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sezione I civile; sentenza 1° febbraio 2001, n. 1403; Pres. Baldassarre, Est. Proto, P.M. Raimondi(concl. conf.); Comune di Bolzano (Avv. Prosperi, Giambò) c. Consorzio Ars et labor e altri.Regolamento di competenza avverso Trib. Bolzano 16 dicembre 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 3 (MARZO 2001), pp. 837/838-843/844Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196463 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sarcitoria, non costituiscono reddito. Tali somme sono, pertanto, irrilevanti ai fini fiscali, previdenziali, sanitari e assistenziali ed
in nessun caso possono essere computate ... nel reddito richie
sto per la corresponsione di altri trattamenti pensionistici, per la
concessione di esoneri ovvero di benefici economici e assisten
ziali». Il testo del 2° comma dell'art. 77 cit., che, confermando le di
sposizioni dell'art. 3 d.l. n. 30 del 1974, sancisce il divieto dì cumulo tra pensione sociale e pensione di guerra (con il corret
tivo della riducibilità della prima ai sensi del 4° e 5° comma dell'art. 26 1. n. 153 del 1969), non è stato interessato dalla mo
difica introdotta dall'art. 5 1. n. 261 del 1991, che ha appunto ri guardato il solo 1° comma. Di conseguenza, resta fermo il di
vieto di cumulo della pensione sociale con la pensione di guerra
(nonché con rendite o prestazioni economiche previdenziali ed
assistenziali, previste nel n. 1 dello stesso art. 26) stabilito, in
principio, con la inequivoca dizione «non hanno diritto» conte nuta nel 3° comma dell'art. 3 d.l. 2 marzo 1974 n. 30, convertito
nella 1. 16 aprile 1974 n. 114, che, nel modificare i primi tre
commi dell'art. 26 1. n. 153 del 1969, ha ribadito un divieto già espresso nell'originaria formulazione di questa norma.
D'altra parte, la giuridica rilevanza delle pensioni di guerra non è limitata alla pensione sociale. Esse, ad esempio, hanno ef
fetto preclusivo (o riduttivo), oltre che nei casi indicati nei nn. 1
e 2 del 3° comma del ripetuto art. 26, anche riguardo allo spe ciale assegno continuativo mensile spettante ai superstiti di
grandi invalidi deceduti per cause estranee all'infortunio sul la
voro o alla malattia professionale (art. 3 1. 21 ottobre 1978 n.
641). Pertanto, con riguardo alle rendite o prestazioni economiche
previdenziali ed assistenziali e alle pensioni di guerra, indicate
nei nn. 1 e 2 del 3° comma dell'art. 26 1. n. 153 del 1969, delle
quali sia titolare l'aspirante alla pensione o assegno sociale
(come avviene nella specie, nella quale la Barone è titolare della
pensione di guerra), non si pone, propriamente, una questione di
reddito, ossia del loro computo ai fini del raggiungimento della
soglia reddituale oltre la quale la prestazione sociale non è frui
bile, dal momento che la norma stabilisce in modo espresso la
regola della non cumulabilità d'una di tali rendite, prestazioni o
pensioni, con la pensione sociale, indipendentemente da ogni limite reddituale, con il solo correttivo di cui al 4° e 5° comma
dello stesso art. 26. Questione di reddito in senso proprio si po ne invece in tutti gli altri casi, secondo la regola dettata dal 1°
comma dell'art. 26 cit., e in particolare nell'ipotesi, che non ri
corre nella specie, della pensione di guerra goduta dal coniuge
dell'aspirante alla pensione sociale, questione peraltro risolta
nel senso dell'inclusione di detta pensione nel computo del red
dito complessivo (Cass. 17 febbraio 1994, n. 1552, id., 1995, I, 249; 4 aprile 2000, n. 4131, id., Mass., 409). Sulla cumulabilità della pensione di guerra con la pensione sociale la corte, a parte le argomentazioni svolte nelle pronunce da ultimo citate, si è già
espressa negativamente anche con le sentenze 26 novembre
1999, n. 13218 (id., Rep. 1999, voce cit., n. 617), e 27 dicembre 1999, n. 14578 (ibid., n. 616); mentre è relativa alla diversa fat
tispecie della computabilità o no della pensione di guerra goduta dal coniuge dell'aspirante alla pensione sociale la sentenza 26
agosto 1993, n. 9047, cit., peraltro contraddetta dalle citate pro nunce n. 1552 del 1994 e n. 4131 del 2000.
In ogni caso è opportuno osservare che — tenuto conto del 2°
comma dell'art. 77 d.p.r. 23 dicembre 1978 n. 915, che fa salve
le disposizioni sulla pensione sociale che ne escludono la cu
mulabilità con le pensioni di guerra, secondo una previsione ri
tenuta pienamente legittima dalla Corte costituzionale, malgra do il carattere risarcitorio delle pensioni di guerra (v. sent. 15
dicembre 1980, n. 157, id., 1981, I, 589; ord. 25 maggio 1985, n. 174, id., 1985, I, 1870) — non può condividersi l'afferma zione del tribunale secondo cui la norma di cui all'art. 3 d.l. n.
30 del 1974 (che ha modificato l'art. 26 1. n. 153 del 1969) «de ve ritenersi implicitamente abrogata dall'art. 5 1. n. 261 del
1991». Infatti, l'art. 5 espressamente sostituisce il solo 1° comma
dell'art. 77 t.u. cit., non il 2°. L'art. 3 d.l. n. 30 del 1974 (con
vertito in 1. n. 114 del 1974) ha modificato l'art. 26 1. n. 153 del 1969 che detta le regole per l'attribuzione della pensione socia
le. Non può ravvisarsi abrogazione tacita, ad opera dell'art. 5,
dell'art. 26 nella parte in cui questa norma stabilisce la non cu
mulabilità delle due pensioni, perché tra le due norme non c'è
Il Foro Italiano — 2001.
contraddizione logica tale da rendere impossibile l'applicazione
contemporanea di entrambe. L'una — l'art. 5 (nuovo testo del
1° comma dell'art. 77) — estende l'ambito delle possibilità di
fruizione delle varie forme assistenziali che l'ordinamento ap
presta a tutela dei cittadini in stato di bisogno (tra le quali è da
ricomprendere la pensione sociale); l'altra — l'art. 26, come
modificato dall'art. 3 d.l. n. 30 del 1974 — pone un limite a tale
estensione, stabilendo, in via di eccezione, il divieto di cumulo
dei due benefici (e la regola secondo cui l'importo della pensio ne di guerra deve concorrere a formare il limite reddituale rile
vante ai fini di escludere il diritto alla pensione sociale). Come, invero, ha osservato la Corte costituzionale, nonostante il suo
carattere risarcitorio, «la pensione di guerra ... non cessa di co
stituire, per chi la percepisce, un elemento di quel reddito com
plessivo minimo che costituisce la soglia (progressivamente aumentata con le leggi successive a quella del 1969) al di là
della quale viene meno l'intervento assistenziale della colletti
vità che si esprime nella pensione sociale».
Non pertinente alla questione qui dibattuta è l'art. 14 septies 1. 29 febbraio 1980 n. 33 (di conversione del d.l. 30 dicembre
1979 n. 663), che concerne l'aumento dell'ammontare di talune
prestazioni assistenziali e i limiti di reddito richiesti per benefi ciarne, nonché meccanismi di rivalutazione automatica di detti
limiti. Il ricorso va quindi accolto, con il conseguente annullamento
della sentenza impugnata. Ai sensi del 1° comma dell'art. 384 c.p.c., come sostituito
dall'art. 66 1. 26 novembre 1990 n. 353, applicabile al presente
giudizio a norma dell'art. 90, 1° comma, stessa legge e succes
sive modificazioni, la corte, nelPaccogliere il ricorso, non ri
chiedendosi ulteriori accertamenti di fatto, né nuovi apprezza menti di fatti già acquisiti, decide la causa nel merito, rigettando la domanda della Barone.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 1° feb
braio 2001, n. 1403; Pres. Baldassarre, Est. Proto, P.M.
Raimondi (conci, conf.); Comune di Bolzano (Avv. Prosperi,
Giambo) c. Consorzio Ars et labor e altri. Regolamento di
competenza avverso Trib. Bolzano 16 dicembre 1999.
Arbitrato e compromesso — Arbitrato rituale — Clausola
compromissoria — Adizione del giudice ordinario — Sen
tenza d'incompetenza — Istanza di regolamento —
Inammissibilità — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 42, 43).
Avverso la sentenza con la quale il giudice ordinario si dichiara
incompetente a conoscere della domanda proposta da un co
mune contro l'impresa appaltatrice del servizio di pulizia de
gli impianti sportivi comunali, ritenendo tale domanda devo
luta alla cognizione del collegio arbitrale rituale previsto dalla clausola compromissoria inserita nel capitolato d'oneri
del contratto, non è esperibile l'istanza di regolamento di
competenza. (1)
(1-2) Entrambe le sentenze giustificano le soluzioni attinte (quella
propugnata da sez. un. 3 agosto 2000, n. 527/SU è stata ribadita più di
recente da sez. un. 5 dicembre 2000, n. 1251/SU, Foro it., Mass., 1344) alla stregua delle seguenti comuni proposizioni: a) gli arbitri rituali non
svolgono funzione sostitutiva di quella del giudice ordinario ma disim
pegnano attività privata, nell'ambito di un procedimento ontologica mente alternativo alla giurisdizione statale; b) le clausole compromisso rie e/o i compromessi per arbitrato rituale integrano gli estremi di
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PARTE PRIMA 840
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3
agosto 2000, n. 527/SU; Pres. Vela, Est. Olla, P.M. Dettori
(conci, conf.); Comune di Cinisello Balsamo (Avv. Di Majo,
Tagliarina Scalzaretto) c. Soc. Aem (Avv. Romano, Man
drioli, Greco, Moscardini). Regolamento di giurisdizione.
Arbitrato e compromesso — Arbitrato rituale — Lodo —
Giudizio d'impugnazione — Regolamento di giurisdizione — Inammissibilità — Estremi (Cod. proc. civ., art. 41, 367, 828).
È inammissibile il regolamento di giurisdizione, proposto, nel
corso del giudizio d'impugnazione per nullità di lodo arbi
trale rituale, per far dichiarare la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo in relazione alla controversia deferita
agli arbitri. (2)
rinunzie all'azione giudiziale e alla giurisdizione dello Stato; c) i con trasti sulla deferibilità ad arbitri rituali di controversie ritenute devolute alla competenza del giudice ordinario ovvero alla cognizione del giudi ce amministrativo non determinano l'insorgenza di questioni di com
petenza e/o di giurisdizione, risolubili attraverso la proposizione del re
golamento di competenza e/o di quello di giurisdizione, ma solo la pro spettazione di questioni di merito. Cass. n. 1403 del 2001 aggiunge, poi, l'ulteriore rilievo che il regolamento (necessario o facoltativo) di
competenza è un mezzo processuale esperibile limitatamente alle que stioni di competenza riconducibili allo schema di cui all'art. 38 del co dice di rito.
Ciò posto, l'affermazione riassunta nella prima massima, si pone in netto (e, ormai, definitivo) contrasto con l'opposto orientamento
(espresso, fra le più recenti, da Cass. 8 febbraio 1999, n. 1079, id., 2000, I, 2307, con nota di F. De Santis), secondo cui la dichiarazione di incompetenza del giudice ordinario a conoscere di controversia de voluta alla cognizione di arbitri rituali, ove disgiunta da ulteriori statui
zioni, è impugnabile solo con il regolamento necessario di competenza (tesi, quest'ultima, non condivisa, di recente, in dottrina, da Punzi, Di
segno sistematico dell'arbitrato, Padova, 2000, II, 262 s., favorevole invece ali'esperibilità del regolamento facoltativo di cui all'art. 43
c.p.c.; adde, comunque, con riferimento all'inesperibilità del rimedio de quo avverso la determinazione arbitrale sospensiva, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., del relativo procedimento, Cass. 4 luglio 2000, n. 8936, che sarà riportata in un prossimo fascicolo).
I rilievi dianzi riprodotti sub a), b) e c) (comunque ancorati alla di
sciplina della 1. n. 25 del 1994), opportunamente integrati dalla pur ri cordata ulteriore enunciazione di Cass. n. 1403 del 2001, consentono di affermare, altresì, che le or riprodotte più recenti acquisizioni della corte appaiono idonee (e sufficienti) a mettere in crisi anche ulteriori
precedenti enunciazioni giurisprudenziali. Vengono, a tal fine, in rilie vo, per un verso, le determinazioni di Cass. 3 settembre 1998, n. 8739, Foro it., 1998,1, 2761, con nota di richiami, per la quale la sentenza di chiarativa della nullità di lodo arbitrale rituale, reso a conclusione di
procedimento instaurato oltre il termine stabilito dalla clausola com
promissoria, è pronuncia sulla competenza, impugnabile, in mancanza di norma derogatoria, esclusivamente con il regolamento necessario
previsto dall'art. 42 c.p.c., e, per altro verso, le successive propalazioni di Cass. 15 settembre 2000, n. 12175, id., Mass., 1103. Secondo tale
pronuncia, espressamente uniformatasi in parte qua alla or menzionata Cass. n. 8739 del 1998, sebbene resa dopo la pubblicazione della ri
portata sez. un. 3 agosto 2000, n. 527/SU, la dichiarazione di nullità del lodo per inesistenza, invalidità o inefficacia della clausola arbitrale co stituisce pronuncia sulla competenza (poiché si risolve nel rilievo che l'arbitro era privo del potere di esercitare la funzione sostitutiva dei
giudice ordinario), e, in quanto tale, è impugnabile solo con il regola mento necessario di competenza.
Quanto all'affermazione riassunta nella seconda massima, giustifi cata da sez. un. n. 527/SU del 2000 (riprodotta in Corriere giur., 2001, 51, con note di Ruffini e Marinelli) pure con la considerazione che l'attribuzione al lodo, a posteriori, degli effetti propri della sentenza non può incidere sulla sua configurazione quale atto negoziale ma può essere intesa solo quale attribuzione quoad ejfectum che lascia inalte rata la natura originaria, è appena il caso di avvertire che la stessa (af fermazione) costituisce la conclusione di iter motivazionale, lineare ed informato. Ai precedenti richiamati dalle sezioni unite si possono, co
munque, aggiungere, a proposito del rapporto tra controversie deferite alla cognizione arbitrale e materie devolute alla giurisdizione del giudi ce amministrativo, Cass. 12 luglio 1995, n. 7643, Foro it., Rep. 1995, voce Arbitrato, n. 72, e 24 maggio 1995, n. 5690, ibid., voce Giurisdi zione civile, n. 134; nonché, in dottrina, Fadda-Iasiello, Arbitrato e
giurisdizione amministrativa, in L'arbitrato, profili sostanziali, rasse gna coordinata da G. Alpa, Torino, 1999, 1, 300 ss.
Merita, infine, di essere ricordata, perché resa dopo la qui riprodotta sez. un. n. 527/SU, sez. un. 15 dicembre 2000, n. 1262/SU, Foro it.,
Il Foro Italiano — 2001.
I
Fatto. — Con atto di citazione del 7 novembre 1997 il comu
ne di Bolzano convenne in giudizio davanti al tribunale il Con
sorzio Ars et labor-imprese di servizi, e ne chiese la condanna al
risarcimento dei danni (in lire 61.103.475, oltre agli accessori), subiti per effetto del recesso del convenuto dal contratto di ap
palto per la pulizia degli impianti sportivi della città (affidata al consorzio a seguito di aggiudicazione), e della conseguente ri
aggiudicazione ad altra impresa a prezzo maggiorato. Il consorzio si costituì e nella comparsa di risposta eccepì, in
via preliminare, l'incompetenza del tribunale adito, dovendosi
ritenere competente il collegio arbitrale ai sensi dell'art. 18 del
capitolato d'appalto. Nel merito, chiese la chiamata in causa di
due funzionari del comune, i sig.ri Ezio Rossi De Mio e Cinzia
Gobbato, per essere manlevato in caso di soccombenza. E pro
pose domanda riconvenzionale di danni.
I chiamati si costituirono, contestando le pretese avanzate nei
loro confronti.
Con sentenza depositata il 16 dicembre 1999 il Tribunale di
Bolzano, in composizione monocratica, dichiarò la propria in
competenza, in base alla clausola compromissoria per arbitrato
rituale prevista dall'art. 18 del capitolato d'oneri relativo al ser
vizio di pulizia, che rimetteva la soluzione delle controversie
eventualmente insorte tra amministrazione e aggiudicatario ad
un collegio arbitrale.
Avverso questa sentenza il comune di Bolzano ha proposto
regolamento di competenza. Le parti intimate non hanno svolto
attività difensiva. Il pubblico ministero ha concluso per la
inammissibilità del ricorso. Il ricorrente ha depositato memorie.
Diritto. — (Omissis). Il ricorso è inammissibile. Secondo il tradizionale orientamento di questa corte in mate
ria di arbitrato rituale, la questione se una controversia sia de
voluta alla cognizione del giudice ordinario o a quella degli ar
bitri, si configura come questione di competenza, in quanto, se è
vero che questa attiene alla ripartizione della potestà giurisdi zionale fra organi dell'autorità giudiziaria, la funzione dell'ar
bitro si pone accanto alla funzione del giudice come sostitutiva di essa. Per le stesse ragioni, integra una questione di giurisdi zione stabilire se la controversia devoluta agli arbitri appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario (o a quella sostitutiva dell'arbitro) ovvero a quella dal giudice amministra
tivo (cfr. Cass. 4 luglio 1981, n. 4360, Foro it., 1981, I, 1860, e 20 maggio 1997, n. 4474, id., Rep. 1998, voce Arbitrato, n.
102). Questo orientamento, basato sul convogliamento dell'arbi
trato nell'ambito del giudizio ordinario mediante l'impugnazio ne del lodo (art. 827 c.p.c.) ed il suo controllo giurisdizionale in
sede di omologazione (art. 825 c.p.c.), deve essere, tuttavia, ri considerato alla luce dei nuovi principi introdotti dalla 1. 5 gen naio 1994 n. 25, che ha riformato l'arbitrato rituale.
Come hanno sottolineato, di recente, in tema di regolamento di giurisdizione, le sezioni unite (Cass. 3 agosto 2000, n.
527/SU, in questo fascicolo, I, 839), riprendendo tesi già espresse dalla stessa corte (Cass., ord. 26 aprile 1996, n. 377, id., Rep. 1997, voce cit., n. 108; 24 maggio 1995, n. 5690, id., Rep. 1995, voce Giurisdizione civile, n. 134; 14 gennaio 1999, n. 345, id., 1999, I, 1089), le modifiche apportate agli art. 825, 826, 827, 828, 829, 830 e 831 c.p.c., con l'eliminazione anche del nomen di sentenza arbitrale, che nel testo originario del codice di rito era attribuito al lodo, portano a superare ogni dubbio sulla natu ra del dictum arbitrale quale atto di autonomia privata, i cui ef fetti di accertamento conseguono ad un giudizio compiuto da un
soggetto il cui potere ripete la fonte nell'investitura conferitagli dalle parti.
Dalla natura privata dell'arbitrato rituale e dal dictum che lo
definisce, discende, coerentemente, che gli arbitri non svolgono una forma sostitutiva della giurisdizione e che essi, pertanto, non sono configurabili come organi giurisdizionali dello Stato.
Mass. 1345, per la quale, poiché il lodo arbitrale è un atto di autonomia
privata i cui effetti di accertamento conseguono ad un giudizio com
piuto da un soggetto il cui potere ha fonte nell'investitura delle parti, la pronuncia arbitrale attributiva della cognizione della controversia al
giudice amministrativo non preclude la proposizione del regolamento di giurisdizione per contestare la cognizione del Tar, avanti il quale sia stato successivamente introdotto il giudizio. [C.M. Barone]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La concezione della natura privata dell'arbitro porta, quindi, a qualificare il procedimento arbitrale come ontologicamente alternativo alla giurisdizione statuale e la devoluzione della
controversia ad arbitri quale rinuncia all'azione giudiziaria ed
alla giurisdizione dello Stato. Correlativamente, il compromesso si pone quale patto di deroga della giurisdizione.
Gli enunciati principi escludono, in conclusione, che possa
configurarsi una questione di competenza tra i giudici statali e
quelli arbitrali, perché il contrasto sulla non deferibilità agli ar
bitri di una determinata controversia è da considerare non già una questione di competenza, bensì di merito, in quanto diret
tamente inerente alla validità o all'interpretazione del compro messo o della clausola compromissoria.
È, dunque, escluso che la questione prospettata dalla ricor
rente possa essere proposta col regolamento (necessario o fa
coltativo) di competenza, che è un mezzo processuale esperibile limitatamente alle questioni di competenza riconducibili allo
schema di cui all'art. 38 del codice di rito.
Pertanto, in linea con le conclusioni adottate dal pubblico mi
nistero, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
II
Motivi della decisione. — 1. - L'istanza per regolamento di
giurisdizione proposta dal comune di Cinisello Balsamo pone, in via pregiudiziale, la questione (sollevata formalmente dalla
controricorrente, ma in ogni caso rilevabile d'ufficio) dell'espe ribilità dell'istituto previsto dall'art. 41 c.p.c. nel corso del giu dizio di impugnazione per nullità di un lodo arbitrale ai sensi
degli art. 828 ed 829 c.p.c. In ordine a tale problema
— ed in applicazione della discipli na originaria dell'arbitrato, anteriore alle riforme del 1983 e del
1994 — questa corte aveva affermato che dalla natura giurisdi
zionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario del
l'attività degli arbitri (i cui poteri decisori, perciò, si pongono su
un piano sostitutivo di quelli del giudice ordinario, ed il cui lo
do, una volta reso esecutivo dal pretore, equivale ad una senten
za avente efficacia esecutiva) consegue che lo stabilire se una
controversia appartenga alla competenza giurisdizionale del
giudice ordinario — e in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali — ovvero a quella del giudice amministrativo con
figura una questione di giurisdizione, essendo analoga quella inerente al riparto di attribuzioni fra giudice ordinario e giudice amministrativo (cfr. Cass., sez. un., 4 luglio 1981, n. 4360, Foro
it., 1981,1, 1860, e 12 ottobre 1983, n. 5922, id., Rep. 1983, vo ce Giurisdizione civile, n. 17) ma che, ciononostante, la que stione di difetto di giurisdizione degli arbitri per essere la do
manda devoluta alla cognizione del giudice amministrativo non
è proponibile con istanza di regolamento di giurisdizione, né in
corso di giudizio arbitrale, atteso che tale regolamento postula un procedimento davanti agli organi giurisdizionali dello Stato,
né in pendenza dell'impugnazione per nullità del lodo arbitrale,
tenuto conto che il lodo stesso, dopo il decreto di esecutività del
pretore, integra un provvedimento giurisdizionale, e detta impu
gnazione per nullità configura una fase di secondo grado del
processo sia pure limitata alla denuncia di determinati vizi, sic
ché l'esperibilità del regolamento trova ostacolo nell'esistenza
di una decisione nel merito in primo grado (Cass., sez. un., 10
dicembre 1981, n. 6530, id., Rep. 1981, voce cit., n. 283; 10 di
cembre 1981, n. 6532, id., 1982, I, 404; ord. 5 dicembre 1985,
n. 680, id., Rep. 1985, voce cit., n. 115). La ricorrente dà atto dell'esistenza di siffatto orientamento,
ma nega che possa essere mantenuto fermo dopo la riforma del
regime dell'arbitrato rituale fissata dalla 1. 5 gennaio 1994 n. 25,
quanto meno in ordine alla conclusione circa l'inammissibilità
del regolamento preventivo nel corso del giudizio di impugna zione per nullità del lodo arbitrale. Ciò per la ragione che, in
virtù del regime introdotto da quella novella, per un verso, il lo
do non assume la natura di decisione di merito da parte di un
organo giurisdizionale dello Stato od assimilabile ad un siffatto
organo; e, per altro verso, l'impugnazione per nullità del lodo si
struttura quale «primo concreto grado di giudizio davanti ad un
organo giurisdizionale dello Stato», con la conseguenza, perciò, della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 41 c.p.c.
2. - Il principio della non esperibilità del regolamento di giu
risdizione, oltre nel corso del procedimento arbitrale, anche in
Il Foro Italiano — 2001.
pendenza del giudizio di impugnazione per nullità deve essere
mantenuto fermo anche dopo la riforma dell'arbitrato di cui alla
1. 5 gennaio 1994 n. 25, sia pure per ragioni diverse, ed addirit
tura antinomiche, rispetto a quelle poste a base dell'orienta
mento giurisprudenziale avanti richiamato.
3.1. - Queste sezioni unite hanno già affermato che le «modi
fiche apportate [dalla novella del 1994] agli art. 825, 826, 827,
828, 829, 830 e 831 c.p.c. con l'eliminazione anche del nomen
di sentenza arbitrale, che nel testo originario del codice, era at
tribuito al lodo dopo l'emanazione del decreto pretorile che lo
dichiara esecutivo, sono sufficienti a cancellare ogni dubbio
sulla natura del dictum arbitrale che è, e resta, un atto di auto
nomia privata, i cui effetti di accertamento conseguono ad un
giudizio compiuto da un soggetto il cui potere ha fonte nell'in
vestitura conferitagli dalle parti»; e che, di conseguenza, si deve
escludere che si possa parlare di arbitri come di organi giurisdi zionali dello Stato, e, addirittura, di «organi giurisdizionali» (v. sent. 24 maggio 1995, n. 5690, id., Rep. 1995, voce cit., n. 134, e ord. 26 aprile 1996, n. 377, id., Rep. 1997, voce Arbitrato, n.
108). Alla medesima conclusione è pervenuta anche la prima sezio
ne civile di questa corte, secondo la quale, la nuova normativa
ha riconosciuto il c.d. diritto naturale dell'arbitrato, cioè una
giustizia cognitiva privata che si estrinseca in un dictum di uno
o più privati, che non siano giudici, reso su richiesta di entram
be le parti, al termine di un procedimento in cui gli arbitri risol
vono la controversia mediante una regolamentazione negoziale
degli interessi in conflitto: in tal modo, il giudizio arbitrale, non
dotato di ius imperii, ma basato solo sul consenso delle parti è
divenuto autonomo rispetto al giudizio civile ordinario (Cass. 14 gennaio 1999, n. 345, id., 1999,1, 1089).
Dunque, l'orientamento di questa corte è nel senso — coinci
dente con quello accolto dalla prevalente dottrina — della natu
ra privata dell'arbitrato rituale e del dictum che lo definisce.
3.2. - Siffatta opzione ricostruttiva della natura dell'arbitrato
non è resistita dagli argomenti sviluppati dalla dottrina minori
taria a sostegno dell'opposta concezione sulla natura giurisdi zionale dell'arbitrato e del lodo.
a) La presenza, nel lodo, degli elementi costitutivi ed ontolo
gici della «sentenza» pronunciata dagli organi giurisdizionali dello Stato non è idonea a dimostrarne la natura giurisdizionale,
per l'assorbente ragione che il nostro ordinamento positivo ri
conosce la validità di forme di composizione delle controversie
che si realizzano attraverso atti negoziali comportanti sia un
«accertamento» che una declaratoria delle conseguenti obbliga zioni delle parti.
b) La constatazione che la legge fissa in modo analitico il re
gime formale del procedimento arbitrale e del lodo, può solo
dimostrare che l'ordinamento positivo ha «processualizzato» il
procedimento arbitrale, ma non anche che lo ha «giurisdiziona lizzato».
c) Il rilievo che, per legge, il lodo è dotato (secondo alcuni
autori, in ogni caso, e secondo altri solo ove omologato con il
provvedimento ex art. 825 c.p.c. o per effetto di una situazione
giuridica equipollente) di tutti o di taluno degli effetti della
sentenza pronunciata dai giudici dello Stato, non è determinante
ai fini della soluzione del problema sulla natura dell'arbitrato.
Come osserva anche la dottrina pressoché unanime, l'attribu
zione al lodo, a posteriori, di effetti propri della sentenza non
può incidere sulla sua configurazione quale atto negoziale e, a
fortiori, sulla costruzione del giudizio arbitrale quale giudizio
privato; e può essere intesa solo quale attribuzione quoad ef
fectum che lascia inalterata la natura originaria. Del resto, sulla non pertinenza del dato ai fini della soluzione
del problema aveva convenuto anche il giudice delle leggi, addi
rittura in relazione al regime anteriore alle novelle del 1983 e
del 1994, allorché aveva osservato che «il decreto pretorile [ex
art. 825 c.p.c.] conferisce al lodo l'efficacia e non la natura di
sentenza, in modo che manca nell'arbitro il potere di produrre atti sostanzialmente identici a quelli pronunciati dalla potestà del giudice» (Corte cost. 12 febbraio 1963, n. 2, id., 1963, I, 397).
3.3. - Si deve ribadire, allora, il più recente orientamento di
questa corte circa la natura privata dell'arbitrato.
4. - Siffatta natura esclude la configurabilità del processo ar
bitrale come affidamento agli arbitri di una frazione di quello stesso potere giurisdizionale che la legge attribuisce al giudice
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PARTE PRIMA 844
dello Stato, e come forma sostitutiva della giurisdizione degli
organi dello Stato.
Infatti, la connotazione qui disconosciuta è inscindibilmente
collegata alla natura giurisdizionale dell'arbitrato; ed è ben per
questo che nella meno recente giurisprudenza di questa corte
detta configurazione era stata giustificata proprio, ed unica
mente, su quel presupposto (v. Cass. 4 luglio 1981, n. 4360,
cit.). La concezione sulla natura privata dell'arbitrato, invece,
porta a qualificare il procedimento arbitrale come ontologica mente alternativo alla giurisdizione statuale, una volta che si
fonda sul consenso delle parti, e che la decisione proviene da
soggetti privati radicalmente carenti di potestà giurisdizionale di
imperio. Vale a dire che il giudizio arbitrale è antitetico a quello
giurisdizionale e ne costituisce la negazione. Correlativamente, la devoluzione della controversia ad arbitri
si configura quale rinuncia all'azione giudiziaria ed alla giuris dizione dello Stato, nonché quale manifestazione d'una opzione
per la soluzione della controversia sul piano privatistico, secon
do il dictum di soggetti privati. Da ciò, la puntuale identifica
zione, in dottrina, del compromesso quale patto di deroga della
giurisdizione. 5. - Ciò esclude, necessariamente, che la questione avente ad
oggetto la deferibilità ad arbitri di una controversia che l'ordi
namento positivo attribuisce alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, determini l'insorgere di una questione di riparto di giurisdizione tra giudici ordinari e speciali dello Stato. D'altra parte, l'opposta qualificazione si giustificava, ed
era stata giustificata, unicamente col postulato (come s'è detto
non più condivisibile) della natura giurisdizionale dell'istituto
dell'arbitrato.
Nella stessa prospettiva, poi, si deve anche escludere che la
contestazione, nel corso del giudizio arbitrale, della capacità
degli arbitri di conoscere una controversia per essere la stessa
devoluta alla giurisdizione (di legittimità od esclusiva) del giu dice amministrativo, possa essere qualificata quale questione di
giurisdizione in senso proprio e, ove accolta, determini il difetto
della giurisdizione, in senso tecnico-giuridico, degli arbitri, una
volta che, come s'è detto, questi non esercitano funzioni giuris dizionali, né sono giudici.
Quella contestazione, invero, si configura quale eccezione di
nullità del compromesso (o della clausola compromissoria) e del
patto derogatorio della giurisdizione consacrato in questi atti, a
cagione della non deferibilità ad arbitri della controversia: dun
que, quale questione di merito.
In realtà, la stessa legge articola il regime processuale del
l'arbitrato in funzione del presupposto dell'inconfigurabilità —
essenziale e strutturale — sia di un difetto di giurisdizione in
senso proprio degli arbitri e sia, correlativamente, di una que stione di giurisdizione in senso tecnico nell'ambito del giudizio arbitrale. L'art. 829 c.p.c. non prevede quale distinto motivo di
impugnazione di nullità del lodo il «difetto della giurisdizione» degli arbitri o la violazione delle regole in tema di «giurisdizio ne», e in tal modo ricomprende tra le questioni di nullità del
compromesso di cui al n. 1, quelle riguardanti la carenza del
potere degli arbitri di decidere per essere la controversia devo luta in modo non derogabile ai giudici dello Stato: ebbene, co me è evidente, la ragione di siffatto regime non può che consi stere nella ritenuta antinomia tra questione di giurisdizione in senso tecnico e arbitrato anche rituale. Questo dato positivo, perciò, non solo conforta, ma addirittura impone, la conclusione avanti enunciata.
Si tratta, peraltro, di una conclusione non nuova nella giuris prudenza di questa corte.
Era stata affermata in modo espresso nelle risalenti sentenze 21 dicembre 1945, n. 843 (id., Rep. 1943-45, voce Arbitramen to, nn. 9, 10) e 18 agosto 1949, n. 2355 (id., Rep. 1949, voce cit., n. 24).
Costituisce, poi, l'antecedente logico-giuridico indefettibile della soluzione data — nelle sentenze 3 aprile 2000, n. 88/SU
(id., 2001, I, 206) e 10 agosto 1999, n. 580/SU (id., 2000, I, 1187) — al quesito relativo all'applicabilità, nel corso di un ar bitrato avente ad oggetto una controversia in tema di concessio ne in materia di lavori pubblici, dello ius superveniens, costi tuito dall'art. 31 bis, 4° e 5° comma, 1. 14 febbraio 1994 n. 109 introdotto dall'art. 9 d.l. 9 aprile 1995 n. 105, convertito in 1. 2
giugno 1995 n. 218, per i quali, rispettivamente, «ai fini della
Il Foro Italiano — 2001.
tutela giurisdizionale, le concessioni in materia di lavori pubbli ci sono equiparate agli appalti», e «le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle controversie relative ai lavori
appaltati o concessi anteriormente alla data d'entrata in vigore della presente legge». Infatti, la ragione della soluzione affer
mativa è stata individuata nella constatazione che quelle dispo sizioni si strutturano quale precetto normativo sanante — ex
tunc, e dunque con efficacia retroattiva — l'originaria nullità
della clausola compromissoria, commessa alla devoluzione al
giudice amministrativo delle controversie in materia di conces
sione di sola costruzione e alla sua conseguente non deferibilità
agli arbitri. Ora, siffatta ratio decidendi si riallaccia al postulato che nell'ambito dell'arbitrato non sia configurabile una questio ne di giurisdizione degli arbitri: il quesito, altrimenti, sarebbe stato risolto alla stregua del principio processuale, desunto dalla
finalità della disciplina di cui all'art. 5 c.p.c., secondo cui la re
gola della perpetuano iurisdictionis non opera quando il giudice difetti di giurisdizione al momento della proposizione della do
manda, e tale difetto sia venuto meno nel corso del giudizio, con
la conseguenza che, in tal caso, deve trovare applicazione la
nuova disciplina in tema di giurisdizione. 6. - E principio, allora, che il contrasto sulla non deferibilità
agli arbitri di una controversia per essere questa devoluta, per
legge, alla giurisdizione (di legittimità od esclusiva) dell'auto rità giudiziaria amministrativa costituisce questione, non già di
«giurisdizione» in senso tecnico, ma di merito, in quanto diret tamente inerente alla validità del compromesso o della clausola
compromissoria. Rimane automaticamente escluso di conseguenza, che siffatta
questione possa essere proposta con il regolamento di giurisdi zione di cui all'art. 41 c.p.c., essendo, questo, un mezzo proces suale che — stante anche la sua natura straordinaria ed eccezio
nale — può essere esperito con limitato riferimento alle que
stioni di giurisdizione (in senso tecnico-giuridico) riconducibili al paradigma di cui all'art. 37 c.p.c.
Siffatta preclusione sussiste, inoltre, non solo nell'ambito del
processo arbitrale ma, altresì, nell'ambito del giudizio di impu
gnazione di nullità ex art. 828 c.p.c. Per vero, la devoluzione
della pronuncia arbitrale al giudice ordinario non immuta i li
miti oggettivi e la natura della questione quali si configurano in
sede arbitrale; ed il thema decidendum demandato al giudice or
dinario rimane sempre circoscritto all'accertamento della vali
dità del patto derogatorio della giurisdizione e, dunque, all'esa
me di una questione di merito.
Ne discende direttamente l'inammissibilità del regolamento
preventivo di giurisdizione col quale venga sollevata la questio ne della non compromettibilità in arbitri di una controversia per essere la stessa devoluta alla cognizione del giudice ammini
strativo, non solo se il regolamento sia proposto nel corso del
giudizio arbitrale, ma anche se proposto in pendenza del giudi zio di impugnazione per nullità. Di fronte all'enunciata ragione dell'inammissibilità del regolamento diventa irrilevante proce dere allo scrutinio della tematica circa l'attuale natura e regime del giudizio di impugnazione per nullità del lodo, al fine di ac certare se — come sostiene il ricorrente — a seguito della no vella del 1994, si strutturi quale «primo concreto grado del giu dizio davanti ad un organo giurisdizionale dello Stato», e, in
quanto tale, non ostativo all'esperimento dello strumento pro cessuale di cui all'art. 41 c.p.c. Ciò, pertanto, esime dalla relati va indagine.
7. - Dai principi accolti consegue l'inammissibilità del rego lamento preventivo di giurisdizione introdotto dal comune di
Cinisello Balsamo, in quanto proposto nella pendenza di un
giudizio di impugnazione per nullità di un lodo arbitrale. Ovviamente, la relativa declaratoria preclude l'indagine sul
merito della questione sollevata dall'amministrazione istante.
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