sezione I civile; sentenza 11 agosto 1995, n. 8818; Pres. Cantillo, Est. Vignale, P.M. Palmieri(concl. conf.); Soc. Industria politecnica meridionale (Avv. Lovisolo, Schwartzenberg, Uckmar)c. Min. finanze (Avv. dello Stato Pierantozzi). Conferma Comm. trib. centrale 10 maggio 1991,n. 3777Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 1 (GENNAIO 1996), pp. 159/160-163/164Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190591 .
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PARTE PRIMA
ta alla circostanza che l'opposizione, senza incidere sulla validi
tà del titolo esecutivo né mettere in discussione le questioni di
battute nel giudizio che ha definito il merito della controversia, sia diretta soltanto a paralizzare l'efficacia del titolo esecutivo
(come nella specie è avvenuto), poiché la sussistenza, in capo al giudice specializzato, di una competenza generale ed indiffe
renziata in materia di contratti agrari non consente di operare distinzioni di tal genere, dovendosi aver riguardo soltanto alla
natura (agraria) del rapporto oggetto del provvedimento di ri
lascio.
Qualora invece l'esecuzione sia iniziata (come è avvenuto nel
caso in esame), ai sensi dell'art. 615, 2° comma, c.p.c., l'oppo sizione si propone con ricorso al giudice dell'esecuzione (nella
specie, vertendosi in tema di esecuzione per rilascio, il pretore: art. 16, 1° comma, c.p.c.). Adottati i provvedimenti di sua com
petenza circa la sospensione dell'esecuzione (art. 624 c.p.c.), il
giudice dell'esecuzione, secondo quanto previsto dall'art. 616
c.p.c., può provvedere all'istruzione della causa solo se compe tente su di essa è l'ufficio giudiziario al quale il giudice appar tiene, dovendo, diversamente, rimettere le parti davanti all'uffi
cio giudiziario competente per valore. La norma tace circa l'i
potesi della competenza per materia sulla causa, ma sembra
corretto ritenere, a fortiori trattandosi di criterio di competenza
più intensamente presidiato (art. 44, 45 c.p.c.), che anche in
tale eventualità la causa debba essere rimessa al giudice compe
tente per materia (sent. 3462/82, id., Rep. 1982, voce Esecuzio
ne forzata in genere, n. 21; 1097/79, id., Rep. 1979, voce cit.,
n. 22). E poiché, per quanto sopra osservato, il giudice compe tente per materia, in riferimento ai contratti agrari, va indivi
duato nelle sezioni specializzate agrarie, consegue che, anche
nel caso di opposizione proposta dopo l'inizio dell'esecuzione
per rilascio, la competenza a conoscere nel merito della contro
versia, superata la fase interdittale, va riconosciuta, nei termini
sopra precisati, e per evidenti esigenze di omogeneità, alle se
zioni specializzate agrarie ratione materiae.
2. - Il conflitto di competenza va pertanto risolto indicando
nella sezione specializzata agraria presso il Tribunale di Enna
il giudice competente per la trattazione dell'opposizione all'ese
cuzione per rilascio, iniziata in forza di provvedimento della
sezione medesima, a seguito di rimessione da parte del pretore,
giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 616 c.p.c.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 11 agosto
1995, n. 8818; Pres. Cantillo, Est. Vignale, P.M. Palmieri
(conci, conf.); Soc. Industria politecnica meridionale (Aw.
Lovisolo, Schwartzenberg, Uckmar) c. Min. finanze (aw. dello Stato Pierantozzi). Conferma Comm. trib. centrale 10
maggio 1991, n. 5777.
Redditi (imposte sui) — Reddito d'impresa — Rapimento di dirìgente — Somma pagata a titolo di riscatto — Indeducibi
lità (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, art. 56, 60, 61,
74; d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, approvazione del testo
unico delle imposte sui redditi, art. 75).
La somma pagata da una società a titolo di riscatto per ottenere
la liberazione di un suo dirigente sequestrato non è deducibile
dal reddito di impresa soggetto ad imposta. (1)
(1) Comm. trib. I grado Napoli 25 febbraio 1986 e Comm. trib. Il
grado Napoli 16 giugno 1988, che rappresentano le pronunce di primo e di secondo grado sulla vicenda conclusasi con la decisione in rasse
gna, sono riassunte, rispettivamente, in Foro it., Rep. 1987, voce Red dito delle persone fisiche (imposta sul), n. 314, e id., Rep. 1990, voce Redditi (imposte sui), n. 414.
Il Foro Italiano — 1996.
Svolgimento del processo. — Nel 1984, la s.p.a. Ipm, indu
stria politecnica meridionale inserì tra i propri costi di gestione dell'esercizio 1983 la somma di lire 3.000.000.000 pagata a tito
lo di riscatto per il sequestro dell'ing. Carlo De Feo, dirigente della società. Successivamente, però, la società inserì lo stesso
importo fra le variazioni in aumento della dichiarazione mod.
760 presentato il 20 luglio 1984, assoggettando così la somma
a tassazione.
Con istanza del 27 luglio 1984 diretta all'intendenza di finan
za, la società chiese, ai sensi dell'art. 38 d.p.r. n. 602 del 1973, il rimborso della maggior imposta versata per inesistenza par ziale dell'obbligo di versamento perché, pur trattandosi di costo
interamente detraibile, era stato recuperato a tassazione a solo
scopo precauzionale. La commissione tributaria di primo grado, adita dal contri
buente a seguito del silenzio-rifiuto dell'intendenza di finanza
di Napoli, rigettò il ricorso.
La commissione tributaria di secondo grado accolse, invece,
l'appello del contribuente ritenendo provato che la somma pa
gata per il riscatto dall'ing. De Feo fosse stata sborsata dalla
società e che l'esborso potesse qualificarsi come diretto alla pro duzione del reddito d'impresa.
La Commissione tributaria centrale, su ricorso dell'ammini
strazione delle finanze, con decisione del 10 maggio 1991, os
servò che il pagamento effettuato in conseguenza di un ricatto
e per ottenere il rilascio di una persona rapita (pagamento, pe
raltro, eseguito in violazione del divieto del giudice penale), con
figurava un'ipotesi di negozio giuridico nullo per illiceità della
causa — la cui invalidità è rilevabile d'ufficio — improduttivo di qualsiasi effetto, rispetto alla situazione giuridica preesistente
(nella specie, il rapporto tributario) e, pertanto, costituente solo
titolo per l'esercizio dell'azione di ripetizione dell'indebito ver
so chi aveva ricevuto la somma, ma irrilevante nei rapporti con
i terzi. Contro tale sentenza, la Ipm ha proposto ricorso per cassa
zione, articolato in tre motivi, illustrati da una memoria. Resi
ste l'amministrazione delle finanze con controricorso, chieden
do il rigetto dell'impugnazione.
La Suprema corte giunge alla conclusione di cui in massima sul rilie
vo che «le norme sulla deducibilità dei costi e degli oneri hanno un
preciso e limitato ambito di applicazione, nel senso che la deducibilità
stessa è sempre condizionata ad una stretta inerenza dei costi e degli oneri all'attività svolta, ossia che questi siano stati funzionali alla for
mazione del reddito o, come anche si può dire, si siano rapportati come
causa ad effetto nel circuito della produzione del reddito. E, per quanto si possa estendere la portata di questo concetto, non può accedersi alla
tesi che la spesa costituita dal pagamento del riscatto per la liberazione di un dirigente, sia pure dalla capacità imprenditoriale descritta dalla
società, possa annoverarsi tra quelle funzionali alla produzione del reddito».
Sulla «inerenza» dei costi — richiesta dalla legge affinché gli stessi siano deducibili dal reddito d'impresa —, v. min. fin., circ. 7 luglio 1983, n. 30/9/944, Fisco, 1983, 3622, ad avviso della quale «contraria mente alla legislazione pre-riforma, secondo la quale la spesa, per esse re ammessa in detrazione, doveva presentarsi nella sua individualità co
me condizione non generica, ma specifica, perché il reddito si produces se, attualmente il concetto d'inerenza non è più legato ai ricavi
dell'impresa, ma all'attività della stessa, con la conseguenza che si ren
dono detraibili tutti i costi relativi all'attività di impresa e riferentisi ad attività ed operazioni che concorrono a formare il reddito d'impre sa»; nota 25 ottobre 1980, n. 9/2113, id., 1980, 3884, per la quale la «inerenza» risiede nella ricorrenza di quel collegamento dei costi al l'esercizio dell'impresa ed al loro precipuo riferimento ad attività ed
operazioni da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito d'impresa.
Per un'ipotesi «dilatata» della nozione di inerenza, v. Comm. trib. I grado Milano 19 aprile 1989, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 334, e Società, 1989, 884, con nota di Caratozzolo, per la quale la stessa implica la sussistenza non già di un nesso quasi causale tra il costo e il ricavo ottenuto, bensì una semplice relazione tra il costo e l'attività svolta dall'impresa (nella specie, sono state considerate inerenti all'atti vità di impresa le spese relative all'utilizzazione di uno yacht per lo
svolgimento di una funzione di acquisizione della clientela e di pro paganda).
In dottrina, tra le più recenti opere a carattere generale (e con esclu sione della manualistica), v. Leo-Monacchi-Schiavo, Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, 1993, 1064 ss., ove si sottolinea come il concetto dell'inerenza sia stato ampliato nella normativa del 1973, collegandolo non più ai ricavi, ma all'attività dell'impresa.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso,
la Ipm contesta la validità dell'intera impostazione logica della
decisione impugnata. Nega, innanzitutto, di aver contravvenuto
al divieto di pagamento del riscatto imposto dal giudice penale,
giacché versò la somma estortale, ancor prima che il provvedi mento del giudice penale venisse pronunciato. Rileva, poi, che
il danno cagionatole dal ricatto fu effetto di una violenza eser
citata dai rapitori nei suoi confronti, tal che il richiamo, opera to dal giudice a quo, alle fattispecie negoziali ed a quelle con
trattuali, nonché alla conseguente nullità delle stesse, sarebbe
fuori luogo. Osserva, ancora, che il prezzo pagato per la libera
zione del rapito ineriva alla produzione del reddito, in quanto era stato finalizzato a conservare l'utilizzazione dell'attività di
un uomo chiave per l'attuazione dei programmi aziendali. La
ricorrente, insomma, equipara quell'onere economico sostenuto
dalla società ad un mero fatto che, come l'incendio, acquista rilievo ai fini tributari in quanto elemento incidente sulla deter
minazione dell'utile e, quindi, fiscalmente rilevante in termini
di deducibilità ex art. 74 d.p.r. n. 597 del 1973. Rileva, infine, che l'ipotesi dell'esercizio dell'azione di indebito oggettivo nei
confronti dei sequestratori (prospettata dalla Commissione tri
butaria centrale) era, nella specie, del tutto astratta.
Con il secondo motivo, la soc. Ipm sostiene che i rapitori avevano inteso colpire la società stessa e non la famiglia De
Feo il cui esponente era stato sequestrato, tal che l'esborso ef
fettuato dalla società era certamente inerente alla produzione del reddito dell'impresa, in quanto diretto ad evitare che l'as
senza prolungata o la minorazione fisiopsichica dell'ing. De Feo
influisse sull'andamento dell'esercizio in corso.
Con il terzo motivo, la ricorrente ritorna sul concetto di ine
renza della spesa alla produzione del reddito, osservando che
il sequestro aveva determinato una lesione illecita del diritto
di credito della società alla prestazione lavorativa del suo dipen dente De Feo. L'esborso effettuato, perciò, non poteva essere
considerato effetto di un mero atto di liberalità verso i seque
stratori, giacché costituiva l'unica possibilità concessa alla so
cietà di procurarsi le prestazioni infungibili dell'ing. De Feo. Conclude, quindi, che, così come l'imprenditore può chiedere
il risarcimento dei danni per le spese sostenute al fine di sosti
tuire un dipendente impedito per fatto illecito altrui (trattandosi di danni incidenti sul rapporto di lavoro e quindi sull'attività
dell'impresa), del pari sarebbe risarcibile il danno ed inerente
all'esercizio dell'impresa il costo sostenuto dalla società per il
pagamento del riscatto. Un onere che, nella specie, non poteva che essere commisurato all'esborso necessario per riottenere la
disponibilità di una prestazione lavorativa infungibile. È opportuno esaminare congiuntamente le tre censure, data
la loro stretta connessione.
Il ricorso è infondato, malgrado la scarsa congruenza di buo
na parte degli argomenti che nella decisione impugnata sono
stati utilizzati per giustificare il rigetto della richiesta di rimbor
so. La questione posta nell'istanza formulata dalla società ri
corrente si traduce nello stabilire se la somma dalla stessa versa
ta a titolo di riscatto per ottenere la liberazione del suo dirigen te sequestrato possa essere ritenuta spesa deducibile, ai sensi
del combinato disposto degli art. 56, 60, 61 e 74 d.p.r. n. 597
del 1973 (oggi, art. 75 t.u. n. 917 del 1986). A tal riguardo, la circostanza che essa sia stata versata in adempimento di un
negozio avente causa illecita appare del tutto irrilevante. Ciò
che deve essere valutato, innanzitutto, nella specie, è se il tipo di esborso integri una spesa deducibile ai fini fiscali, potendo la questione della liceità della causa del rapporto che abbia dato
luogo all'esborso, avere rilievo solo in un momento logicamente
successivo e, comunque, solo nel caso che l'illiceità della causa
escluda conseguenzialmente l'inerenza della spesa alla produ
zione del reddito. Ed alle stesse conclusioni di irrilevanza deve
pervenirsi anche riguardo all'ulteriore assunto, utilizzato dal giu
dice a quo, relativo all'illiceità del pagamento del riscatto, in
quanto eseguito dalla società in violazione del provvedimento
inibitorio emesso dal giudice penale (ordine che, peraltro, se
condo la ricorrente, quel giudice al tempo del versamento non
aveva ancora pronunciato). Anche l'argomento, svolto nella sentenza impugnata circa la
possibilità del contribuente di agire giudizialmente per ottenere
la ripetizione dell'indebito nei confronti dei sequestratori, appa
re ininfluente ai fini della decisione, giacché (pur a prescindere
Il Foro Italiano — 1996.
dalla questione di fondo circa l'inerenza della spesa alla produ zione del reddito), ogni spesa, se inerente, deve essere computa ta nell'anno di competenza, salvo, poi, ad essere iscritta fra
i crediti verso terzi o, nel caso di recupero, tra le sopravvenien ze attive.
Va, tuttavia, osservato, che la Commissione tributaria cen
trale pur partendo dalle predette argomentazioni, ha, tuttavia,
affermato che «l'effettuato pagamento (del riscatto) non può
costituire un fatto giuridico da far valere nel rapporto tributa
rio»; che «l'esborso» non è configurabile «come costo sostenu
to per la produzione del reddito d'impresa» e, infine, che «l'im
porto pagato ai rapitori... non può essere considerato ai fini
di eventuali detrazioni neppure sotto il diverso profilo di un
danno ingiusto subito per fatto illecito del terzo». Il giudice a quo ha, pertanto, risposto al quesito posto dalla ricorrente
ed è, allora, dall'indagine circa la correttezza di tale conclusio
ne che può derivare l'accoglimento o il rigetto del ricorso.
A tal riguardo va osservato che, ai sensi del combinato dispo sto degli art. 56, 60, 61 e 74 d.p.r. n. 597 del 1973 (il cui conte
nuto è ribadito, con diversa e più organica formulazione, dal
l'art. 75 t.u. n. 917 del 1986), possono concorrere a formare
il reddito d'impresa nell'esercizio di competenza, «i ricavi, pro
venti, costi e oneri...» (art. 74, 1° comma). I costi e gli oneri
sono ammessi in deduzione, a precise condizioni (art. 74, 2°
comma). «Costi» sono quelli «relativi all'acquisizione dei beni
e dei servizi dai quali traggono origine i ricavi» e «comprendo no i corrispettivi e gli oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi» (art. 56, 1° comma). Sono ritenuti
oneri di utilità sociale, tra l'altro, «le erogazioni liberali fatte
a favore dei dipendenti per specifiche finalità di educazione,
istruzione, ecc. (art. 60, 1° comma). «I costi e gli oneri diversi
da quelli espressamente considerati... sono deducibili se ed in
quanto siano stati sostenuti nell'esercizio dell'impresa e si riferi
scano ad attività e operazioni da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa» (art. 61, 3°
comma). Il complesso di questi concetti è stato riportato dall'art. 75
t.u. n. 917 del 1986 con le parole: «I ricavi, le spese e gli altri
componenti positivi e negativi... concorrono a formare il reddi
to nell'esercizio di competenza» (1° comma). «Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne
gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui
derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il red
dito...» (5° comma). Il precedente art. 65, 1° comma, infine,
ha riprodotto sostanzialmente il concetto di oneri di utilità so
ciale nello stesso senso di cui all'art. 60 d.p.r. del 1973.
A chiusura di questa ricostruzione normativa, si può conclu
dere che le norme sulla deducibilità dei costi e degli oneri hanno
un ben preciso e limitato ambito di applicazione, nel senso che
la deducibilità stessa è sempre condizionata ad una stretta ine
renza dei costi e degli oneri all'attività svolta, ossia che questi siano stati funzionali alla formazione del reddito o, come anche
si può dire, si siano rapportati come causa ad effetto nel circui to della produzione del reddito. E, per quanto si possa estende
re la portata di questo concetto, non può accedersi alla tesi
che la spesa costituita dal pagamento del riscatto per la libera
zione di un dirigente, sia pure dalla capacità imprenditoriale descritta dalla società, possa annoverarsi tra quelle funzionali
alla produzione del reddito.
Nel caso di specie, la particolare posizione assunta dal dott.
De Feo nell'ambito della società non è agevolmente scindibile
e distinguibile dalla sua condizione familiare di stretto parente
degli altri soci. Ebbene, già questa particolare situazione rende
rebbe difficile definire in quale misura il pagamento del riscatto sia stata imputabile effettivamente alla società oppure indiretta
mente agli altri soci-familiari. Ma, a prescindere da questa con
siderazione, anche se si dovesse aver riguardo esclusivamente
al rapporto tra la società ed il suo dirigente, l'adesione alla tesi
della società ricorrente circa la deducibilità della suddetta spesa,
dovrebbe, per le medesime ragioni in essa addotte, far ritenere
deducibili pure tutte le spese per cure mediche, operazioni chi
rurgiche e relativa permanenza in istituti di cura (in Italia o
all'estero), che, in ipotesi, un'impresa avesse avuto a sostenere
per migliorare le condizioni di salute o addirittura per salvare
la vita di un suo dirigente, tutte le volte che l'impresa stessa
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PARTE PRIMA
deducesse di essere stata indotta a sostenerle per conservare l'u
tilizzazione delle prestazioni intellettuali di quel dirigente, a ra
gione del cospicuo contributo manageriale che quest'ultimo, per accrescere la redditività dell'impresa, aveva reso ed avrebbe po tuto continuare a rendere nell'ambito della stessa. E questo con
cetto potrebbe ulteriormente essere dilatato, fino a ricompren dervi qualunque spesa sostenuta dalla società per conservare le
migliori condizioni psicologiche del suo dirigente (anch'esse, in tesi, funzionali al maggiore rendimento economico dell'impre
sa), ancorché quelle condizioni fossero collegate a situazioni fa
miliari o sociali dello stesso. Invece, la legge va esattamente interpretata nel senso che la
spesa è deducibile solo quando è collegata strettamente all'eser
cizio dell'impresa, ossia alla sua ordinaria gestione in un preci so esercizio (si pensi, ad es., innanzitutto alle spese di propa
ganda e, in genere, promozionali, ma anche ad altre ipotesi di
minore evidenza di cui si occupò la nota del min. fin. 12 dicem
bre 1974, n. 2/1053). Sotto questo profilo, incongruo appaiono allora i paralleli che la società ricorrente fa tra la fattispecie in esame e quella dell'incendio o del danno subito dall'impren
ditore in conseguenza della lesione di un suo diritto di credito.
Quanto all'incendio, sembra del tutto evidente che esso costitui
sce per l'imprenditore non una spesa, ma solo una perdita. In
relazione, poi, al danno da fatto illecito, è pur vero che, secon
do un principio ormai da tempo affermato in giurisprudenza e dottrina, la lesione del diritto di credito conferisce al danneg
giato titolo per il risarcimento del danno nei confronti dell'au
tore dell'illecito. Ma questo principio, applicato al diritto tribu
tario, comporta che l'imprenditore titolare del credito, in con
seguenza del fatto illecito subisce una perdita (ossia un mancato
acquisto) idoneo a ridurre l'utile dell'impresa, ma non dà affat
to origine ad una spesa o (come altrimenti, viene definita) ad
un costo deducibile. A tal uopo, bisogna innanzitutto rilevare
che il risarcimento del danno per la lesione del diritto di credito
richiede in ogni caso la prova del danno e che, quando il credi
to consista nella perdita o riduzione di una prestazione di carat
tere intellettuale, il pregiudizio patrimoniale del creditore — salvi
gli aspetti secondari del problema — quand'anche, come soste
nuto dalla società ricorrente, la suddetta prestazione sia effetti
vamente infungibile, il danno si potrebbe tradurre in una ridu
zione degli utili dell'impresa, ma non mai in una spesa; se, in
vece, la perdita concerne una prestazione fungibile, il pregiudizio
patrimoniale subito dall'imprenditore è dato dalla spesa neces
saria per la sostituzione del dirigente ed è, peraltro, contenuto
nei limiti in cui l'esborso risulti maggiore o aggiuntivo rispetto alla spesa già destinata al corrispettivo del dirigente sequestra to. Ebbene, nel primo dei due casi (che è quello prospettato dalla ricorrente), la perdita dell'utile, pur se provata, rappre senterebbe comunque un quid diverso dall'accezione di «costo»
e, pertanto, non sarebbe annoverabile concettualmente, tra le
spese deducibili; nel secondo caso (che, peraltro, non riguarda la fattispecie in esame), l'assunzione del nuovo manager potreb be invece certo rientrare tra i costi deducibili, ma solo nei limiti
innanzi specificati, in quanto soltanto nella misura corrispon dente potrebbe parlarsi di costo inerente all'esercizio dell'impresa.
Né, infine, per restare nell'ambito della lesione del diritto di
credito, appare appropriato il parallelo — posto dalla ricorren
te — tra la fattispecie de qua e l'ipotesi dell'illecito che abbia
cagionato la perdita di una prestazione diversa da quella intel
lettuale (la ricorrente ricorda il noto caso del danno subito da
una società di calcio per la morte di un celebre calciatore). An
che in tal caso, infatti, atteso che l'attività imprenditoriale di
specie consisteva nella prestazione di una manifestazione di ca
rattere sportivo, la perdita sociale (benché titolo per chiedere, in sede civilistica, il risarcimento del danno all'autore dell'illeci
to) consisteva sostanzialmente nella impossibilità di utilizzare
l'opera di un calciatore di particolare richiamo spettacolare e
si poteva tradurre, quindi, ai fini tributari, nella perdita di un utile, ma non mai di un costo deducibile.
La spesa sostenuta dalla società, peraltro, non può annove
rarsi concettualmente neppure tra gli oneri deducibili ex art.
60 d.p.r. n. 597 del 1973, non rientrando tra quelli, tassativa mente indicati da tale norma, consistenti in liberalità fornite,
per specifici scopi di utilità sociale, ai dipendenti. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Il Foro Italiano — 1996.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 agosto
1995, n. 8464; Pres. R. Sgroi, Est. Bibolini, P.M. Amirante
(conci, conf.); Soc. Quamar (Avv. Fraticelli) c. Soc. Tam
leasing (Avv. Lipari, Porro). Conferma App. Milano 24 set
tembre 1991.
Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Leasing finan
ziario — Autoveicoli — Mancata consegna — Clausola di
inversione del rischio — Validità — Fattispecie (Cod. civ., art. 1322, 1325).
Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Leasing 'trasla
tivo' — Vendita con riserva della proprietà — Applicazione
analogica dell'intera disciplina — Esclusione (Cod. civ., art.
1322, 1526).
È valida la clausola del contratto di leasing che fa gravare sul
l'utilizzatore il rischio della mancata consegna (nella specie, se ne è ritenuta la validità quale costo dell'economia negozia le realizzata dall'utilizzatore per mezzo della stipula di un unico
contratto in luogo di due distinti, di mutuo e di vendita). (1) L'applicazione analogica dell'art. 1526 c.c. al leasing 'traslati
vo' non implica necessariamente l'applicazione di tutta la di
sciplina della vendita. (2)
(1-2) La validità delle clausole che fanno gravare sull'utilizzatore il
rischio della mancata consegna è stata, da ultimo, ribadita da Cass. 21 giugno 1993, n. 6862, Foro it., 1993, I, 2144, cui si rinvia per ulte riori indicazioni giurisprudenziali. In dottrina, per tutti si veda Lumino
so, I contratti tipici e atipici, Milano, 1995, I, 405.
Sull'applicazione al leasing 'traslativo' del solo art. 1526 c.c. (e non,
quindi, dell'intera disciplina della vendita), cfr. Cass. 13 dicembre 1989, nn. 5572-5573, id., 1990, I, 461, e, successivamente; Cass. 7 gennaio 1993, n. 65, id., 1994, I, 177; 22 febbraio 1994, n. 1731, ibid., 3477; 22 marzo 1994, n. 2743, id., Rep. 1994, Contratto in genere, n. 245.
* * *
Mancata consegna nel leasing, obbligo di buona fede e causa con
trattuale (1).
Due anni or sono, con la pronuncia 6862/93 (2), la Cassazione aveva
per la prima volta aperto uno 'spiraglio', se non ad una tutela effettiva, ad una speranza di tutela dell'utilizzatore nell'ipotesi di mancata conse
gna del bene (3). La sentenza in epigrafe (4) si industria oggi di dimo
(1) Le osservazioni che seguono sono sinteticamente tratte da un la
voro, di prossima pubblicazione, in tema di collegamento negoziale e leasing.
(2) Foro it., 1993, I, 2144, con note di Mastrorilli, Inadempimento del fornitore, rischio contrattuale, tutela dell'utilizzatore, e Caso, I mec canismi triangolari del 'leasing alla francese': riflessi della risoluzione della vendita sul contratto di «crédit-bail».
(3) Come noto, i moduli dei contratti di leasing prevedono che l'uti lizzatore assuma, nei confronti del concedente, il rischio della mancata consegna. Il ragionamento è (apparentemente) semplice: il concedente è un finanziatore che ignora il bene che si obbliga a comprare e a (far) mettere a disposizione dell'utilizzatore: qualunque 'vicenda' concernen te il bene, ivi compresa la mancata consegna (che peraltro preclude ab origine la fruizione del bene medesimo), non può quindi incidere in alcun modo sulla sua pretesa finanziaria (restituzione del capitale anticipato quale prezzo, maggiorato degli interessi e delle spese, nonché realizzazione dell'utile d'impresa). Merita peraltro di essere segnalata anche la concreta fattispecie, perché di sicuro interesse. La controversia trae origine da un decreto ingiuntivo, ottenuto nei confronti dell'utiliz zatore dalla società di leasing in forza dell'art. 14 del relativo contratto. Tale clausola — davvero originale — cosi dispone: «Qualora il veicolo non dovesse essere consegnato dal fornitore al cliente entro i termini indicati nell'ordine per causa non imputabile alla società, il presente contratto potrà dalla società essere risolto in pieno diritto senza alcuna
pretesa delle parti, salvi e impregiudicati il rimborso da parte del cliente alla società di tutte le somme che avrà corrisposto al fornitore del vei colo aumentate di un interesse computato ad un tasso pari al prime rate Abi maggiorato di dieci punti percentuali e i rimborsi di tutte le
spese sostenute dalla società per la formazione e risoluzione del presen te contratto e salvo il successivo rimborso al cliente da parte della socie tà di una somma pari a quella eventualmente riscossa in restituzione dal fornitore». Il testo di tale clausola si trova riportato in Trib. Mila no 10 luglio 1989, id., Rep. 1992, voce Contratto in genere, n. 202
(che può leggersi per esteso in Riv. it. leasing, 1991, 482). È interessante osservare — a dimostrazione della difficoltà della que
stione in esame — che tale sentenza è stata emessa dal medesimo giudi ce (il Tribunale di Milano) che ha deciso in primo grado la controversia tra le parti in epigrafe, in una vicenda processuale dai medesimi presup posti e contenuti, con la medesima società di leasing (la Tamleasing)
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