficiente per l'accoglimento della domanda di disconoscimento, il quale resta subordinato

alla dimostrazione di altri fatti o circostanze inconciliabili con la

paternità, quali le caratteristiche genetiche o ematologiche); che la prova genetica o ematologica, anche se espletata con

temporaneamente alla prova dell'adulterio, può essere esami

nata solo subordinatamente al raggiungimento di quest'ultima

prova ed al diverso fine di stabilire il fondamento del merito

della domanda (Cass. 17 agosto 1998, n. 8087, id., Rep. 1998,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

voce cit., n. 45; 23 gennaio 1984, n. 541, id., Rep. 1984, voce

cit., n. 35); che tale interpretazione trova conferma nei lavori parlamenta

ri per la riforma del diritto di famiglia del 1975, ove non venne accolto un emendamento (presentato dal sen. Carraro) diretto ad

introdurre un'autonoma previsione della prova ematologica da

inserire in un punto 4 dell'articolo cit.;

che, in conclusione, in base all'art. 235, n. 3, c.c., il primo motivo di ricorso dovrebbe essere rigettato;

che la questione di costituzionalità di tale norma, oltre che

rilevante, appare sotto alcuni profili non manifestamente infon

data; che questa corte ha sottolineato che, pur a fronte di un ac

centuato favore per uria conformità dello status alla realtà della

procreazione — chiaramente espresso nel progressivo amplia

mento in sede legislativa delle ipotesi di accertamento della ve

rità biologica — il favor veritatis non costituisce un valore di

rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque, atteso

che l'art. 30 Cost, non ha attribuito un valore indefettibilmente

preminente alla verità biologica rispetto a quella legale, ma nel

disporre al 4° comma che «la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità» ha demandato al legislatore ordinario

il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, non

ché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest'ul tima, così affidandogli anche la valutazione in via generale della

soluzione più idonea per la realizzazione dell'interesse del mi

nore (Cass. 30 gennaio 2001, n. 1264, id., Rep. 2001, voce cit., n. 37);

che lo stesso 3° comma del citato art. 30, nello stabilire che la

legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giu ridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della fami glia legittima, costituisce espressione della tutela preferenziale attribuita dalla Costituzione alla famiglia come società naturale

fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.); che in tale quadro la questione di costituzionalità prospettata

dal ricorrente con riferimento all'art. 30 Cost, appare manife

stamente infondata, atteso che è del tutto coerente con i principi costituzionali la possibilità che il legislatore ordinario preveda limitazioni nei confronti dell'azione di disconoscimento della

paternità del figlio concepito durante il matrimonio con riferi

mento sia ai casi in cui l'azione può essere esercitata sia ai tem

pi della medesima; che pure manifestamente infondata appare la questione di co

stituzionalità dell'art. 235, n. 3, in relazione all'art. 3 Cost.,

sotto il profilo della lamentata ingiustificata disparità di disci

plina rispetto all'impugnazione per difetto di veridicità del rico

noscimento del figlio naturale ex art. 263 c.c. — che consente

all'attore di utilizzare qualsiasi mezzo di prova ed anche la sola

prova ematologica — in quanto si tratta di una situazione og

gettivamente diversa da quella in esame e nella quale non si

pongono esigenze di tutela del figlio legittimo;

che, invece, la questione di legittimità costituzionale dell'art.

235, n. 3, c.c. non appare al collegio manifestamente infondata,

in relazione agli art. 3 e 24, 2° comma, Cost., con riferimento al

principio di ragionevolezza ed al diritto di difesa; che l'esercizio del diritto di difesa non può compiutamente

realizzarsi se non è reso possibile l'accertamento dei fatti su cui

si fondano le ragioni sottoposte al giudice e non è consentito

fornire la prova dei fatti stessi (Corte cost. n. 55 del 1971, id.,

1971,1, 824); che norme che rendano estremamente difficile l'esercizio del

diritto di difesa possono comportare violazione del precetto co

stituzionale dell'art. 24 (Corte cost. n. 568 del 1989, id., 1990,1, 2141; n. 63 del 1977, id., 1977,1, 1052, e n. 55 del 1971);

che la valutazione della difficoltà di esercizio del diritto di di fesa, pur se va effettuata in termini generali, prescindendo dalle

peculiarità riscontrabili in casi particolari, non può tuttavia tra

scurare del tutto la considerazione della realtà sociale;

che non sembra possa dubitarsi dei profondi cambiamenti in tervenuti nella società italiana nei modelli di vita ed anche nella

sfera dei costumi sessuali, divenuti notevolmente più liberi;

che tali cambiamenti coinvolgono anche i rapporti coniugali, essendo la famiglia un'entità che vive nell'ambito della società;

che la diffusione del lavoro femminile ha fatto uscire un gran numero di donne dai confini di una vita prevalentemente svolta

Il Foro Italiano — 2004.

nell'ambito della casa coniugale e di luoghi ad essa prossimi o

comunque collegati alle relazioni familiari; che il moltiplicarsi dei tipi e delle forme di lavoro, la mobilità

richiesta ai lavoratori e la lontananza dei luoghi di lavoro porta

spesso entrambi i coniugi a doversi allontanare dalla casa co

niugale per l'intera giornata od anche per più giorni; che è pure divenuto un costume piuttosto diffuso che i coniu

gi trascorrano separatamente parte del loro tempo libero ed an

che periodi di vacanza; che l'adulterio della moglie può consistere anche in un unico

atto di infedeltà sessuale, conseguenza di un rapporto di natura

occasionale; che nell'attuale realtà sociale la prova dell'adulterio della

moglie nel periodo del concepimento può costituire per il marito

una circostanza la cui dimostrazione è di fatto impossibile o

estremamente difficile in un gran numero di casi (come lo sa

rebbe la dimostrazione di un singolo atto di infedeltà sessuale

del marito); che, d'altra parte, è dubbio che possa considerarsi ancora ra

gionevole una previsione legislativa che, ai fini del disconosci

mento della paternità, richiede la previa prova dell'adulterio

della moglie, in presenza di un progresso scientifico che con

sente di ottenere direttamente (e quindi senza passare attraverso

la dimostrazione dell'adulterio) una sicura esclusione della pa ternità — che rappresenta l'obiettivo finale dell'azione in que stione — attraverso accertamenti tecnici capaci di fornire risul

tati la cui piena attendibilità è unanimemente riconosciuta; che l'adulterio in sé, inteso come violazione dell'obbligo

della fedeltà nei confronti del coniuge, è irrilevante ai fini del

disconoscimento di paternità, che coinvolge altri valori ed inte

ressi; che una possibile diversa interpretazione, costituzionalmente

orientata, dell'art. 235, n. 3 — che considerasse indirettamente

raggiunta la prova dell'adulterio attraverso l'esclusione della

paternità a seguito dei risultati della prova genetica o ematolo

gica — sembra preclusa dalla volontà del legislatore, chiara

mente desumibile dai lavori parlamentari sopra menzionati, di

non consentire il disconoscimento della paternità sulla base dei

risultati del solo accertamento tecnico;

che, non apparendo al collegio la questione di legittimità co

stituzionale dell'art. 235, n. 3, c.c. — nella parte in cui subordi

na la prova genetica o ematologica alla prova dell'adulterio

della moglie — manifestamente infondata in relazione agli art. 3

e 24 Cost., sotto il profilo della limitazione del diritto di difesa e

della ragionevolezza di tale limitazione, deve procedersi alla so

spensione del giudizio ed alla rimessione degli atti alla Corte

costituzionale;

per questi motivi, visto l'art. 23 L 11 marzo 1953 n. 87, di

chiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 235, 1° comma, n. 3, c.c.,

nella parte in cui ammette il marito a provare che il figlio pre senta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incom

patibili con quelle del presunto padre, se nel periodo del conce

pimento la moglie ha commesso adulterio, per contrasto con gli art. 3 e 24 Cost.

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