sezione I civile; sentenza 10 ottobre 2003, n. 15142; Pres. Grieco, Est. Nappi, P.M. Frazzini(concl. conf.); San Paolo-Imi (Avv. Landolfi) c. Soc. Pardi partecipazioni finanziarie (Avv.Bianco, Carloni, Ravinale). Conferma App. Torino 20 novembre 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 11 (NOVEMBRE 2004), pp. 3163/3164-3175/3176Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200314 .
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PARTE PRIMA
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 otto
bre 2003, n. 15142; Pres. Grieco, Est. Nappi, P.M. Frazzini
(conci, conf.); San Paolo-Imi (Avv. Landolfi) c. Soc. Pardi
partecipazioni finanziarie (Avv. Bianco, Carloni, Ravinale).
Conferma App. Torino 20 novembre 2000.
Fallimento — Revocatoria — Sproporzione tra le prestazio ni — Oggetto — Contratto di opzione
— Esclusione (Cod.
civ., art. 1331; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del falli
mento, art. 67).
Appello civile — Opposizione allo stato passivo — Nuove
allegazioni — Domanda nuova — Inammissibilità — Fat
tispecie (Cod. proc. civ., art. 345; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 98).
Appello civile — Revocatoria fallimentare — Eccezioni im proprie — Rilevabilità «ex officio» — Condizioni — Fatti specie (Cod. proc. civ., art. 112, 167, 183, 345).
L'oggetto dell'azione revocatoria fallimentare per manifesta
sproporzione tra le prestazioni è rappresentato dal contratto
finale (nella specie, di compravendita di azioni) e non dal
patto di opzione, il quale non comporta alcuna prestazione, ma soltanto vincola il proponente alla irrevocabilità della
propria proposta. (1) Nel giudizio di opposizione allo stato passivo e nel successivo
( 1 ) 1. - La sentenza in epigrafe affronta la questione dell'individua zione dell'oggetto dell'azione revocatoria fallimentare, qualora il defi nitivo assetto di interessi tra le parti non si formi attraverso un unico atto: in particolare, nel caso di specie, ad un contratto di opzione aveva fatto seguito il contratto finale, rappresentato da un contratto di com
pravendita di azioni. Non risultano precedenti specifici. Il ricorrente eccepiva che la disposizione patrimoniale, oggetto del
l'azione revocatoria, doveva ritenersi riferita alla complessa regola mentazione precedente la stipula del contratto di compravendita, il
quale ne rappresentava unicamente un adempimento esecutivo. Al ri
guardo, sottolineava come ogni elemento del sinallagma contrattuale era già definito al momento della stipula del patto di opzione.
Tuttavia, proprio tale ultima circostanza contribuiva ad avvalorare il convincimento della corte. Infatti, la giurisprudenza rileva che la di chiarazione resa vincolante per una delle parti da un patto d'opzione deve contenere, per l'appunto, tutti gli elementi essenziali del contratto
finale, in modo da consentire la conclusione di quest'ultimo nel mo mento e per effetto dell'adesione dell'altra parte, senza necessità di ul teriori pattuizioni. In mancanza di tutti gli elementi, si è in presenza di un mero accordo preparatorio, destinato ad inserirsi nell'iter formativo del futuro contratto, con l'effetto di fissare solo gli elementi già con cordati. In tal senso, v. Cass. 29 ottobre 1993, n. 10777, Foro it., Rep. 1993, voce Contratto in genere, n. 280, richiamata in motivazione, ri
portata anche in Corriere giur., 1993, 1401. con nota di V. Carbone, I
requisiti dell'opzione; 14 febbraio 1986, n. 873, Foro it.. Rep. 1986, voce cit., n. 214; 28 aprile 1983, n. 2908, id., Rep. 1983, voce cit., n.
138, nonché le ulteriori sentenze richiamate in motivazione. Se è vero, allora, che il proponente definisce già al momento della
concessione dell'opzione il contenuto della sua futura obbligazione contrattuale, tuttavia, prima che il contratto finale sia concluso, egli è vincolato soltanto all'irrevocabilità della sua proposta, ha soltanto una
obbligazione negativa di mantenere un comportamento tale da non im
pedire la conclusione del contratto definitivo. La corte specifica che il negozio, che sorge da un rapporto origina
riamente in fieri, si perfeziona nello stesso momento in cui la parte ma nifesta la sua volontà di esercitare il suo diritto di opzione e non può spiegare effetti se non da tale momento. Sul punto, la decisione richia ma Cass. 27 febbraio 1978, n. 989, id., Rep. 1978, voce cit., n. 184; 20 ottobre 1954, n. 3933, id., Rep. 1954, voce Obbligazioni e contratti, n. 92.
L'istituto dell'opzione di cui all'art. 1331 c.c. si inserisce, pertanto, nell'ambito di una più complessa fattispecie a formazione progressiva, costituita inizialmente da un accordo avente ad oggetto l'irrevocabilità della proposta del promittente, e, successivamente, dall'eventuale ac cettazione del promissario, la quale, saldandosi con la precedente pro posta, perfeziona il nuovo negozio giuridico, senza discostarsi dal mec canismo di cui all'art. 1326 c.c. Al riguardo, v. Cass. 25 febbraio 1998,' n. 2017, id., Rep. 1998, voce Contratto in genere, n. 318; 26 marzo 1997, n. 2692, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 437, entrambe richiamate in
motivazione; 11 ottobre 1986, n. 5950, id.. Rep. 1987, voce cit., n. 256.
Conformi, tra i giudici di merito, App. Milano 11 marzo 1997, id., Rep. 1997, voce cit., n. 319, nonché Corriere giur., 1997, 805, con nota adesiva di G. Lombardi, È valida l'opzione gratuita?', Trib. Roma 30
maggio 1990, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 251. In dottrina, nello stesso senso, v. G. Gioffrè, La sopravvivenza del
contratto principale all'invalidità dell'opzione, in Riv. dir. civ., 2001,
Il Foro Italiano — 2004.
appello, la prospettazione di nuovi fatti rispetto a quelli posti a fondamento della originaria insinuazione rappresenta do
manda nuova, come tale inammissibile (nella specie, il diritto
di credito originariamente vantato in sede di insinuazione al
passivo quale corrispettivo di una compravendita, era stato
successivamente qualificato quale restituzione di un finan
ziamento). (2) In tema di revocatoria fallimentare, la mera contestazione delle
condizioni dell'azione (c.d. eccezione impropria) può essere
rilevata anche d'ufficio per la prima volta in appello, purché in relazione a fatti allegati tempestivamente dalle parti nel
l'ambito del giudizio di primo grado (nella specie, la corte ha
confermato l'inammissibilità in appello delle eccezioni volte
a contestare i presupposti dell'azione revocatoria, in quanto la sproporzione tra le prestazioni era stata contestata in ap
pello sulla base di fatti diversi da quelli allegati in primo
grado, mentre in relazione alla inscientia decoctionis era
mancata una qualsiasi contestazione). (3)
II, 176 ss., il quale sottolinea che, con la conclusione dell'opzione le
parti non mirano alla creazione di una situazione definitiva, ma tendono a generare una situazione giuridica provvisoria e preparatoria di quella finale. I due negozi giuridici, peraltro, sono tra loro autonomi dal punto di vista strutturale.
Per riferimenti più risalenti alle caratteristiche del contratto di opzio ne, v. P. Menti, Il dualismo fra proposta ferma per patto e contratto di
opzione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, 681; V. Sinisi, nota a Cass. 21 gennaio 1982, n. 402, in Foro it., 1982,1, 1983.
II. - In armonia con tale ricostruzione, si pongono due ulteriori circo stanze.
In primo luogo, la mancata stipulazione del contratto finale può dare
origine ad una responsabilità soltanto di tipo precontrattuale: Cass. 25 febbraio 1998, n. 2017, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 351, richiamata in
motivazione; 13 dicembre 1994, n. 10649, id.. Rep. 1994, voce cit., n.
284, anch'essa richiamata in motivazione relativamente a diversi profi li.
In secondo luogo, la sentenza in rassegna afferma che, ai fini della validità del contratto finale, la capacità del proponente deve esistere al momento del riconoscimento dell'opzione, mentre la capacità dell'op zionario al momento dell'accettazione della proposta irrevocabile for mulata.
Per una decisione coerente con quella in epigrafe, sia pure in relazio ne a fattispecie differente, v. Trib. Mondovì 31 agosto 2000, id., 2001, I. 365, con nota di M. Fabiani, ove riferimenti anche all'esercizio del l'azione revocatoria avente ad oggetto un contratto preliminare ovvero una vendita di cosa futura. La sentenza ha affermato che, nell'ipotesi di contratto di permuta di cosa presente con cosa futura, la revocatoria fallimentare può rivolgersi soltanto nei confronti del negozio dispositi vo, in quanto l'effetto traslativo che risale al momento della stipulazio ne si verifica automaticamente nel momento in cui viene ad esistenza il bene oggetto della permuta. In motivazione si è precisato, infatti, che il contratto di permuta nella specie stipulato non costituisce «un negozio a formazione progressiva, suscettibile soltanto di effetti meramente
preliminari ed obbligatori, aventi per contenuto quello di porre in esse re un successivo negozio, ma configura un'ipotesi di contratto definiti
vo, di per sé idoneo e sufficiente a produrre l'effetto traslativo della
proprietà al momento in cui la cosa verrà ad esistenza». I medesimi rilievi in ordine alla diversità della fattispecie in esame
rispetto alla vendita di cosa futura, fondata sulla definitività di tale contratto ad effetti obbligatori, sono svolti anche in motivazione dalla sentenza odierna, la quale rinvia sul punto a Cass. 6 novembre 1991, n. 11840, id.. Rep. 1991, voce Vendita, n. 29.
Infine, la corte ritiene irrilevanti, ai fini della decisione, le differenze sussistenti tra patto di opzione e contratto preliminare, rispetto al quale ultimo la giurisprudenza ha affermato che l'esame della proporzione delle prestazioni e quello della conoscenza dello stato d'insolvenza vanno compiuti con riferimento alla data del contratto definitivo e non a quella del contratto preliminare (Cass. 30 marzo 1994, n. 3165, id., Rep. 1994, voce Fallimento, n. 402; 11 marzo 1993, n. 2967, id., Rep. 1993, voce cit., n. 379; 16 gennaio 1992, n. 500, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 386; 4 novembre 1991. n. 11708, ibid., n. 402, tutte richiamate in motivazione).
(2-3) I. - Altra questione sottoposta dal ricorrente all'esame della corte investe il rilievo da attribuire alla modifica dei fatti posti a fon damento della domanda di insinuazione allo stato passivo nell'ambito del successivo giudizio di opposizione e dell'ulteriore appello.
Nel caso di specie, la corte riconosce che la domanda di insinuazione nel passivo è domanda eterodeterminata, facendosi valere un diritto di credito pecuniario. Cosicché, «sia nel giudizio di opposizione allo stato
passivo, secondo quanto prevede l'art. 98 1. fall., sia nel giudizio d'ap pello, secondo quanto prevede l'art. 345 c.p.c., né la parte proponente poteva prospettare fatti nuovi a sostegno della propria domanda né il
giudice avrebbe potuto accogliere quella domanda sulla base di fatti
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con la sentenza impugnata la
Corte d'appello di Torino confermò il rigetto dell'opposizione
proposta dalla Sige investimenti s.p.a. (successivamente incor
porata dall'Imi s.p.a., a sua volta fusasi poi con l'Istituto banca
rio San Paolo) avverso lo stato passivo della Pardi s.r.l., in am
ministrazione straordinaria a decorrere dal 13 giugno 1994, dal
quale era stato escluso un suo credito di lire 14.834.136.983,
vantato quale corrispettivo della vendita di azioni della Presafin
s.p.a. eseguita in data 21 gennaio 1993 in esecuzione di un con
tratto di opzione stipulato il 2 aprile 1992.
che, pur provati, fossero diversi da quelli allegati con la richiesta d'in
sinuazione nel passivo». Nello stesso senso, già Cass. 28 maggio 2003, n. 8472, Foro it., Rep.
2003, voce Fallimento, n. 516, la quale ha affermato che «come il giu dizio di opposizione allo stato passivo ha natura impugnatoria ed è retto dal principio dell'immutabilità della domanda, il quale esclude che
possano essere prese in considerazione questioni, non rilevabili d'uffi
cio, dedotte solo in quella fase dall'opponente, del pari, i medesimi
principi regolano, in assenza di indicazioni normative specifiche, i rap
porti tra il giudizio di opposizione di primo grado e quello di appello, anche in relazione al principio dell'immutabilità della domanda conte
nuto nell'art. 345, 1° comma, c.p.c.». La decisione sembra per l'appunto applicare al caso di specie il prin
cipio dell'immutabilità della domanda di insinuazione al passivo nei
successivi stadi del procedimento di accertamento del passivo, ormai
consolidato in dottrina e giurisprudenza. Accolgono tale princìpio, S. Bonfatti, L'accertamento del passivo e
dei diritti mobiliari, in Le procedure concorsuali. Il fallimento diretto
da G. Ragusa Maggiore e C. Costa, Torino, 1997, III, 291 ss.; A. Bon
signori, Il fallimento, in Trattato di diritto commerciale e diritto pub blico dell'economia diretto da F. Galgano, Padova, 1986, IX, 608; A.
Caiafa, Lezioni di diritto concorsuale, Padova, 2003, 236; V.L. Cuneo, Le procedure concorsuali, 3a ed., Milano, 2002, II, 1261; M. Monta
nari, Dell'accertamento del passivo e dei diritti mobiliari dei terzi, in
G.U. Tedeschi, Le procedure concorsuali, Torino, 1996, II, 801; F.
Ferrara jr.-A. Borgioli, Il fallimento, 5a ed., Milano, 1995, 554; A.
Jorio, Le crisi d'impresa. Il fallimento, in Trattato di diritto privato a
cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2000, 636; P. Pajardi, Manuale di
diritto fallimentare, 6a ed., Milano, 2002, 467; L. Panzani, L 'opposi zione a stato passivo: alcuni problemi, in Fallimento, 1990, 927 ss.; G.
Pellegrino, Fallimento e nuovo processo civile, Padova, 1996, 174 s.;
Id., L'accertamento del passivo nelle procedure concorsuali, Padova,
1992, 33; L.A. Russo, L'accertamento del passivo ne! fallimento, Mi
lano. 1988, 225; G.U. Tedeschi, Manuale di diritto fallimentare, Pado
va, 2001,510. In giurisprudenza, indipendentemente dalle molteplici applicazioni
del principio di cui si tratta ai mutamenti della causa petendi, v., in ge nerale, Cass. 8 novembre 1997, n. 11026, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 620, nonché Fallimento, 1998, 1232, con nota di D. Finardi, Natura
impugnatoria dell'opposizione e relative conseguenze; 25 gennaio 1993, n. 845, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 458; 13 dicembre 1989, n. 5570, id., Rep. 1990, voce cit., n. 499.
Nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma 29 ottobre 2003, Falli
mento, 2004, 452; Trib. Modena 17 ottobre 2003, ibid.; Trib. Roma 16
novembre 2001, id., 2002, 906; 28 marzo 2001, ibid., 216; Trib. Ascoli
Piceno 25 settembre 2001, Foro it., Rep. 2002, voce cit., n. 500; Trib.
Arezzo 15 giugno 2001, ibid., n. 501; Trib. Roma 5 giugno 2001, ibid., n. 502; Trib. Modena 31 maggio 2001, Fallimento, 2001, 1062; Trib.
Torino 15 maggio 2001, ibid.; Trib. Avezzano 5 aprile 2000, Foro it.,
Rep. 2000, voce cit., n. 616; Trib. Milano 21 febbraio 2000, Fallimen
to, 2000, 812; 18 maggio 1998, id., 1998, 1088; Trib. Catania 10 mag
gio 1996, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 603; Trib. Milano 28 no
vembre 1994, Fallimento, 1995, 434; 15 ottobre 1992, id., 1993, 333;
26 maggio 1988, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 497; App. Bologna 10 aprile 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 492; Trib. Torino 3 marzo
1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 509; Trib. Bologna 17 settembre
1984, id.. Rep. 1985, voce cit., n. 500. Infine, sia pure in relazione al
l'ampliamento del petitum, v. Trib. Ferrara 5 luglio 1980, id., 1980, I,
2882, con nota di richiami.
Contra, v. Trib. Ascoli Piceno 23 ottobre 1986, id., Rep. 1988, voce
cit., n. 493, il quale ha affermato che il giudizio di opposizione allo
stato passivo non ha natura di impugnazione, ma costituisce un proce dimento di cognizione piena e con contraddittorio non limitato al pro
spettato riesame del provvedimento impugnato, e sono proponibili an
che domande nuove. Il ragionamento effettuato dalla corte conduce alla conferma della
decisione del giudice d'appello, per l'appunto sul presupposto della di
versità dei fatti costitutivi dedotti in appello: già quest'ultimo giudice aveva dichiarato inammissibile la domanda nuova proposta per la prima volta e sulla base di nuovi documenti in appello dall'opponente, il
quale, modificando il petitum e la causa petendi della domanda d'insi
nuazione al passivo, aveva chiesto valutarsi la proporzione tra le pre
11 Foro Italiano — 2004.
Ritennero infatti i giudici del merito che fondatamente i
commissari dell'amministrazione straordinaria avevano propo sto in via riconvenzionale azione revocatoria fallimentare della
compravendita dei titoli, essendo risultata dimostrata da una
consulenza tecnica la sproporzione tra le reciproche prestazioni dei contraenti. In particolare la corte d'appello fondò la propria decisione sui seguenti argomenti, esibiti per disattendere speci fici motivi d'impugnazione proposti dall'Imi contro la sentenza
di primo grado: a) l'azione revocatoria fallimentare è stata tempestivamente
stazioni ai fini del rigetto dell'azione revocatoria proposta in via ricon
venzionale, con riferimento non alla compravendita oggetto della me
desima azione, bensì ad un più complesso accordo di finanziamento.
Vi è concordia in giurisprudenza in ordine alla configurazione di una
domanda nuova per modificazione della causa petendi, inammissibile in appello, nelle ipotesi in cui i nuovi elementi, dedotti dinanzi al giu dice di secondo grado, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del
diritto azionato, modificando l'oggetto sostanziale dell'azione ed i ter
mini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa,
per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado: Cass., sez. un.. 15 ottobre 2003, n. 15408, id., Rep. 2003, voce Appello civile, n. 54; 19 agosto 2003, n. 12133, ibid., n. 55; 17 luglio 2003, n.
11202, ibid., n. 56; 4 luglio 2003, n. 10576, ibid., n. 73; 25 giugno 2003, n. 10128, ibid., n. 57; 4 giugno 2003, n. 8912, ibid., n. 48; 20
agosto 2002, n. 12258, id., Rep. 2002, voce cit., n. 37; 18 aprile 2002,
n. 5565, ibid., n. 34; 17 gennaio 2002, n. 464, ibid., n. 33; 14 febbraio
2001, n. 2080, ibid., n. 32, nonché Nuova giur. civ., 2002, I, 311, con
nota di A. Solinas, Il divieto dei «nova» in appello e sua applicazione in materia di risarcimento danni; 10 aprile 2001, n. 5349, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 27; 6 aprile 2001, n. 5120, ibid., n. 30; 29 novembre
2000, n. 15285, id., Rep. 2000, voce cit., n. 51; 11 aprile 2000, n. 4593,
ibid., n. 53; 28 gennaio 2000, n. 978, ibid., n. 52; 17 gennaio 2000, n.
456, ibid., n. 54; 6 dicembre 1999, n. 13630, id., Rep. 1999, voce cit., n. 51; 28 aprile 1999, n. 4241. ibid., n. 39; 30 marzo 1999, n. 3065,
ibid., n. 38; 27 ottobre 1998, n. 10687, id., Rep. 1998, voce cit., n. 39; 25 settembre 1998, n. 9621. ibid., n. 38; 28 agosto 1998, n. 8580, id..
Rep. 1999, voce cit., n. 36; 20 dicembre 1997, n. 12940, id., Rep. 1997, voce cit., n. 41; 21 agosto 1997, n. 7820, ibid., n. 40; 21 agosto 1997, n.
7819, ibid., n. 39; 18 luglio 1997, n. 6631, ibid., n. 38; 24 giugno 1995, n. 7201, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 31; 21 febbraio 1994, n. 1654, id..
Rep. 1994, voce cit., n. 25. Nel senso che, vigendo il divieto di nuove eccezioni in appello, il di
vieto di nuove domande si estende anche alle nuove ragioni, indirizzate
ad ottenere il medesimo bene della vita non conseguito in primo grado, v. A. Bonsignori, Il divieto di domande e di eccezioni nuove in appello, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, 71 ; S. Chiarloni, Appello (dir. proc. civ.), voce dz\VEnciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1995, II. 12.
In dottrina, in ordine alle novità in appello, v. anche G. Balena, La
riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994, 430 s.; A. Converso, Il processo di appello dinanzi alla corte d'appello, in Giur. it., 1999,
664; C. Ferri, Appello nel diritto processuale civile, voce del Digesto civ., Torino, 1995, XII, 567 s.; A. Proto Pisani, La nuova disciplina del
processo civile, Napoli, 1991, 208 s., il quale ritiene ammissibile la
modificazione in appello della domanda anche attraverso l'allegazione di fatti nuovi; N. Rascio, L'oggetto dell'appello civile, Napoli, 1996, 361 ss.; B. Sassani, Appello (dir. proc. civ.), voce dell' Enciclopedia del
diritto, Milano, 1999, III, 188 ss.
Diversamente, con riferimento a domanda autodeterminata, la dedu
zione ovvero l'aggiunta di un differente titolo d'acquisto non determi
nano la novità della domanda e sono ammissibili anche in appello: in
tal senso, v. Cass. 12 ottobre 2001, n. 12430, Foro it.. Rep. 2001, voce
cit., n. 28; 20 aprile 2001, n. 5894, ibid., n. 29; 27 novembre 1999, n.
13270, id., Rep. 2000. voce cit., n. 85, riportata anche in Giust. civ.,
2000, I, 2979, con nota di M. Palma, Brevi note in tema di domande
autodeterminate, eterodeterminate e oggetto del giudizio di appello; 13
ottobre 1999, n. 11521, Foro it.. Rep. 1999, voce cit., n. 41; 21 aprile 1999, n. 3950, ibid., n. 40; 10 ottobre 1997, n. 9851, id.. Rep. 1997, vo
ce Impugnazioni civili, n. 8; 22 giugno 1995, n. 7074, id., Rep. 1995,
voce Appello civile, n. 48; 21 giugno 1995, n. 7033, ibid., voce Proce
dimento civile, n. 227.
Cfr. Cass. 9 febbraio 1994, n. 1328, id.. 1995, I, 930, con nota di S.
Menchini, Note sui rapporti, con riferimento specifico al principio di
corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, tra l'azione di adem
pimento contrattuale e quella fondata sulla ricognizione del debito.
Nel senso dell'applicazione del limite di cui all'art. 345, 1° comma,
c.p.c. anche in ipotesi di domande autodeterminate, v. A. Bonsignori. Il
divieto di domande e di eccezioni nuove in appello, cit., 12 ti 6.
Si è, poi, affermato che, se la modifica dei fatti posti a fondamento di
domande autodeterminate non rappresenta una domanda nuova, l'am
missibilità di tale modifica in appello deve tuttavia essere negata per ef
fetto delle barriere preclusive già operanti in primo grado: così A. At
tardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 156 ss.;
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PARTE PRIMA
proposta per la dichiarazione d'inefficacia della compravendita stipulata il 21 gennaio 1993, perché solo a questa stipulazione conseguì la disposizione patrimoniale inopponibile ai creditori e non al precedente contratto di opzione, che non aveva determi nato alcun impoverimento della Pardi con pregiudizio per la par condicio crediìorum\ né è rilevante la clausola del contratto di
opzione con la quale la Pardi rinunciò a far valere l'eventuale eccessiva onerosità della programmata vendita delle azioni Pre
safin, sia perché questo evento non poteva considerarsi impre vedibile per chi espressamente si dichiarava consapevole delle
E. Vullo, Nuove domande, nuove eccezioni, nuove prove in appello, in Studium iuris, 1997, 830.
II. - In relazione, invece, alla possibilità che la modifica dell'attività difensiva sia operata, non già dal creditore escluso dallo stato passivo mediante l'opposizione a quest'ultimo, ma dal curatore agente in ri convenzionale per ottenere la revoca dell'atto dispositivo, si è affer mato che le diverse previsioni contenute nei due commi dell'art. 67 1. fall, configurano ipotesi differenti di revoca, cui corrispondono azioni autonome, sicché il passaggio dall'una all'altra ipotesi implica un mu tamento della causa petendi e, perciò, la prospettazione di una doman da nuova, non ammissibile in appello: così Cass. 22 gennaio 2004, n. 1079, Foro it., Mass., 63. In dottrina, v. V.L. Cuneo, Le procedure concorsuali, cit., 1132 ss.; G.U. Tedeschi, Manuale di diritto fallimen tare, cit., 353 s.
Tale passaggio è limitato, da un lato, dal divieto di mutare il fatto
posto a fondamento della revocatoria, dall'altro, dalla necessità di fare salva la qualificazione giuridica della domanda da parte del giudice: A. Bonsignori, Revocatoria fallimentare, voce del Digesto comm., Torino, 1996, XII, 472.
Peraltro, si è ritenuto che, proposta azione revocatoria fallimentare da parte del curatore ai sensi dell'art. 67, 1° comma, 1. fall., in presenza dell'identità del fatto e del petitum, il giudice senza incorrere nel vizio di extrapetizione può qualificare la fattispecie sostanziale dedotta come riconducibile a quella di cui al citato art. 67, 2° comma. In tal senso, v. Cass. 21 marzo 2003, n. 4126, Forp it., 2003, I, 1402, con nota di ri chiami di M. Fabiani.
Nel senso che il curatore, nell'ambito della portata dell'autorizzazio ne, può modificare la causa petendi soltanto ove non pretenda di muta re il fatto posto a base della domanda originaria di revoca, e salva sem
pre la riqualificazione giuridica ufficiosa della domanda da parte del
giudice, v. P. Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, cit., 314, ove
ampi rinvii a dottrina e giurisprudenza. III. - La valutazione dell'ammissibilità della modifica delle attività
difensive dell'opponente allo stato passivo si pone, non soltanto in re lazione ai fatti posti a fondamento della domanda di insinuazione nel
passivo, dedotti anche al fine di ottenere il rigetto dell'azione revocato ria fallimentare esercitata in via riconvenzionale dai commissari della amministrazione straordinaria, ma altresì con riguardo alla mera conte stazione dei presupposti di quest'ultima azione.
La decisione in epigrafe investe, infatti, la questione della rilevabili tà, anche ex officio e per la prima volta in grado d'appello, delle ecce zioni c.d. improprie, intendendosi per tali per l'appunto le difese volte a contestare la sussistenza delle condizioni dell'azione.
Nel caso di specie, la corte mostra di condividere il principio in virtù del quale il divieto di proposizione di eccezioni nel giudizio di appello non riguarda le mere difese, consistenti nella negazione di un fatto co stitutivo della fattispecie posta a fondamento della domanda o dell'ec cezione della controparte. In tal senso, v. Cass. 23 aprile 2002, n. 5895, Foro it.. Rep. 2002, voce Appello civile, nn. 52, 53.
Nella giurisprudenza di merito, conforme, Trib. Pisa 4 marzo 1995, id., Rep. 1996, voce cit., n. 38, che fa rientrare tali difese tra le c.d. ec cezioni in senso lato.
IV. - Anche la produzione di nuovi documenti in appello, secondo la corte, era stata legittima, in quanto la stessa non è investita dal divieto di cui all'art. 345, 3° comma, c.p.c. E tuttavia, essa poteva avere ad og getto soltanto «allegazioni, ipotesi ricostruttive dei fatti, tempestiva mente formulate dalle parti entro il termine fissato già per il giudizio di primo grado dall'art. 183 c.p.c.».
Nel senso che l'art. 345, 3° comma, cit., quando stabilisce il divieto in appello di nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio li ritenga indi spensabili per la decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa a lei non imputabile, si riferisce alle prove c.d. costituende e non a quelle precostituite, quali i documenti, cosicché è consentita la produzione di documenti nuovi, an corché noti e menzionati fin dallo svolgimento del processo di prime cure, v. Cass. 22 gennaio 2004, n. 1048, id., 2004, I, 1785, con nota critica di C.M. Barone; nonché le decisioni richiamate in motivazione: 16 aprile 2002, n. 5463, id., Rep. 2002, voce cit., n. 70; 13 ottobre 2000, n. 13670, id., Rep. 2000, voce cit., n. 82; 8 aprile 1995, n. 4073, id.. Rep. 1995, voce Procedimento civile, n. 85.
Nello stesso senso, per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Napoli 26 gennaio 2003, id., Rep. 2003, voce Appello civile, n. 102, nonché Giur. it.. 2003, 2306, con nota critica di G. Tota, Alcune questioni in
Il Foro Italiano — 2004.
precarie condizioni economiche della società, sia perché i com missari dell'amministrazione straordinaria agiscono come terzi,
proponendo un'azione, la revocatoria fallimentare, che non po teva certo essere oggetto di una rinuncia preventiva da parte del
debitore poi dichiarato insolvente;
b) è inammissibile la domanda nuova proposta per la prima volta e sulla base di nuovi documenti in appello dall'opponente, che, modificando petitum e causa petendi, ha chiesto valutarsi la proporzione tra le prestazioni con riferimento non alla com
pravendita oggetto dell'azione revocatoria, bensì al più com
tema di «ius novorum» in appello; App. Milano 18 gennaio 2002, Foro it., Rep. 2002, voce cit., n. 66; App. Napoli 10 luglio 2000, id., Rep. 2001, voce cit., n. 46; App. L'Aquila 16 novembre 1998, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 74, nonché Giur. it., 1999, 2297, con nota critica di E. Canavese, Prime indicazioni giurisprudenziali in tema di nuovi do cumenti e di nuovi mezzi di prova in appello-, App. Genova 3 marzo 1999, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 75, riportata anche in Arch, civ., 1999, 729, con nota di P. Rolleri, Nuove prove documentali in appello.
Conformi, in dottrina, A. Attardi, Le nuove disposizioni sul proces so civile, cit., 160; G. Balena, I! sistema delle impugnazioni civili nella
disciplina vigente e nell'esperienza applicativa: problemi e prospetti ve, in Foro it., 2001, V, 132; G. Campese, La produzione in appello di nuovi documenti nel rito del lavoro e nel nuovo processo civile ordina rio, in Riv. dir. proc., 1992, 383 ss.; C. Ferri, Appello nel diritto pro cessuale civile, cit., 570; A. Proto Pisani, Appuntì sull'appello civile (alla stregua della I. 353/90), in Foro it., 1994, V, 198 s.; A. Tedoldi, L'istruzione probatoria nell'appello civile, Padova, 2000, 219 ss.; G. Tarzia, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, rist. 1996, 249. Cfr., in relazione al rito del lavoro, D. Dalfino, Rito del la voro e limiti alla ammissibilità di documenti nuovi, in Foro it., 2003,1, 3262.
Contra, nel senso dell'applicabilità dei limiti di produzione in ap pello di nuove prove, come disciplinati dall'art. 345, 3° comma, c.p.c., anche ai documenti, v. Cass. 6 aprile 2001, n. 5133, id., Rep. 2002, vo ce cit., n. 65, e Giur. it., 2002, 719, con nota di G. Giancotti, Appello e nuovi documenti. Brevi riflessioni sui limiti di ammissibilità tra preclu sioni di primo grado e e d. indispensabilità del mezzo di prova, la qua le, peraltro, ritiene che i limiti debbano essere applicati cumulativa mente.
In dottrina, nello stesso senso, v. D. Pinto, La produzione di docu menti nuovi nel giudizio di appello - II rinnovato art. 345 c.p.c. intro duce un divieto assoluto, in Dir. e giustizia, 2002, fase. 36, 11 ss.; G. Ruffini, Nuove produzioni documentali in appello e poteri istruttori del
giudice nel rito ordinario ed in quello del lavoro, in Corriere giur., 2003, 917 ss.
Cfr. M. De Cristofaro, Nuove prove in appello, poteri istruttori offi ciosi e principi del giusto processo, id., 2002, 116, il quale interpreta Cass. 13 dicembre 2000, n. 15716 (Foro it.. Rep. 2000. voce cit., n. 81), come segno che la Suprema corte si avvia a ritenere i limiti della
indispensabilità e della non imputabilità dell'omissione applicabili tanto alle prove costituende quanto a quelle costituite.
V. - Alla soluzione dell'ammissibilità in astratto della proposizione delle eccezioni improprie anche per la prima volta in appello, la corte
contrappone, tuttavia, l'inammissibilità in concreto, la quale, pur se ap parentemente unica ed uniforme, appare sorretta da motivazioni affatto distinte in relazione ai presupposti dell'azione revocatoria.
Infatti, la contestazione del requisito oggettivo dell'azione revocato ria, consistente nella sproporzione tra le prestazioni, era stata dedotta
già in primo grado. Nel giudizio d'appello, però, la medesima contesta zione fu sollevata sulla base di fatti diversi da quelli allegati in primo grado. Secondo la ricostruzione della sentenza in epigrafe, proprio tale rilevata diversità nelle difese allegate in grado di appello è idonea ad impedire al giudice di rilevarle d'ufficio senza appropriarsi indebita mente di «un potere dispositivo di esclusiva pertinenza delle parti».
In tale ultimo senso, v. A. Bonsignori, Il divieto di domande e di ec cezioni nuove in appello, cit., 88.
In ordine ai rapporti tra rilievo, anche d'ufficio, delle eccezioni ed
allegazione dei fatti nel processo del lavoro, v. Cass., sez. un., 3 feb braio 1998, n. 1099, Foro it., 1998.1, 764, richiamata in motivazione.
Diversamente, un simile ragionamento sembra essere stato quanto meno ignorato dalla corte nella decisione in ordine all'ammissibilità in grado di appello della contestazione del requisito soggettivo della me desima azione revocatoria fallimentare.
Qui, d'altronde, non poteva certamente sussistere una diversità tra i fatti allegati in primo grado e quelli allegati nel giudizio d'appello, in quanto la contestazione risulta sollevata per la prima volta in quest'ul timo processo.
La corte avrebbe potuto verificare, allora, l'operatività del principio astrattamente affermato in relazione alle eccezioni improprie, addive nendo alla soluzione che nel giudizio di appello la parte avrebbe potuto sollevare ovvero il giudice di appello rilevare d'ufficio la contestazione in parola, sulla base di fatti tempestivamente allegati dalla parte in pri mo grado. Tuttavia, una simile valutazione in ordine all'eventuale alle
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
plesso accordo in virtù del quale la Sige, dopo aver erogato un
finanziamento alla Presafin, partecipata dalla Pardi, aveva tra
sformato in partecipazione azionaria il proprio credito finanzia rio su mandato della stessa Pardi, che si era contestualmente
impegnata a restituirle direttamente il finanziamento con l'ac
quisto delle azioni Presafin oggetto del contratto di opzione sti
pulato il 2 aprile 1992; con questa modifica della domanda, in
vero, l'opponente ha proposto quale titolo del proprio credito un
mandato, invece della compravendita dedotta in sede di insinua
zione nel passivo della Pardi, ma in violazione sia dell'art. 98 1.
fall, sia dell'art. 345 c.p.c.;
c) parimenti nuova, e quindi inammissibile a norma dell'art.
345 c.p.c., è l'eccezione con la quale San Paolo - Imi deduce
solo in grado d'appello che sia al momento della stipula del
l'opzione sia al momento della conclusione della compravendita
gazione nel giudizio di primo grado di fatti idonei a fondare la conte stazione medesima è affatto mancata nella decisione.
La corte, invece, osserva che il requisito soggettivo dell'azione revo catoria non era stato contestato in primo grado. Poiché l'art. 167, 1°
comma, c.p.c. impone al convenuto di prendere tempestivamente posi zione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, la conte stazione esplicita e specifica di taluni soltanto dei fatti allegati dall'at tore a fondamento della propria domanda evidenzia il disinteresse del convenuto ad un accertamento degli altri.
Nel senso che il convenuto con azione revocatoria ex art. 67, 1°
comma, 1. fall, deve improntare la difesa anche sul fronte soggettivo per fornire la prova dell'inscientia decoctionis, v. M. Fabiani, nota a Cass. 21 marzo 2003, n. 4126, id., 2003,1, 1405.
Di recente, si è affermato che i fatti allegati da una parte, intanto
possono essere ritenuti pacifici, in quanto siano stati esplicitamente ammessi dall'altra parte, ovvero quando quest'ultima abbia impostato le proprie difese su argomenti logicamente incompatibili con il disco noscimento dei fatti stessi, e ciò perché nel vigente ordinamento non sussiste il principio secondo cui il convenuto ha l'onere di contestare
espressamente tutte le circostanze dedotte dalla controparte se vuole evitare che esse vengano ritenute come ammesse. Così Cass. 16 gen naio 2003, n. 559, ibid., 2106, con nota critica di C.M. Cea, Il principio di non contestazione tra fronda e disinformazione, ove riferimenti alla dottrina e giurisprudenza precedenti.
Sul principio di non contestazione, v. anche, di recente, per ampi ri
ferimenti, S. Del Core, II principio di non contestazione nel processo civile: profili sistematici, riferimenti di dottrina e recenti acquisizioni giurisprudenziali, in Giust. civ., 2004. II, 111 ss.
Ritenuta conseguentemente espunta, dall'ambito degli accertamenti richiesti in primo grado, la sdentici decoctionis, la corte mostra di ac
cogliere una configurazione della non contestazione quale comporta mento processuale vincolante per il giudice nonché irreversibile. Con
seguenze di una simile configurazione sono, da un lato, l'impossibilità che possa operare in concreto la rilevabilità d'ufficio affermata in
astratto, dall'altro, l'inammissibilità dell'eccezione proposta dalla parte per la prima volta in appello.
La decisione in rassegna si pone sulla falsariga dell'orientamento
inaugurato dalle sezioni unite con la sentenza, della quale è riportato un
ampio stralcio, 23 gennaio 2002, n. 761, Foro it., 2002, I, 2019, con nota di C.M. Cea, Il principio di non contestazione al vaglio delle se
zioni unite, nonché, id., 2003,1, 604, con nota di A. Proto Pisani, Alle
gazione dei fatti e principio di non contestazione nel processo civile; commentata anche da M. Fabiani, Il valore probatorio della non conte stazione del fatto allegato, in Corriere giur., 2003, 1342.
Nel senso che la contestazione generica — peraltro, effettuata dalla
parte soltanto nel momento della precisazione delle conclusioni in pri mo grado — non equivale ad ammissione da parte del convenuto della sussistenza dei fatti affermati dall'attore, cosicché essa può essere va lutata come semplice argomento di prova, v. Cass. 5 febbraio 2003, n.
1672, Foro it., 2003, 1, 2106, con nota citata di C.M. Cea, Il principio di non contestazione tra fronda e disinformazione.
Sulla proponibilità delle eccezioni rilevabili d'ufficio anche per la
prima volta nel giudizio di appello, v. Cass. 20 dicembre 2002, n.
18194, ibid., 1516, con nota di R. Oriani, Il principio di non contesta
zione comporta /'improponibilità in appello di eccezioni in senso lato?, cui si rinvia. Anche alla luce della decisione delle sezioni unite n. 761, l'a. esclude un collegamento automatico tra il principio di non conte
stazione, che sembrerebbe limitato ai fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio dall'attore, e la proponibilità di eccezioni in senso lato nel
giudizio d'appello. I principi enunciati dalle sezioni unite da ultimo richiamate sono stati
successivamente applicati al giudizio di primo grado nel processo del
lavoro, da Cass. 3 febbraio 2003, n. 1562, e 15 gennaio 2003, n. 535,
ibid., 1453, con ampia nota di richiami dì D. Dalfino. Cfr. anche Cass. 19 settembre 2003, n. 13924, id., Rep. 2003, voce Invalidi civili e di
guerra, n. 77, e Giust. civ., 2004, I, 671, con nota di U. Morcavallo,
Principio di non contestazione e processo previdenziale. [D. Longo]
Il Foro Italiano — 2004.
la Sige era inconsapevole dello stato d'insolvenza della Pardi,
perché in primo grado era stata la contestazione della spropor zione tra le prestazioni dei contraenti la sola eccezione con la
quale l'opponente aveva contrastato l'azione revocatoria propo sta in via riconvenzionale dai commissari dell'amministrazione
straordinaria; la prova della inscientia decoctionis non può, co
munque, desumersi dall'opinabile lettura prospettata per i bilan
ci al 31 dicembre 1991 della Pardi, pur legittimamente prodotti in appello in quanto prove precostituite, perché dallo stesso
contratto di opzione risulta che Sige ben conosceva lo stato di
insolvenza dell'intero gruppo; d) infondato infine è il motivo d'appello con il quale era
stata lamentata come eccessiva la liquidazione in settanta milio
ni di lire delle competenze difensive di primo grado, trattandosi
di liquidazione equa e corrispondente alle tariffe professionali. Contro questa sentenza ricorre ora per cassazione San Paolo -
Imi s.p.a., che propone sei motivi d'impugnazione, cui resiste
con controricorso l'amministrazione straordinaria Pardi, propo nendo altresì ricorso incidentale condizionato, illustrato anche
da memoria.
Motivi della decisione. — 1. - Va preliminarmente disposta ai
sensi dell'art. 335 c.p.c. la riunione dei ricorsi proposti contro la
stessa sentenza.
2.1. - Con il primo motivo la ricorrente principale deduce
violazione degli art. 112, 115, 116, 184, 345 c.p.c., 1218, 1325, 1362, 1363, 1369, 1371, 1374, 1470, 1705, 1708, 1720, 1858, 2697, 2702 c.c. e dell'art. 67 1. fall.
Rileva che legittimamente, come riconosce la stessa corte to
rinese, la ricorrente aveva prodotto in appello documenti intesi a
chiarire la causa del contratto dedotto in giudizio con la doman
da d'insinuazione al passivo. Sicché erroneamente i giudici del
merito hanno ritenuto che con l'atto d'appello fosse stata
inammissibilmente proposta una domanda nuova, preclusa già dallo stesso decreto di approvazione dello stato passivo della
procedura concorsuale. In particolare i giudici del merito hanno
errato nel ritenere precluse anche le difese intese a contestare la
sproporzione del prezzo fissato per la compravendita. Si trattava
infatti di una mera integrazione della difesa già spiegata in pri mo grado e basata su fatti già dedotti, non di un'eccezione in
senso proprio, preclusa in appello. 2.2. - Con il secondo motivo la ricorrente principale deduce
violazione e falsa applicazione degli art. 1362, 1363, 1366,
1367, 1369, 1371, 1470, 1705, 1713, 1720, 1958, 2697, 2702, 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c., omessa, insufficiente e contradditto
ria motivazione.
Sostiene che compete al giudice, anche di legittimità, la qua lificazione del titolo del credito dedotto in giudizio dalla Sige. E
rileva come dai documenti prodotti già in primo grado, solo in
tegrati in appello, risultasse evidente che la richiesta d'insinua
zione nel passivo Pardi non riguardava «il semplice prezzo di
una normale compravendita», bensì la restituzione di un finan
ziamento temporaneamente trasformato in capitale di rischio su
mandato della stessa Pardi, contestualmente impegnatasi alla re
stituzione mediante acquisto delle azioni per un prezzo conven
zionalmente determinato in misura tale da corrispondere all'im
porto del credito originariamente vantato dalla finanziatrice
Sige, che faceva evidentemente affidamento sulla solvibilità
della società mandante. Si trattava in realtà di un'unica e com
plessa regolamentazione negoziale, risultante da contratti colle
gati contestualmente stipulati il 2 aprile 1992, rispetto alla quale aveva una funzione meramente esecutiva la successiva compra vendita stipulata il 21 gennaio 1993.
2.3. - Con il terzo motivo la ricorrente principale deduce vio
lazione dell'art. 67 1. fall, e degli art. 1331, 1372, 1376, 1472,
2910 c.c.
Sostiene che erroneamente i giudici del merito hanno consi
derato avvenuta nel biennio anteriore alla dichiarazione di in
solvenza della Pardi la disposizione patrimoniale oggetto di
azione revocatoria, posto che tale disposizione risaliva in realtà
alla complessa regolamentazione negoziale stipulata il 2 aprile
1992, avendo una funzione meramente esecutiva la compraven dita conclusa il 21 gennaio 1993. E infatti ogni elemento del si
nallagma contrattuale era stato già definito al momento della
stipula del patto di opzione, che vincolava irreversibilmente
Pardi alla sua prestazione, pur con un differimento degli effetti
traslativi, peraltro solo eventuale, perché l'opzione poteva esse
re esercitata già dopo quattro giorni, e con una dilazione in ogni
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PARTE PRIMA
caso del pagamento del prezzo. Sicché la Pardi era in uno stato
di mera soggezione rispetto al diritto di opzione della Sige; e
quindi l'atto di disposizione, cui va riferita l'azione revocatoria,
risale al momento in cui quella soggezione fu contrattualmente
determinata; come avviene del resto nella vendita di cosa futura,
per la cui revocabilità occorre fare riferimento al momento della
stipula non al momento in cui si realizza l'effetto traslativo.
Solo il pagamento del prezzo, se fosse stato eseguito da Pardi
nell'anno anteriore alla dichiarazione dell'insolvenza, sarebbe
stato revocabile.
2.4. - Con il quarto motivo la ricorrente principale deduce vi
zio di motivazione della sentenza impugnata, lamentando che i
giudici del merito abbiano male interpretato il terzo motivo
d'appello, con il quale non s'era inteso dedurre in ordine alle
condizioni economiche della Presafin o a una supposta rinuncia
all'azione revocatoria, ma s'era solo dedotta l'irrilevanza sia
delle condizioni economiche della Presafin, per l'esclusiva rile
vanza della florida situazione della Pardi, sia della consulenza
tecnica, in quanto riferita al valore delle azioni Presafin anziché
all'importo del credito da finanziamento della Sige. 2.5. - Con il quinto motivo la ricorrente principale deduce
violazione e falsa applicazione dell'art. 67, 1° comma, 1. fall., in
relazione agli art. 2697, 2702, 2709 s., degli art. 2727 e 2729, in
relazione agli art. 1362 s. e 2423 s., c.c., degli art. 112, 115,
116, 345 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motiva
zione.
Lamenta che erroneamente la corte d'appello abbia qualifi cato come eccezione in senso proprio, inammissìbile in appello se nuova, la difesa intesa a contestare la inscientia decoctionis,
che è uno dei presupposti dell'azione revocatoria fallimentare
proposta in via riconvenzionale dall'amministrazione straordi
naria. È indiscusso infatti in dottrina e in giurisprudenza che
non è eccezione in senso proprio quella intesa appunto a negare le condizioni dell'azione esercitata dalla controparte; sicché,
trattandosi di una mera difesa, non incorre nell'inammissibilità
prevista dall'art. 345 c.p.c. per le nuove eccezioni.
Rileva poi che illogicamente i giudici del merito abbiano rite
nuto non provata la inscientia decoctionis, benché fosse stato
provato che la Pardi aveva preteso dalla Sige un sovrapprezzo non inferiore al novanta per cento per l'eventuale sottoscrizione
di sue azioni di nuova emissione, attestando di disporre di un
capitale netto pari a centottanta miliardi di lire, e che dai bilanci
al 31 dicembre 1990 e al 31 dicembre 1991, i soli disponibili, le condizioni economiche della Pardi risultavano ben floride.
2.6. - Con il sesto motivo la ricorrente principale deduce vio
lazione dell'art. 91 c.p.c., lamentando sia il rigetto del motivo
d'appello relativo all'eccessiva liquidazione delle competenze difensive di primo grado sia l'ingiustificata liquidazione delle
spese di secondo grado. 3. - Con il ricorso incidentale condizionato la controricorrente
lamenta la contraddittorietà della decisione impugnata nella
parte in cui esamina nel merito il motivo d'appello relativo al
presupposto soggettivo dell'azione revocatoria fallimentare, do
po averne ampiamente dimostrato l'inammissibilità.
Rileva poi che l'appello incidentale condizionato proposto contro la sentenza di primo grado è stato considerato assorbito
dalla sentenza di secondo grado, ma nell'ipotesi di accogli mento del ricorso principale potrà essere esaminato dal giudice del rinvio senza necessità di una specifica riproposizione delle
relative doglianze, con un ricorso incidentale.
4.1. - Risulta preliminare l'esame del terzo motivo del ricorso
principale, con il quale s'è posta la questione dell'atto cui oc
corre fare riferimento quale oggetto dell'azione revocatoria fal
limentare proposta dai commissari dell'amministrazione straor
dinaria Pardi. I giudici del merito, invero, hanno ritenuto che oggetto del
l'azione revocatoria è la compravendita stipulata il 21 gennaio 1993; la ricorrente principale sostiene invece che occorre risali
re al patto di opzione stipulato il 2 aprile 1992.
II motivo è peraltro infondato.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, invero,
«qualora il definitivo assetto (su base contrattuale) di interessi
tra le parti non si formi immediatamente per mezzo di un unico
atto, si possono prospettare tre diverse ipotesi, produttive di dif
ferenti conseguenze giuridiche: a) patto d'opzione (art. 1331
c.c.), negozio bilaterale con cui si concorda l'irrevocabilità della
dichiarazione di una delle parti relativamente ad un futuro con
II Foro Italiano — 2004.
tratto che sarà concluso con la semplice accettazione dell'altra
parte (relativamente ad un regolamento negoziale interamente
contemplato nel patto di opzione), la quale però rimane libera di
accettare o meno detta dichiarazione, entro un certo termine; b) c.d. 'contratto preparatorio' in senso stretto (o 'puntuazione'), con cui i contraenti si accordano su taluni punti del futuro con
tratto, in occasione della cui stipula (a cui le parti non sono ob
bligate, così come nei casi in cui sono intercorse semplici trat
tative) non sarà necessario un nuovo incontro di volontà sui
punti già definiti; c) contratto preliminare, diretto ad obbligare le parti (o una sola nel caso di preliminare unilaterale) a stipula re un futuro contratto» (Cass. 13 dicembre 1994. n. 10649, Foro
it., Rep. 1994, voce Contratto in genere, n. 279). Nel caso del patto di opzione, che è quello certamente in di
scussione nel caso in esame, viene contrattualmente convenuta
l'irrevocabilità della proposta contrattuale di una delle parti, contenente tutti gli elementi essenziali dell'ulteriore contratto
da concludere, in modo da consentirne la conclusione nel mo
mento e per effetto dell'adesione dell'altra parte, senza neces
sità di ulteriori pattuizioni (Cass. 29 ottobre 1993, n. 10777, id.,
Rep. 1993, voce cit„ n. 280; 13 luglio 1967, n. 1739, id., Rep. 1967, voce Obbligazioni e contratti, n. 98; 6 maggio 1977, n.
1729, id., Rep. 1977, voce Contratto in genere, n. 78; 5 luglio
1979, n. 3850, id., Rep. 1979, voce cit., n. 107; 5 giugno 1987,
n. 4901, id., Rep. 1987, voce cit., n. 257). Si hanno nondimeno due contratti distinti, benché funzional
mente collegati (Cass. 27 giugno 1978, n. 3170, id., Rep. 1978, voce cit., n. 82; 25 ottobre 1978, n. 4870, ibid., n. 83; 13 dicem
bre 1994, n. 10649, cit.). Il contratto di opzione, che rende irrevocabile la proposta di
ulteriore contratto, è già concluso e non può essere modificato
se non con l'accordo di entrambe le parti (Cass. 12 dicembre
2002, n. 17737, id., Rep. 2003, voce cit., n. 314); mentre il con
tratto scopo si concluderà solo se e quando la proposta del con
cedente sarà accettata dall'opzionario (Cass. 27 ottobre 1973, n.
2794, id., 1974, I, 380; 8 marzo 1972, n. 664, id., Rep. 1972, voce cit., n. 110; 24 novembre 1969, n; 3815, id., Rep. 1970, voce Obbligazioni e contratti, n. 115). È indiscusso, infatti, in
giurisprudenza che «l'opzione dà luogo a una proposta irrevo
cabile cui corrisponde una facoltà di accettazione, e non ad un
contratto perfetto condizionato; in conseguenza il negozio, che
sorge da un rapporto originariamente in fieri, si perfeziona nello
stesso momento in cui la parte manifesta la sua volontà di eser
citare il suo diritto di opzione, e non può spiegare i suoi effetti
se non da tale momento» (Cass. 20 ottobre 1954, n. 3933, id.,
Rep. 1954, voce cit., n. 92; 27 febbraio 1978, n. 989, id., Rep. 1978, voce Contratto in genere, n. 184). Sicché è vero che il
proponente definisce già al momento dell'opzione il contenuto
della sua futura obbligazione contrattuale. Ma prima che il con
tratto scopo venga concluso, egli è vincolato solo all'irrevoca
bilità della sua proposta, ha solo l'obbligazione negativa di
«mantenere un comportamento di astensione affinché la conclu
sione del contratto definitivo non sia impedita» (Cass. 16 mag
gio 1975, n. 1893, id., Rep. 1975, voce cit., n. 100). In realtà, il contratto finale, il contratto oggetto del patto di
opzione, è un contratto a formazione progressiva (Cass. 14 no
vembre 1978, n. 5236, id., Rep. 1978, voce cit., n. 84; 26 marzo
1997, n. 2692, id., Rep. 1997, voce cit., n. 437), perché la suc
cessione degli atti costitutivi dell'accordo è scandita dal patto di
opzione, ma la sua conclusione è pur sempre conforme allo
schema legale disegnato dall'art. 1326 c.c., laddove stabilisce
che «il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la
proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte». Tanto che la mancata stipulazione del contratto finale può dar
luogo a una responsabilità solo precontrattuale (Cass. 25 feb
braio 1998, n. 2017, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 351). Il patto di opzione, infatti, include sia la proposta del contratto in itinere
sia l'accordo del contratto già definito allo scopo di rendere
quella proposta irrevocabile: e per questa ragione, ai fini della
validità del contratto finale, la capacità del proponente deve esi
stere al momento del riconoscimento dell'opzione mentre la ca
pacità dell'opzionario al momento dell'accettazione della pro
posta irrevocabile allora formulata. Né è pertinente il confronto
proposto dalla ricorrente principale con il contratto di vendita di
cosa futura, che, «pur non comportando il passaggio della pro
prietà della cosa al compratore simultaneamente per effetto
della semplice manifestazione del consenso, non costituisce un
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
negozio a formazione progressiva suscettibile soltanto di effetti
meramente preliminari, aventi per contenuto quello di porre in
essere un successivo negozio», come il patto di opzione, «ma
configura un'ipotesi di contratto definitivo di vendita obbligato ria, di per sé idoneo e sufficiente a produrre l'effetto traslativo
della proprietà al momento in cui la cosa verrà ad esistenza a
norma dell'art. 1472 c.c.» (Cass. 6 novembre 1991, n. 11840,
id., Rep. 1991, voce Vendita, n. 29). Ciò posto, ne consegue evidentemente che ai fini dell'eserci
zio dell'azione revocatoria fallimentare rileva il contratto finale, non il patto di opzione, che pur vincolando il concedente alla
sua promessa contrattuale, non comporta in realtà alcuna presta zione attuale.
Nella giurisprudenza di questa corte, invero, è indiscusso che
«nel caso di revocatoria fallimentare di una compravendita, sti
pulata in adempimento di un contratto preliminare intercorso
con la parte di poi fallita, l'esame della proporzione delle pre stazioni e quello della conoscenza dello stato di insolvenza van
no compiuti con riferimento alla data del contratto definitivo e
non a quella del contratto preliminare» (Cass. 4 novembre 1991, n. 11708, id., Rep. 1992, voce Fallimento, n. 402; 16 gennaio 1992, n. 500, ibid., n. 386; 11 marzo 1993, n. 2967, id., Rep. 1993, voce cit., n. 379; 30 marzo 1994, n. 3165, id., Rep. 1994, voce cit., n. 402). E in realtà nella prospettiva dell'azione revo
catoria sono irrilevanti le differenze tra contratto preliminare e
patto di opzione, posto che, diversamente da quanto sembra
supporre la ricorrente principale, in entrambi i casi si tratta di
contratti distinti da quello finale o definitivo. Anzi l'esigenza di
fare riferimento al contratto scopo, anziché al contratto mezzo, è
ben più evidente nel caso del patto di opzione, che, pur com
portando un'integrale definizione dei contenuti del contratto
futuro, ne contiene solò la proposta e vincola solo una delle
parti. D'altro canto, come dimostra icasticamente proprio la vicen
da in esame, è tutt'altro che irrilevante ai fini dell'azione revo
catoria fallimentare il momento in cui, con la comunicazione
dell'accettazione dell'oblato, si conclude il contratto scopo. In
fatti, ove la Sige avesse esercitato il suo diritto potestativo nel
termine minimo di quattro giorni previsto dal patto di opzione, vale a dire il 6 aprile 1992 anziché il 21 gennaio 1993, ben di versa sarebbe potuta essere, come la stessa ricorrente sostiene, la valutazione sia del presupposto oggettivo (sproporzione tra le
prestazioni) sia del presupposto soggettivo (inscientia decoctio
nis) dell'azione revocatoria fallimentare. In particolare il pre
supposto soggettivo dell'azione, che attiene allo stato psicologi co della controparte del soggetto poi fallito, non può che rileva
re nel momento in cui con la sua accettazione della proposta ir
revocabile determina la conclusione del contratto.
4.2. - Accertato così che correttamente i giudici del merito fe
cero riferimento al contratto finale di compravendita, piuttosto che al contratto di opzione, occorre verificare se le difese spie
gate in appello dalla ricorrente principale comportarono una
modificazione inammissibile delle domande ed eccezioni for
mulate in primo grado, come affermato nella sentenza impu
gnata, ovvero solo un'integrazione del tutto legittima, come si
sostiene nel ricorso.
La questione assume rilevanza in una duplice prospettiva:
quella della domanda formulata dalla Sige con la richiesta di in
sinuazione nel passivo della Pardi; quella dell'azione revocato
ria fallimentare esercitata in via riconvenzionale dai commissari
dell'amministrazione straordinaria Pardi nel giudizio di opposi zione allo stato passivo promosso dalla Sige. E rispetto a en
trambe le prospettive risultano fondamentali alcuni perspicui chiarimenti forniti dalla più recente giurisprudenza in ordine ai
rapporti tra poteri delle parti e poteri del giudice nella definizio
ne dell'oggetto del giudizio (Cass., sez. un., 3 febbraio 1998, n.
1099, id., 1998, I, 764; 23 gennaio 2002, n. 761, id., 2002, I, 2019).
Si è ben precisato, infatti, che nelle prospettazioni delle parti occorre distinguere allegazioni, domande o eccezioni, deduzioni
e richieste probatorie. Con le allegazioni le parti individuano i fatti rilevanti, pro
spettandone un'ipotesi ricostruttiva ritenuta funzionale alla
pretesa fatta valere in giudizio. Con le domande o con le eccezioni le parti postulano gli ef
fetti giuridici che assumono siano previsti dalla legge per i fatti
allegati.
Il Foro Italiano — 2004.
Con le richieste e le deduzioni probatorie le parti tendono a
verificare le ipotesi ricostruttive formulate con le allegazioni,
adoperandosi per dimostrare l'attendibilità, vale a dire la veridi
cità, delle proprie affermazioni in ordine ai fatti allegati. Ciò posto, la definizione del rapporto tra poteri delle parti e
poteri del giudice esige la distinzione tra le domande, formulate
da chi chiede il riconoscimento di una sua pretesa, e le eccezio
ni, formulate da chi nega una pretesa altrui.
4.2.1. - Quanto alle domande, la giurisprudenza distingue tra
azioni reali e azioni personali. Si ritiene, infatti, che nelle azioni
reali, in quanto «autodeterminate», è l'affermazione del rap
porto giuridico a individuare la domanda, perché vengono de
dotti in giudizio diritti, come quelli di proprietà, che non posso no coesistere simultaneamente più volte tra gli stessi soggetti e
che rimangono immutati qualunque sia il fatto costitutivo invo
cato a loro fondamento. Nelle azioni personali, in quanto «ete
rodeterminate», è invece il fatto costitutivo a individuare la do
manda, perché con esse vengono dedotti diritti, come quelli di
obbligazione, che «possono esistere contemporaneamente più volte tra i medesimi soggetti con lo stesso contenuto» e richie
dono, perciò, l'allegazione del fatto costitutivo quale elemento
necessario d'individuazione (Cass. 6 agosto 1997, n. 7267, id.,
Rep. 1997, voce Procedimento civile, n. 228; sez. un. 22 maggio 1996, n. 4712, id., 1998, I, 2975). Sicché la domanda in cui sia omessa l'indicazione dei fatti costitutivi è infondata se si tratti
di azione reale, è indeterminata se si tratti di azione personale,
perché nelle domande autodeterminate l'onere di allegazione si
riduce all'affermazione della pretesa giuridica fatta valere, mentre nelle domande eterodeterminate l'onere di allegazione si
estende ai fatti costitutivi del diritto postulato. La distinzione tra domande autodeterminate ed eterodetermi
nate rileva, quindi, per definire sia il potere del giudice d'indi
viduare la domanda effettivamente proposta sia il potere della
parte di modificare nel corso del giudizio le sue prospettazioni difensive. Quando si tratti di domande eterodeterminate, invero,
ogni modificazione dei fatti allegati comporta una modificazio
ne della domanda; e il giudice non può accogliere la domanda
sulla base di fatti che, pur provati, siano diversi da quelli alle
gati (art. 112 c.p.c.). Nel caso in esame non vi è dubbio che la domanda proposta
dalla Sige con l'insinuazione nel passivo della Pardi era etero
determinata, in quanto si era fatto valere un diritto di credito pe cuniario. Ne consegue che sia nel giudizio di opposizione allo
stato passivo, secondo quanto prevede l'art. 98 1. fall., sia nel
giudizio d'appello, secondo quanto prevede l'art. 345 c.p.c., né
la parte proponente poteva prospettare fatti nuovi a sostegno della propria domanda né il giudice avrebbe potuto accogliere
quella domanda sulla base di fatti che, pur provati, fossero di
versi da quelli allegati con la richiesta d'insinuazione nel passi vo. E poiché non sembra discutibile la diversità dei fatti costitu
tivi di una pretesa al pagamento del prezzo di una compraven dita rispetto ai fatti costitutivi della pretesa alla restituzione di
un finanziamento, ne consegue che correttamente i giudici
d'appello dichiararono nuova, e quindi inammissibile, la do
manda fatta valere in secondo grado dalla San Paolo - Imi.
4.2.2. - Quanto alle eccezioni, la giurisprudenza e la dottrina
prevalenti distinguono tradizionalmente tra un senso generico del termine, riferibile a qualsiasi difesa prospettata dal destina
tario di una domanda per ottenerne il rigetto, e un senso proprio del termine, riferito alla prospettazione difensiva di fatti ai quali la legge attribuisce un'immediata e autonoma idoneità modifi
cativa o impeditiva o estintiva del diritto postulato con la do
manda.
La giurisprudenza più recente ha riconosciuto che per tutte le
eccezioni, anche per le eccezioni in senso proprio, vale il prin
cipio della rilevabilità d'ufficio da parte del giudice, salvo
espressa previsione della rilevabilità solo a iniziativa di parte. Ma ha chiarito anche che il potere d'ufficio del giudice attiene
solo al riconoscimento degli effetti giuridici di fatti che siano
stati pur sempre allegati dalla parte. Sicché il potere di allega zione rimane riservato esclusivamente alla parte anche rispetto ai fatti costitutivi di eccezioni rilevabili d'ufficio, perché il giu dice può surrogare la parte nella postulazione degli effetti giuri dici dei fatti allegati, ma non può surrogarla nell'onere di alle
gazione, che, risolvendosi nella formulazione delle ipotesi di ri
costruzione dei fatti funzionali alle pretese da far valere in giu dizio, non può non essere riservato in via esclusiva a chi di quel diritto assuma di essere titolare.
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PARTE PRIMA
Nel caso in esame vengono in rilievo le difese spiegate in ap
pello da San Paolo - Imi per negare entrambi i presupposti, sia
oggettivo (sproporzione tra le prestazioni) sia soggettivo (in sdentici decoctionis), dell'azione revocatoria fallimentare eser
citata in via riconvenzionale dalla Pardi in amministrazione
straordinaria. Non v'è dubbio, quindi, che, trattandosi di difese
intese solo a negare i fatti posti a fondamento della domanda, vadano qualificate come eccezioni in senso improprio, rispetto alle quali è indiscutibile la rilevabilità d'ufficio da parte del
giudice e, quindi, la deducibilità anche ex novo in appello. Ciò nondimeno è corretta la decisione dei giudici d'appello
che hanno dichiarato l'inammissibilità di entrambe queste dife
se.
Quanto alla difesa intesa a contestare la sproporzione tra le
prestazioni delle parti, invero, essa era stata certamente spiegata
già in primo grado, allorché fu al riguardo disposta una consu
lenza tecnica intesa ad accertare appunto se vi fosse un eccessi
vo squilibrio tra il valore delle azioni compravendute e il prezzo che per esse avrebbe dovuto pagare la Pardi.
In appello, però, la difesa intesa a contestare quella spropor zione fu spiegata sulla base di un'allegazione di fatti del tutto
diversi da quelli allegati in primo grado. Come s'è detto, invero, in primo grado San Paolo - Imi aveva fondato le proprie difese
sulla deduzione del contratto di compravendita, sia pure stipu lato in esecuzione di un patto d'opzione; in secondo grado, in
vece, la difesa di San Paolo - Imi si fondò sostanzialmente sulla
deduzione di un'obbligazione finanziaria assunta dalla Pardi in
sostituzione della partecipata Presafin. Sicché, mentre in primo
grado il problema della sproporzione si poneva in termini di
equità del prezzo di una compravendita, in secondo grado si sa
rebbe dovuto porre in termini di corrispondenza tra la somma
oggetto del finanziamento e la somma oggetto dell'obbligazione di restituzione. E non v'è dubbio che si tratti di difese comple tamente diverse, fondate su ipotesi di ricostruzione del fatto del
tutto incompatibili, che, quand'anche già formulabili sulla base
delle prove acquisite, non potevano essere formulate d'ufficio
dal giudice senza abusare di un potere dispositivo di esclusiva
pertinenza delle parti. E vero, quindi, che fu legittima la produzione di nuovi docu
menti in appello, posto che la preclusione all'ammissione di
nuove prove si riferisce solo alle prove costituende e non a
quelle precostituite (Cass. 8 aprile 1995, n. 4073, id., Rep. 1995,
voce cit., n. 85; 13 ottobre 2000, n. 13670, id., Rep. 2000, voce
Appello civile, n. 82; 16 aprile 2002, n. 5463, id., Rep. 2002, voce cit., n. 70; 8 gennaio 2003, n. 60, id., Rep. 2003, voce cit., n. 98). Ma quelle prove, come le prove già acquisite in primo
grado, potevano essere utilizzate per verificare solo allegazioni,
ipotesi ricostruttive dei fatti, tempestivamente formulate dalle
parti entro il termine fissato già per il giudizio di primo grado dall'art. 183 c.p.c.
Quanto alla difesa intesa a contestare il presupposto della in
scientia decoctionis, è indiscusso che essa fu prospettata solo
nel giudizio d'appello, come la San Paolo - Imi riconosce nel
quinto motivo del suo ricorso. Né è in discussione, ancora una
volta, la legittimità delle nuove produzioni documentali esibite a
sostegno della tesi difensiva dell'impossibilità per la Sige di co
noscere lo stato di insolvenza della Pardi.
Questa difesa si fondò però su un'allegazione del tutto nuova
rispetto a quelle prospettate nel giudizio di primo grado, nel
quale non vi era stata alcuna contestazione sul presupposto sog
gettivo dell'azione revocatoria esercitata in via riconvenzionale
da Pardi. Sicché, considerato che l'art. 167, 1° comma, c.p.c.
impone al convenuto di prendere tempestivamente posizione «sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda», ne
consegue che la mancata contestazione di quei fatti va conside
rata come «un comportamento univocamente rilevante ai fini
della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vin
colanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia con
trollo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussi
stente, proprio per la ragione che l'atteggiamento difensivo
delle parti, valutato alla stregua dell'esposta regola di condotta
processuale, espunge il fatto stesso dall'ambito degli accerta
menti richiesti» (Cass., sez. un., 23 gennaio 2002, n. 761, cit.). E in questa prospettiva, perciò, la difesa nuova spiegata dalla
San Paolo - Imi fu correttamente dichiarata inammissibile.
In conclusione, pertanto, sulla base delle argomentazioni
Il Foro Italiano — 2004.
esposte risultano infondati il primo, il secondo e il quinto moti
vo del ricorso principale, assorbito il quarto. 5. - Il sesto motivo del ricorso principale è inammissibile,
perché propone censure generiche e di merito contro le pronun ce motivatamente adottate dai giudici d'appello in ordine alle
spese del giudizio. Il ricorso incidentale, in quanto subordinato, è assorbito dal
rigetto del ricorso principale, mentre dichiaratamente non co
stituisce motivo incidentale di impugnazione l'affermazione che
in caso di cassazione della sentenza impugnata sarebbero dive
nute nuovamente rilevanti le questioni proposte da Pardi con
l'appello incidentale e rimaste assorbite dal rigetto dell'appello
principale.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 ago sto 2003, n. 12696; Pres. Saggio, Est. Nappi, P.M. Martone
(conci, conf.); Bruzzone (Avv. Petrelli) c. Fall. soc. Efsi
(Avv. Vagnoni, Morellini). Conferma App. Genova 18 no
vembre 1999.
Società — Società di capitali — Delega di funzioni ad uno
degli amministratori — Responsabilità degli amministra
tori deleganti (Cod. civ., art. 2381, 2392).
La delega di funzioni ad uno degli amministratori di una società
di capitali non fa venir meno il dovere degli altri ammini
stratori di vigilare sul generale andamento della gestione e la
loro conseguente responsabilità, in caso di violazione di tale
dovere, nei confronti della società. (1)
( 1 ) I. - Sul tema della responsabilità dei componenti del consiglio di amministrazione per danni conseguenti alla condotta degli ammini stratori delegati (o del comitato esecutivo), la giurisprudenza di legitti mità, formatasi con riferimento al testo delle norme del codice civile anteriore alla riforma del diritto societario introdotta dal d.leg. 17 gen naio 2003 n. 6 e in vigore dal 1° gennaio 2004, è assai scarsa.
In effetti l'unica espressa pronuncia in proposito, oltre a quella in
rassegna (che la richiama), è Cass. 4 aprile 1998, n. 3483, Foro it.. Rep. 1999, voce Società, n. 845, e Dir. fallim., 1999. II, 253, con nota di Gi
smondi, Responsabilità degli amministratori per violazione dell'obbli
go di non agire in conflitto di interessi con la società e dell 'obbligo di
diligenza e di vigilanza sulla gestione; Giust. civ., 1999, I, 1809, con nota di Schermi, Appunti sulla responsabilità degli amministratori di società per azioni, in cui la corte afferma la soggezione sia del consi
glio di amministrazione, quale organo collegiale, sia di ciascuno dei suoi componenti, individualmente, ai doveri menzionati dall'art. 2392 c.c., compreso quello di vigilanza sul generale andamento della gestio ne. ed esclude che le deleghe c.d. atipiche o di fatto, cioè non conformi al disposto dell'art. 2381 c.c. (previsione statutaria o assembleare e at tribuzione mediante delibera del consiglio di amministrazione), rilevino ai fini della «attenuazione» della responsabilità solidale degli ammini stratori deleganti a norma dell'art. 2392, 1° comma, c.c.
Cass. 25 gennaio 1999. n. 661, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 840, richiamata dalla sentenza che si riporta, nonché Cass. 11 aprile 2001, n.
5443, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 750, e Giur. comm., 2002, II, 437, con nota di Menicucci, Fatto illecito dei dirigenti e responsabilità degli amministratori; Società, 2001, 1061, con nota di Colavolpe, Respon sabilità solidale degli amministratori per illeciti amministrativi del di
rigente, si riferiscono, invece, a fattispecie di responsabilità di ammini stratori (peraltro non nei confronti della società, ma per illeciti ammini strativi disciplinati dalla I. 24 novembre 1981 n. 689) per fatti commes si non da altri amministratori, bensì da dirigenti.
Cass. 24 marzo 1998, n. 3110, Foro it.. Rep. 1998, voce cit.. n. 647. e Società, 1998, 934. con nota di Colavolpe, Responsabilità indivi duale dei membri del consiglio di amministrazione per omessa vigilan za (terzo ed ultimo dei precedenti richiamati dalla sentenza in rasse
gna), poi, non riguarda la delega di funzioni (ad amministratori o a di
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