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sezione I civile; sentenza 10 luglio 1999, n. 7276; Pres. Carbone, Est. Proto, P.M. Nardi (concl....

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sezione I civile; sentenza 10 luglio 1999, n. 7276; Pres. Carbone, Est. Proto, P.M. Nardi (concl. conf.); Proc. gen. App. Torino c. Palmisano e altri. Cassa senza rinvio App. Torino 7 novembre 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 9 (SETTEMBRE 1999), pp. 2503/2504-2507/2508 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193616 . Accessed: 28/06/2014 15:33 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.184 on Sat, 28 Jun 2014 15:33:51 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 10 luglio 1999, n. 7276; Pres. Carbone, Est. Proto, P.M. Nardi (concl.conf.); Proc. gen. App. Torino c. Palmisano e altri. Cassa senza rinvio App. Torino 7 novembre1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 9 (SETTEMBRE 1999), pp. 2503/2504-2507/2508Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193616 .

Accessed: 28/06/2014 15:33

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2503 PARTE PRIMA 2504

differentemente un interesse tutelato nelle forme del diritto sog

gettivo (assoluto o relativo), ovvero nelle forme dell'interesse

legittimo (quando, cioè, questo risulti funzionale alla protezio ne di un determinato bene della vita, poiché è la lesione dell'in

teresse al bene che rileva ai fini in esame), o altro interesse

(non elevato ad oggetto di immediata tutela, ma) giuridicamen te rilevante (in quanto preso in considerazione dall'ordinamen

to a fini diversi da quelli risarcitori, e quindi non riconducibile

a mero interesse di fatto);

c) dovrà inoltre accertare, sotto il profilo causale, facendo

applicazione dei noti criteri generali, se l'evento dannoso sia

riferibile ad una condotta (positiva o omissiva) della pubblica

amministrazione;

d) provvederà, infine, a stabilire se il detto evento dannoso

sia imputabile a dolo o colpa della pubblica amministrazione;

la colpa (unitamente al dolo) costituisce infatti componente es

senziale della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art.

2043 c.c.; e non sarà invocabile, ai fini dell'accertamento della

colpa, il principio secondo il quale la colpa della struttura pub blica sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione volontaria di atto

amministrativo illegittimo, poiché tale principio, enunciato dal

la giurisprudenza di questa Suprema corte con riferimento all'i

potesi di attività illecita, per lesione di un diritto soggettivo,

secondo la tradizionale interpretazione dell'art. 2043 c.c. (sent.

884/61, id., 1961, I, 1900; 814/67, id., Rep. 1967, voce cit., n. 130; 16/78, id., Rep. 1978, voce cit., n. 84; 5361/84, id.,

1985, I, 2358; 3293/94, id., 1995, I, 1943; 6542/95, cit.), non è conciliabile con la più ampia lettura della suindicata disposi

zione, svincolata dalla lesione di un diritto soggettivo; l'imputa zione non potrà quindi avvenire sulla base del mero dato obiet

tivo della illegittimità dell'azione amministrativa, ma il giudice ordinario dovrà svolgere una più penetrante indagine, non limi

tata al solo accertamento dell'illegittimità del provvedimento in

relazione alla normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche

alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da ri

ferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della pub blica amministrazione intesa come apparato (in tal senso, v.

sent. 5883/91, id., 1992, I, 453) che sarà configurabile nel caso

in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo del

l'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle re

gole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione

alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità.

Rispetto al giudizio che, nei termini suindicati, può svolgersi davanti al giudice ordinario, non sembra ravvisabile la necessa

ria pregiudizialità del giudizio di annullamento. Questa è stata

infatti in passato costantemente affermata per l'evidente ragio ne che solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto

soggettivo, e quindi all'accesso alla tutela risarcitoria ex art.

2043 c.c., riservata ai soli diritti soggettivi, e non può quindi trovare conferma alla stregua del nuovo orientamento, che svin

cola la responsabilità aquiliana dal necessario riferimento alla

lesione di un diritto soggettivo. E l'autonomia tra le due giuris dizioni risulta ancor più netta ove si consideri il diverso ambito

dei giudizi, ed in particolare l'applicazione, da parte del giudice

ordinario, ai fini di cui all'art. 2043 c.c., di un criterio di impu tazione della responsabilità non correlato alla mera illegittimità del provvedimento, bensì ad una più complessa valutazione, este

sa all'accertamento della colpa, dell'azione amministrativa de

nunciata come fonte di danno ingiusto.

Qualora (in relazione ad un giudizio in corso) l'illegittimità dell'azione amministrativa (a differenza di quanto è avvenuto

nel procedimento in esame) non sia stata previamente accertata

e dichiarata dal giudice amministrativo, il giudice ordinario ben potrà quindi svolgere tale accertamento al fine di ritenere o me

no sussistente l'illecito, poiché l'illegittimità dell'azione ammi

nistrativa costituisce uno degli elementi costitutivi della fattispe cie di cui all'art. 2043 c.c.

12. - Esula dall'oggetto del presente giudizio vagliare la coe

renza degli affermati principi in relazione alle controversie in

staurate a partire dal 1° luglio 1998, ma non può non rilevarsi,

per completezza di esame, che la realizzata concentrazione da

vanti al giudice amministrativo della giurisdizione piena (di an

nullamento e di risarcimento) nelle materie attribuite alla giuris dizione esclusiva del detto giudice (sia essa «nuova» o «vec

chia», poiché la coerenza del sistema indurrebbe a ritenere che

Il Foro Italiano — 1999.

la tutela risarcitoria sia erogabile dal giudice amministrativo in

entrambi i casi, superando il limite della lettera dell'art. 35,

1°, 4° e 5° comma) risolve in radice il problema di cui si è

finora discusso.

Qualora, peraltro, la fattispecie produttiva di danno sia in

sorta nell'ambito di materia non attribuita alla giurisdizione esclu

siva del giudice amministrativo, dovrebbe ritenersi applicabile il principio affermato in riferimento ai giudizi pendenti, anche

per quanto concerne l'accertamento diretto, da parte del giudi

ce ordinario, dell'illegittimità dell'atto amministrativo quale ele

mento costitutivo della fattispecie dell'illecito civile nei sensi de

finiti dalla presente decisione, così realizzandosi anche su tale

versante una sorta di concentrazione di tutela (come del resto

espressamente prevede l'art. 68, 1° comma, d.leg. n. 29 del 1993,

nel testo sostituito dall'art. 29, 1° comma, d.leg. n. 80 del 1998,

per la materia del lavoro). Si tratta, tuttavia, con ogni evidenza, di questione che riguar

da una disciplina ancora in evoluzione (risulta alla corte che

è all'esame del parlamento un disegno di legge, n. 2934 del se

nato, recante disposizioni in materia di giustizia amministrati

va, che sembra volto ad ampliare i poteri di tutela risarcitoria

del giudice amministrativo), e comunque meritevole di appro

fondimento, sulla quale queste sezioni unite si riservano di in

tervenire non appena se ne presenterà l'occasione.

13. - In conclusione, il ricorso per regolamento di giurisdizio ne va dichiarato inammissibile: la questione con esso proposta, alla stregua delle suesposte considerazioni, non configura que stione di giurisdizione, bensì questione di merito.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 luglio 1999, n. 7276; Pres. Carbone, Est. Proto, P.M. Nardi (conci,

conf.); Proc. gen. App. Torino c. Palmisano e altri. Cassa

senza rinvio App. Torino 7 novembre 1997.

Matrimonio — Matrimonio concordatario — Dispensa «super rato» — Delibabilità — Esclusione (L. 25 marzo 1985 n. 121, ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addiziona

le, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modifi

cazioni al concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra

la Repubblica italiana e la Santa Sede: accordo, art. 8; 1. 31

maggio 1995 n. 218, riforma del sistema italiano di diritto

internazionale privato, art. 64, 67).

Il rescritto pontificio di dispensa super rato, del quale il nuovo

accordo tra lo Stato e la Santa Sede non prevede più la possi bilità di riconoscimento nell'ordinamento italiano, non ha na

tura giurisdizionale e pertanto non può essere oggetto di deli

bazione neppure quale sentenza straniera. (1)

(1) «L'annullamento da parte della Chiesa del matrimonio non con sumato non avrà più valore per lo Stato italiano». Così esordiva l'arti colo del Corriere della Sera del 13 luglio 1999 (p. 16), dal titolo «Nulle le dispense sulle nozze bianche», nel quale si dava notizia, con ampio risalto, della sentenza in epigrafe. E lo stesso giorno il quotidiano La

Repubblica, nelle brevi di cronaca, commentava la medesima decisione come segue: «La Cassazione, per la prima volta, mette una pietra tom bale sull'efficacia delle dispense pontificie (. . .). D'ora in avanti, dun

que, i giudici italiani dovranno dichiarare 'improponibile' la pretesa di 'far valere agli effetti civili la causa di scioglimento del matrimonio

canonico, che non ha più tutela giudiziale'». Il lettore non addetto ai lavori, dunque, poteva essere indotto a cre

dere di trovarsi in presenza di una pronuncia in qualche modo innovati

va, se non proprio rivoluzionaria. Vero è, invece, giusto al contrario, che, dopo la sentenza con cui

la Corte costituzionale, già nel 1982, aveva dichiarato illegittime, per violazione del «principio supremo della garanzia del diritto alla tutela

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — 1. - Con ricorso depositato il

14 maggio 1997 la sig. Magda Palmisano chiese alla Corte d'ap

pello di Torino, ai sensi dell'art. 67 1. n. 218 del 1995, di dichia rare efficace il rescritto 27 ottobre 1996 del Tribunale ecclesia

stico regionale piemontese, avente per oggetto la dispensa pon tificia del matrimonio rato et non consummato, celebrato tra

la ricorrente ed il sig. Marco Bruno di Torino in data 9 luglio 1994. Precisò che l'ufficiale di stato civile di quel comune aveva

rifiutato la richiesta di trascrizione del provvedimento, a segui to del parere negativo espresso dal procuratore della repubblica di Torino.

2. - Il 15 luglio 1997 il collegio rilevò la necessità che il proce dimento si svolgesse in via contenziosa, e, fissando l'udienza

del 21 ottobre 1997, dispose la notifica del ricorso, nella forma

dell'atto di citazione, al Bruno ed all'ufficiale di stato civile

del comune.

All'udienza comparve la sola parte attrice, che insistette nella

richiesta di trascrizione del rescritto. Il procuratore generale chiese

il rigetto della domanda.

3. - Con sentenza depositata il 7 novembre 1997 la corte di

chiarò efficace nella Repubblica italiana la bolla di scioglimento del matrimonio rato e non consumato data in Roma il 27 otto

bre 1996, relativa al matrimonio contratto con rito concordata

rio dalla Palmisano e dal Bruno in Torino il 9 luglio 1994 e

trascritto nei registri degli atti di matrimonio del comune di

Torino al n. 67, parte II, serie A dell'anno 1994.

La corte, affermata la propria competenza territoriale a deci

dere sulla domanda di delibazione proposta, osservò che, men

tre per le sentenze ecclesiastiche vere e proprie era operante la

disciplina concordataria, alla fattispecie era applicabile l'art. 797

c.p.c., in quanto il rescritto pontificio di dispensa da matrimo

nio rato et non consummato, quale atto di natura giudiziaria, era equiparabile ad una sentenza straniera. Rilevò, inoltre, che

il problema del controllo relativo all'osservanza o meno del con

traddittorio nel procedimento svoltosi davanti al tribunale ec

clesiastico regionale, era superabile con l'avvenuta integrazione del contraddittorio nel procedimento de quo, oltre che dell'uffi

ciale di stato civile, dell'altro coniuge.

giurisdizionale», le disposizioni (attuative del concordato del 1929) che

consentivano di rendere esecutivo, agli effetti civili, il provvedimento ecclesiastico di dispensa dal matrimonio rato e non consumato (Corte cost. 2 febbraio 1982, n. 18, Foro it., 1982, I, 934, con nota di Laric

cia), nessuno — o quasi (per una posizione divergente, ma affatto iso

lata, cfr. Pascali, Dubbi sull'assenza di rilevanza civile delle dispense canoniche da matrimonio rato e non consumato, in Dir. eccles., 1987,

1, 909 ss.) — dubitava che la dispensa dal matrimonio rato e non con

sumato fosse divenuta ormai irrilevante per l'ordinamento interno; tan

t'è che la stessa Cassazione, dopo aver dato atto della nuova situazione

con alcune decisioni del 1984 (le sentenze 24 maggio 1984, n. 3186, Foro it., Rep. 1984, voce Matrimonio, n. 153, e 3 dicembre 1984, n.

6296, ibid., n. 152, citate nella motivazione, e la sentenza 1° febbraio

1984, n. 779, ibid., n. 154), non aveva più dovuto occuparsi dell'ar

gomento. Tre anni fa, però, la Corte d'appello di Torino, con una prima sen

tenza pubblicata il 9 luglio 1996 (id., Rep. 1997, voce cit., n. 93, e,

per esteso, Dir. famiglia, 1997, 605), riaprì in modo del tutto inatteso

il dibattito, affermando la possibilità che la dispensa super rato fosse

riconosciuta nell'ordinamento interno come sentenza straniera, laddove

ricorressero le condizioni previste dall'art. 797 c.p.c. (all'epoca ancora

in vigore e poi virtualmente rimpiazzato, a far data dal 31 dicembre

1996, dall'art. 64 1. 218/95). Vale la pena di ricordare che si trattava, dunque, della stessa corte

che esattamente quattro anni prima aveva inopinatamente riesumato

la riserva di giurisdizione dei tribunali ecclesiastici in materia di nullità

dei matrimoni concordatari, investendo la Consulta della questione di

costituzionalità delle norme, inequivocamente superate dall'accordo del

1984, che avevano dato esecuzione al concordato del 1929 (App. Tori

no, ord. 9 luglio 1992, Foro it., 1992, I, 3102, e Giur. it., 1993, I,

2, 123, con nota critica di Cipriani, La riserva di giurisdizione tra abro

gazione e Costituzione). Naturalmente la questione fu dichiarata inammissibile da Corte cost.

1° dicembre 1993, n. 421, Foro it., 1994, I, 14, con note di Cipriani

e di Lariccia; e tuttavia, quantunque nel frattempo le sezioni unite

si fossero già chiaramente pronunciate per l'abrogazione della riserva, ciò non impedì ai giudici torinesi di dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice italiano, sul presupposto che la materia continuasse ad esse

re attribuita in via esclusiva ai tribunali ecclesiastici: sentenza 29 aprile

1994, ibid., 2502, con nota critica di Cipriani.

Tornando, comunque, al problema della riconoscibilità delle dispense

Il Foro Italiano — 1999.

4. - Avverso questa sentenza, notificata in data 11 novembre

1997, il procuratore generale presso la Corte d'appello di Tori

no ha proposto ricorso per cassazione, con atto ritualmente no

tificato alle altre parti, basato su un unico, complesso motivo.

Gli intimati non si sono costituiti. Motivi della decisione. — 1. - La corte d'appello — muoven

do dalla premessa che è necessario distinguere, nell'ambito dei

provvedimenti ecclesiastici emanati in materia matrimoniale, le

sentenze di cui all'art. 8, 8° comma, 1. 25 marzo 1985 n. 121, tuttora assoggettate alla disciplina concordataria, dagli altri prov vedimenti di carattere giurisdizionale assimilabili alle sentenze

straniere — ha dichiarato efficace nella Repubblica italiana la

bolla di scioglimento del matrimonio rato e non consumato, datata 27 ottobre 1996, relativa al matrimonio contratto dalle

parti col rito concordatario, ritenendo il rescritto pontificio di

dispensa, suscettibile di delibazione, a norma dell'art. 797 c.p.c. 2. - Il ricorrente, con l'unico e articolato motivo del ricorso

— denunciando la violazione dell'art. 2 1. 25 marzo 1985 n.

121, in relazione agli art. 8 e 13 dell'accordo, con protocollo

addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984; dell'art. 1

1. 27 maggio 1929 n. 810 e dell'art. 17 1. 27 maggio 1929 n.

847, in relazione alla parziale dichiarazione di incostituzionalità

di queste norme pronunciata con sentenza 18/82 dalla Corte

costituzionale (Foro it., 1982, I, 934); degli art. 796 s. c.p.c., e degli art. 64, 65, 66 e 67 1. 31 maggio 1995 n. 218 — oppone,

anzitutto, che il principio secondo cui i provvedimenti di di

spensa dal matrimonio rato e non consumato potevano essere

delibati nello Stato, introdotto con i patti lateranensi del 1929,

già dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 18 del 1982, sarebbe stato abrogato col nuovo accordo tra la Repubblica ita

liana e la Santa Sede, reso esecutivo con la 1. n. 121 del 1985.

Deduce, quindi, l'erroneità della tesi, sottesa alla sentenza im

pugnata, secondo cui le dispense ecclesiastiche dal matrimonio

rato e non consumato, anche se non più delibabili in forza della

norma concordataria, dovrebbero essere considerate alla stre

gua di sentenze straniere di scioglimento del vincolo matrimo

niale, e, quindi, assoggettate al regime previsto per la delibazio

ne delle sentenze di divorzio pronunciate all'estero. Sostiene,

super rato, la decisione del 1996 — quanto meno de iure condito e

in considerazione degli argomenti addotti nella motivazione — fu og getto, com'era immaginabile, di fermissime ed unanimi critiche da par te della dottrina (cfr. Cassandro, Brevi note in tema di delibazione di dispensa «super rato», in Dir. famiglia, 1997, 940 ss.; Canonico,

Dispensa canonica del matrimonio «super rato» ed efficacia civile: un

fantasma che riappare, evocato dai giudici torinesi, ibid., 945 ss.; Mo

neta, Ritorna il riconoscimento civile dello scioglimento canonico de!

matrimonio non consumato?, ibid., 968 ss.; Di Marzio, Non riconosci

bilità degli effetti civili alla decisione ecclesiastica di dispensa «super matrimonio rato et non consummato», ibid., 1352 ss.; Franceschi, Le

dispense «super rato»: sul possibile riconoscimento agli effetti civili co

me sentenze straniere, in Dir. eccles-., 1998, II, 52 ss.), la quale non

mancò di sottolineare, con un certo rammarico, che ben difficilmente, avendo il convenuto aderito alla domanda di delibazione, la sentenza

sarebbe stata impugnata. In effetti, per quel ch'è dato sapere, quella pronuncia non fu impu

gnata; ma le critiche della dottrina non caddero, evidentemente, nel

vuoto, poiché l'anno seguente, di fronte al consolidarsi di un orienta

mento a dir poco «creativo» (il termine è di Moneta, op. loc. cit.), la procura generale torinese decise finalmente di attivarsi, proponendo il ricorso che ha condotto alla decisione qui riportata.

A ben riflettere, pertanto, in quest'ultima non v'è nulla di realmente

nuovo e tanto meno di sorprendente, al di là della giusta, sacrosanta

e ben argomentata conferma di una soluzione che a tutti, come ho po c'anzi ricordato, appariva assolutamente ovvia e scontata dal 1982 in poi.

Non vorrei concludere questo rapidissimo commento, peraltro, senza

un rilievo de iure condendo, ancorché del tutto estraneo alla materia

de qua. L'emblematica vicenda processuale felicemente risolta dalla Suprema

corte con la sentenza sopra riportata potrebbe e dovrebbe somministra

re qualche utile spunto di riflessione circa l'opportunità di estendere

la garanzia del ricorso per cassazione — seppure con le dovute cautele

e magari con qualche incisiva limitazione quanto ai vizi denunciabili — rispetto alle vastissime aree (a cominciare da quelle della giurisdizio ne volontaria e dei provvedimenti cautelari) che oggi le sono totalmente

sottratte e nelle quali, prescindendo dai non lievi inconvenienti derivan

ti comunque dall'eventuale difformità dei vari orientamenti determina

tisi a livello «locale», è sicuramente meno infrequente — non a caso — imbattersi in interpretazioni disinvoltamente «creative» da parte dei

giudici di merito. [G. Balena]

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2507 PARTE PRIMA 2508

poi, che in ogni caso, l'assunto della corte d'appello, che ha

attribuito natura sostanziale di sentenza alla dispensa ecclesia

stica, sarebbe anche in contrasto con la natura attribuita dallo

stesso diritto canonico a detti provvedimenti, e col principio,

espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 18 del 1982,

cit., che ha negato natura di sentenza alle dispense super rato

et non consummato. Aggiunge che, se la Corte costituzionale

ha sancito l'incompatibilità tra i principi fondamentali della no

stra Carta costituzionale ed il principio di delibabilità di tali

dispense, tale contrasto non potrebbe essere superato attraverso

il procedimento ordinario previsto per la delibazione delle sen

tenze straniere, e si porrebbe, in caso contrario, la questione della legittimità costituzionale delle norme del codice di rito (in

quanto applicabili) e della legge di riforma del sistema interna

zionalprivatistico, nella parte in cui esse consentono di attribui

re efficacia immediata nell'ordinamento alle dispense ecclesia

stiche. Sostiene, ancora, che la tesi affermata dalla sentenza

impugnata risulterebbe insostenibile, ove anche si ritenesse pos sibile ricorrere al procedimento di delibazione, in quanto in ogni caso mancherebbe la condizione imposta dal n. 1 dell'art. 797

c.p.c. (ed ora dall'art. 64, lett. a, 1. 218/95) ai fini del ricono

scimento immediato. Sarebbe, infine, erroneo anche sostenere

che la portata innovativa della 1. 218/95 determinerebbe, co

munque, l'immediato riconoscimento nello Stato delle dispense, non come sentenze straniere, ma come provvedimenti diversi, ai sensi dell'art. 65 o dell'art. 66 1. cit., posto che si perverrebbe

egualmente a risultati incompatibili coi principi affermati dalla

Corte costituzionale con la sentenza 18/82.

3. - Il motivo è fondato.

Preliminarmente si deve osservare che è inesatto il riferimen

to, che si legge nella sentenza impugnata, al codice di rito, in

quanto l'art. 797 c.p.c., sul quale la corte d'appello fonda, so

stanzialmente, la propria decisione, è stato abrogato, a far data

dal 31 dicembre 1996 (e, quindi, ben prima del deposito della

decisione stessa), dall'art. 73 1. 31 maggio 1995 n. 218, come

sostituito dall'art. 10 d.l. 23 ottobre 1996 n. 542, convertito

in 1. 23 dicembre 1996 n. 649). Ma, anche alla stregua delle

nuove disposizioni introdotte dalla riforma del sistema italiano

di diritto internazionale privato per regolare l'efficacia delle sen

tenze straniere in Italia, la tesi censurata dal ricorrente si rivela

insostenibile, come risulta dalle seguenti considerazioni.

3.1. - Essa è in contrasto, anzitutto, col dato normativo.

L'art. 2 1. 31 maggio 1995 n. 218 stabilisce, al 1° comma, che «le disposizioni della stessa legge non pregiudicano l'appli cazione delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia».

L'entrata in vigore del sistema di diritto internazionale priva to non ha, perciò, inciso nella materia concordataria. La giuris

prudenza (App. Napoli 15 aprile 1997, id., 1997, I, 2963) ha,

infatti, chiarito che restano inapplicabili le disposizioni della nuo

va normativa, nella parte in cui esse consentirebbero l'efficacia

immediata e diretta della decisione straniera, senza adottare lo

speciale procedimento giurisdizionale previsto per le sentenze

di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici

(art. 8, 2° comma, 1. 25 marzo 1985 n. 121). 3.2. - La tesi accolta dalla sentenza impugnata non è condivi

sibile pure nel quadro di una interpretazione sistematica delle

disposizioni concordatarie, in quanto dalla ricognizione delle fon

ti, dalla loro evoluzione normativa, e dalla correlativa elabora zione giurisprudenziale, si evince che, al contrario, i provvedi menti di dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono

stati definitivamente espunti dall'ordinamento.

L'art. 17 1. 27 maggio 1929 n. 847 (contenente disposizioni

per l'applicazione del concordato dell'11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l'Italia, nella parte relativa al matrimonio), che

tali provvedimenti contemplava e consentiva alla corte d'appel lo di renderli immediatamente esecutivi, è stato, infatti, dichia

rato incostituzionale con sentenza 2 febbraio 1982, n. 18, cit.,

per violazione del supremo principio del diritto alla tutela giuris dizionale, desunto dagli art. 2, 3, 7, 24, 25, 102 Cost. In questa stessa decisione il giudice delle leggi ha sottolineato che il prov vedimento di dispensa si riflette sul rapporto, e non sull'atto; non ha carattere giurisdizionale; e che la relativa tutela, pur considerata nel suo nucleo più ristretto ed essenziale, non può dirsi realizzata nell'ambito della discrezionalità amministrativa che ne segna il procedimento.

In conseguenza della dichiarazione di illegittimità, questa corte ha ripetutamente sancito che sono venute meno le norme che

Il Foro Italiano — 1999.

attribuivano rilevanza nell'ordinamento statale alla dispensa ec

clesiastica, ed ha dichiarato improponibili, perché prive di tute

la giudiziale, le domande dirette a far valere agli effetti civili

questa causa di scioglimento del matrimonio (ex: plurimis, Cass.

24 maggio 1984, n. 3186, id., Rep. 1984, voce Matrimonio, n.

153, e 3 dicembre 1984, n. 6296, ibid., n. 152). Questo quadro non si è modificato con l'entrata in vigore

della 1. 25 marzo 1985 n. 121 (contenente ratifica ed esecuzione

dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18

febbraio 1984, che ha apportato modificazioni al concordato

lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e

la Santa Sede). Pur ridisegnando, nel nuovo contesto storico, i principi fon

damentali del matrimonio concordatario, essa, infatti, non con

tiene più alcun riferimento all'esecutività agli effetti civili dei

provvedimenti di dispensa super rato et non consummato. L'art.

13, 2° comma, limita la dichiarazione di efficacia nella Repub

blica, mediante lo speciale procedimento di delibazione ivi pre visto davanti alla corte d'appello, alle sentenze di nullità del

matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici. E l'art. 13, 1° comma, dopo aver collocato la nuova disciplina in raccordo

con la precedente, chiarendo che le relative disposizioni costi

tuiscono modificazioni del concordato lateranense, stabilisce che

(salvo quanto previsto dall'art. 7, n. 6) «le disposizioni del con

cordato stesso non riprodotte nel presente testo sono abrogate». Anche la Corte costituzionale ha avvertito che le modificazio

ni del concordato, espresse nell'accordo del 1984, disciplinando l'intera materia, impediscono di fare riferimenti a testi normati

vi precedenti (sent. 1° dicembre 1993, n. 421, id., 1994, I, 14). In ogni caso, non sarebbe coerente ritenere che si sia voluto

sottrarre alla legislazione speciale, e ricondurre alla normativa

generale relativa all'efficacia delle sentenze straniere, proprio

quei provvedimenti che, per loro intrinseca natura e, comun

que, anche per la forma e per il procedimento adottati, appaio no ben diversi dalle sentenze e dagli altri provvedimenti giuri sdizionali stranieri.

3.3. - Infine, non può non rilevarsi che l'accoglimento della

tesi qui censurata comporterebbe ex se, il dubbio della legittimi tà costituzionale (denunciato, in via subordinata, dal ricorrente) delle disposizioni degli art. 64-67 1. 218/95, ove interpretate nel

senso che sia consentito di delibare la dispensa ecclesiastica del

matrimonio rato e non consumato.

Anche nella configurazione del nuovo codex iuris canonici, con la costituzione Sacrae discipline leges, del 25 gennaio 1983,

è, infatti, rimasta sostanzialmente immutata la natura «anfi

bia» ed eminentemente discretiva del rescritto pontificio di di

spensa super rato et non consummato, che aveva già indotto

il giudice delle leggi a considerare tale provvedimento insuscetti

bile di delibazione, perché non riconducibile ad un atto giuris dizionale (sent. 18/82, cit.).

4. - Deve, dunque, concludersi, in linea con le argomentazio ni del procuratore generale della repubblica presso la Corte d'ap pello di Torino (ritenendo così assorbiti gli ulteriori rilievi svol

ti, in via logicamente subordinata nel ricorso), che ai matrimoni

concordatari è applicabile la sola disciplina concordata dalle parti contraenti, e che, correlativamente, il problema della delibabili

tà dei provvedimenti ecclesiastici nella materia de qua, deve es sere risolto nell'ambito della specifica ed autonoma disciplina adottata bilateralmente.

5. - Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso deve, dun

que, essere accolto. Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, in quanto la causa non poteva essere proposta (art. 382, 3° comma, ultima parte, c.p.c.).

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