Sezione I civile; sentenza 10 novembre 1965, n. 2353; Pres. Rossano P., Est. Alliney, P. M.Gentile (concl. diff.); Finanze (Avv. dello Stato Masi) c. Banca nazionale del lavoro (Avv. G. A.Micheli, Del Nunzio) e CarugnoSource: Il Foro Italiano, Vol. 89, No. 1 (GENNAIO 1966), pp. 43/44-47/48Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23155264 .
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PARTE PRIMA
giuridico essenziale ed assorbente, per affermare l'inappli cabilità al caso dell'art. 18 della legge del registro, avrebbe
dovuto invece procedere all'esame concreto delle prove offerte ai fini dell'invocata applicabilità di detta norma e,
quindi, pervenire, su tali basi di fatto, al giudizio sull'esi
stenza o meno della presunzione di trasferimento d'immobili
a titolo di proprietà, e più precisamente di conferimento di
beni immobili nella società di fatto di cui trattasi, trovando
la norma applicazione, nella sua ampiezza, anche per l'ac
certamento circa la sussistenza di conferimento di beni
immobili nelle società irregolari. Con lo stesso motivo, l'amministrazione lamenta che
la corte di merito non abbia fatto applicazione alla specie del 5° comma dell'art. 18 che prevede altri elementi di pre sunzione a favore della pretesa della finanza.
La censura è infondata in quanto il detto comma si
riferisce alla cessione di aziende commerciali, per le quali le parti interessate abbiano omesso di registrare i relativi
contratti verbali. In tal caso, la norma invocata consente
all'ufficio di agire in base ad alcune circostanze di fatto pre suntive della cessione. Nella specie, la controversia verte,
invece, sul fatto se i locali, in cui trovasi installata la
azienda, debbano considerarsi di proprietà della società
o di taluno dei soci e tale questione non può essere risolta
se non in base al 1° comma dell'art. 18 che disciplina i tra
sferimenti immobiliari.
Col secondo mezzo l'amministrazione ricorrente, denun
ciando la violazione degli art. 2627 cod. civ., 112 e 115 cod.
proc. civ. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.
sostiene che la corte di Catania, nel demandare all'ufficio
del registro l'accertamento della data d'inizio della società, abbia invertito l'onere della prova, in quanto, in difetto
d'una idonea prova da parte dei contribuenti, avrebbe do
vuto accogliere la domanda della finanza e non porre a ca
rico dell'amministrazione l'onere di nuovi accertamenti.
La censura è fondata. In tema d'enunciazione di società
di fatto, vige il principio, ormai pacifico in giurisprudenza, che l'imponibile e cioè l'ammontare dei conferimenti di
società, ai fini dell'imposta di registro di cui all'art. 81 della
tariffa ali. A, va determinato con riferimento al momento
della costituzione del vincolo sociale, dato che tale imposta incide sul trasferimento della ricchezza e sul rapporto giu ridico che la pone in essere e non sulla ricchezza attuale.
In difetto, però, di prova inoppugnabile l'imponibile pre detto può essere accertato presuntivamente in base al pa trimonio sociale e agli elementi inerenti al funzionamento
della società esistenti al momento dell'enunciazione salvo alla parte interessata la prova contraria nei modi prescritti dalla legge di registro, circa l'effettiva entità dei conferi menti.
Ora, la corte di merito, mentre ha dimostrato di non
ignorare tali principi, ne ha fatto, tuttavia, una errata appli cazione perchè si è limitata ad affermare che la data di inizio della società non era emersa con certezza dalla prova raccolta e ne ha demandato l'accertamento all'ufficio del
registro. In tal modo essa ha capovolto l'onere della prova attribuendo alla finanza l'accertamento della data d'inizio della società, mentre la prova avrebbero dovuto fornirla i
contribuenti.
Inoltre, trattandosi d'un punto controverso della causa, la corte di Catania avrebbe dovuto decidere essa stessa
quale era la data di costituzione della società e, in mancanza di prove certe, avrebbe dovuto riferirsi, agli effetti della de
terminazione dell'imponibile, alla data dell'enunciazione. Va disatteso il terzo motivo del ricorso incidentale col
quale si censura l'impugnata sentenza sotto un triplice profilo e cioè per avere la corte di merito : a) demandato all'ufficio del registro l'accertamento dell'epoca d'inizio
della società pur avendo riconosciuto che l'inizio di questa doveva ritenersi avverato non dopo il 30 dicembre 1930 ;
b) ritenuto inapplicabile la tariffa vigente all'epoca della
costituzione della società ; c) ritenuto che nella valutazione dell'azienda dovesse tenersi conto dell'avviamento laddove
questo era del tutto inesistente. Sotto il primo profilo, la censura è assorbita dall'accogli
mento del secondo motivo del ricorso principale per l'iden
tità della questione. Sotto il secondo profilo, la censura è
palesamento infondata. Infatti, posto che la società irrego lare comincia a esistere, agli effetti della legge di registro, soltanto al momento in cui ne viene accertata l'esistenza
e più precisamente quando l'atto, che contiene tale accerta
mento, viene presentato per la registrazione, è chiaro che, in caso di società di fatto enunciata in una sentenza, la ta
riffa applicabile sia quella vigente al momento della regi strazione della sentenza enunciante e non quella vigente all'atto della costituzione della società.
Sotto il terzo profilo, la censura è parimenti infondata.
L'avviamento è una qualità dell'azienda, dalla stessa inse
parabile e, quindi, come tale, ha sempre un valore apprezza bile. Giustamente, pertanto, la corte di merito ha ritenuto
che esso non possa essere escluso nella determinazione del
l'imponibile, ma debba essere valutato con riferimento alla
data in cui ha avuto inizio la società. Se poi, a quella data, l'avviamento era pressoché nullo o ridotto, spetta alla
parte interessata fornire la prova dell'effettiva consistenza
dell'avviamento.
Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile; sentenza 10 novembre 1965, n. 2353; Pres. Rossano P., Est. Alliney, P. M. Gentile (conci, cliff.) ; Finanze (Avv. dello Stato Masi) c. Banca na zionale del lavoro (Avv. G. A. Micheli, Del Nunzio) e Carugno.
(Cassa App. L'Aquila 2 agosto 1002)
Ilegistro Agevolazioni tributarie Cessione ili ere diti verso la pubblica amministrazione — Presup posti Fattispecie (R. d. 30 dicembre 1923 n. 3269,
legge del registro, ali. A, art. 4, 28 ; legge 4 aprile 1953 ii. 261, modificazioni all'imposta di registro, relativa mente al regime fiscale delle cessioni di credito dei mu tui e degli appalti, art. 1, 2).
Per fruire dell'aliquota ridotta prevista dall'art. 4, lett. c), della
tariffa di registro, come modificato dagli art. 1 e 2 della legge 4 aprile 1953 n. 261, per le cessioni di annualità, con tributi o crediti verso le pubbliche amministrazioni, in relazione ad operazioni di finanziamento, occorre che la
convenzione sia redatta in modo tale da escludere, ab
origine, che la cessione dei crediti possa essere utilizzata
per garantire operazioni diverse da quelle specificate nel l'atto cui spetta il beneficio tributario (nella specie, è stato ritenuto che non fosse opportunamente formulata la
clausola, per la quale la banca si riserva la facoltà di revo care in tutto o in parte, anche prima dell' avvenuto incasso dei mandati ceduti, il finanziamento, con il preavviso di otto giorni «ferma restando in ogni effetto la cessione dei
crediti »). (1)
(1) La sentenza riafferma i principi della più recente giuri sprudenza della Corte regolatrice in tema di applicazione della
aliquota ridotta ex art. 4, lett. c), della tariffa di registro alle ope razioni di finanziamento contro cessioni di annualità o crediti verso le pubbliche amministrazioni : nello stesso senso vedi
sent. 26 marzo 1965, n. 507, Foro it., Mass., 139 ; 15 ottobre
1964, n. 2587, id., Rep. 1964, voce Registro, n. 361 ; 5 ottobre
1964, n. 2519, 6 giugno 1964, n. 1397, id., 1964, I, 1919. con
ampia nota di richiami. Per ulteriori riferimenti, sulla spettanza degli analoghi ma
minori benefici spettanti ex lett. b) del predetto art. 4, cfr. Cass. 21 dicembre 1964, n. 2948, id., 1965, I, 824, con nota di richiami.
Sulla interpretazione dei contratti ai fini dell'applicazione della imposta di registro v. Cass. 19 agosto 1947, n. 1538, id.,
Rep. 1947, voce cit., nn. 41, 42 ; nello stesso senso è la moti vazione di Cass. 13 aprile 1960, n. 861, id., 1961, I, 490.
L'orientamento giurisprudenziale è seguito in dottrina da
Uckmar, La legge del registro, 1958, I, pag. 188 e segg. La sentenza 2 agosto 1962 della Corte d'appello de L'Aquila
leggesi in Foro it., 1963, I, 704, con nota di richiami.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La Coite, ecc. — Il primo motivo del ricorso investe la
sentenza denunciata per violazione e falsa applicazione degli art. 4, lett. e), e nota aggiunta, 28, lett. c), della legge di
registro 30 dicembre 1923 n. 3269 nel testo modificato
degli art. 1 e 2 della legge 4 aprile 1953 n. 261 ; nonché
per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa
punti decisivi della controversia, prospettati dall'ammini
strazione finanziaria.
La censura è fondata. L'art. 4 della tariffa ali. A alla
legge organica di registro, nel testo modificato dall'art. 1
della legge 4 aprile 1953 n. 261, prevede tre distinte aliquote, la prima normale, le altre due di favore, per le cessioni di
credito. Alla lett. a) è prevista l'aliquota normale dell'I,50
per cento per le « cessioni pro soluto e pio solvendo di crediti
e retrocessione di crediti ». Alla lett. b) è stabilita l'aliquota ridotta dello 0,50 per cento per le cessioni anzidette clie siano
state stipulate in relazione alle operazioni di cui alla lett. b) dell'art. 28 della stessa tariffa, ossia alle aperture di cre
dito, anticipazioni di somme e finanziamenti in genere, concessi dalle aziende ed enti di credito, contemplati dal
r. decreto legge 12 marzo 1936 n. 275 e successive modifi
cazioni, a favore di ditte commerciali e industriali. Alla
lett. c) è, infine, prevista l'aliquota, ulteriormente ridotta,
dello 0,25 per cento per le cessioni pro soluto e pro solvendo
di annualità o contributi governativi e di enti pubblici, nonché di crediti verso pubbliche amministrazioni, stipu late in relazione alle operazioni di apertura di credito e di
finanziamento sopra menzionato. La nota aggiunta all'art.
4 della tariffa ali. A espressamente avverte che « per l'ap
plicabilità delle minori aliquote di cui alle lett. b) e e) è
necessario che nell'atto di cessione siano specificamente indicate le operazioni in relazione alle quali è stipulato e
che l'efficacia della cessione non sia estesa anche ad altre
operazioni ».
Questa esplicita avvertenza, volta ad assicurare una
corretta ed uniforme interpretazione della legge e a fis
sarne gli specifici obiettivi, fu determinata dal fatto, messo
in rilievo dal dibattito parlamentare, che gli istituti di cre
dito, giovandosi della generica formula della legge prece
dente (r. decreto legge 9 maggio 1935 n. 606 ; r. decreto
legge 19 dicembre 1936 n. 2170), non rifuggivano dall'uti
lizzare le cessioni di crediti per coprire proprie esposizioni non collegate a finanziamenti concessi per l'esecuzione di
opere o forniture a favore di enti pubblici. Vuole, dunque,
la legge che tra finanziamento e cessione di credito sussi
sta una effettiva e costante interdipendenza, in modo che il
risultato economico dell'opera pubblica non sia nè possa
essere distolto dal fine di estinzione o di garantire l'estin
zione del finanziamento concesso per l'esecuzione della
opera stessa.
Conseguentemente, per fruire dell'agevolazione fiscale,
il negozio deve essere concepito ed espresso in modo tale
da escludere ab origine che esso possa comunque servire
ad operazioni diverse da quelle specificate nell'atto di
cessione. E per codesto accertamento l'indagine del giudice di
merito non deve essere diretta, secondo il consolidato in
segnamento di questo Supremo collegio, a ricercare, in
conformità alle norme di ermeneutica contrattuale, la
comune intenzione delle parti e a stabilire quale delle pos
sibili interpretazioni delle singole clausole sia più plausibile
e attendibile. L'atto deve essere, invece, oggettivamente esaminato,
nel suo potenziale valore strumentale, nel senso che nes
suna delle sue clausole, individualmente considerate, nè
il complesso delle medesime, siano capaci di aprire un varco
attraverso il quale l'operazione possa, nel corso del suo
svolgimento, deviare dalla sua originaria ed apparente
destinazione e allargarsi a nuove operazioni, le quali sfug
girebbero in tale modo al controllo del fisco e si avvantag
gerebbero indebitamente del trattamento tributario di fa
vore. Pertanto l'obiettiva possibilità di siffatto amplia
mento basta a sottrarre l'atto alla previsione normativa di
cui si discute, indipendentemente dagli effetti pratici ap
parentemente o realmente voluti dalle parti contraenti
(Sez. un. n. 1307 e n. 2519 del 1964, Foro it., 1964, I, 1919).
Appunto per ciò, nel caso di eccedenza della cessione
rispetto alla sovvenzione, occorre, come questo Supremo
collegio lia più d'una volta affermato, che Tatto con
tenga disposizioni limitative del normale effetto della ces
sione dei crediti, in modo da escludere che il congegno contrattuale offra, oggettivamente, all'istituto la possibi lità di destinare i crediti ceduti a scopo diverso da quello, che, solo, giustifica il trattamento fiscale di favore della
estinzione del finanziamento.
Ora, nella interpretazione della clausola n. 10 del con
tratto 19 novembre 1954, clausola che costituisce il tema
principale della censura in esame, la corte d'appello si è
lasciata guidare da criteri e da principi che contrastano
con le finalità, sopra illustrate, della legge. In tale clausola è specificato che la banca si riserva la
facoltà di revocare in tutto o in parte, anche prima dell'av
venuto incasso dei mandati ceduti, il finanziamento, con
il preavviso di otto giorni « ferma restando in ogni effetto
la cessione del credito ».
Posta di fronte all'accezione che questa clausola in
frange il necessario collegamento fra cessione del credito
e finanziamento, la corte di merito ha disatteso l'accezione
sul rilievo che, negandosi la persistenza di tale collegamento, la clausola in parola « non avrebbe alcun senso in quanto la
cessione pro solvendo del credito già data a garanzia di un
finanziamento verrebbe a mancare di causa, tanto più che non si accenna al fatto che la cessione dovrebbe garan tire altri, sia pur generici finanziamenti », sicché « non vi
sarebbe alcuna ragione a che permanga avulsa dal finanzia
mento una cessione di crediti priva di qualsiasi contro
partita ».
Ha quindi soggiunto, rifacendosi al principio di erme
neutica, secondo cui, nell'interpretazione di un contratto, deve preferirsi quella che gli imprima « un senso », che nella
specie doveva ritenersi in linea di fatto che la banca, riservandosi la facoltà di revocare, in evidente relazione
a possibili inadempienze del cliente o ad altri motivi, il
concesso finanziamento, aveva voluto specificare che « il
credito ceduto garantiva tutte le sue ragioni derivanti dal
finanziamento, prima che questo fosse revocato » sicché
l'ultrattività della garanzia si rifletteva unicamente « sul
passato e sui rapporti in corso al momento del venire meno
del finanziamento ».
Senonchè, così argomentando, la corte di merito si
è attenuta, per sua stessa affermazione, ai criteri sogget tivi di interpretazione, normalmente previsti per i contratti, senza porsi il problema, chiaramente imposto dalla nota
integrativa dell'art. 4 tariffa ali. A, se, indipendentemente dall'intento negoziale delle parti, la clausola dibattuta
offrisse oggettivamente alla banca la possibilità, connessa
a eventuali sviluppi e conseguenti situazioni del rapporto instaurato col correntista, di destinare il credito ceduto,
per la parte eccedente le erogazioni effettuate, a scopi diversi da quello della estinzione del finanziamento. E la
necessità di una simile penetrante indagine era, nella
specie, tanto maggiore, in quanto la mancanza nella scrit
tura contrattuale di disposizioni rigorosamente limitative
del normale effetto della cessione del credito non poteva non rendere pensosi circa la persistenza del requisito voluto
dalla legge per l'applicazione dell'aliquota di favore. Al
quale proposito non soddisfa certo la considerazione che,
revocato il finanziamento, sarebbe venuta meno, relativa
mente alla parte eccedente l'ammontare delle sovvenzioni
già effettuate, la causa originaria della cessione di credito
e che nell'atto non si accenna, neppure genericamente, ad
altri finanziamenti da garantire mediante quella cessione,
giacché rimaneva pur sempre aperta la questione se, proprio in conseguenza del venir meno della causa originaria della
cessione e, malgrado il silenzio del contratto intorno ad
altri modi di utilizzazione pattizia del credito ceduto,
l'ultrattività della cessione fosse, per se stessa, tale da com
portare, mutata la causa originaria, la possibilità di una
destinazione del credito ceduto a scopi diversi da quello che
condiziona la concessione dell'agevolazione tributaria di
cui si discute. E in proposito occorre considerare come, in
coerenza con la natura del conto corrente bancario di nego
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PARTE PRIMA
zio giuridico complesso, l'art. 1853 cod. civ. prevede, salvo
patto contrario, la compensazione tra i saldi di più rapporti o più conti. Sul punto fin qui esaminato, Verror in indi
cando, denunciato dall'amministrazione ricorrente, è per tanto manifesto.
Pure a ragione la ricorrente si duole che la corte d'ap pello non abbia esaminato, nel suo testo integrale, la clausola n. 8 del contratto, trascurando così un punto decisivo della
controversia, prospettato dall'amministrazione finanziaria. Di tale clausola la corte di merito lia, in realtà, esaminato una sola parte, quella, non più discussa in questa sede,
riguardante la possibilità, giudicata non incompatibile con la concessione del beneficio fiscale, di successivi e ripetuti prelievi di denaro nel limite del finanziamento, ma non ha posto mente alla facoltà, nella stessa clausola attribuita alla banca, di imputare le somme riscosse a seguito della cessione a copertura del finanziamento, di versarle in un conto corrente vincolato, di metterle in tutto o in parte a
disposizione del cliente, di svincolare il conto corrente pre cedentemente vincolato.
Ora è innegabile che, passando sotto silenzio tutti co desti patti, la corte di merito è incorsa in un rilevante difetto di attività, poiché la considerazione dell'ampio potere di disposizione delle somme riscosse accordato alla
banca, avrebbe potuto condurre a soluzione diversa da
quella adottata. Il primo motivo del ricorso va conseguentemente accolto. Si denuncia, col secondo mezzo, la violazione e la falsa
applicazione, al caso specifico, dell'art. 8, 1° comma, della
legge organica di registro in relazione all'art. 4, lett. c), e relativa nota speciale della tariffa ali. A, nel testo modi ficato dell'art. 1 della legge 4 aprile 1953 n. 261.
Anche questa censura è fondata. L'art. 8 della legge di
registro dispone, al 1° comma, che le tasse sono applicate secondo l'intrinseca natura e gli effetti degli atti o dei
trasferimenti, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente. In questa norma è scolpito il principio che, nell'applicazione della legge di registro, deve soltanto porsi mente alla capacità del negozio di produrre ex se
quei determinati effetti giuridici che, secondo la legge, im
portano il pagamento del tributo. Per stabilire ciò, deve aversi riguardo, non alla comune
intenzione delle parti, da ricercarsi alla stregua dei criteri
soggettivi di interpretazione dei contratti, non alle enuncia tive, non al nomen iuris, non all'apparato formale del nego zio, ma unicamente agli effetti che possono obiettivamente scaturire dall'atto in relazione al contenuto sostanziale delle disposizioni negoziali.
Ai fini dell'accertamento dell'applicabilità o no, al caso specifico, dell'aliquota di favore, la valutazione critica delle clausole sopra menzionate doveva quindi essere com piuta al lume anche di tale principio, non già alla stregua dei normali canoni di ermeneutica contrattuale, ai quali la corte di merito si è, errando, espressamente richiamata. (Omissis)
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 9 novembre 1965, n. 2345 ; Pres. Pece P., Est. Roperti, P. M. Cutrupia (conci, conf.) ; Consorzio autonomo porto di Genova (Avv. Cavallo, Uckmar) c. Finanze (Avv. dello Stato Coronas).
(Dichiara inammissibile ricorso avverso C. centrale 9 no vembre 1962, n. 64256)
Tasse e imposte in genere Contenzioso Itieorso per cassazione — Difello *li interesse Fattispecie (Costituzione, art. 111).
Se l'ufficio impositore, interamente soccombente nel procedi mento avanti la commissione provinciale, rinuncia al ri
corso alla Commissione centrale, che dà atto della rinuncia con decisione interlocutoria, e propone poi domanda al
giudice ordinario, il contribuente non può proporre ri corso per cassazione della decisione definitiva, con cui la Commissione centrale respinge l'eccezione di inammis sibilità dell'appello dell'ufficio alla commisione provinciale per difetto di sottoscrizione del titolare dell'ufficio e per mancata specificazione dei motivi, l'interesse del contri buente al ricorso non potendo scaturire dalla intempesti vità della- domanda al giudice ordinario, che dalla dichia rata inammissibilità dell'appello deriverebbe. (1)
(1) Non constano precedenti in termini. Sui due punti richiamati dalla sentenza in rassegna e cioè
che il procedimento dinanzi alla Corte di cassazione a seguito di un ricorso ex art. 111 Cost, non è che la prosecuzione del pro cedimento svoltosi dinanzi agli organi di giustizia tributaria e che sussiste autonomia funzionale fra il processo giurisdizionale tributario e quello innanzi al giudice ordinario, esiste ormai una giurisprudenza consolidata : oltre ai due precedenti richiamati dalla sentenza, si può ancora da ultimo ricordare Cass. 23 set tembre 1964, n. 2407, Foro it., 1065, I, 269, connota di richiami; 6 dicembre 1963, n. 3111, id., Rep. 1063, voce Tasse in genere, n. 391 ; 28 gennaio 1963, n. 133, ibid., n. 304 ; 6 febbraio 1061, n. 242, id., Rep. 1961, voce cit., n. 168.
In dottrina cons. Vocino, Giurisdizioni elettivamente con correnti, in Dir. e giur., 1963, 226 ; Sa cri sta no, Procedura con tenziosa tributaria avanti l'autorità giudiziaria, in Nuova riv. trib 1962, 236 ; G. Greco, Appunti in tema di competenza esclusiva del tribunale in materia di imposte e tasse, in Giur. it., 1962, I, 1, 448 ; Decisioni della Commissione centrale delle impcste e ricorso ai sensi dell'art. Ill Cost, alla Corte di cassazione, in Bollettino trib., 1961, 580 ; Ingrosso, L'autonomia dell'azione giudiziaria tributaria dopo l'abolizione del solve et repete» in Bass. fin. pubbl., 1962, I, 89 ; G. Greco, Errores in procedendo delle commissioni tributarie e presupposti e limiti del sindacato dell'autorità giudi ziaria, in Giur. it., 1961, I, 1, 553 ; Micheli, Sul rapporto tra il processo dinnanzi alle commissioni tributarie e processo dinnanzi all'autorità giudiziaria ordinaria, in Riv. dir. fin., 1951, II, 240 ; R. Sandulli, Sui limiti del ricorso in Cassazione avverso le deci sioni delle commissioni tributarie (nota a Cass. 17 aprile .1052, n. 1023), in Foro it., 1053, I, 58; At/lorioDiritto processuale tributario, pag. 230 segg. ; A. Berliri, Sul carattere giurisdizio nale delle decisioni della Commissione centrale per le imposte e sulla loro impugnazione dinanzi la Corte di cassazione, in Foro it., 1951, I, 586.
La Suprema corte ha dichiarato inammissibile il ricorso del contribuente ex art. 111 Cost., avverso la decisione della Commis sione centrale, avendolo ritenuto carente di interesse, in quanto era risultato sostanzialmente vincitore, nonostante fossero state di sattese alcune delle eccezioni da lui avanzate. È stato ritenuto infatti, conformemente al principio ormai pacifico dell'autonomia funzionale tra il processo giurisdizionale tributario e quello dinnanzi al giudice ordinario, che quest'ultimo solamente avrebbe potuto giudicare della tempestività della domanda giudiziale avanzata dall'ufficio impositore. Ma la tempestività in questo caso non dipende tout court dall'essere stata o meno proposta la domanda entro i termini richiesti dalla legge (sei mesi ex art. 120 r. decreto 11 luglio 1907 n. 560) ; per potersi decidere in proposito occorreva che la Cassazione, dinnanzi alla quale — e questo è un altro punto ormai pacificamente ricevuto dalla Suprema corte — prosegue (ex art. Ill Cost.) il giudizio precedentemente svoltosi dinnanzi alle commissioni tributarie, si pronunziasse sull'ammissibilità dell'appello della finanza alla commissione provinciale contro la decisione della distrettuale : in quanto, se avesse deciso per l'inammissibilità, ne sarebbe derivato il passaggio in giudicato della pronuncia della commissione distrettuale e quindi l'improponibilità della domanda dinnanzi alla giurisdi zione ordinaria, per la decorrenza dei termini.
Ma è appunto, almeno ci pare, in conseguenza dell'asserito principio dell'autonomia dei due procedimenti che il tribunale non avrebbe potuto validamente conoscere della questione : la tempestività della domanda proposta avanti il giudice ordi nario dipendeva da una questione interna (proponibilità dell'ap pello alla commissione provinciale) al procedimento dinnanzi agli organi di giustizia tributaria sulla quale la Cassazione avrebbe dovuto pronunciarsi.
Ed è da quanto siamo venuti sin qui esponendo che si giu stifica il negato interesse del contribuente al ricorso per cassazione : se infatti la Suprema corte si fosse pronunciata per l'improponi bilità del ricorso alla provinciale (punto sul quale il giudice ordi nario non poteva pronunciarsi), sarebbe altresì risultata l'impro ponibilità della domanda dinnanzi al tribunale, con la conse
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