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Sezione I civile; sentenza 10 novembre 1965, n. 2353; Pres. Rossano P., Est. Alliney, P. M. Gentile...

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Sezione I civile; sentenza 10 novembre 1965, n. 2353; Pres. Rossano P., Est. Alliney, P. M. Gentile (concl. diff.); Finanze (Avv. dello Stato Masi) c. Banca nazionale del lavoro (Avv. G. A. Micheli, Del Nunzio) e Carugno Source: Il Foro Italiano, Vol. 89, No. 1 (GENNAIO 1966), pp. 43/44-47/48 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23155264 . Accessed: 25/06/2014 04:56 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.248.111 on Wed, 25 Jun 2014 04:56:50 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 10 novembre 1965, n. 2353; Pres. Rossano P., Est. Alliney, P. M.Gentile (concl. diff.); Finanze (Avv. dello Stato Masi) c. Banca nazionale del lavoro (Avv. G. A.Micheli, Del Nunzio) e CarugnoSource: Il Foro Italiano, Vol. 89, No. 1 (GENNAIO 1966), pp. 43/44-47/48Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23155264 .

Accessed: 25/06/2014 04:56

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PARTE PRIMA

giuridico essenziale ed assorbente, per affermare l'inappli cabilità al caso dell'art. 18 della legge del registro, avrebbe

dovuto invece procedere all'esame concreto delle prove offerte ai fini dell'invocata applicabilità di detta norma e,

quindi, pervenire, su tali basi di fatto, al giudizio sull'esi

stenza o meno della presunzione di trasferimento d'immobili

a titolo di proprietà, e più precisamente di conferimento di

beni immobili nella società di fatto di cui trattasi, trovando

la norma applicazione, nella sua ampiezza, anche per l'ac

certamento circa la sussistenza di conferimento di beni

immobili nelle società irregolari. Con lo stesso motivo, l'amministrazione lamenta che

la corte di merito non abbia fatto applicazione alla specie del 5° comma dell'art. 18 che prevede altri elementi di pre sunzione a favore della pretesa della finanza.

La censura è infondata in quanto il detto comma si

riferisce alla cessione di aziende commerciali, per le quali le parti interessate abbiano omesso di registrare i relativi

contratti verbali. In tal caso, la norma invocata consente

all'ufficio di agire in base ad alcune circostanze di fatto pre suntive della cessione. Nella specie, la controversia verte,

invece, sul fatto se i locali, in cui trovasi installata la

azienda, debbano considerarsi di proprietà della società

o di taluno dei soci e tale questione non può essere risolta

se non in base al 1° comma dell'art. 18 che disciplina i tra

sferimenti immobiliari.

Col secondo mezzo l'amministrazione ricorrente, denun

ciando la violazione degli art. 2627 cod. civ., 112 e 115 cod.

proc. civ. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.

sostiene che la corte di Catania, nel demandare all'ufficio

del registro l'accertamento della data d'inizio della società, abbia invertito l'onere della prova, in quanto, in difetto

d'una idonea prova da parte dei contribuenti, avrebbe do

vuto accogliere la domanda della finanza e non porre a ca

rico dell'amministrazione l'onere di nuovi accertamenti.

La censura è fondata. In tema d'enunciazione di società

di fatto, vige il principio, ormai pacifico in giurisprudenza, che l'imponibile e cioè l'ammontare dei conferimenti di

società, ai fini dell'imposta di registro di cui all'art. 81 della

tariffa ali. A, va determinato con riferimento al momento

della costituzione del vincolo sociale, dato che tale imposta incide sul trasferimento della ricchezza e sul rapporto giu ridico che la pone in essere e non sulla ricchezza attuale.

In difetto, però, di prova inoppugnabile l'imponibile pre detto può essere accertato presuntivamente in base al pa trimonio sociale e agli elementi inerenti al funzionamento

della società esistenti al momento dell'enunciazione salvo alla parte interessata la prova contraria nei modi prescritti dalla legge di registro, circa l'effettiva entità dei conferi menti.

Ora, la corte di merito, mentre ha dimostrato di non

ignorare tali principi, ne ha fatto, tuttavia, una errata appli cazione perchè si è limitata ad affermare che la data di inizio della società non era emersa con certezza dalla prova raccolta e ne ha demandato l'accertamento all'ufficio del

registro. In tal modo essa ha capovolto l'onere della prova attribuendo alla finanza l'accertamento della data d'inizio della società, mentre la prova avrebbero dovuto fornirla i

contribuenti.

Inoltre, trattandosi d'un punto controverso della causa, la corte di Catania avrebbe dovuto decidere essa stessa

quale era la data di costituzione della società e, in mancanza di prove certe, avrebbe dovuto riferirsi, agli effetti della de

terminazione dell'imponibile, alla data dell'enunciazione. Va disatteso il terzo motivo del ricorso incidentale col

quale si censura l'impugnata sentenza sotto un triplice profilo e cioè per avere la corte di merito : a) demandato all'ufficio del registro l'accertamento dell'epoca d'inizio

della società pur avendo riconosciuto che l'inizio di questa doveva ritenersi avverato non dopo il 30 dicembre 1930 ;

b) ritenuto inapplicabile la tariffa vigente all'epoca della

costituzione della società ; c) ritenuto che nella valutazione dell'azienda dovesse tenersi conto dell'avviamento laddove

questo era del tutto inesistente. Sotto il primo profilo, la censura è assorbita dall'accogli

mento del secondo motivo del ricorso principale per l'iden

tità della questione. Sotto il secondo profilo, la censura è

palesamento infondata. Infatti, posto che la società irrego lare comincia a esistere, agli effetti della legge di registro, soltanto al momento in cui ne viene accertata l'esistenza

e più precisamente quando l'atto, che contiene tale accerta

mento, viene presentato per la registrazione, è chiaro che, in caso di società di fatto enunciata in una sentenza, la ta

riffa applicabile sia quella vigente al momento della regi strazione della sentenza enunciante e non quella vigente all'atto della costituzione della società.

Sotto il terzo profilo, la censura è parimenti infondata.

L'avviamento è una qualità dell'azienda, dalla stessa inse

parabile e, quindi, come tale, ha sempre un valore apprezza bile. Giustamente, pertanto, la corte di merito ha ritenuto

che esso non possa essere escluso nella determinazione del

l'imponibile, ma debba essere valutato con riferimento alla

data in cui ha avuto inizio la società. Se poi, a quella data, l'avviamento era pressoché nullo o ridotto, spetta alla

parte interessata fornire la prova dell'effettiva consistenza

dell'avviamento.

Per questi motivi, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile; sentenza 10 novembre 1965, n. 2353; Pres. Rossano P., Est. Alliney, P. M. Gentile (conci, cliff.) ; Finanze (Avv. dello Stato Masi) c. Banca na zionale del lavoro (Avv. G. A. Micheli, Del Nunzio) e Carugno.

(Cassa App. L'Aquila 2 agosto 1002)

Ilegistro Agevolazioni tributarie Cessione ili ere diti verso la pubblica amministrazione — Presup posti Fattispecie (R. d. 30 dicembre 1923 n. 3269,

legge del registro, ali. A, art. 4, 28 ; legge 4 aprile 1953 ii. 261, modificazioni all'imposta di registro, relativa mente al regime fiscale delle cessioni di credito dei mu tui e degli appalti, art. 1, 2).

Per fruire dell'aliquota ridotta prevista dall'art. 4, lett. c), della

tariffa di registro, come modificato dagli art. 1 e 2 della legge 4 aprile 1953 n. 261, per le cessioni di annualità, con tributi o crediti verso le pubbliche amministrazioni, in relazione ad operazioni di finanziamento, occorre che la

convenzione sia redatta in modo tale da escludere, ab

origine, che la cessione dei crediti possa essere utilizzata

per garantire operazioni diverse da quelle specificate nel l'atto cui spetta il beneficio tributario (nella specie, è stato ritenuto che non fosse opportunamente formulata la

clausola, per la quale la banca si riserva la facoltà di revo care in tutto o in parte, anche prima dell' avvenuto incasso dei mandati ceduti, il finanziamento, con il preavviso di otto giorni «ferma restando in ogni effetto la cessione dei

crediti »). (1)

(1) La sentenza riafferma i principi della più recente giuri sprudenza della Corte regolatrice in tema di applicazione della

aliquota ridotta ex art. 4, lett. c), della tariffa di registro alle ope razioni di finanziamento contro cessioni di annualità o crediti verso le pubbliche amministrazioni : nello stesso senso vedi

sent. 26 marzo 1965, n. 507, Foro it., Mass., 139 ; 15 ottobre

1964, n. 2587, id., Rep. 1964, voce Registro, n. 361 ; 5 ottobre

1964, n. 2519, 6 giugno 1964, n. 1397, id., 1964, I, 1919. con

ampia nota di richiami. Per ulteriori riferimenti, sulla spettanza degli analoghi ma

minori benefici spettanti ex lett. b) del predetto art. 4, cfr. Cass. 21 dicembre 1964, n. 2948, id., 1965, I, 824, con nota di richiami.

Sulla interpretazione dei contratti ai fini dell'applicazione della imposta di registro v. Cass. 19 agosto 1947, n. 1538, id.,

Rep. 1947, voce cit., nn. 41, 42 ; nello stesso senso è la moti vazione di Cass. 13 aprile 1960, n. 861, id., 1961, I, 490.

L'orientamento giurisprudenziale è seguito in dottrina da

Uckmar, La legge del registro, 1958, I, pag. 188 e segg. La sentenza 2 agosto 1962 della Corte d'appello de L'Aquila

leggesi in Foro it., 1963, I, 704, con nota di richiami.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

La Coite, ecc. — Il primo motivo del ricorso investe la

sentenza denunciata per violazione e falsa applicazione degli art. 4, lett. e), e nota aggiunta, 28, lett. c), della legge di

registro 30 dicembre 1923 n. 3269 nel testo modificato

degli art. 1 e 2 della legge 4 aprile 1953 n. 261 ; nonché

per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa

punti decisivi della controversia, prospettati dall'ammini

strazione finanziaria.

La censura è fondata. L'art. 4 della tariffa ali. A alla

legge organica di registro, nel testo modificato dall'art. 1

della legge 4 aprile 1953 n. 261, prevede tre distinte aliquote, la prima normale, le altre due di favore, per le cessioni di

credito. Alla lett. a) è prevista l'aliquota normale dell'I,50

per cento per le « cessioni pro soluto e pio solvendo di crediti

e retrocessione di crediti ». Alla lett. b) è stabilita l'aliquota ridotta dello 0,50 per cento per le cessioni anzidette clie siano

state stipulate in relazione alle operazioni di cui alla lett. b) dell'art. 28 della stessa tariffa, ossia alle aperture di cre

dito, anticipazioni di somme e finanziamenti in genere, concessi dalle aziende ed enti di credito, contemplati dal

r. decreto legge 12 marzo 1936 n. 275 e successive modifi

cazioni, a favore di ditte commerciali e industriali. Alla

lett. c) è, infine, prevista l'aliquota, ulteriormente ridotta,

dello 0,25 per cento per le cessioni pro soluto e pro solvendo

di annualità o contributi governativi e di enti pubblici, nonché di crediti verso pubbliche amministrazioni, stipu late in relazione alle operazioni di apertura di credito e di

finanziamento sopra menzionato. La nota aggiunta all'art.

4 della tariffa ali. A espressamente avverte che « per l'ap

plicabilità delle minori aliquote di cui alle lett. b) e e) è

necessario che nell'atto di cessione siano specificamente indicate le operazioni in relazione alle quali è stipulato e

che l'efficacia della cessione non sia estesa anche ad altre

operazioni ».

Questa esplicita avvertenza, volta ad assicurare una

corretta ed uniforme interpretazione della legge e a fis

sarne gli specifici obiettivi, fu determinata dal fatto, messo

in rilievo dal dibattito parlamentare, che gli istituti di cre

dito, giovandosi della generica formula della legge prece

dente (r. decreto legge 9 maggio 1935 n. 606 ; r. decreto

legge 19 dicembre 1936 n. 2170), non rifuggivano dall'uti

lizzare le cessioni di crediti per coprire proprie esposizioni non collegate a finanziamenti concessi per l'esecuzione di

opere o forniture a favore di enti pubblici. Vuole, dunque,

la legge che tra finanziamento e cessione di credito sussi

sta una effettiva e costante interdipendenza, in modo che il

risultato economico dell'opera pubblica non sia nè possa

essere distolto dal fine di estinzione o di garantire l'estin

zione del finanziamento concesso per l'esecuzione della

opera stessa.

Conseguentemente, per fruire dell'agevolazione fiscale,

il negozio deve essere concepito ed espresso in modo tale

da escludere ab origine che esso possa comunque servire

ad operazioni diverse da quelle specificate nell'atto di

cessione. E per codesto accertamento l'indagine del giudice di

merito non deve essere diretta, secondo il consolidato in

segnamento di questo Supremo collegio, a ricercare, in

conformità alle norme di ermeneutica contrattuale, la

comune intenzione delle parti e a stabilire quale delle pos

sibili interpretazioni delle singole clausole sia più plausibile

e attendibile. L'atto deve essere, invece, oggettivamente esaminato,

nel suo potenziale valore strumentale, nel senso che nes

suna delle sue clausole, individualmente considerate, nè

il complesso delle medesime, siano capaci di aprire un varco

attraverso il quale l'operazione possa, nel corso del suo

svolgimento, deviare dalla sua originaria ed apparente

destinazione e allargarsi a nuove operazioni, le quali sfug

girebbero in tale modo al controllo del fisco e si avvantag

gerebbero indebitamente del trattamento tributario di fa

vore. Pertanto l'obiettiva possibilità di siffatto amplia

mento basta a sottrarre l'atto alla previsione normativa di

cui si discute, indipendentemente dagli effetti pratici ap

parentemente o realmente voluti dalle parti contraenti

(Sez. un. n. 1307 e n. 2519 del 1964, Foro it., 1964, I, 1919).

Appunto per ciò, nel caso di eccedenza della cessione

rispetto alla sovvenzione, occorre, come questo Supremo

collegio lia più d'una volta affermato, che Tatto con

tenga disposizioni limitative del normale effetto della ces

sione dei crediti, in modo da escludere che il congegno contrattuale offra, oggettivamente, all'istituto la possibi lità di destinare i crediti ceduti a scopo diverso da quello, che, solo, giustifica il trattamento fiscale di favore della

estinzione del finanziamento.

Ora, nella interpretazione della clausola n. 10 del con

tratto 19 novembre 1954, clausola che costituisce il tema

principale della censura in esame, la corte d'appello si è

lasciata guidare da criteri e da principi che contrastano

con le finalità, sopra illustrate, della legge. In tale clausola è specificato che la banca si riserva la

facoltà di revocare in tutto o in parte, anche prima dell'av

venuto incasso dei mandati ceduti, il finanziamento, con

il preavviso di otto giorni « ferma restando in ogni effetto

la cessione del credito ».

Posta di fronte all'accezione che questa clausola in

frange il necessario collegamento fra cessione del credito

e finanziamento, la corte di merito ha disatteso l'accezione

sul rilievo che, negandosi la persistenza di tale collegamento, la clausola in parola « non avrebbe alcun senso in quanto la

cessione pro solvendo del credito già data a garanzia di un

finanziamento verrebbe a mancare di causa, tanto più che non si accenna al fatto che la cessione dovrebbe garan tire altri, sia pur generici finanziamenti », sicché « non vi

sarebbe alcuna ragione a che permanga avulsa dal finanzia

mento una cessione di crediti priva di qualsiasi contro

partita ».

Ha quindi soggiunto, rifacendosi al principio di erme

neutica, secondo cui, nell'interpretazione di un contratto, deve preferirsi quella che gli imprima « un senso », che nella

specie doveva ritenersi in linea di fatto che la banca, riservandosi la facoltà di revocare, in evidente relazione

a possibili inadempienze del cliente o ad altri motivi, il

concesso finanziamento, aveva voluto specificare che « il

credito ceduto garantiva tutte le sue ragioni derivanti dal

finanziamento, prima che questo fosse revocato » sicché

l'ultrattività della garanzia si rifletteva unicamente « sul

passato e sui rapporti in corso al momento del venire meno

del finanziamento ».

Senonchè, così argomentando, la corte di merito si

è attenuta, per sua stessa affermazione, ai criteri sogget tivi di interpretazione, normalmente previsti per i contratti, senza porsi il problema, chiaramente imposto dalla nota

integrativa dell'art. 4 tariffa ali. A, se, indipendentemente dall'intento negoziale delle parti, la clausola dibattuta

offrisse oggettivamente alla banca la possibilità, connessa

a eventuali sviluppi e conseguenti situazioni del rapporto instaurato col correntista, di destinare il credito ceduto,

per la parte eccedente le erogazioni effettuate, a scopi diversi da quello della estinzione del finanziamento. E la

necessità di una simile penetrante indagine era, nella

specie, tanto maggiore, in quanto la mancanza nella scrit

tura contrattuale di disposizioni rigorosamente limitative

del normale effetto della cessione del credito non poteva non rendere pensosi circa la persistenza del requisito voluto

dalla legge per l'applicazione dell'aliquota di favore. Al

quale proposito non soddisfa certo la considerazione che,

revocato il finanziamento, sarebbe venuta meno, relativa

mente alla parte eccedente l'ammontare delle sovvenzioni

già effettuate, la causa originaria della cessione di credito

e che nell'atto non si accenna, neppure genericamente, ad

altri finanziamenti da garantire mediante quella cessione,

giacché rimaneva pur sempre aperta la questione se, proprio in conseguenza del venir meno della causa originaria della

cessione e, malgrado il silenzio del contratto intorno ad

altri modi di utilizzazione pattizia del credito ceduto,

l'ultrattività della cessione fosse, per se stessa, tale da com

portare, mutata la causa originaria, la possibilità di una

destinazione del credito ceduto a scopi diversi da quello che

condiziona la concessione dell'agevolazione tributaria di

cui si discute. E in proposito occorre considerare come, in

coerenza con la natura del conto corrente bancario di nego

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PARTE PRIMA

zio giuridico complesso, l'art. 1853 cod. civ. prevede, salvo

patto contrario, la compensazione tra i saldi di più rapporti o più conti. Sul punto fin qui esaminato, Verror in indi

cando, denunciato dall'amministrazione ricorrente, è per tanto manifesto.

Pure a ragione la ricorrente si duole che la corte d'ap pello non abbia esaminato, nel suo testo integrale, la clausola n. 8 del contratto, trascurando così un punto decisivo della

controversia, prospettato dall'amministrazione finanziaria. Di tale clausola la corte di merito lia, in realtà, esaminato una sola parte, quella, non più discussa in questa sede,

riguardante la possibilità, giudicata non incompatibile con la concessione del beneficio fiscale, di successivi e ripetuti prelievi di denaro nel limite del finanziamento, ma non ha posto mente alla facoltà, nella stessa clausola attribuita alla banca, di imputare le somme riscosse a seguito della cessione a copertura del finanziamento, di versarle in un conto corrente vincolato, di metterle in tutto o in parte a

disposizione del cliente, di svincolare il conto corrente pre cedentemente vincolato.

Ora è innegabile che, passando sotto silenzio tutti co desti patti, la corte di merito è incorsa in un rilevante difetto di attività, poiché la considerazione dell'ampio potere di disposizione delle somme riscosse accordato alla

banca, avrebbe potuto condurre a soluzione diversa da

quella adottata. Il primo motivo del ricorso va conseguentemente accolto. Si denuncia, col secondo mezzo, la violazione e la falsa

applicazione, al caso specifico, dell'art. 8, 1° comma, della

legge organica di registro in relazione all'art. 4, lett. c), e relativa nota speciale della tariffa ali. A, nel testo modi ficato dell'art. 1 della legge 4 aprile 1953 n. 261.

Anche questa censura è fondata. L'art. 8 della legge di

registro dispone, al 1° comma, che le tasse sono applicate secondo l'intrinseca natura e gli effetti degli atti o dei

trasferimenti, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente. In questa norma è scolpito il principio che, nell'applicazione della legge di registro, deve soltanto porsi mente alla capacità del negozio di produrre ex se

quei determinati effetti giuridici che, secondo la legge, im

portano il pagamento del tributo. Per stabilire ciò, deve aversi riguardo, non alla comune

intenzione delle parti, da ricercarsi alla stregua dei criteri

soggettivi di interpretazione dei contratti, non alle enuncia tive, non al nomen iuris, non all'apparato formale del nego zio, ma unicamente agli effetti che possono obiettivamente scaturire dall'atto in relazione al contenuto sostanziale delle disposizioni negoziali.

Ai fini dell'accertamento dell'applicabilità o no, al caso specifico, dell'aliquota di favore, la valutazione critica delle clausole sopra menzionate doveva quindi essere com piuta al lume anche di tale principio, non già alla stregua dei normali canoni di ermeneutica contrattuale, ai quali la corte di merito si è, errando, espressamente richiamata. (Omissis)

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 9 novembre 1965, n. 2345 ; Pres. Pece P., Est. Roperti, P. M. Cutrupia (conci, conf.) ; Consorzio autonomo porto di Genova (Avv. Cavallo, Uckmar) c. Finanze (Avv. dello Stato Coronas).

(Dichiara inammissibile ricorso avverso C. centrale 9 no vembre 1962, n. 64256)

Tasse e imposte in genere Contenzioso Itieorso per cassazione — Difello *li interesse Fattispecie (Costituzione, art. 111).

Se l'ufficio impositore, interamente soccombente nel procedi mento avanti la commissione provinciale, rinuncia al ri

corso alla Commissione centrale, che dà atto della rinuncia con decisione interlocutoria, e propone poi domanda al

giudice ordinario, il contribuente non può proporre ri corso per cassazione della decisione definitiva, con cui la Commissione centrale respinge l'eccezione di inammis sibilità dell'appello dell'ufficio alla commisione provinciale per difetto di sottoscrizione del titolare dell'ufficio e per mancata specificazione dei motivi, l'interesse del contri buente al ricorso non potendo scaturire dalla intempesti vità della- domanda al giudice ordinario, che dalla dichia rata inammissibilità dell'appello deriverebbe. (1)

(1) Non constano precedenti in termini. Sui due punti richiamati dalla sentenza in rassegna e cioè

che il procedimento dinanzi alla Corte di cassazione a seguito di un ricorso ex art. 111 Cost, non è che la prosecuzione del pro cedimento svoltosi dinanzi agli organi di giustizia tributaria e che sussiste autonomia funzionale fra il processo giurisdizionale tributario e quello innanzi al giudice ordinario, esiste ormai una giurisprudenza consolidata : oltre ai due precedenti richiamati dalla sentenza, si può ancora da ultimo ricordare Cass. 23 set tembre 1964, n. 2407, Foro it., 1065, I, 269, connota di richiami; 6 dicembre 1963, n. 3111, id., Rep. 1063, voce Tasse in genere, n. 391 ; 28 gennaio 1963, n. 133, ibid., n. 304 ; 6 febbraio 1061, n. 242, id., Rep. 1961, voce cit., n. 168.

In dottrina cons. Vocino, Giurisdizioni elettivamente con correnti, in Dir. e giur., 1963, 226 ; Sa cri sta no, Procedura con tenziosa tributaria avanti l'autorità giudiziaria, in Nuova riv. trib 1962, 236 ; G. Greco, Appunti in tema di competenza esclusiva del tribunale in materia di imposte e tasse, in Giur. it., 1962, I, 1, 448 ; Decisioni della Commissione centrale delle impcste e ricorso ai sensi dell'art. Ill Cost, alla Corte di cassazione, in Bollettino trib., 1961, 580 ; Ingrosso, L'autonomia dell'azione giudiziaria tributaria dopo l'abolizione del solve et repete» in Bass. fin. pubbl., 1962, I, 89 ; G. Greco, Errores in procedendo delle commissioni tributarie e presupposti e limiti del sindacato dell'autorità giudi ziaria, in Giur. it., 1961, I, 1, 553 ; Micheli, Sul rapporto tra il processo dinnanzi alle commissioni tributarie e processo dinnanzi all'autorità giudiziaria ordinaria, in Riv. dir. fin., 1951, II, 240 ; R. Sandulli, Sui limiti del ricorso in Cassazione avverso le deci sioni delle commissioni tributarie (nota a Cass. 17 aprile .1052, n. 1023), in Foro it., 1053, I, 58; At/lorioDiritto processuale tributario, pag. 230 segg. ; A. Berliri, Sul carattere giurisdizio nale delle decisioni della Commissione centrale per le imposte e sulla loro impugnazione dinanzi la Corte di cassazione, in Foro it., 1951, I, 586.

La Suprema corte ha dichiarato inammissibile il ricorso del contribuente ex art. 111 Cost., avverso la decisione della Commis sione centrale, avendolo ritenuto carente di interesse, in quanto era risultato sostanzialmente vincitore, nonostante fossero state di sattese alcune delle eccezioni da lui avanzate. È stato ritenuto infatti, conformemente al principio ormai pacifico dell'autonomia funzionale tra il processo giurisdizionale tributario e quello dinnanzi al giudice ordinario, che quest'ultimo solamente avrebbe potuto giudicare della tempestività della domanda giudiziale avanzata dall'ufficio impositore. Ma la tempestività in questo caso non dipende tout court dall'essere stata o meno proposta la domanda entro i termini richiesti dalla legge (sei mesi ex art. 120 r. decreto 11 luglio 1907 n. 560) ; per potersi decidere in proposito occorreva che la Cassazione, dinnanzi alla quale — e questo è un altro punto ormai pacificamente ricevuto dalla Suprema corte — prosegue (ex art. Ill Cost.) il giudizio precedentemente svoltosi dinnanzi alle commissioni tributarie, si pronunziasse sull'ammissibilità dell'appello della finanza alla commissione provinciale contro la decisione della distrettuale : in quanto, se avesse deciso per l'inammissibilità, ne sarebbe derivato il passaggio in giudicato della pronuncia della commissione distrettuale e quindi l'improponibilità della domanda dinnanzi alla giurisdi zione ordinaria, per la decorrenza dei termini.

Ma è appunto, almeno ci pare, in conseguenza dell'asserito principio dell'autonomia dei due procedimenti che il tribunale non avrebbe potuto validamente conoscere della questione : la tempestività della domanda proposta avanti il giudice ordi nario dipendeva da una questione interna (proponibilità dell'ap pello alla commissione provinciale) al procedimento dinnanzi agli organi di giustizia tributaria sulla quale la Cassazione avrebbe dovuto pronunciarsi.

Ed è da quanto siamo venuti sin qui esponendo che si giu stifica il negato interesse del contribuente al ricorso per cassazione : se infatti la Suprema corte si fosse pronunciata per l'improponi bilità del ricorso alla provinciale (punto sul quale il giudice ordi nario non poteva pronunciarsi), sarebbe altresì risultata l'impro ponibilità della domanda dinnanzi al tribunale, con la conse

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