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sezione I civile; ordinanza 6 giugno 2003, n. 9141; Pres. Genghini, Rel. Rordorf, P.M. Marinelli(concl. conf.); Soc. I.R. - Imprese riunite (Avv. Pottino, Galgano, Betti) c. Soc. Co.Ce.Mer. -Costruzioni centro meridionali (Avv. Mancini, Marcuccio). Regolamento di competenza avversoTrib. Lecce, ord. 6 dicembre 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 10 (OTTOBRE 2003), pp. 2643/2644-2645/2646Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198691 .
Accessed: 28/06/2014 13:53
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2643 PARTE PRIMA 2644
pimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera
— essendo l'inadempimento stesso riconduci
bile, come l'adempimento, alla «attività lavorativa», che è sot
tratta alla loro «vigilanza» (in tal senso, v., per tutte, Cass.
7455/91. id., Rep. 1991, voce cit.. n. 809; 9836/95, id., 1996, I, 609) — ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non ri
conducibili al mero inadempimento dell'obbligazione contrat
tuale prospettata (quale — nella specie
— l'appropriazione in
debita di denaro riscosso per il datore di lavoro e sottratto alla
contabilizzazione: v., per tutte, Cass. 8388/02, 9576/01,
10761/97, 9836/95, citate, anche con riferimento a fattispecie
analoghe a quella dedotta nel presente giudizio). Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza impu
gnata non merita le censure, che le vengono mosse con il quinto motivo di ricorso.
4.2. - Oltre ad escludere che il proprio convincimento :— co
me quello del giudice di primo grado — si fondi sull'esito di
controlli a distanza (di cui all'art. 4 stessa 1. n. 300 del 1970), il
tribunale è pervenuto all'accertamento dei fatti addebitati al la
voratore — all'evidenza, non riconducibili al mero inadempi mento dell'obbligazione di prestare la propria opera
— «tramite
un'agenzia investigativa». Evidente ne risulta la coerenza di siffatto accertamento con i
principi di diritto enunciati.
Tanto basta per rigettare anche il quinto motivo di ricorso,
perché infondato.
Parimenti infondati, tuttavia, sono il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, che investono — sotto profili diversi — l'ac
certamento dei fatti addebitati al lavoratore ed il giudizio di
gravità e di proporzionalità dei fatti medesimi rispetto al licen
ziamento.
5.1. - Invero, nei licenziamenti per motivi disciplinari, l'ac
certamento dei fatti addebitati al lavoratore ed il giudizio di
gravità e di proporzionalità dei fatti medesimi, rispetto al licen
ziamento (come ad ogni altra sanzione) disciplinare, sono riser
vati al giudice di merito — secondo la giurisprudenza di questa corte (v., per tutte, le sentenze 10775/01, id., Rep. 2001, voce
cit., n. 891; 9410/01, id., Rep. 2002, voce cit., n. 1311; 7188/01,
id., Rep. 2001. voce cit., n. 1455; 14768/00, id., Rep. 2000. vo ce cit.. n. 1732; 14552/00, ibid., n. 1734; 8313/00, id., Rep. 2001, voce cit., n. 1417; 4122/00, id., Rep. 2000, voce cit., n.
1667; 5042/99, id., Rep. 1999, voce cit., n. 1689; 3645/99, id., 1999, 1, 3558) — e, come tali, non sono sindacabili, in sede di
legittimità, se sorretti da motivazione congrua ed immune da vi
zi logici. Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza impu
gnata — che ha, motivatamente, accertato la gravità e la propor
zionalità dei fatti addotti a sostegno del licenziamento — non
merita le censure che le vengono mosse, con i motivi di ricorso
ora in esame, neanche sotto il profilo del vizio di motivazione
(art. 360, n. 5, c.p.c.). 5.2. - Infatti la denuncia di un vizio di motivazione, nella
sentenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell'art.
360, n. 5, c.p.c.), non conferisce al giudice di legittimità il pote re di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di
controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico-formale, le argomentazioni — svolte dal giudi
ce del merito, al quale spetta in via esclusiva l'accertamento dei
fatti, all'esito dell'insindacabile selezione e valutazione delle
fonti del proprio convincimento — con la conseguenza che il
vizio di motivazione deve emergere — secondo l'orientamento
(ora) consolidato della giurisprudenza di questa corte (v., per tutte, le sentenze 13045/97 delle sezioni unite, id., Rep. 1997, voce Cassazione civile, n. 81, e 3161/02, id., Rep. 2002, voce
cit., n. 123; 4667/01, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 129; 14858/00, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 138; 9716/00, ibid., n. 114; 4916/00, ibid., n. 118; 8383/99, id., Rep. 1999, voce cit., n. 119, delle se
zioni semplici) — dall'esame del ragionamento svolto dal giu
dice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ri
tenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinve
nibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di
punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rileva
bili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le
argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consen
tire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a
base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra
Il Foro Italiano — 2003.
valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che,
agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente e, in genere, dalle parti.
In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto —
consentito al giudice di legittimità (dall'art. 360, n. 5, c.p.c.) —
non equivale alla revisione del «ragionamento decisorio», ossia
dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una de
terminata soluzione della questione esaminata: invero una revi
sione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova
formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del me
rito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dal
l'ordinamento al giudice di legittimità.
Lungi dal denunciare lacune o contraddizioni logiche — nella
motivazione che sorregge l'accertamento di fatto investito dai
motivi di ricorso ora in esame — il ricorrente prospetta —
inammissibilmente — una ricostruzione diversa dei medesimi
fatti, proponendone un giudizio valutativo, parimenti diverso.
Anche il terzo, quarto e sesto motivo di ricorso — ora in
esame — vanno quindi rigettati, perché infondati.
6. - Il ricorso, pertanto, dev'essere integralmente rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; ordinanza 6 giu gno 2003, n. 9141; Pres. Genghini, Rei. Rordorf, P.M. Ma
rinelli (conci, conf.); Soc. I.R. - Imprese riunite (Avv. Pot
tino, Galgano, Betti) c. Soc. Co.Ce.Mer. - Costruzioni cen
tro meridionali (Avv. Mancini, Marcuccio). Regolamento di
competenza avverso Trib. Lecce, ord. 6 dicembre 2001.
Competenza civile — Continenza — Causa contenente pas sata in decisione —
Sospensione necessaria del processo
(Cod. proc. civ., art. 39, 42, 295).
Una volta che la causa preveniente sia passata in decisione non
può più operare lo spostamento della causa successiva per
ragioni di continenza, ma il giudice di questa può solo, ove ne
ricorrano i presupposti, applicare l'art. 295 c.p.c. per ovvia
re al pericolo di contrasto di giudicati. ( 1 )
Premesso che la società Co.Ce.Mer. - Costruzioni centro me
ridionali s.p.a. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce la società I.R. -
Imprese riunite s.r.l. per far accertare che
la propria quota di partecipazione ad un'associazione tempora nea di imprese costituita con la controparte non è inferiore al
l'ottanta per cento, e che, pertanto, in tale proporzionale misura
spettano all'attrice le somme riconosciute in favore dell'asso
ciazione dal committente di un appalto poi rescisso;
premesso inoltre che è stata instaurata tra le medesime parti dinanzi al Tribunale di Perugia altra causa in cui la stessa que
(1) La decisione richiama il precedente conforme di Cass. 3 luglio 1984, n. 3915, Foro it.. 1985,1, 1156, con nota di Scarselli; di seguito, sempre nel senso di limitare la dichiarazione di continenza a giudizi pendenti nel medesimo grado di giudizio, cfr. Cass. 30 ottobre 2000, n.
14281, id., Rep. 2000, voce Tributi in genere, n. 1690; 20 maggio 1998, n. 5007, id., Rep. 1998. voce Competenza civile, n. 201; 6 feb braio 1997, n. 1124, id., Rep. 1997, voce cit., n. 147; 26 novembre
1997, n. 11867, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 202, e Giust. civ., 1998, I, 684, in riferimento a due procedimenti che si trovino entrambi in fase di gravame davanti ad uffici giudiziari diversi; 26 febbraio 1994, n.
1963, Foro it., Rep. 1994, voce cit.. n. 124; 14 luglio 1993, n. 7768, ibid., n. 125; Trib. Milano 3 settembre 1988, id., 1990, I, 670, con nota di ulteriori richiami.
L'indirizzo è il medesimo di quello pronunciato anche con riferi mento alla litispendenza, su cui v.. di recente, Cass., ord. 18 giugno 2002, n. 8833, id., 2003, I, 213, con nota critica di P. Gallo, La litis
pendenza nelle strettoie della Suprema corte.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
stione forma oggetto di domanda riconvenzionale di accerta
mento proposta dalla Co.Ce.Mer., la quale si è opposta ad un
decreto ingiuntivo emesso su richiesta della I.R. per la restitu
zione del cinquanta per cento delle somme rivenienti dal sud
detto appalto; rilevato che il Tribunale di Lecce, in data 6 dicembre 2001,
ha emesso ordinanza con la quale ha preliminarmente accertato
la sussistenza di un rapporto di continenza tra la causa lì in
trattazione e l'altra pendente a Perugia, ha riconosciuto la com
petenza del tribunale di quest'ultima città in virtù del criterio
della prevenzione stabilito dal 3° comma dell'art. 39 c.p.c., ma ha tuttavia escluso di dover pronunciare una sentenza declinato
ria della propria competenza —
per essere l'altra causa dinanzi
al Tribunale di Perugia già pervenuta alla fase della decisione — ed ha pertanto disposto la sospensione del giudizio dinanzi a
sé ex art. 295 c.p.c.; constatato che tale ordinanza è stata impugnata dalla società
attrice con istanza di regolamento di competenza, ai sensi del
l'art. 42 c.p.c., sul presupposto che, in caso di continenza di
cause, solo la pendenza delle cause medesime in gradi differenti
(e non anche il mero fatto che una di esse sia già in fase di deci
sione) precluderebbe l'applicazione del citato art. 39, 3° com
ma, c.p.c., onde il Tribunale di Lecce avrebbe dovuto dichiarare
la propria incompetenza e pronunciare di conseguenza anziché
disporre la sospensione del giudizio; letta la memoria depositata dalla controparte I.R., che resiste
al ricorso assumendo la piena legittimità dell'ordinanza impu
gnata; viste le conclusioni del procuratore generale, che ha chiesto il
rigetto del ricorso, e la successiva memoria depositata dalla ri
corrente a sostegno della propria istanza; ricordato come già in altra occasione questa corte ha avuto
modo di precisare che, in caso di continenza di cause, una volta
che la causa preveniente sia passata in decisione, non può più
operare lo spostamento della causa successiva per ragioni di
continenza, ma il giudice di questa può solo, ove ne ricorrano i
presupposti, applicare l'art. 295 c.p.c. per ovviare al pericolo di
contrasto di giudicati (Cass. 3 luglio 1984, n. 3915, Foro it.,
1985,1,1156); reputato che siffatto indirizzo è senz'altro da seguire, perché
l'esigenza di assicurare la simultanea trattazione della causa
contenente e di quella contenuta — che è a fondamento della
citata disposizione dell'art. 39 — logicamente postula la possi
bilità di procedere alla riunione delle due cause, dopo la loro
chiamata dinanzi al medesimo giudice, ma una tale possibilità
può concretamente realizzarsi solo quando anche la causa con
tenente sia ancora in fase istruttoria, restando invece preclusa dal suo passaggio in decisione;
considerato che, infatti, quando una causa abbia raggiunto lo
stadio della decisione, non è di regola consentito farla regredire in istruttoria (se non per specifiche ragioni attinenti al merito o
alle vicende di quella causa stessa: non anche per ragioni ad es
sa estrinseche), di modo che neppure sarebbe lecito presumere che una siffatta eventualità si realizzi dopo la rimessione al giu dice di altra causa, legata sì da un rapporto di continenza, ma
che si trova ancora in fase istruttoria: con la conseguenza che la
riunione di tali cause non potrebbe dunque effettuarsi e rimar
rebbe così frustrata la finalità della rimessione ad altro giudice della causa contenuta;
reputato che, pertanto, l'applicazione dell'art. 39, 2° comma,
c.p.c., è subordinata alla dimostrazione — ad opera di chi quella norma invochi — che la causa contenente non sia ancora pas sata in decisione o che, se già lo sia, ne sia stato successiva
mente disposto il ritorno per qualche ragione alla fase istrutto
ria, trasformandosi altrimenti la continenza in mera ragione di
sospensione della causa contenuta, ex art. 295 c.p.c., sino alla
definizione di quella contenente, senza alterazione degli ordinari
criteri di competenza relativi a ciascuna di dette cause; constatato che tale dimostrazione non è stata offerta da parte
ricorrente e che, anzi, dalla «istanza di prelievo» depositata dalla ricorrente in data 18 aprile 2002 si evince che una richiesta
rivolta al Tribunale di Perugia per ottenere la rimessione in
istruttoria della causa lì pendente non ha avuto seguito; atteso che il ricorso dev'essere perciò rigettato, apparendo
equa la compensazione delle spese.
Il Foro Italiano — 2003.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 giu gno 2003, n. 9101; Pres. Losavio, Est. W. Celentano, P.M.
Russo (conci, conf.); Cavaliere e altra (Avv. Corbo) c. Banca
nazionale del lavoro (Avv. D'Ercole). Cassa App. Milano 27
luglio 1999 e decide nel merito.
Mutuo — Mutuo condizionato ad iscrizione ipotecaria —
Ingiustificato rifiuto di erogazione della somma pattuita —
Responsabilità contrattuale — Risarcimento danni
(Cod. civ., art. 1218, 1337, 1822; r.d. 16 luglio 1905 n. 646, t.u. delle leggi sul credito fondiario, art. 16).
Nell'ipotesi di mutuo, condizionato all'iscrizione di ipoteca in
favore dell'istituto erogatore del finanziamento, l'ingiustifi cato rifiuto del mutuante di consegnare la somma pattuita co
stituisce inadempimento contrattuale e, pertanto, comporta il
risarcimento dell'interesse positivo. (1)
(1) I. - Con la pronuncia in rassegna la Suprema corte afferma che con la stipulazione del contratto condizionato di mutuo (ex art. 16 legge sul credito fondiario), indipendentemente dalla qualificazione giuridica dell'atto come contratto preliminare, contratto sospensivamente condi
zionato, elemento di fattispecie a formazione progressiva, si costituisce un rapporto giuridico di finanziamento; pertanto, con il verificarsi della condizione per effetto dell'avvenuta iscrizione ipotecaria, l'ingiustifi cato diniego del mutuante di erogare la somma promessa si configura come inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c. In appello, invece, sul presupposto della natura reale del contratto di mutuo e, quindi, in considerazione dell'erogazione della somma come momento perfezio nativo del contratto, si era ritenuto che: a) l'atto di stipulazione del mutuo condizionato fosse atto prodromico al contratto; b) l'immotivato
diniego di somministrazione delle somme pattuite configurasse un'in
giustificata rottura delle trattative, violazione del principio di buona fe de e correttezza nella formazione del contratto, fonte di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.; c) il risarcimento del danno del mu tuatario dovesse essere limitato all'interesse negativo, vale a dire i
vantaggi che si sarebbero ottenuti e i danni che si sarebbero evitati non
impegnandosi nelle trattative contrattuali. Sennonché, la differenza con
quanto sancito in sede di revisio prioris instantiae dai giudici di merito si disvela sul piano della quantificazione del danno misurato dai giudici di legittimità attraverso il suo oggetto, id est l'interesse relativo alla
prestazione contrattuale che si risolve nei vantaggi che si sarebbero ot tenuti e nei danni che sì sarebbero evitati ove il contratto fosse stato re
golarmente eseguito. In linea con la ratio decidendi della sentenza in epigrafe, cfr., nella
giurisprudenza di legittimità, Cass. 26 marzo 2002, n. 4327, Foro it.,
Rep. 2002, voce Tributi in genere, n. 1610, dove si dichiara che il c.d. contratto condizionato di mutuo edilizio, stipulato ai sensi dell'art. 16 t.u. delle leggi sul credito fondiario (approvato con r.d. 16 luglio 1905 n. 646), configura un'operazione di finanziamento a lungo termine e
costituisce, a differenza del contratto di mutuo (di natura reale ad effi cacia obbligatoria), un contratto consensuale (c.d. contratto di finan
ziamento, o mutuo di scopo, legale o convenzionale), oneroso ed atipi co, che assolve essenzialmente funzione creditizia (al pari dell'apertura di credito) e nel quale la consegna della somma rappresenta esecuzione
dell'obbligazione principale e non elemento costitutivo del contratto, di talché il momento perfezionativo del contratto medesimo è quello della
stipula dell'atto pubblico, a nulla rilevando l'apposizione di condizioni; 21 luglio 1998. n. 7116, id., Rep. 1999, voce Mutuo, n. 10, e. per este so, Contratti, 1999, 373, con nota di E. Goltara, Mutuo di scopo e
consegna, ove si ribadisce che, se il momento perfezionativo del nego zio di mutuo (contratto reale ad efficacia obbligatoria) coincide, di re
gola, con la c.d. traditio (con la consegna, cioè, del denaro o di altra cosa fungibile al mutuatario che ne acquista la proprietà) ovvero con il
conseguimento della disponibilità giuridica della res da parte di que st'ultimo. per effetto della creazione, ad opera del mutuante, di un au tonomo titolo di disponibilità (tale da determinare l'uscita della somma dal proprio patrimonio e l'acquisizione della medesima al patrimonio della controparte, a prescindere da ogni successiva manifestazione di volontà del mutuante), per converso il c.d. «contratto di finanziamento»
(o mutuo di scopo, legale o convenzionale) è fattispecie negoziale con
sensuale, onerosa ed atipica, che (al pari dell'apertura di credito) assol ve essenzialmente funzione creditizia: con la conseguenza che, specie nell'ipotesi di finanziamento legale (nel quale sono già individuati i
soggetti erogatori ed i beneficiari del finanziamento), la consegna della somma da corrispondere rappresenta l'esecuzione dell'obbligazione principale, anziché l'elemento costitutivo del contratto. Per la qualifi cazione del mutuo condizionato come contratto di finanziamento, Cass. 4 luglio 1983, n. 4470, Foro it., Rep. 1983, voce Tributi in genere, n.
553; 18 gennaio 1983, n. 477, ibid., voce Esecuzione forzata in genere, n. 7; 20 ottobre 1969, n. 3424, id., 1970,1, 884, con nota di richiami.
In dottrina, A. Zimatore, li mutuo di scopo, Padova, 1985, 134, e M.
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