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sezione I civile; sentenza 10 ottobre 2003, n. 15142; Pres. Grieco, Est. Nappi, P.M. Frazzini...

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sezione I civile; sentenza 10 ottobre 2003, n. 15142; Pres. Grieco, Est. Nappi, P.M. Frazzini (concl. conf.); San Paolo-Imi (Avv. Landolfi) c. Soc. Pardi partecipazioni finanziarie (Avv. Bianco, Carloni, Ravinale). Conferma App. Torino 20 novembre 2000 Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 11 (NOVEMBRE 2004), pp. 3163/3164-3175/3176 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200314 . Accessed: 24/06/2014 23:52 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.73.250 on Tue, 24 Jun 2014 23:52:21 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 10 ottobre 2003, n. 15142; Pres. Grieco, Est. Nappi, P.M. Frazzini(concl. conf.); San Paolo-Imi (Avv. Landolfi) c. Soc. Pardi partecipazioni finanziarie (Avv.Bianco, Carloni, Ravinale). Conferma App. Torino 20 novembre 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 11 (NOVEMBRE 2004), pp. 3163/3164-3175/3176Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200314 .

Accessed: 24/06/2014 23:52

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PARTE PRIMA

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 otto

bre 2003, n. 15142; Pres. Grieco, Est. Nappi, P.M. Frazzini

(conci, conf.); San Paolo-Imi (Avv. Landolfi) c. Soc. Pardi

partecipazioni finanziarie (Avv. Bianco, Carloni, Ravinale).

Conferma App. Torino 20 novembre 2000.

Fallimento — Revocatoria — Sproporzione tra le prestazio ni — Oggetto — Contratto di opzione

— Esclusione (Cod.

civ., art. 1331; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del falli

mento, art. 67).

Appello civile — Opposizione allo stato passivo — Nuove

allegazioni — Domanda nuova — Inammissibilità — Fat

tispecie (Cod. proc. civ., art. 345; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 98).

Appello civile — Revocatoria fallimentare — Eccezioni im proprie — Rilevabilità «ex officio» — Condizioni — Fatti specie (Cod. proc. civ., art. 112, 167, 183, 345).

L'oggetto dell'azione revocatoria fallimentare per manifesta

sproporzione tra le prestazioni è rappresentato dal contratto

finale (nella specie, di compravendita di azioni) e non dal

patto di opzione, il quale non comporta alcuna prestazione, ma soltanto vincola il proponente alla irrevocabilità della

propria proposta. (1) Nel giudizio di opposizione allo stato passivo e nel successivo

( 1 ) 1. - La sentenza in epigrafe affronta la questione dell'individua zione dell'oggetto dell'azione revocatoria fallimentare, qualora il defi nitivo assetto di interessi tra le parti non si formi attraverso un unico atto: in particolare, nel caso di specie, ad un contratto di opzione aveva fatto seguito il contratto finale, rappresentato da un contratto di com

pravendita di azioni. Non risultano precedenti specifici. Il ricorrente eccepiva che la disposizione patrimoniale, oggetto del

l'azione revocatoria, doveva ritenersi riferita alla complessa regola mentazione precedente la stipula del contratto di compravendita, il

quale ne rappresentava unicamente un adempimento esecutivo. Al ri

guardo, sottolineava come ogni elemento del sinallagma contrattuale era già definito al momento della stipula del patto di opzione.

Tuttavia, proprio tale ultima circostanza contribuiva ad avvalorare il convincimento della corte. Infatti, la giurisprudenza rileva che la di chiarazione resa vincolante per una delle parti da un patto d'opzione deve contenere, per l'appunto, tutti gli elementi essenziali del contratto

finale, in modo da consentire la conclusione di quest'ultimo nel mo mento e per effetto dell'adesione dell'altra parte, senza necessità di ul teriori pattuizioni. In mancanza di tutti gli elementi, si è in presenza di un mero accordo preparatorio, destinato ad inserirsi nell'iter formativo del futuro contratto, con l'effetto di fissare solo gli elementi già con cordati. In tal senso, v. Cass. 29 ottobre 1993, n. 10777, Foro it., Rep. 1993, voce Contratto in genere, n. 280, richiamata in motivazione, ri

portata anche in Corriere giur., 1993, 1401. con nota di V. Carbone, I

requisiti dell'opzione; 14 febbraio 1986, n. 873, Foro it.. Rep. 1986, voce cit., n. 214; 28 aprile 1983, n. 2908, id., Rep. 1983, voce cit., n.

138, nonché le ulteriori sentenze richiamate in motivazione. Se è vero, allora, che il proponente definisce già al momento della

concessione dell'opzione il contenuto della sua futura obbligazione contrattuale, tuttavia, prima che il contratto finale sia concluso, egli è vincolato soltanto all'irrevocabilità della sua proposta, ha soltanto una

obbligazione negativa di mantenere un comportamento tale da non im

pedire la conclusione del contratto definitivo. La corte specifica che il negozio, che sorge da un rapporto origina

riamente in fieri, si perfeziona nello stesso momento in cui la parte ma nifesta la sua volontà di esercitare il suo diritto di opzione e non può spiegare effetti se non da tale momento. Sul punto, la decisione richia ma Cass. 27 febbraio 1978, n. 989, id., Rep. 1978, voce cit., n. 184; 20 ottobre 1954, n. 3933, id., Rep. 1954, voce Obbligazioni e contratti, n. 92.

L'istituto dell'opzione di cui all'art. 1331 c.c. si inserisce, pertanto, nell'ambito di una più complessa fattispecie a formazione progressiva, costituita inizialmente da un accordo avente ad oggetto l'irrevocabilità della proposta del promittente, e, successivamente, dall'eventuale ac cettazione del promissario, la quale, saldandosi con la precedente pro posta, perfeziona il nuovo negozio giuridico, senza discostarsi dal mec canismo di cui all'art. 1326 c.c. Al riguardo, v. Cass. 25 febbraio 1998,' n. 2017, id., Rep. 1998, voce Contratto in genere, n. 318; 26 marzo 1997, n. 2692, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 437, entrambe richiamate in

motivazione; 11 ottobre 1986, n. 5950, id.. Rep. 1987, voce cit., n. 256.

Conformi, tra i giudici di merito, App. Milano 11 marzo 1997, id., Rep. 1997, voce cit., n. 319, nonché Corriere giur., 1997, 805, con nota adesiva di G. Lombardi, È valida l'opzione gratuita?', Trib. Roma 30

maggio 1990, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 251. In dottrina, nello stesso senso, v. G. Gioffrè, La sopravvivenza del

contratto principale all'invalidità dell'opzione, in Riv. dir. civ., 2001,

Il Foro Italiano — 2004.

appello, la prospettazione di nuovi fatti rispetto a quelli posti a fondamento della originaria insinuazione rappresenta do

manda nuova, come tale inammissibile (nella specie, il diritto

di credito originariamente vantato in sede di insinuazione al

passivo quale corrispettivo di una compravendita, era stato

successivamente qualificato quale restituzione di un finan

ziamento). (2) In tema di revocatoria fallimentare, la mera contestazione delle

condizioni dell'azione (c.d. eccezione impropria) può essere

rilevata anche d'ufficio per la prima volta in appello, purché in relazione a fatti allegati tempestivamente dalle parti nel

l'ambito del giudizio di primo grado (nella specie, la corte ha

confermato l'inammissibilità in appello delle eccezioni volte

a contestare i presupposti dell'azione revocatoria, in quanto la sproporzione tra le prestazioni era stata contestata in ap

pello sulla base di fatti diversi da quelli allegati in primo

grado, mentre in relazione alla inscientia decoctionis era

mancata una qualsiasi contestazione). (3)

II, 176 ss., il quale sottolinea che, con la conclusione dell'opzione le

parti non mirano alla creazione di una situazione definitiva, ma tendono a generare una situazione giuridica provvisoria e preparatoria di quella finale. I due negozi giuridici, peraltro, sono tra loro autonomi dal punto di vista strutturale.

Per riferimenti più risalenti alle caratteristiche del contratto di opzio ne, v. P. Menti, Il dualismo fra proposta ferma per patto e contratto di

opzione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, 681; V. Sinisi, nota a Cass. 21 gennaio 1982, n. 402, in Foro it., 1982,1, 1983.

II. - In armonia con tale ricostruzione, si pongono due ulteriori circo stanze.

In primo luogo, la mancata stipulazione del contratto finale può dare

origine ad una responsabilità soltanto di tipo precontrattuale: Cass. 25 febbraio 1998, n. 2017, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 351, richiamata in

motivazione; 13 dicembre 1994, n. 10649, id.. Rep. 1994, voce cit., n.

284, anch'essa richiamata in motivazione relativamente a diversi profi li.

In secondo luogo, la sentenza in rassegna afferma che, ai fini della validità del contratto finale, la capacità del proponente deve esistere al momento del riconoscimento dell'opzione, mentre la capacità dell'op zionario al momento dell'accettazione della proposta irrevocabile for mulata.

Per una decisione coerente con quella in epigrafe, sia pure in relazio ne a fattispecie differente, v. Trib. Mondovì 31 agosto 2000, id., 2001, I. 365, con nota di M. Fabiani, ove riferimenti anche all'esercizio del l'azione revocatoria avente ad oggetto un contratto preliminare ovvero una vendita di cosa futura. La sentenza ha affermato che, nell'ipotesi di contratto di permuta di cosa presente con cosa futura, la revocatoria fallimentare può rivolgersi soltanto nei confronti del negozio dispositi vo, in quanto l'effetto traslativo che risale al momento della stipulazio ne si verifica automaticamente nel momento in cui viene ad esistenza il bene oggetto della permuta. In motivazione si è precisato, infatti, che il contratto di permuta nella specie stipulato non costituisce «un negozio a formazione progressiva, suscettibile soltanto di effetti meramente

preliminari ed obbligatori, aventi per contenuto quello di porre in esse re un successivo negozio, ma configura un'ipotesi di contratto definiti

vo, di per sé idoneo e sufficiente a produrre l'effetto traslativo della

proprietà al momento in cui la cosa verrà ad esistenza». I medesimi rilievi in ordine alla diversità della fattispecie in esame

rispetto alla vendita di cosa futura, fondata sulla definitività di tale contratto ad effetti obbligatori, sono svolti anche in motivazione dalla sentenza odierna, la quale rinvia sul punto a Cass. 6 novembre 1991, n. 11840, id.. Rep. 1991, voce Vendita, n. 29.

Infine, la corte ritiene irrilevanti, ai fini della decisione, le differenze sussistenti tra patto di opzione e contratto preliminare, rispetto al quale ultimo la giurisprudenza ha affermato che l'esame della proporzione delle prestazioni e quello della conoscenza dello stato d'insolvenza vanno compiuti con riferimento alla data del contratto definitivo e non a quella del contratto preliminare (Cass. 30 marzo 1994, n. 3165, id., Rep. 1994, voce Fallimento, n. 402; 11 marzo 1993, n. 2967, id., Rep. 1993, voce cit., n. 379; 16 gennaio 1992, n. 500, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 386; 4 novembre 1991. n. 11708, ibid., n. 402, tutte richiamate in motivazione).

(2-3) I. - Altra questione sottoposta dal ricorrente all'esame della corte investe il rilievo da attribuire alla modifica dei fatti posti a fon damento della domanda di insinuazione allo stato passivo nell'ambito del successivo giudizio di opposizione e dell'ulteriore appello.

Nel caso di specie, la corte riconosce che la domanda di insinuazione nel passivo è domanda eterodeterminata, facendosi valere un diritto di credito pecuniario. Cosicché, «sia nel giudizio di opposizione allo stato

passivo, secondo quanto prevede l'art. 98 1. fall., sia nel giudizio d'ap pello, secondo quanto prevede l'art. 345 c.p.c., né la parte proponente poteva prospettare fatti nuovi a sostegno della propria domanda né il

giudice avrebbe potuto accogliere quella domanda sulla base di fatti

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con la sentenza impugnata la

Corte d'appello di Torino confermò il rigetto dell'opposizione

proposta dalla Sige investimenti s.p.a. (successivamente incor

porata dall'Imi s.p.a., a sua volta fusasi poi con l'Istituto banca

rio San Paolo) avverso lo stato passivo della Pardi s.r.l., in am

ministrazione straordinaria a decorrere dal 13 giugno 1994, dal

quale era stato escluso un suo credito di lire 14.834.136.983,

vantato quale corrispettivo della vendita di azioni della Presafin

s.p.a. eseguita in data 21 gennaio 1993 in esecuzione di un con

tratto di opzione stipulato il 2 aprile 1992.

che, pur provati, fossero diversi da quelli allegati con la richiesta d'in

sinuazione nel passivo». Nello stesso senso, già Cass. 28 maggio 2003, n. 8472, Foro it., Rep.

2003, voce Fallimento, n. 516, la quale ha affermato che «come il giu dizio di opposizione allo stato passivo ha natura impugnatoria ed è retto dal principio dell'immutabilità della domanda, il quale esclude che

possano essere prese in considerazione questioni, non rilevabili d'uffi

cio, dedotte solo in quella fase dall'opponente, del pari, i medesimi

principi regolano, in assenza di indicazioni normative specifiche, i rap

porti tra il giudizio di opposizione di primo grado e quello di appello, anche in relazione al principio dell'immutabilità della domanda conte

nuto nell'art. 345, 1° comma, c.p.c.». La decisione sembra per l'appunto applicare al caso di specie il prin

cipio dell'immutabilità della domanda di insinuazione al passivo nei

successivi stadi del procedimento di accertamento del passivo, ormai

consolidato in dottrina e giurisprudenza. Accolgono tale princìpio, S. Bonfatti, L'accertamento del passivo e

dei diritti mobiliari, in Le procedure concorsuali. Il fallimento diretto

da G. Ragusa Maggiore e C. Costa, Torino, 1997, III, 291 ss.; A. Bon

signori, Il fallimento, in Trattato di diritto commerciale e diritto pub blico dell'economia diretto da F. Galgano, Padova, 1986, IX, 608; A.

Caiafa, Lezioni di diritto concorsuale, Padova, 2003, 236; V.L. Cuneo, Le procedure concorsuali, 3a ed., Milano, 2002, II, 1261; M. Monta

nari, Dell'accertamento del passivo e dei diritti mobiliari dei terzi, in

G.U. Tedeschi, Le procedure concorsuali, Torino, 1996, II, 801; F.

Ferrara jr.-A. Borgioli, Il fallimento, 5a ed., Milano, 1995, 554; A.

Jorio, Le crisi d'impresa. Il fallimento, in Trattato di diritto privato a

cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2000, 636; P. Pajardi, Manuale di

diritto fallimentare, 6a ed., Milano, 2002, 467; L. Panzani, L 'opposi zione a stato passivo: alcuni problemi, in Fallimento, 1990, 927 ss.; G.

Pellegrino, Fallimento e nuovo processo civile, Padova, 1996, 174 s.;

Id., L'accertamento del passivo nelle procedure concorsuali, Padova,

1992, 33; L.A. Russo, L'accertamento del passivo ne! fallimento, Mi

lano. 1988, 225; G.U. Tedeschi, Manuale di diritto fallimentare, Pado

va, 2001,510. In giurisprudenza, indipendentemente dalle molteplici applicazioni

del principio di cui si tratta ai mutamenti della causa petendi, v., in ge nerale, Cass. 8 novembre 1997, n. 11026, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 620, nonché Fallimento, 1998, 1232, con nota di D. Finardi, Natura

impugnatoria dell'opposizione e relative conseguenze; 25 gennaio 1993, n. 845, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 458; 13 dicembre 1989, n. 5570, id., Rep. 1990, voce cit., n. 499.

Nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma 29 ottobre 2003, Falli

mento, 2004, 452; Trib. Modena 17 ottobre 2003, ibid.; Trib. Roma 16

novembre 2001, id., 2002, 906; 28 marzo 2001, ibid., 216; Trib. Ascoli

Piceno 25 settembre 2001, Foro it., Rep. 2002, voce cit., n. 500; Trib.

Arezzo 15 giugno 2001, ibid., n. 501; Trib. Roma 5 giugno 2001, ibid., n. 502; Trib. Modena 31 maggio 2001, Fallimento, 2001, 1062; Trib.

Torino 15 maggio 2001, ibid.; Trib. Avezzano 5 aprile 2000, Foro it.,

Rep. 2000, voce cit., n. 616; Trib. Milano 21 febbraio 2000, Fallimen

to, 2000, 812; 18 maggio 1998, id., 1998, 1088; Trib. Catania 10 mag

gio 1996, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 603; Trib. Milano 28 no

vembre 1994, Fallimento, 1995, 434; 15 ottobre 1992, id., 1993, 333;

26 maggio 1988, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 497; App. Bologna 10 aprile 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 492; Trib. Torino 3 marzo

1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 509; Trib. Bologna 17 settembre

1984, id.. Rep. 1985, voce cit., n. 500. Infine, sia pure in relazione al

l'ampliamento del petitum, v. Trib. Ferrara 5 luglio 1980, id., 1980, I,

2882, con nota di richiami.

Contra, v. Trib. Ascoli Piceno 23 ottobre 1986, id., Rep. 1988, voce

cit., n. 493, il quale ha affermato che il giudizio di opposizione allo

stato passivo non ha natura di impugnazione, ma costituisce un proce dimento di cognizione piena e con contraddittorio non limitato al pro

spettato riesame del provvedimento impugnato, e sono proponibili an

che domande nuove. Il ragionamento effettuato dalla corte conduce alla conferma della

decisione del giudice d'appello, per l'appunto sul presupposto della di

versità dei fatti costitutivi dedotti in appello: già quest'ultimo giudice aveva dichiarato inammissibile la domanda nuova proposta per la prima volta e sulla base di nuovi documenti in appello dall'opponente, il

quale, modificando il petitum e la causa petendi della domanda d'insi

nuazione al passivo, aveva chiesto valutarsi la proporzione tra le pre

11 Foro Italiano — 2004.

Ritennero infatti i giudici del merito che fondatamente i

commissari dell'amministrazione straordinaria avevano propo sto in via riconvenzionale azione revocatoria fallimentare della

compravendita dei titoli, essendo risultata dimostrata da una

consulenza tecnica la sproporzione tra le reciproche prestazioni dei contraenti. In particolare la corte d'appello fondò la propria decisione sui seguenti argomenti, esibiti per disattendere speci fici motivi d'impugnazione proposti dall'Imi contro la sentenza

di primo grado: a) l'azione revocatoria fallimentare è stata tempestivamente

stazioni ai fini del rigetto dell'azione revocatoria proposta in via ricon

venzionale, con riferimento non alla compravendita oggetto della me

desima azione, bensì ad un più complesso accordo di finanziamento.

Vi è concordia in giurisprudenza in ordine alla configurazione di una

domanda nuova per modificazione della causa petendi, inammissibile in appello, nelle ipotesi in cui i nuovi elementi, dedotti dinanzi al giu dice di secondo grado, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del

diritto azionato, modificando l'oggetto sostanziale dell'azione ed i ter

mini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa,

per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado: Cass., sez. un.. 15 ottobre 2003, n. 15408, id., Rep. 2003, voce Appello civile, n. 54; 19 agosto 2003, n. 12133, ibid., n. 55; 17 luglio 2003, n.

11202, ibid., n. 56; 4 luglio 2003, n. 10576, ibid., n. 73; 25 giugno 2003, n. 10128, ibid., n. 57; 4 giugno 2003, n. 8912, ibid., n. 48; 20

agosto 2002, n. 12258, id., Rep. 2002, voce cit., n. 37; 18 aprile 2002,

n. 5565, ibid., n. 34; 17 gennaio 2002, n. 464, ibid., n. 33; 14 febbraio

2001, n. 2080, ibid., n. 32, nonché Nuova giur. civ., 2002, I, 311, con

nota di A. Solinas, Il divieto dei «nova» in appello e sua applicazione in materia di risarcimento danni; 10 aprile 2001, n. 5349, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 27; 6 aprile 2001, n. 5120, ibid., n. 30; 29 novembre

2000, n. 15285, id., Rep. 2000, voce cit., n. 51; 11 aprile 2000, n. 4593,

ibid., n. 53; 28 gennaio 2000, n. 978, ibid., n. 52; 17 gennaio 2000, n.

456, ibid., n. 54; 6 dicembre 1999, n. 13630, id., Rep. 1999, voce cit., n. 51; 28 aprile 1999, n. 4241. ibid., n. 39; 30 marzo 1999, n. 3065,

ibid., n. 38; 27 ottobre 1998, n. 10687, id., Rep. 1998, voce cit., n. 39; 25 settembre 1998, n. 9621. ibid., n. 38; 28 agosto 1998, n. 8580, id..

Rep. 1999, voce cit., n. 36; 20 dicembre 1997, n. 12940, id., Rep. 1997, voce cit., n. 41; 21 agosto 1997, n. 7820, ibid., n. 40; 21 agosto 1997, n.

7819, ibid., n. 39; 18 luglio 1997, n. 6631, ibid., n. 38; 24 giugno 1995, n. 7201, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 31; 21 febbraio 1994, n. 1654, id..

Rep. 1994, voce cit., n. 25. Nel senso che, vigendo il divieto di nuove eccezioni in appello, il di

vieto di nuove domande si estende anche alle nuove ragioni, indirizzate

ad ottenere il medesimo bene della vita non conseguito in primo grado, v. A. Bonsignori, Il divieto di domande e di eccezioni nuove in appello, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, 71 ; S. Chiarloni, Appello (dir. proc. civ.), voce dz\VEnciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1995, II. 12.

In dottrina, in ordine alle novità in appello, v. anche G. Balena, La

riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994, 430 s.; A. Converso, Il processo di appello dinanzi alla corte d'appello, in Giur. it., 1999,

664; C. Ferri, Appello nel diritto processuale civile, voce del Digesto civ., Torino, 1995, XII, 567 s.; A. Proto Pisani, La nuova disciplina del

processo civile, Napoli, 1991, 208 s., il quale ritiene ammissibile la

modificazione in appello della domanda anche attraverso l'allegazione di fatti nuovi; N. Rascio, L'oggetto dell'appello civile, Napoli, 1996, 361 ss.; B. Sassani, Appello (dir. proc. civ.), voce dell' Enciclopedia del

diritto, Milano, 1999, III, 188 ss.

Diversamente, con riferimento a domanda autodeterminata, la dedu

zione ovvero l'aggiunta di un differente titolo d'acquisto non determi

nano la novità della domanda e sono ammissibili anche in appello: in

tal senso, v. Cass. 12 ottobre 2001, n. 12430, Foro it.. Rep. 2001, voce

cit., n. 28; 20 aprile 2001, n. 5894, ibid., n. 29; 27 novembre 1999, n.

13270, id., Rep. 2000. voce cit., n. 85, riportata anche in Giust. civ.,

2000, I, 2979, con nota di M. Palma, Brevi note in tema di domande

autodeterminate, eterodeterminate e oggetto del giudizio di appello; 13

ottobre 1999, n. 11521, Foro it.. Rep. 1999, voce cit., n. 41; 21 aprile 1999, n. 3950, ibid., n. 40; 10 ottobre 1997, n. 9851, id.. Rep. 1997, vo

ce Impugnazioni civili, n. 8; 22 giugno 1995, n. 7074, id., Rep. 1995,

voce Appello civile, n. 48; 21 giugno 1995, n. 7033, ibid., voce Proce

dimento civile, n. 227.

Cfr. Cass. 9 febbraio 1994, n. 1328, id.. 1995, I, 930, con nota di S.

Menchini, Note sui rapporti, con riferimento specifico al principio di

corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, tra l'azione di adem

pimento contrattuale e quella fondata sulla ricognizione del debito.

Nel senso dell'applicazione del limite di cui all'art. 345, 1° comma,

c.p.c. anche in ipotesi di domande autodeterminate, v. A. Bonsignori. Il

divieto di domande e di eccezioni nuove in appello, cit., 12 ti 6.

Si è, poi, affermato che, se la modifica dei fatti posti a fondamento di

domande autodeterminate non rappresenta una domanda nuova, l'am

missibilità di tale modifica in appello deve tuttavia essere negata per ef

fetto delle barriere preclusive già operanti in primo grado: così A. At

tardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 156 ss.;

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PARTE PRIMA

proposta per la dichiarazione d'inefficacia della compravendita stipulata il 21 gennaio 1993, perché solo a questa stipulazione conseguì la disposizione patrimoniale inopponibile ai creditori e non al precedente contratto di opzione, che non aveva determi nato alcun impoverimento della Pardi con pregiudizio per la par condicio crediìorum\ né è rilevante la clausola del contratto di

opzione con la quale la Pardi rinunciò a far valere l'eventuale eccessiva onerosità della programmata vendita delle azioni Pre

safin, sia perché questo evento non poteva considerarsi impre vedibile per chi espressamente si dichiarava consapevole delle

E. Vullo, Nuove domande, nuove eccezioni, nuove prove in appello, in Studium iuris, 1997, 830.

II. - In relazione, invece, alla possibilità che la modifica dell'attività difensiva sia operata, non già dal creditore escluso dallo stato passivo mediante l'opposizione a quest'ultimo, ma dal curatore agente in ri convenzionale per ottenere la revoca dell'atto dispositivo, si è affer mato che le diverse previsioni contenute nei due commi dell'art. 67 1. fall, configurano ipotesi differenti di revoca, cui corrispondono azioni autonome, sicché il passaggio dall'una all'altra ipotesi implica un mu tamento della causa petendi e, perciò, la prospettazione di una doman da nuova, non ammissibile in appello: così Cass. 22 gennaio 2004, n. 1079, Foro it., Mass., 63. In dottrina, v. V.L. Cuneo, Le procedure concorsuali, cit., 1132 ss.; G.U. Tedeschi, Manuale di diritto fallimen tare, cit., 353 s.

Tale passaggio è limitato, da un lato, dal divieto di mutare il fatto

posto a fondamento della revocatoria, dall'altro, dalla necessità di fare salva la qualificazione giuridica della domanda da parte del giudice: A. Bonsignori, Revocatoria fallimentare, voce del Digesto comm., Torino, 1996, XII, 472.

Peraltro, si è ritenuto che, proposta azione revocatoria fallimentare da parte del curatore ai sensi dell'art. 67, 1° comma, 1. fall., in presenza dell'identità del fatto e del petitum, il giudice senza incorrere nel vizio di extrapetizione può qualificare la fattispecie sostanziale dedotta come riconducibile a quella di cui al citato art. 67, 2° comma. In tal senso, v. Cass. 21 marzo 2003, n. 4126, Forp it., 2003, I, 1402, con nota di ri chiami di M. Fabiani.

Nel senso che il curatore, nell'ambito della portata dell'autorizzazio ne, può modificare la causa petendi soltanto ove non pretenda di muta re il fatto posto a base della domanda originaria di revoca, e salva sem

pre la riqualificazione giuridica ufficiosa della domanda da parte del

giudice, v. P. Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, cit., 314, ove

ampi rinvii a dottrina e giurisprudenza. III. - La valutazione dell'ammissibilità della modifica delle attività

difensive dell'opponente allo stato passivo si pone, non soltanto in re lazione ai fatti posti a fondamento della domanda di insinuazione nel

passivo, dedotti anche al fine di ottenere il rigetto dell'azione revocato ria fallimentare esercitata in via riconvenzionale dai commissari della amministrazione straordinaria, ma altresì con riguardo alla mera conte stazione dei presupposti di quest'ultima azione.

La decisione in epigrafe investe, infatti, la questione della rilevabili tà, anche ex officio e per la prima volta in grado d'appello, delle ecce zioni c.d. improprie, intendendosi per tali per l'appunto le difese volte a contestare la sussistenza delle condizioni dell'azione.

Nel caso di specie, la corte mostra di condividere il principio in virtù del quale il divieto di proposizione di eccezioni nel giudizio di appello non riguarda le mere difese, consistenti nella negazione di un fatto co stitutivo della fattispecie posta a fondamento della domanda o dell'ec cezione della controparte. In tal senso, v. Cass. 23 aprile 2002, n. 5895, Foro it.. Rep. 2002, voce Appello civile, nn. 52, 53.

Nella giurisprudenza di merito, conforme, Trib. Pisa 4 marzo 1995, id., Rep. 1996, voce cit., n. 38, che fa rientrare tali difese tra le c.d. ec cezioni in senso lato.

IV. - Anche la produzione di nuovi documenti in appello, secondo la corte, era stata legittima, in quanto la stessa non è investita dal divieto di cui all'art. 345, 3° comma, c.p.c. E tuttavia, essa poteva avere ad og getto soltanto «allegazioni, ipotesi ricostruttive dei fatti, tempestiva mente formulate dalle parti entro il termine fissato già per il giudizio di primo grado dall'art. 183 c.p.c.».

Nel senso che l'art. 345, 3° comma, cit., quando stabilisce il divieto in appello di nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio li ritenga indi spensabili per la decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa a lei non imputabile, si riferisce alle prove c.d. costituende e non a quelle precostituite, quali i documenti, cosicché è consentita la produzione di documenti nuovi, an corché noti e menzionati fin dallo svolgimento del processo di prime cure, v. Cass. 22 gennaio 2004, n. 1048, id., 2004, I, 1785, con nota critica di C.M. Barone; nonché le decisioni richiamate in motivazione: 16 aprile 2002, n. 5463, id., Rep. 2002, voce cit., n. 70; 13 ottobre 2000, n. 13670, id., Rep. 2000, voce cit., n. 82; 8 aprile 1995, n. 4073, id.. Rep. 1995, voce Procedimento civile, n. 85.

Nello stesso senso, per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Napoli 26 gennaio 2003, id., Rep. 2003, voce Appello civile, n. 102, nonché Giur. it.. 2003, 2306, con nota critica di G. Tota, Alcune questioni in

Il Foro Italiano — 2004.

precarie condizioni economiche della società, sia perché i com missari dell'amministrazione straordinaria agiscono come terzi,

proponendo un'azione, la revocatoria fallimentare, che non po teva certo essere oggetto di una rinuncia preventiva da parte del

debitore poi dichiarato insolvente;

b) è inammissibile la domanda nuova proposta per la prima volta e sulla base di nuovi documenti in appello dall'opponente, che, modificando petitum e causa petendi, ha chiesto valutarsi la proporzione tra le prestazioni con riferimento non alla com

pravendita oggetto dell'azione revocatoria, bensì al più com

tema di «ius novorum» in appello; App. Milano 18 gennaio 2002, Foro it., Rep. 2002, voce cit., n. 66; App. Napoli 10 luglio 2000, id., Rep. 2001, voce cit., n. 46; App. L'Aquila 16 novembre 1998, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 74, nonché Giur. it., 1999, 2297, con nota critica di E. Canavese, Prime indicazioni giurisprudenziali in tema di nuovi do cumenti e di nuovi mezzi di prova in appello-, App. Genova 3 marzo 1999, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 75, riportata anche in Arch, civ., 1999, 729, con nota di P. Rolleri, Nuove prove documentali in appello.

Conformi, in dottrina, A. Attardi, Le nuove disposizioni sul proces so civile, cit., 160; G. Balena, I! sistema delle impugnazioni civili nella

disciplina vigente e nell'esperienza applicativa: problemi e prospetti ve, in Foro it., 2001, V, 132; G. Campese, La produzione in appello di nuovi documenti nel rito del lavoro e nel nuovo processo civile ordina rio, in Riv. dir. proc., 1992, 383 ss.; C. Ferri, Appello nel diritto pro cessuale civile, cit., 570; A. Proto Pisani, Appuntì sull'appello civile (alla stregua della I. 353/90), in Foro it., 1994, V, 198 s.; A. Tedoldi, L'istruzione probatoria nell'appello civile, Padova, 2000, 219 ss.; G. Tarzia, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, rist. 1996, 249. Cfr., in relazione al rito del lavoro, D. Dalfino, Rito del la voro e limiti alla ammissibilità di documenti nuovi, in Foro it., 2003,1, 3262.

Contra, nel senso dell'applicabilità dei limiti di produzione in ap pello di nuove prove, come disciplinati dall'art. 345, 3° comma, c.p.c., anche ai documenti, v. Cass. 6 aprile 2001, n. 5133, id., Rep. 2002, vo ce cit., n. 65, e Giur. it., 2002, 719, con nota di G. Giancotti, Appello e nuovi documenti. Brevi riflessioni sui limiti di ammissibilità tra preclu sioni di primo grado e e d. indispensabilità del mezzo di prova, la qua le, peraltro, ritiene che i limiti debbano essere applicati cumulativa mente.

In dottrina, nello stesso senso, v. D. Pinto, La produzione di docu menti nuovi nel giudizio di appello - II rinnovato art. 345 c.p.c. intro duce un divieto assoluto, in Dir. e giustizia, 2002, fase. 36, 11 ss.; G. Ruffini, Nuove produzioni documentali in appello e poteri istruttori del

giudice nel rito ordinario ed in quello del lavoro, in Corriere giur., 2003, 917 ss.

Cfr. M. De Cristofaro, Nuove prove in appello, poteri istruttori offi ciosi e principi del giusto processo, id., 2002, 116, il quale interpreta Cass. 13 dicembre 2000, n. 15716 (Foro it.. Rep. 2000. voce cit., n. 81), come segno che la Suprema corte si avvia a ritenere i limiti della

indispensabilità e della non imputabilità dell'omissione applicabili tanto alle prove costituende quanto a quelle costituite.

V. - Alla soluzione dell'ammissibilità in astratto della proposizione delle eccezioni improprie anche per la prima volta in appello, la corte

contrappone, tuttavia, l'inammissibilità in concreto, la quale, pur se ap parentemente unica ed uniforme, appare sorretta da motivazioni affatto distinte in relazione ai presupposti dell'azione revocatoria.

Infatti, la contestazione del requisito oggettivo dell'azione revocato ria, consistente nella sproporzione tra le prestazioni, era stata dedotta

già in primo grado. Nel giudizio d'appello, però, la medesima contesta zione fu sollevata sulla base di fatti diversi da quelli allegati in primo grado. Secondo la ricostruzione della sentenza in epigrafe, proprio tale rilevata diversità nelle difese allegate in grado di appello è idonea ad impedire al giudice di rilevarle d'ufficio senza appropriarsi indebita mente di «un potere dispositivo di esclusiva pertinenza delle parti».

In tale ultimo senso, v. A. Bonsignori, Il divieto di domande e di ec cezioni nuove in appello, cit., 88.

In ordine ai rapporti tra rilievo, anche d'ufficio, delle eccezioni ed

allegazione dei fatti nel processo del lavoro, v. Cass., sez. un., 3 feb braio 1998, n. 1099, Foro it., 1998.1, 764, richiamata in motivazione.

Diversamente, un simile ragionamento sembra essere stato quanto meno ignorato dalla corte nella decisione in ordine all'ammissibilità in grado di appello della contestazione del requisito soggettivo della me desima azione revocatoria fallimentare.

Qui, d'altronde, non poteva certamente sussistere una diversità tra i fatti allegati in primo grado e quelli allegati nel giudizio d'appello, in quanto la contestazione risulta sollevata per la prima volta in quest'ul timo processo.

La corte avrebbe potuto verificare, allora, l'operatività del principio astrattamente affermato in relazione alle eccezioni improprie, addive nendo alla soluzione che nel giudizio di appello la parte avrebbe potuto sollevare ovvero il giudice di appello rilevare d'ufficio la contestazione in parola, sulla base di fatti tempestivamente allegati dalla parte in pri mo grado. Tuttavia, una simile valutazione in ordine all'eventuale alle

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

plesso accordo in virtù del quale la Sige, dopo aver erogato un

finanziamento alla Presafin, partecipata dalla Pardi, aveva tra

sformato in partecipazione azionaria il proprio credito finanzia rio su mandato della stessa Pardi, che si era contestualmente

impegnata a restituirle direttamente il finanziamento con l'ac

quisto delle azioni Presafin oggetto del contratto di opzione sti

pulato il 2 aprile 1992; con questa modifica della domanda, in

vero, l'opponente ha proposto quale titolo del proprio credito un

mandato, invece della compravendita dedotta in sede di insinua

zione nel passivo della Pardi, ma in violazione sia dell'art. 98 1.

fall, sia dell'art. 345 c.p.c.;

c) parimenti nuova, e quindi inammissibile a norma dell'art.

345 c.p.c., è l'eccezione con la quale San Paolo - Imi deduce

solo in grado d'appello che sia al momento della stipula del

l'opzione sia al momento della conclusione della compravendita

gazione nel giudizio di primo grado di fatti idonei a fondare la conte stazione medesima è affatto mancata nella decisione.

La corte, invece, osserva che il requisito soggettivo dell'azione revo catoria non era stato contestato in primo grado. Poiché l'art. 167, 1°

comma, c.p.c. impone al convenuto di prendere tempestivamente posi zione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, la conte stazione esplicita e specifica di taluni soltanto dei fatti allegati dall'at tore a fondamento della propria domanda evidenzia il disinteresse del convenuto ad un accertamento degli altri.

Nel senso che il convenuto con azione revocatoria ex art. 67, 1°

comma, 1. fall, deve improntare la difesa anche sul fronte soggettivo per fornire la prova dell'inscientia decoctionis, v. M. Fabiani, nota a Cass. 21 marzo 2003, n. 4126, id., 2003,1, 1405.

Di recente, si è affermato che i fatti allegati da una parte, intanto

possono essere ritenuti pacifici, in quanto siano stati esplicitamente ammessi dall'altra parte, ovvero quando quest'ultima abbia impostato le proprie difese su argomenti logicamente incompatibili con il disco noscimento dei fatti stessi, e ciò perché nel vigente ordinamento non sussiste il principio secondo cui il convenuto ha l'onere di contestare

espressamente tutte le circostanze dedotte dalla controparte se vuole evitare che esse vengano ritenute come ammesse. Così Cass. 16 gen naio 2003, n. 559, ibid., 2106, con nota critica di C.M. Cea, Il principio di non contestazione tra fronda e disinformazione, ove riferimenti alla dottrina e giurisprudenza precedenti.

Sul principio di non contestazione, v. anche, di recente, per ampi ri

ferimenti, S. Del Core, II principio di non contestazione nel processo civile: profili sistematici, riferimenti di dottrina e recenti acquisizioni giurisprudenziali, in Giust. civ., 2004. II, 111 ss.

Ritenuta conseguentemente espunta, dall'ambito degli accertamenti richiesti in primo grado, la sdentici decoctionis, la corte mostra di ac

cogliere una configurazione della non contestazione quale comporta mento processuale vincolante per il giudice nonché irreversibile. Con

seguenze di una simile configurazione sono, da un lato, l'impossibilità che possa operare in concreto la rilevabilità d'ufficio affermata in

astratto, dall'altro, l'inammissibilità dell'eccezione proposta dalla parte per la prima volta in appello.

La decisione in rassegna si pone sulla falsariga dell'orientamento

inaugurato dalle sezioni unite con la sentenza, della quale è riportato un

ampio stralcio, 23 gennaio 2002, n. 761, Foro it., 2002, I, 2019, con nota di C.M. Cea, Il principio di non contestazione al vaglio delle se

zioni unite, nonché, id., 2003,1, 604, con nota di A. Proto Pisani, Alle

gazione dei fatti e principio di non contestazione nel processo civile; commentata anche da M. Fabiani, Il valore probatorio della non conte stazione del fatto allegato, in Corriere giur., 2003, 1342.

Nel senso che la contestazione generica — peraltro, effettuata dalla

parte soltanto nel momento della precisazione delle conclusioni in pri mo grado — non equivale ad ammissione da parte del convenuto della sussistenza dei fatti affermati dall'attore, cosicché essa può essere va lutata come semplice argomento di prova, v. Cass. 5 febbraio 2003, n.

1672, Foro it., 2003, 1, 2106, con nota citata di C.M. Cea, Il principio di non contestazione tra fronda e disinformazione.

Sulla proponibilità delle eccezioni rilevabili d'ufficio anche per la

prima volta nel giudizio di appello, v. Cass. 20 dicembre 2002, n.

18194, ibid., 1516, con nota di R. Oriani, Il principio di non contesta

zione comporta /'improponibilità in appello di eccezioni in senso lato?, cui si rinvia. Anche alla luce della decisione delle sezioni unite n. 761, l'a. esclude un collegamento automatico tra il principio di non conte

stazione, che sembrerebbe limitato ai fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio dall'attore, e la proponibilità di eccezioni in senso lato nel

giudizio d'appello. I principi enunciati dalle sezioni unite da ultimo richiamate sono stati

successivamente applicati al giudizio di primo grado nel processo del

lavoro, da Cass. 3 febbraio 2003, n. 1562, e 15 gennaio 2003, n. 535,

ibid., 1453, con ampia nota di richiami dì D. Dalfino. Cfr. anche Cass. 19 settembre 2003, n. 13924, id., Rep. 2003, voce Invalidi civili e di

guerra, n. 77, e Giust. civ., 2004, I, 671, con nota di U. Morcavallo,

Principio di non contestazione e processo previdenziale. [D. Longo]

Il Foro Italiano — 2004.

la Sige era inconsapevole dello stato d'insolvenza della Pardi,

perché in primo grado era stata la contestazione della spropor zione tra le prestazioni dei contraenti la sola eccezione con la

quale l'opponente aveva contrastato l'azione revocatoria propo sta in via riconvenzionale dai commissari dell'amministrazione

straordinaria; la prova della inscientia decoctionis non può, co

munque, desumersi dall'opinabile lettura prospettata per i bilan

ci al 31 dicembre 1991 della Pardi, pur legittimamente prodotti in appello in quanto prove precostituite, perché dallo stesso

contratto di opzione risulta che Sige ben conosceva lo stato di

insolvenza dell'intero gruppo; d) infondato infine è il motivo d'appello con il quale era

stata lamentata come eccessiva la liquidazione in settanta milio

ni di lire delle competenze difensive di primo grado, trattandosi

di liquidazione equa e corrispondente alle tariffe professionali. Contro questa sentenza ricorre ora per cassazione San Paolo -

Imi s.p.a., che propone sei motivi d'impugnazione, cui resiste

con controricorso l'amministrazione straordinaria Pardi, propo nendo altresì ricorso incidentale condizionato, illustrato anche

da memoria.

Motivi della decisione. — 1. - Va preliminarmente disposta ai

sensi dell'art. 335 c.p.c. la riunione dei ricorsi proposti contro la

stessa sentenza.

2.1. - Con il primo motivo la ricorrente principale deduce

violazione degli art. 112, 115, 116, 184, 345 c.p.c., 1218, 1325, 1362, 1363, 1369, 1371, 1374, 1470, 1705, 1708, 1720, 1858, 2697, 2702 c.c. e dell'art. 67 1. fall.

Rileva che legittimamente, come riconosce la stessa corte to

rinese, la ricorrente aveva prodotto in appello documenti intesi a

chiarire la causa del contratto dedotto in giudizio con la doman

da d'insinuazione al passivo. Sicché erroneamente i giudici del

merito hanno ritenuto che con l'atto d'appello fosse stata

inammissibilmente proposta una domanda nuova, preclusa già dallo stesso decreto di approvazione dello stato passivo della

procedura concorsuale. In particolare i giudici del merito hanno

errato nel ritenere precluse anche le difese intese a contestare la

sproporzione del prezzo fissato per la compravendita. Si trattava

infatti di una mera integrazione della difesa già spiegata in pri mo grado e basata su fatti già dedotti, non di un'eccezione in

senso proprio, preclusa in appello. 2.2. - Con il secondo motivo la ricorrente principale deduce

violazione e falsa applicazione degli art. 1362, 1363, 1366,

1367, 1369, 1371, 1470, 1705, 1713, 1720, 1958, 2697, 2702, 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c., omessa, insufficiente e contradditto

ria motivazione.

Sostiene che compete al giudice, anche di legittimità, la qua lificazione del titolo del credito dedotto in giudizio dalla Sige. E

rileva come dai documenti prodotti già in primo grado, solo in

tegrati in appello, risultasse evidente che la richiesta d'insinua

zione nel passivo Pardi non riguardava «il semplice prezzo di

una normale compravendita», bensì la restituzione di un finan

ziamento temporaneamente trasformato in capitale di rischio su

mandato della stessa Pardi, contestualmente impegnatasi alla re

stituzione mediante acquisto delle azioni per un prezzo conven

zionalmente determinato in misura tale da corrispondere all'im

porto del credito originariamente vantato dalla finanziatrice

Sige, che faceva evidentemente affidamento sulla solvibilità

della società mandante. Si trattava in realtà di un'unica e com

plessa regolamentazione negoziale, risultante da contratti colle

gati contestualmente stipulati il 2 aprile 1992, rispetto alla quale aveva una funzione meramente esecutiva la successiva compra vendita stipulata il 21 gennaio 1993.

2.3. - Con il terzo motivo la ricorrente principale deduce vio

lazione dell'art. 67 1. fall, e degli art. 1331, 1372, 1376, 1472,

2910 c.c.

Sostiene che erroneamente i giudici del merito hanno consi

derato avvenuta nel biennio anteriore alla dichiarazione di in

solvenza della Pardi la disposizione patrimoniale oggetto di

azione revocatoria, posto che tale disposizione risaliva in realtà

alla complessa regolamentazione negoziale stipulata il 2 aprile

1992, avendo una funzione meramente esecutiva la compraven dita conclusa il 21 gennaio 1993. E infatti ogni elemento del si

nallagma contrattuale era stato già definito al momento della

stipula del patto di opzione, che vincolava irreversibilmente

Pardi alla sua prestazione, pur con un differimento degli effetti

traslativi, peraltro solo eventuale, perché l'opzione poteva esse

re esercitata già dopo quattro giorni, e con una dilazione in ogni

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PARTE PRIMA

caso del pagamento del prezzo. Sicché la Pardi era in uno stato

di mera soggezione rispetto al diritto di opzione della Sige; e

quindi l'atto di disposizione, cui va riferita l'azione revocatoria,

risale al momento in cui quella soggezione fu contrattualmente

determinata; come avviene del resto nella vendita di cosa futura,

per la cui revocabilità occorre fare riferimento al momento della

stipula non al momento in cui si realizza l'effetto traslativo.

Solo il pagamento del prezzo, se fosse stato eseguito da Pardi

nell'anno anteriore alla dichiarazione dell'insolvenza, sarebbe

stato revocabile.

2.4. - Con il quarto motivo la ricorrente principale deduce vi

zio di motivazione della sentenza impugnata, lamentando che i

giudici del merito abbiano male interpretato il terzo motivo

d'appello, con il quale non s'era inteso dedurre in ordine alle

condizioni economiche della Presafin o a una supposta rinuncia

all'azione revocatoria, ma s'era solo dedotta l'irrilevanza sia

delle condizioni economiche della Presafin, per l'esclusiva rile

vanza della florida situazione della Pardi, sia della consulenza

tecnica, in quanto riferita al valore delle azioni Presafin anziché

all'importo del credito da finanziamento della Sige. 2.5. - Con il quinto motivo la ricorrente principale deduce

violazione e falsa applicazione dell'art. 67, 1° comma, 1. fall., in

relazione agli art. 2697, 2702, 2709 s., degli art. 2727 e 2729, in

relazione agli art. 1362 s. e 2423 s., c.c., degli art. 112, 115,

116, 345 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motiva

zione.

Lamenta che erroneamente la corte d'appello abbia qualifi cato come eccezione in senso proprio, inammissìbile in appello se nuova, la difesa intesa a contestare la inscientia decoctionis,

che è uno dei presupposti dell'azione revocatoria fallimentare

proposta in via riconvenzionale dall'amministrazione straordi

naria. È indiscusso infatti in dottrina e in giurisprudenza che

non è eccezione in senso proprio quella intesa appunto a negare le condizioni dell'azione esercitata dalla controparte; sicché,

trattandosi di una mera difesa, non incorre nell'inammissibilità

prevista dall'art. 345 c.p.c. per le nuove eccezioni.

Rileva poi che illogicamente i giudici del merito abbiano rite

nuto non provata la inscientia decoctionis, benché fosse stato

provato che la Pardi aveva preteso dalla Sige un sovrapprezzo non inferiore al novanta per cento per l'eventuale sottoscrizione

di sue azioni di nuova emissione, attestando di disporre di un

capitale netto pari a centottanta miliardi di lire, e che dai bilanci

al 31 dicembre 1990 e al 31 dicembre 1991, i soli disponibili, le condizioni economiche della Pardi risultavano ben floride.

2.6. - Con il sesto motivo la ricorrente principale deduce vio

lazione dell'art. 91 c.p.c., lamentando sia il rigetto del motivo

d'appello relativo all'eccessiva liquidazione delle competenze difensive di primo grado sia l'ingiustificata liquidazione delle

spese di secondo grado. 3. - Con il ricorso incidentale condizionato la controricorrente

lamenta la contraddittorietà della decisione impugnata nella

parte in cui esamina nel merito il motivo d'appello relativo al

presupposto soggettivo dell'azione revocatoria fallimentare, do

po averne ampiamente dimostrato l'inammissibilità.

Rileva poi che l'appello incidentale condizionato proposto contro la sentenza di primo grado è stato considerato assorbito

dalla sentenza di secondo grado, ma nell'ipotesi di accogli mento del ricorso principale potrà essere esaminato dal giudice del rinvio senza necessità di una specifica riproposizione delle

relative doglianze, con un ricorso incidentale.

4.1. - Risulta preliminare l'esame del terzo motivo del ricorso

principale, con il quale s'è posta la questione dell'atto cui oc

corre fare riferimento quale oggetto dell'azione revocatoria fal

limentare proposta dai commissari dell'amministrazione straor

dinaria Pardi. I giudici del merito, invero, hanno ritenuto che oggetto del

l'azione revocatoria è la compravendita stipulata il 21 gennaio 1993; la ricorrente principale sostiene invece che occorre risali

re al patto di opzione stipulato il 2 aprile 1992.

II motivo è peraltro infondato.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, invero,

«qualora il definitivo assetto (su base contrattuale) di interessi

tra le parti non si formi immediatamente per mezzo di un unico

atto, si possono prospettare tre diverse ipotesi, produttive di dif

ferenti conseguenze giuridiche: a) patto d'opzione (art. 1331

c.c.), negozio bilaterale con cui si concorda l'irrevocabilità della

dichiarazione di una delle parti relativamente ad un futuro con

II Foro Italiano — 2004.

tratto che sarà concluso con la semplice accettazione dell'altra

parte (relativamente ad un regolamento negoziale interamente

contemplato nel patto di opzione), la quale però rimane libera di

accettare o meno detta dichiarazione, entro un certo termine; b) c.d. 'contratto preparatorio' in senso stretto (o 'puntuazione'), con cui i contraenti si accordano su taluni punti del futuro con

tratto, in occasione della cui stipula (a cui le parti non sono ob

bligate, così come nei casi in cui sono intercorse semplici trat

tative) non sarà necessario un nuovo incontro di volontà sui

punti già definiti; c) contratto preliminare, diretto ad obbligare le parti (o una sola nel caso di preliminare unilaterale) a stipula re un futuro contratto» (Cass. 13 dicembre 1994. n. 10649, Foro

it., Rep. 1994, voce Contratto in genere, n. 279). Nel caso del patto di opzione, che è quello certamente in di

scussione nel caso in esame, viene contrattualmente convenuta

l'irrevocabilità della proposta contrattuale di una delle parti, contenente tutti gli elementi essenziali dell'ulteriore contratto

da concludere, in modo da consentirne la conclusione nel mo

mento e per effetto dell'adesione dell'altra parte, senza neces

sità di ulteriori pattuizioni (Cass. 29 ottobre 1993, n. 10777, id.,

Rep. 1993, voce cit„ n. 280; 13 luglio 1967, n. 1739, id., Rep. 1967, voce Obbligazioni e contratti, n. 98; 6 maggio 1977, n.

1729, id., Rep. 1977, voce Contratto in genere, n. 78; 5 luglio

1979, n. 3850, id., Rep. 1979, voce cit., n. 107; 5 giugno 1987,

n. 4901, id., Rep. 1987, voce cit., n. 257). Si hanno nondimeno due contratti distinti, benché funzional

mente collegati (Cass. 27 giugno 1978, n. 3170, id., Rep. 1978, voce cit., n. 82; 25 ottobre 1978, n. 4870, ibid., n. 83; 13 dicem

bre 1994, n. 10649, cit.). Il contratto di opzione, che rende irrevocabile la proposta di

ulteriore contratto, è già concluso e non può essere modificato

se non con l'accordo di entrambe le parti (Cass. 12 dicembre

2002, n. 17737, id., Rep. 2003, voce cit., n. 314); mentre il con

tratto scopo si concluderà solo se e quando la proposta del con

cedente sarà accettata dall'opzionario (Cass. 27 ottobre 1973, n.

2794, id., 1974, I, 380; 8 marzo 1972, n. 664, id., Rep. 1972, voce cit., n. 110; 24 novembre 1969, n; 3815, id., Rep. 1970, voce Obbligazioni e contratti, n. 115). È indiscusso, infatti, in

giurisprudenza che «l'opzione dà luogo a una proposta irrevo

cabile cui corrisponde una facoltà di accettazione, e non ad un

contratto perfetto condizionato; in conseguenza il negozio, che

sorge da un rapporto originariamente in fieri, si perfeziona nello

stesso momento in cui la parte manifesta la sua volontà di eser

citare il suo diritto di opzione, e non può spiegare i suoi effetti

se non da tale momento» (Cass. 20 ottobre 1954, n. 3933, id.,

Rep. 1954, voce cit., n. 92; 27 febbraio 1978, n. 989, id., Rep. 1978, voce Contratto in genere, n. 184). Sicché è vero che il

proponente definisce già al momento dell'opzione il contenuto

della sua futura obbligazione contrattuale. Ma prima che il con

tratto scopo venga concluso, egli è vincolato solo all'irrevoca

bilità della sua proposta, ha solo l'obbligazione negativa di

«mantenere un comportamento di astensione affinché la conclu

sione del contratto definitivo non sia impedita» (Cass. 16 mag

gio 1975, n. 1893, id., Rep. 1975, voce cit., n. 100). In realtà, il contratto finale, il contratto oggetto del patto di

opzione, è un contratto a formazione progressiva (Cass. 14 no

vembre 1978, n. 5236, id., Rep. 1978, voce cit., n. 84; 26 marzo

1997, n. 2692, id., Rep. 1997, voce cit., n. 437), perché la suc

cessione degli atti costitutivi dell'accordo è scandita dal patto di

opzione, ma la sua conclusione è pur sempre conforme allo

schema legale disegnato dall'art. 1326 c.c., laddove stabilisce

che «il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la

proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte». Tanto che la mancata stipulazione del contratto finale può dar

luogo a una responsabilità solo precontrattuale (Cass. 25 feb

braio 1998, n. 2017, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 351). Il patto di opzione, infatti, include sia la proposta del contratto in itinere

sia l'accordo del contratto già definito allo scopo di rendere

quella proposta irrevocabile: e per questa ragione, ai fini della

validità del contratto finale, la capacità del proponente deve esi

stere al momento del riconoscimento dell'opzione mentre la ca

pacità dell'opzionario al momento dell'accettazione della pro

posta irrevocabile allora formulata. Né è pertinente il confronto

proposto dalla ricorrente principale con il contratto di vendita di

cosa futura, che, «pur non comportando il passaggio della pro

prietà della cosa al compratore simultaneamente per effetto

della semplice manifestazione del consenso, non costituisce un

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

negozio a formazione progressiva suscettibile soltanto di effetti

meramente preliminari, aventi per contenuto quello di porre in

essere un successivo negozio», come il patto di opzione, «ma

configura un'ipotesi di contratto definitivo di vendita obbligato ria, di per sé idoneo e sufficiente a produrre l'effetto traslativo

della proprietà al momento in cui la cosa verrà ad esistenza a

norma dell'art. 1472 c.c.» (Cass. 6 novembre 1991, n. 11840,

id., Rep. 1991, voce Vendita, n. 29). Ciò posto, ne consegue evidentemente che ai fini dell'eserci

zio dell'azione revocatoria fallimentare rileva il contratto finale, non il patto di opzione, che pur vincolando il concedente alla

sua promessa contrattuale, non comporta in realtà alcuna presta zione attuale.

Nella giurisprudenza di questa corte, invero, è indiscusso che

«nel caso di revocatoria fallimentare di una compravendita, sti

pulata in adempimento di un contratto preliminare intercorso

con la parte di poi fallita, l'esame della proporzione delle pre stazioni e quello della conoscenza dello stato di insolvenza van

no compiuti con riferimento alla data del contratto definitivo e

non a quella del contratto preliminare» (Cass. 4 novembre 1991, n. 11708, id., Rep. 1992, voce Fallimento, n. 402; 16 gennaio 1992, n. 500, ibid., n. 386; 11 marzo 1993, n. 2967, id., Rep. 1993, voce cit., n. 379; 30 marzo 1994, n. 3165, id., Rep. 1994, voce cit., n. 402). E in realtà nella prospettiva dell'azione revo

catoria sono irrilevanti le differenze tra contratto preliminare e

patto di opzione, posto che, diversamente da quanto sembra

supporre la ricorrente principale, in entrambi i casi si tratta di

contratti distinti da quello finale o definitivo. Anzi l'esigenza di

fare riferimento al contratto scopo, anziché al contratto mezzo, è

ben più evidente nel caso del patto di opzione, che, pur com

portando un'integrale definizione dei contenuti del contratto

futuro, ne contiene solò la proposta e vincola solo una delle

parti. D'altro canto, come dimostra icasticamente proprio la vicen

da in esame, è tutt'altro che irrilevante ai fini dell'azione revo

catoria fallimentare il momento in cui, con la comunicazione

dell'accettazione dell'oblato, si conclude il contratto scopo. In

fatti, ove la Sige avesse esercitato il suo diritto potestativo nel

termine minimo di quattro giorni previsto dal patto di opzione, vale a dire il 6 aprile 1992 anziché il 21 gennaio 1993, ben di versa sarebbe potuta essere, come la stessa ricorrente sostiene, la valutazione sia del presupposto oggettivo (sproporzione tra le

prestazioni) sia del presupposto soggettivo (inscientia decoctio

nis) dell'azione revocatoria fallimentare. In particolare il pre

supposto soggettivo dell'azione, che attiene allo stato psicologi co della controparte del soggetto poi fallito, non può che rileva

re nel momento in cui con la sua accettazione della proposta ir

revocabile determina la conclusione del contratto.

4.2. - Accertato così che correttamente i giudici del merito fe

cero riferimento al contratto finale di compravendita, piuttosto che al contratto di opzione, occorre verificare se le difese spie

gate in appello dalla ricorrente principale comportarono una

modificazione inammissibile delle domande ed eccezioni for

mulate in primo grado, come affermato nella sentenza impu

gnata, ovvero solo un'integrazione del tutto legittima, come si

sostiene nel ricorso.

La questione assume rilevanza in una duplice prospettiva:

quella della domanda formulata dalla Sige con la richiesta di in

sinuazione nel passivo della Pardi; quella dell'azione revocato

ria fallimentare esercitata in via riconvenzionale dai commissari

dell'amministrazione straordinaria Pardi nel giudizio di opposi zione allo stato passivo promosso dalla Sige. E rispetto a en

trambe le prospettive risultano fondamentali alcuni perspicui chiarimenti forniti dalla più recente giurisprudenza in ordine ai

rapporti tra poteri delle parti e poteri del giudice nella definizio

ne dell'oggetto del giudizio (Cass., sez. un., 3 febbraio 1998, n.

1099, id., 1998, I, 764; 23 gennaio 2002, n. 761, id., 2002, I, 2019).

Si è ben precisato, infatti, che nelle prospettazioni delle parti occorre distinguere allegazioni, domande o eccezioni, deduzioni

e richieste probatorie. Con le allegazioni le parti individuano i fatti rilevanti, pro

spettandone un'ipotesi ricostruttiva ritenuta funzionale alla

pretesa fatta valere in giudizio. Con le domande o con le eccezioni le parti postulano gli ef

fetti giuridici che assumono siano previsti dalla legge per i fatti

allegati.

Il Foro Italiano — 2004.

Con le richieste e le deduzioni probatorie le parti tendono a

verificare le ipotesi ricostruttive formulate con le allegazioni,

adoperandosi per dimostrare l'attendibilità, vale a dire la veridi

cità, delle proprie affermazioni in ordine ai fatti allegati. Ciò posto, la definizione del rapporto tra poteri delle parti e

poteri del giudice esige la distinzione tra le domande, formulate

da chi chiede il riconoscimento di una sua pretesa, e le eccezio

ni, formulate da chi nega una pretesa altrui.

4.2.1. - Quanto alle domande, la giurisprudenza distingue tra

azioni reali e azioni personali. Si ritiene, infatti, che nelle azioni

reali, in quanto «autodeterminate», è l'affermazione del rap

porto giuridico a individuare la domanda, perché vengono de

dotti in giudizio diritti, come quelli di proprietà, che non posso no coesistere simultaneamente più volte tra gli stessi soggetti e

che rimangono immutati qualunque sia il fatto costitutivo invo

cato a loro fondamento. Nelle azioni personali, in quanto «ete

rodeterminate», è invece il fatto costitutivo a individuare la do

manda, perché con esse vengono dedotti diritti, come quelli di

obbligazione, che «possono esistere contemporaneamente più volte tra i medesimi soggetti con lo stesso contenuto» e richie

dono, perciò, l'allegazione del fatto costitutivo quale elemento

necessario d'individuazione (Cass. 6 agosto 1997, n. 7267, id.,

Rep. 1997, voce Procedimento civile, n. 228; sez. un. 22 maggio 1996, n. 4712, id., 1998, I, 2975). Sicché la domanda in cui sia omessa l'indicazione dei fatti costitutivi è infondata se si tratti

di azione reale, è indeterminata se si tratti di azione personale,

perché nelle domande autodeterminate l'onere di allegazione si

riduce all'affermazione della pretesa giuridica fatta valere, mentre nelle domande eterodeterminate l'onere di allegazione si

estende ai fatti costitutivi del diritto postulato. La distinzione tra domande autodeterminate ed eterodetermi

nate rileva, quindi, per definire sia il potere del giudice d'indi

viduare la domanda effettivamente proposta sia il potere della

parte di modificare nel corso del giudizio le sue prospettazioni difensive. Quando si tratti di domande eterodeterminate, invero,

ogni modificazione dei fatti allegati comporta una modificazio

ne della domanda; e il giudice non può accogliere la domanda

sulla base di fatti che, pur provati, siano diversi da quelli alle

gati (art. 112 c.p.c.). Nel caso in esame non vi è dubbio che la domanda proposta

dalla Sige con l'insinuazione nel passivo della Pardi era etero

determinata, in quanto si era fatto valere un diritto di credito pe cuniario. Ne consegue che sia nel giudizio di opposizione allo

stato passivo, secondo quanto prevede l'art. 98 1. fall., sia nel

giudizio d'appello, secondo quanto prevede l'art. 345 c.p.c., né

la parte proponente poteva prospettare fatti nuovi a sostegno della propria domanda né il giudice avrebbe potuto accogliere

quella domanda sulla base di fatti che, pur provati, fossero di

versi da quelli allegati con la richiesta d'insinuazione nel passi vo. E poiché non sembra discutibile la diversità dei fatti costitu

tivi di una pretesa al pagamento del prezzo di una compraven dita rispetto ai fatti costitutivi della pretesa alla restituzione di

un finanziamento, ne consegue che correttamente i giudici

d'appello dichiararono nuova, e quindi inammissibile, la do

manda fatta valere in secondo grado dalla San Paolo - Imi.

4.2.2. - Quanto alle eccezioni, la giurisprudenza e la dottrina

prevalenti distinguono tradizionalmente tra un senso generico del termine, riferibile a qualsiasi difesa prospettata dal destina

tario di una domanda per ottenerne il rigetto, e un senso proprio del termine, riferito alla prospettazione difensiva di fatti ai quali la legge attribuisce un'immediata e autonoma idoneità modifi

cativa o impeditiva o estintiva del diritto postulato con la do

manda.

La giurisprudenza più recente ha riconosciuto che per tutte le

eccezioni, anche per le eccezioni in senso proprio, vale il prin

cipio della rilevabilità d'ufficio da parte del giudice, salvo

espressa previsione della rilevabilità solo a iniziativa di parte. Ma ha chiarito anche che il potere d'ufficio del giudice attiene

solo al riconoscimento degli effetti giuridici di fatti che siano

stati pur sempre allegati dalla parte. Sicché il potere di allega zione rimane riservato esclusivamente alla parte anche rispetto ai fatti costitutivi di eccezioni rilevabili d'ufficio, perché il giu dice può surrogare la parte nella postulazione degli effetti giuri dici dei fatti allegati, ma non può surrogarla nell'onere di alle

gazione, che, risolvendosi nella formulazione delle ipotesi di ri

costruzione dei fatti funzionali alle pretese da far valere in giu dizio, non può non essere riservato in via esclusiva a chi di quel diritto assuma di essere titolare.

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PARTE PRIMA

Nel caso in esame vengono in rilievo le difese spiegate in ap

pello da San Paolo - Imi per negare entrambi i presupposti, sia

oggettivo (sproporzione tra le prestazioni) sia soggettivo (in sdentici decoctionis), dell'azione revocatoria fallimentare eser

citata in via riconvenzionale dalla Pardi in amministrazione

straordinaria. Non v'è dubbio, quindi, che, trattandosi di difese

intese solo a negare i fatti posti a fondamento della domanda, vadano qualificate come eccezioni in senso improprio, rispetto alle quali è indiscutibile la rilevabilità d'ufficio da parte del

giudice e, quindi, la deducibilità anche ex novo in appello. Ciò nondimeno è corretta la decisione dei giudici d'appello

che hanno dichiarato l'inammissibilità di entrambe queste dife

se.

Quanto alla difesa intesa a contestare la sproporzione tra le

prestazioni delle parti, invero, essa era stata certamente spiegata

già in primo grado, allorché fu al riguardo disposta una consu

lenza tecnica intesa ad accertare appunto se vi fosse un eccessi

vo squilibrio tra il valore delle azioni compravendute e il prezzo che per esse avrebbe dovuto pagare la Pardi.

In appello, però, la difesa intesa a contestare quella spropor zione fu spiegata sulla base di un'allegazione di fatti del tutto

diversi da quelli allegati in primo grado. Come s'è detto, invero, in primo grado San Paolo - Imi aveva fondato le proprie difese

sulla deduzione del contratto di compravendita, sia pure stipu lato in esecuzione di un patto d'opzione; in secondo grado, in

vece, la difesa di San Paolo - Imi si fondò sostanzialmente sulla

deduzione di un'obbligazione finanziaria assunta dalla Pardi in

sostituzione della partecipata Presafin. Sicché, mentre in primo

grado il problema della sproporzione si poneva in termini di

equità del prezzo di una compravendita, in secondo grado si sa

rebbe dovuto porre in termini di corrispondenza tra la somma

oggetto del finanziamento e la somma oggetto dell'obbligazione di restituzione. E non v'è dubbio che si tratti di difese comple tamente diverse, fondate su ipotesi di ricostruzione del fatto del

tutto incompatibili, che, quand'anche già formulabili sulla base

delle prove acquisite, non potevano essere formulate d'ufficio

dal giudice senza abusare di un potere dispositivo di esclusiva

pertinenza delle parti. E vero, quindi, che fu legittima la produzione di nuovi docu

menti in appello, posto che la preclusione all'ammissione di

nuove prove si riferisce solo alle prove costituende e non a

quelle precostituite (Cass. 8 aprile 1995, n. 4073, id., Rep. 1995,

voce cit., n. 85; 13 ottobre 2000, n. 13670, id., Rep. 2000, voce

Appello civile, n. 82; 16 aprile 2002, n. 5463, id., Rep. 2002, voce cit., n. 70; 8 gennaio 2003, n. 60, id., Rep. 2003, voce cit., n. 98). Ma quelle prove, come le prove già acquisite in primo

grado, potevano essere utilizzate per verificare solo allegazioni,

ipotesi ricostruttive dei fatti, tempestivamente formulate dalle

parti entro il termine fissato già per il giudizio di primo grado dall'art. 183 c.p.c.

Quanto alla difesa intesa a contestare il presupposto della in

scientia decoctionis, è indiscusso che essa fu prospettata solo

nel giudizio d'appello, come la San Paolo - Imi riconosce nel

quinto motivo del suo ricorso. Né è in discussione, ancora una

volta, la legittimità delle nuove produzioni documentali esibite a

sostegno della tesi difensiva dell'impossibilità per la Sige di co

noscere lo stato di insolvenza della Pardi.

Questa difesa si fondò però su un'allegazione del tutto nuova

rispetto a quelle prospettate nel giudizio di primo grado, nel

quale non vi era stata alcuna contestazione sul presupposto sog

gettivo dell'azione revocatoria esercitata in via riconvenzionale

da Pardi. Sicché, considerato che l'art. 167, 1° comma, c.p.c.

impone al convenuto di prendere tempestivamente posizione «sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda», ne

consegue che la mancata contestazione di quei fatti va conside

rata come «un comportamento univocamente rilevante ai fini

della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vin

colanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia con

trollo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussi

stente, proprio per la ragione che l'atteggiamento difensivo

delle parti, valutato alla stregua dell'esposta regola di condotta

processuale, espunge il fatto stesso dall'ambito degli accerta

menti richiesti» (Cass., sez. un., 23 gennaio 2002, n. 761, cit.). E in questa prospettiva, perciò, la difesa nuova spiegata dalla

San Paolo - Imi fu correttamente dichiarata inammissibile.

In conclusione, pertanto, sulla base delle argomentazioni

Il Foro Italiano — 2004.

esposte risultano infondati il primo, il secondo e il quinto moti

vo del ricorso principale, assorbito il quarto. 5. - Il sesto motivo del ricorso principale è inammissibile,

perché propone censure generiche e di merito contro le pronun ce motivatamente adottate dai giudici d'appello in ordine alle

spese del giudizio. Il ricorso incidentale, in quanto subordinato, è assorbito dal

rigetto del ricorso principale, mentre dichiaratamente non co

stituisce motivo incidentale di impugnazione l'affermazione che

in caso di cassazione della sentenza impugnata sarebbero dive

nute nuovamente rilevanti le questioni proposte da Pardi con

l'appello incidentale e rimaste assorbite dal rigetto dell'appello

principale.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 ago sto 2003, n. 12696; Pres. Saggio, Est. Nappi, P.M. Martone

(conci, conf.); Bruzzone (Avv. Petrelli) c. Fall. soc. Efsi

(Avv. Vagnoni, Morellini). Conferma App. Genova 18 no

vembre 1999.

Società — Società di capitali — Delega di funzioni ad uno

degli amministratori — Responsabilità degli amministra

tori deleganti (Cod. civ., art. 2381, 2392).

La delega di funzioni ad uno degli amministratori di una società

di capitali non fa venir meno il dovere degli altri ammini

stratori di vigilare sul generale andamento della gestione e la

loro conseguente responsabilità, in caso di violazione di tale

dovere, nei confronti della società. (1)

( 1 ) I. - Sul tema della responsabilità dei componenti del consiglio di amministrazione per danni conseguenti alla condotta degli ammini stratori delegati (o del comitato esecutivo), la giurisprudenza di legitti mità, formatasi con riferimento al testo delle norme del codice civile anteriore alla riforma del diritto societario introdotta dal d.leg. 17 gen naio 2003 n. 6 e in vigore dal 1° gennaio 2004, è assai scarsa.

In effetti l'unica espressa pronuncia in proposito, oltre a quella in

rassegna (che la richiama), è Cass. 4 aprile 1998, n. 3483, Foro it.. Rep. 1999, voce Società, n. 845, e Dir. fallim., 1999. II, 253, con nota di Gi

smondi, Responsabilità degli amministratori per violazione dell'obbli

go di non agire in conflitto di interessi con la società e dell 'obbligo di

diligenza e di vigilanza sulla gestione; Giust. civ., 1999, I, 1809, con nota di Schermi, Appunti sulla responsabilità degli amministratori di società per azioni, in cui la corte afferma la soggezione sia del consi

glio di amministrazione, quale organo collegiale, sia di ciascuno dei suoi componenti, individualmente, ai doveri menzionati dall'art. 2392 c.c., compreso quello di vigilanza sul generale andamento della gestio ne. ed esclude che le deleghe c.d. atipiche o di fatto, cioè non conformi al disposto dell'art. 2381 c.c. (previsione statutaria o assembleare e at tribuzione mediante delibera del consiglio di amministrazione), rilevino ai fini della «attenuazione» della responsabilità solidale degli ammini stratori deleganti a norma dell'art. 2392, 1° comma, c.c.

Cass. 25 gennaio 1999. n. 661, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 840, richiamata dalla sentenza che si riporta, nonché Cass. 11 aprile 2001, n.

5443, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 750, e Giur. comm., 2002, II, 437, con nota di Menicucci, Fatto illecito dei dirigenti e responsabilità degli amministratori; Società, 2001, 1061, con nota di Colavolpe, Respon sabilità solidale degli amministratori per illeciti amministrativi del di

rigente, si riferiscono, invece, a fattispecie di responsabilità di ammini stratori (peraltro non nei confronti della società, ma per illeciti ammini strativi disciplinati dalla I. 24 novembre 1981 n. 689) per fatti commes si non da altri amministratori, bensì da dirigenti.

Cass. 24 marzo 1998, n. 3110, Foro it.. Rep. 1998, voce cit.. n. 647. e Società, 1998, 934. con nota di Colavolpe, Responsabilità indivi duale dei membri del consiglio di amministrazione per omessa vigilan za (terzo ed ultimo dei precedenti richiamati dalla sentenza in rasse

gna), poi, non riguarda la delega di funzioni (ad amministratori o a di

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