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sezione I civile; sentenza 11 dicembre 1986, n. 7378; Pres. Scanzano, Est. Lupo, P. M. Golia(concl. conf.); Comune di Alessandria (Avv. Menghini, Taverna) c. Delpiano (Avv. Piletta).Conferma App. Torino 11 dicembre 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 4 (APRILE 1987), pp. 1113/1114-1119/1120Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179891 .
Accessed: 25/06/2014 03:59
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Pertanto, il termine «possesso» è usato, nel vigente sistema le
gislativo, anche per indicare situazioni di fatto, prese in conside
razione da singole norme, diverse da quella descritta nel 1° comma
dell'art. 1140 c.c. che si riferisce al possesso dei beni materiali,
operandosi cosi un adattamento del termine a quelle situazioni
di fatto, che non si identificano con il possesso in senso proprio
(di cui al citato art. 1140), al fine della disciplina legislativa ad essa riferita.
In conclusione, deve essere enunciato il principio di diritto che,
pignorata la quota di un socio di una società a responsabilità limitata ed alienata successivamente la quota dal socio ad un ter
zo, con iscrizione dell'alienazione nel libro dei soci, il pignora mento non è efficace, e quindi opponibile, nei confronti del terzo
acquirente in buona fede, in applicazione della norma dell'art.
2913 c.c.
La corte di Milano ha deciso questa causa facendo applicazio
ne, appunto, della norma di cui all'art. 2913 c.c.
Non è esatto, però, il riferimento alla mancata annotazione
del pignoramento nel libro dei soci per dedurne la buona fede
dell'acquirente della quota sociale: nessuna norma dispone che
il pignoramento della quota sociale nella società a responsabilità limitata deve essere annotato nel libro dei soci; ed era sufficiente
rilevare che, per il 3° comma dell'art. 1147 c.c., la buona fede
è presunta e che, nella specie, nessuna prova in contrario era
stata offerta. Neppure è esatta la affermazione, contenuta nella
sentenza impugnata, che può essere analogicamente applicato al
la quota nella società a responsabilità limitata il principio della
prevalenza della libera circolazione dei beni mobili sull'interesse
dei creditori alla conservazione della garanzia patrimoniale: si è
visto sopra che la norma generale di cui al 3° comma dell'art.
812 c.c. comporta l'estensione dell'ambito di applicazione, risul
tante dalla formulazione letterale, della norma di cui all'art. 2913
c.c., si da ricomprendervi anche la quota nella società a respon
sabilità limitata. In tali sensi va rettificata, a norma dell'art. 384,
2° comma, c.p.c., la motivazione della sentenza impugnata. Per
tanto il ricorso deve essere rigettato. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 11 dicem
bre 1986, n. 7378; Pres. Scanzano, Est. Lupo, P. M. Golia
(conci, conf.); Comune di Alessandria (Avv. Menghini, Ta
verna) c. Delpiano (Avv. Piletta). Conferma App. Torino
11 dicembre 1982.
Opere pubbliche — Edilizia scolastica — Delega dello Stato ai
comuni — Appalto — Responsabilità del comune per inadem
pimento (L. 28 luglio 1967 n. 641, nuove norme per l'edilizia
scolastica e universitaria e piano finanziario dell'intervento per
il quinquennio 1967-1971, art. 16).
Risponde il comune, delegato dall'amministrazione statale a rea
lizzare opere di edilizia scolastica, e non l'amministrazione sta
tale stessa, dei danni provocati all'appaltore per il ritardo nel
pagamento dei compensi dovutigli, ancorché tale ritardo sia di
peso, a sua volta, dal ritardo nella corresponsione al comune
del finanziamento statale. (1)
(1) I. — La decisione precisa, in tema di esecuzione di opere di edilizia
scolastica, natura, ratio ed effetti della delega conferita dallo Stato ai
comuni richiamandosi ai principi ormai consolidati con riguardo alla de
lega intersoggettiva, tale essendo, nel caso di specie, la delega tra Stato
e comune. Questa figura intersoggetiva si risolve in una forma di collabo
razione fra enti pubblici che comporta, in via normale secondo la legisla zione invocata nella decisione in epigrafe, il trasferimento decentrativo
di un complesso di attribuzioni: ne consegue, quanto all'imputazione del
l'attività e delle responsabilità, che il delegato agisce in nome proprio, e non in veste di rappresentante del delegante, e che a lui sono imputabili
gli effetti giuridici e le eventuali responsabilità. V., fra le altre, benché
non specificamente riferite ad opere di edilizia scolastica, ma sempre in
tema di esecuzione di opere pubbliche, Cass. 10 gennaio 1983, n. 163,
Foro it., Rep. 1983, voce Opere pubbliche, n. 68 (nelle specie il principio è stato applicato con riferimento alla domanda di risarcimento del danno
proposta dal proprietario di un fondo oggetto di occupazione, nel quale
l'opera pubblica era stata eseguita senza che fosse stata pronunciata l'e
li Foro Italiano — 1987 — Parte 1-13.
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 12 marzo 1979 l'imprenditore Delpiano Luigi assumeva di esse
re creditore del comune di Alessandria per forniture di serramen
ti ed infissi in legno, ultimate nel 1975 e relative alla costruzione
di scuole elementari; chiedeva perciò la condanna del detto co
mune al pagamento della somma di lire 9.962.985, importo delle
forniture, oltre la svalutazione e gli interessi legali dal 6 ottobre
1978, data della costituzione in mora.
spropriazione); 9 novembre 1982, n. 5879, id., Rep. 1982, voce cit., n.
38 (in applicazione del medesimo principio, si è affermato a carico del
delegato l'obbligo di pagare le indennità di espropriazione e di occupa
zione); 17 settembre 1980, n. 5280, id., Rep. 1980, voce cit., n. 39 (che ha riconosciuto il diritto del delegato di rivalersi verso l'amministrazione
delegante delle maggiori somme versate al privato per danni da occupa zione illegittima solo ove dimostri non solo che il fatto illecito sia imputa bile alla stessa delegante per non aver tempestivamente fornito i mezzi
finanziari occorrenti all'espropriazione, ma anche che un tale impegno sia stato espressamente assunto nell'atto di delega non nascendo automa
ticamente dalla delegazione amministrativa); 31 gennaio 1968, n. 313, id.,
1968, I, 1565, con commento di F. Satta, Concorso dello Stato nella
costruzione di opere pubbliche: «delegazione di poteri» e ripartizione di
responsabilità. Per la giurisprudenza di merito v. App. Napoli 22 gennaio
1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 67.
Conformandosi alla consolidata giurisprudenza la Suprema corte rile
va, ancora una volta, la distinzione fra la delega intersoggettiva ed inte
rorganica (fra le ultime, cfr. sent. 3 novembre 1983, n. 6474, id., Rep.
1984, voce cit., n. 35) pur ammettendo, sul piano dell'imputazione di
attività e responsabilità, l'applicazione dei medesimi principi (per un pre
cedente, richiamato anche in motivazione, v. Cass. 10 gennaio 1983, n.
163, cit.). Tuttavia, ed in ciò risiede la specificità della decisione in epi
grafe rispetto al filone giurisprudenziale nel quale si inserisce, la Suprema corte ammette, per la delega interorganica, in relazione al contenuto che
di volta in volta assume il provvedimento di delega, attenuazioni o limita
zioni al principio dell'imputazione dell'attività e delle responsabilità, esclu
dendole, invece, per la delega intersoggettiva in quanto il ricordato principio ne costituisce un tratto saliente.
Per un'analisi delle diverse forme che può assumere la cooperazione fra enti pubblici per l'attuazione di opere pubbliche, quali il finanziamen
to, l'affidamento, la delegazione o la sostituzione, v. Cass. 5 luglio 1986, n. 4422, in questo fascicolo, I, con nota di richiami sub II.
Per la definizione del tipo di rapporto allorché la p.a. affidi ad un
privato la realizzazione di opere programmate nell'interesse pubblico, cfr.
Cass. 3 novembre 1983, n. 6474, cit. (essendo la delegazione amministra
tiva un istituto peculiare del diritto pubblico, configurabile solo tra enti
pubblici diversi o tra organi diversi dello stesso ente pubblico, in tali
casi può ricorrere, invece, la figura dell'appalto ovvero della concessione
cosiddetta traslativa con la quale si verificano, nei rapporti esterni, effetti
analoghi a quelli della delegazione amministrativa). In dottrina v. Verardo, La delegazione intersoggettiva in materia di
opere pubbliche, in Rass. lav. pubbl., 1983, I, 77.
II. — Sulla natura dell'atto di delegazione la dottrina, nel corso del
tempo, ha fatto registrare indirizzi non uniformi, oscillando tra la tesi
della rappresentanza (propria della dottrina meno recente: v. Ranellet
ti, Principi di diritto amministrativo, Napoli, 1912, 214 e D'Alessio, Isti
tuzioni di diritto amministrativo italiano, Torino, 1949, 317) e della
autorizzazione (sostenuta, per primo, da De Valles, Teoria giuridica del
l'organizzazione dello Stato, Padova, 1931, I, 227 ss. e da Franchini, La delegazione amministrativa, Milano, 1950, 12); dell'atto dispositivo con il quale l'organo o il soggetto dispone della propria competenza a
provvedere in ordine ad un determinato oggetto (cosi Miele, Delega (dir.
amm.), voce dell' Enciclopedia de! diritto, Milano, 1962, XI, 905 ss.) e
del provvedimento di tipo organizzatorio (cfr. A.M. Sandulli, Manuale
di diritto amministrativo, Napoli, 1984, 602); e non poche sono state
le critiche indirizzate ai tentativi di ricostruzione unitaria del fenomeno
(v., per tutti M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1970, 304). Anche sulla natura della competenza attribuita al delegato si sono scon
trate le diverse interpretazioni, specie in ordine al dilemma circa il quid del conferimento, la titolarità oppure l'esercizio della competenza: per
l'opinione più diffusa che ravvisa nella delega uno spostamento della com
petenza soltanto per quanto concerne l'esercizio delle funzioni e non an
che la titolarità cfr., per tutti, Sandulli, Manuale, cit.
Sui caratteri generali della delega si rinvia, per un completo esame del
l'istituto, a Miele, Delega, cit., oltre alle indicazioni fornite dalla manua
listica. Per l'ambito di operatività dell'istituto, limitato alla sfera pubblicistica
e, pertanto, inutilizzabile per la stipulazione di contratti di diritto priva
to, cfr. Santagata, Se le c.d. «deleghe» di funzioni amministrative siano
o meno ammissibili nello schema normativo del diritto comune, in Foro
amm., 1981, 2647 ss.
Sulle eventuali distinzioni fra delegazione amministrativa e figure affini
cfr., per la delega di firma, Rampulla, Delegazione amministrativa, voce
del Novissimo digesto, Torino, 1981, 1022 ss., spec. 1026; per la sostitu
zione, v. Giannini, Diritto amministrativo, cit., 305 e Barbagallo, Eser
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1115 PARTE PRIMA 1116
Il Tribunale di Alessandria, con sentenza depositata il 18 set
tembre 1980, in contumacia del convenuto e dopo avere preso atto della dichiarazione del Delpiano di aver ricevuto un acconto
di lire 2.118.000, condannava il comune al pagamento di lire
10.000.000, cosi rivalutata la residua somma di lire 7.884.985, con gli interessi legali dall'ottobre 1978.
Il comune di Alessandria proponeva appello con atto notifica
to il 12 dicembre 1980. La Corte d'appello di Torino, con senten
cizio per motivi di urgenza di poteri spettanti ad altri organi, in Foro amm., 1980,1, 1618; per la concessione traslativa, v. Sandulli, Manuale, cit.; inol
tre, per il mandato con o senza rappresentanza, v. Santagata, cit. III. — Tra tutti i casi di delega previsti nell'ordinamento aspetti pecu
liari presenta la delega di funzioni dallo Stato alle regioni e dalle regioni agli altri enti locali prevista dall'art. 118 Cost., un «istituto-mostro, non decifrabile secondo la logica giuridica» (cosi Berti, Crisi e trasformazio ne dell'amministrazione locale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, 691).
11 particolare strumento di attuazione, la legge anziché un semplice prov vedimento amministrativo, nonché, e di non minore importanza, l'espli cita previsione costituzionale, oltre ad altre caratteristiche, hanno sollecitato una copiosa elaborazione dottrinale sul tema, attenta, per lo più, a pren dere le distanze da tutte le teorie elaborate con riguardo all'istituto gene rale della delegazione amministrativa. Va tuttavia tenuto presente che fino all'attuazione dell'ordinamento regionale è del tutto mancata la consape volezza che la delega statale e regionale prevista dall'art. 118 Cost, fosse un qualcosa di diverso dalla vecchia delegazione amministrativa (cfr., per tutti, Miele, Delega, cit., 910, per il quale la legge non è che un modo come un altro per rendere il delegato competente ad esercitare le funzioni amministrative del delegante); oppure che il rapporto tra delegato e dele
gante, in base all'art. 118, non si risolvesse in un rapporto «organico improprio» o «burocratico improprio» (cosi, invece, Benvenuti, L'orga nizzazione impropria delta pubblica amministrazione, in Riv. trim. dir.
pubbl., 1956, 968 ss.) o comunque in un rapporto di gerarchia (così, invece, Fazio, La delega amministrativa e i rapporti di delegazione, Mila
no, 1964, 230 s.), ovvero in una posizione semplicemente strumentale del delegato rispetto al delegante (cosi, invece, Colzi, Delegazione ammi
nistrativa, voce del Novissimo digesto, Torino, 1964, V, 351 ss., spec. 354). Dal 1970 in poi la dottrina ha orientato i propri sforzi nel cogliere
il proprium della delega prevista dalla norma costituzionale e si è cosi consolidato quell'orientamento, largamente seguito, che ravvisa nello stru mento della delegazione un fenomeno di collaborazione nel quale il dele
gatario diviene effettivamente titolare dei poteri delegati e, allo stesso
tempo, contitolare della funzione nel suo complesso: v., fra gli altri, Ro versi Monaco, La delegazione amministrativa nel quadro dell'ordina mento regionale, Milano, 1970, 111 ss. Di qui il profondo iato fra dottrine antecedenti e successive al 1970 che si rivela nel riconoscimento che «enti
deleganti e delegati sono nella posizione di titolari della potestà ammini strativa in senso stretto, di piena titolarità e di effettivo potere di decisio ne» (cosi, Roversi Monaco, cit., 108). Di qui, inoltre, l'autorevole tesi che in questi casi non tanto di delega si dovrebbe parlare quanto piutto sto di trasferimento decentrativo di attribuzioni, con conseguente appli cazione di tale fattispecie organizzatoria (cosi Sandulli, Manuale, cit., 460 e 456). Non tutti gli autori convengono, però, nel ritenere assimilabi
li, fino alla identificazione, decentramento e delega di funzioni: di certo, i due istituti partono dalla medesima premessa di realizzare una distribu zione di compiti amministrativi in modo da avvicinare il più possibile l'amministrazione agli amministrati (cfr. Cappellini, Delega di funzioni amministrative dello Stato alla regione, in Regioni e organizzazione am
ministrativa, Firenze, 1971, 37, al quale si rinvia per una rassegna della dottrina tradizionale che ha tenuto ben distinti i due istituti).
Quanto ai limiti che incontra la delega di funzioni amministrative sta tali alle regioni: 1) che la devoluzione sia autorizzata da una legge forma le o da atto equiparato che determini i poteri conferiti alle amministrazioni
regionali; 2) che lo Stato si addossi le eventuali spese sopportate dalle
regioni, dotandole, preventivamente, dei mezzi necessari; 3) che l'ammi nistrazione statale non si spogli definitivamente delle attribuzioni delega te, v. Paladin, Diritto regionale, Padova, 1985, 230.
Per una distinzione fra la delega di funzioni e la figura organizzatoria dell'«avvalersi degli uffici», espressamente prevista dall'art. 118, 3° com
ma, Cost, per i rapporti fra regioni ed enti locali occorre preliminarmente verificare se tale schema organizzatorio sia utilizzabile anche per i rap porti fra Stato e regioni. Mentre Corte cost. 1° marzo 1972, n. 35, Foro
it., 1972, I, 1197, ha ammesso tale utilizzazione, la dottrina, invece, ten de a respingere tale possibilità, oltre che in base a considerazioni di tipo formalistico, dato il silenzio dell'art. 118, 2° comma, Cost, in contrappo sizione al comma successivo, per il timore che l'opinione della corte si risolva in un ennesimo strumento di compressione dell'autonomia regio nale (cosi Orsi Battaglini, Le autonomie locali nell'ordinamento regio nale, Milano, 1974, 334), oppure in base al rilievo che al rapporto collaborativo derivante dalla delega si contrappone quello di tipo gerar chico ricorrente nell'ipotesi dell'utilizzazione degli uffici (v. Roversi Mo
naco, Delegazione e utilizzazione di uffici nell'organizzazione amministrativa regionale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1970, 627 ss.). Contra, in dottrina, Paladin, cit. 231.
Il Foro Italiano — 1987.
za depositata I'll dicembre 1982, rigettava l'appello, osservando, in ordine ai motivi dedotti a fondamento dello stesso: a) che l'a
vere il comune agito in qualità di delegato dello Stato alla costru
zione della scuola non lo esonerava dalla responsabilità per le
obbligazioni contrattuali, ma incideva solo sui rapporti tra comu
ne e Stato; ti) che l'assunto dell'appellante — secondo cui il cre
dito relativo al saldo del conto finale ad al residuo dovuto per la revisione dei prezzi non fosse azionabile se non dopo il collau
do della fornitura — doveva essere disatteso, in quanto, secondo
l'art. 8 del capitolato di appalto, il comune avrebbe dovuto prov vedere alla visita di collaudo entro il sesto mese dall'ultimazione
dei lavori, terminati nel 1975, mentre senza esito era rimasta la
diffida notificata a tale scopo dal Dalpiano al comune il 6 otto
bre 1978; c) che l'eccezione di improponibilità della domanda per ché il Delpiano avrebbe dovuto far ricorso all'arbitrato dopo
l'approvazione del collaudo non era fondata perché il comune
non aveva provveduto a tale adempimento in violazione dei suoi
obblighi; d) che l'eccepita decadenza per decorrenza dei sessanta
giorni successivi al silenzio-rifiuto (ai sensi dell'art. 47 d.p.r. n.
1063/62) non sussisteva, perché la decadenza era posta in riferi
mento alla controversia amministrativa e perché comunque la ci
tazione era stata tempestivamente notificata.
Sulla base delle riassunte considerazioni la Corte d'appello di
Torino confermava la sentenza appellata, dando atto che, nelle
more del giudizio di appello, il comune di Alessandria aveva ver
sato al Delpiano la somma di lire 1.777.256 quale ulteriore ac
conto sul dovuto, onde l'importo capitale del credito, alla data
del 17 marzo 1980, era ridotto alla somma di lire 6.069.729, oltre
gli interessi e la rivalutazione monetaria della somma come stabi
lito nella sentenza appellata. Il comune di Alessandria ha proposto ricorso per cassazione,
fondato su tre motivi. Resiste il Delpiano con controricorso.
Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso il comu
ne di Alessandria deduce che la sentenza impugnata ha violato
i principi generali in materia di delegazione amministrativa con
riferimento alla 1. 28 luglio 1967 n. 641 e 22 dicembre 1969 n. 952.
In applicazione di queste leggi il comune agi come delegato dello Stato e, in tal qualità, esso non aveva la competenza a li
quidare le somme di denaro dovute all'appaltatore ed a deliberar
Per quanto concerne, in particolare, la delega regionale, v. le osserva zioni di Sanduili, Manuale, cit., 456 in relazione alla prima fase della vita delle regioni «povera» di deleghe, alla quale ha fatto seguito una inversione di tendenza. Sui destinatari della delega e, in particolare, sul
l'espressione «altri enti locali», v. Pastori, Il governo regionale e loca
le», in Amato-Barbera, Manuale di diritto pubblico, Bologna, 1984, 661 ss. ed allo stesso a. si rinvia per un prospetto esemplificativo dei «moduli
organizzativi» delle regioni (apparati diretti centrali e periferici della re
gione; enti e aziende dipendenti oltre a società a partecipazione regionale; enti territoriali delegatari di funzioni; infine, enti territoriali attributari in proprio di funzioni).
Per una particolare ricostruzione della delega regionale come strumen to che consente all'ente locale di partecipare all'azione amministrativa
regionale, ravvisando nel disposto dell'art. 118 una riserva, a favore della
regione, di tutta l'azione amministrativa che potrà essere svolta nelle ma terie elencate nell'art. 117 Cost., cfr. Pototschnig, La delega di funzioni amministrative regionali agli enti locali, in Foro amm., 1971, III, 427 ss. E cfr. altresì", per il particolare rilievo dato all'uso della legge e ai
problemi specifici della legge di delega, Orsi Battagline cit., 282 ss. Le differenze fra la delega regionale e la delega statale, data la diversa
posizione istituzionale che hanno le regioni di fronte allo Stato, rispetto a quella che hanno comuni e province rispetto alla regione, sono rilevate da Pototschnig, cit., 450.
Sul tema della delega statale e regionale v., per la manualistica più recente, Meale, Principi di diritto regionale, Bari, 1987.
IV. — Ciò premesso, la delega di cui alla decisione in epigrafe, indiriz zata dallo Stato al comune, non corrisponde nè alla delega statale, che ha per destinataria la regione, nè alla delega regionale, che, invero, ha
per destinatari gli altri enti locali, ma deve essere emanata dalla regione. Sotto un ulteriore profilo se ne distingue in quanto, l'art. 118 Cost, ha introdotto la delega di funzioni, laddove la delega prevista dalla 1. 641/67 attribuisce ai comuni tutti i poteri necessari limitatamente, però, all'ese cuzione di opere di edilizia scolastica. Nulla osta, tuttavia, a ravvisare anche nella delega utilizzata nel caso di specie un fenomeno di collabora zione fra enti e, nel contempo, di sgravio del delegante e di partecipazio ne del delegato a compiti propri di un altro ente. Ove poi si consideri che delegante e delegato sono qui, rispettivamente, lo Stato e il comune, è evidente che si va ben oltre il dettato costituzionale che limita il feno meno collaborativo al binomio Stato-regione, regione-altri enti locali. [R. Mancino]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ne il pagamento, ma queste attività erano riservate allo Stato, limitandosi il comune a compiere il mero trasferimento materiale
all'appaltatore delle somme ricevute dallo Stato.
Responsabile dell'inadempimento fatto valere dal Delpiano do vrebbe pertanto essere ritenuto lo Stato, e non il comune.
Il motivo è infondato. Il contratto intervenuto tra il comune di Alessandria e l'imprenditore Delpiano Luigi fu stipulato in ap plicazione della 1. 28 luglio 1967 n. 641, che ha dettato norme in materia di edilizia scolastica. Secondo l'art. 1, ultimo comma, 1. cit., l'esecuzione delle spese di edilizia destinate alle scuole ele mentari (come quelle a cui favore fu pattuita la prestazione del
Delpiano) avviene a totale carico dello Stato e sotto il controllo e a cura del medesimo. Questa attività si compie attraverso pro grammi nazionali quinquennali e programmi regionali annuali a
cui partecipano i comuni, i quali presentano agli organi statali i propri fabbisogni complessivi (art. 9 1. n. 641/67).
Nella realizzazione dei programmi i comuni possono avvalersi
della delega da parte dello Stato per l'esecuzione delle opere di
edilizia già decise: secondo l'art. 16 1. cit. (nel testo sostituito
dall'art. 1 1. 22 dicembre 1969 n. 952), «ai fini della progettazio ne e della costruzione la domanda redatta dal comune ai sensi
dell'art. 9 equivale a richiesta di delega. La delega è concessa
all'atto dell'approvazione del piano esecutivo annuale».
La delega configurata nella normativa sopra riportata concre
tizza una figura intersoggettiva (in quanto interviene tra Stato
e comune), che la dottrina amministrativistica va sempre più di
stinguendo dalla delega interorganica. La prima realizza una for
ma di collaborazione tra enti pubblici che, prevista dalla legge
obbligatoriamente o (come nel caso della legislazione che qui si
considera) in via normale, comporta il trasferimento decentrativo
di un complesso di attribuzioni. La seconda determina, invece, 10 spostamento — sulla base di un atto amministrativo emanato
secondo la legge — di competenze giuridicamente definite che
vengono temporaneamente derogate per ragioni di funzionalità
interna ad un singolo ente.
In ambedue i casi vale il principio che il delegato agisce in
nome proprio, e non in veste di rappresentante del delegante; al delegato sono perciò imputabili gli effetti giuridici della sua
attività, con le conseguenti eventuali responsabilità (v. le sentenze
di questa corte n. 163/83, Foro it., Rep. 1983, voce Opere pub
bliche, n. 68; n. 5879/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 38; n.
382/73, id., Rep. 1973, voce cit., n. 17).
Questo principio — se può trovare attenuazioni o limitazioni
in qualche figura di delega interorganica in relazione al contenu
to che di volta in volta assuma il provvedimento di delega —
rappresenta invece un tratto saliente della delega intersoggetiva, che è strumento di decentramento e che coinvolge frequentemen te l'attività di soggetti autonomi (nella specie, i comuni).
Dai principi ora formulati discende che la delega prevista dal
l'art. 16 1. n. 641/67 (modificato dalla 1. n. 701/69) attribuisce
al comune tutti i poteri necessari per pervenire, nel rispetto dei
programmi e dei piani formulati ed approvati secondo le proce dure previste dalla stessa legge, all'esecuzione delle opere di edili
zia scolastica. Il fatto che il comune agisca come delegato dello
Stato non lo rende, pertanto, organo o rappresentante di questo, e non modifica il regime di imputazione degli atti da esso posti in essere.
Conferma ulteriore della conclusione alla quale si è pervenuti è possibile trarre dall'art. 18 1. n. 641/67, secondo cui il comune
delegato, nel caso in cui non si ricorre all'appalto-concorso, cure
rà la progettazione delle opere di edilizia scolastica direttamente
o mediante affidamento a liberi professionisti. Sono qui previsti
rapporti del delegato con i terzi, rispetto ai quali del tutto estra
neo rimane il delegante. Esattamente dunque la corte di merito ha ritenuto che incombe
al comune di Alessandria di pagare il compenso fissato nel con
tratto di appalto con il Delpiano, senza che esso possa opporre a quest'ultimo ritardi nei versamenti dovuti dallo Stato. A tal
proposito va osservato che i commi 3° e 4° dell'art. 16 1. n. 641/67
(nel testo risultante a seguito delle modifiche apportate dalla 1.
n. 701/69), nel disciplinare i presupposti, le modalità e l'ammon
tare di questi versamenti, attengono esclusivamente ai rapporti tra Stato e comune, come è reso evidente dal fatto che quali de
stinatari dei versamenti medesimi vengono espressamente men
zionati gli «enti concessionari» e cioè i comuni delegati (la dizione
di questi commi dell'art. 16 non è stata adeguata alla modifica
che, nel 1969, hanno subito i precedenti commi dell'art. 16, nella
11 Foro Italiano — 1987.
cui stesura originaria si prevedeva la concessione, e non la dele
ga, ai comuni per l'esecuzione delle opere di edilizia scolastica). Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione —
da parte della sentenza impugnata — dell'art. 358 dell'ali. F alla
1. 20 marzo 1865 n. 2248 (testo delle leggi sui lavori pubblici), nonché degli art. 43 e 44 d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1068 (capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del ministero dei
lavori pubblici), per il fatto che si è affermata la proponibilità della domanda di pagamento del credito dell'appaltatore senza
che fosse intervenuta l'approvazione di collaudo. Né assumereb
be rilevanza il ritardo nell'effettuazione del collaudo, poiché que sto fatto avrebbe legittimato l'appaltatore a chiedere all'autorità
giudiziaria soltanto la fissazione di un termine per procedere al
collaudo.
Anche questo motivo è infondato. Indubbiamente è applicabile ai rapporti tra le parti l'art. 44 d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1068
(richiamato nel capitolato speciale allegato al contratto), secondo
cui le controversie relative all'esecuzione dell'appalto devono es
sere proposte «dopo l'approvazione del collaudo», salvo che nel
le tre ipotesi specificate nel cpv. dello stesso art. 44, nella specie non ricorrenti.
Va però osservato che da tempo la giurisprudenza di questa corte ha ritenuto inoperante il divieto di agire posto dal citato
art. 44 (e, implicitamente, dagli art. 358 ss. 1. 2248/1865, ali.
F), anche in altre ipotesi, nelle quali il diritto vantato dall'istante
resterebbe privo di tutela se l'azione non fosse svincolata dal pre
supposto del collaudo.
Tra queste ipotesi vi è compresa quella in cui l'appaltatore ab
bia diffidato la p.a. a compiere il collaudo e sia decorso un cosi
lungo tempo da rendere l'inerzia equivalente a rifiuto (in questi termini v. la sentenza delle sez. unite n. 445/70, id., 1970, I,
1059, ribadito dalla sentenza n. 2385/76, id., Rep. 1976, voce
cit., n. 145, e dalla sentenza n. 5530/83, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 334, la quale ultima ritiene rilevante il mero comporta mento omissivo dell'amministrazione nell'effettuazione del col
laudo anche indipendentemente dalla sua messa in mora).
Questo orientamento della Cassazione, ispirato ad una visione
moderna e costituzionalmente corretta dei rapporti contrattuali
posti in essere dalle p.a., è stato fatto proprio dalla 1. 10 dicem
bre 1981, il cui art. 5 pone la regola secondo cui, normalmente, «la collaudazione dei lavori pubblici deve essere conclusa entro
sei mesi dalla data di ultimazione dei lavori». Si precisa, poi, nell'ultimo comma dello stesso art. 5, che, trascorso questo ter
mine, «l'impresa può proporre, ai sensi delle norme vigenti, giu dizio arbitrale o ordinario per le controversie nascenti dal contratto
di appalto, anche se non è stato ancora approvato il collaudo».
Per quanto la normativa qui trascritta sia successiva ai fatti
di causa e quindi agli stessi inapplicabile, essa costituisce un si
gnificativo riscontro della fondatezza dell'orientamento interpre tativo di questa corte, che va pertanto, nella presente fattispecie,
pienamente confermato.
Come ha rilevato la sentenza impugnata, il comune di Alessan
dria, secondo l'art. 8 del capitolato speciale di appalto, avrebbe
dovuto provvedere alla visita di collaudo entro il sesto mese dal
l'ultimazione dei lavori, avvenuta nel 1975. Il Delpiano diffidò
il comune a provvedere al collaudo con atto notificato il 6 otto
bre 1978; ma il collaudo non era ancora intervenuto all'atto della
notifica della citazione da parte del Delpiano (effettuata il 12 marzo
1979), e neanche della proposizione dell'appello da parte del co
mune di Alessandria (con atto notificato il 12 dicembre 1980). La mancata approvazione del collaudo non costituiva pertanto
impedimento dell'esercizio di alcuno dei diritti di credito vantati
dall'appaltatore nei confronti del comune di Alessandria.
Con il terzo motivo il ricorrente introduce due doglianze con
cernenti la sua condanna al pagamento degli interessi e del danno
da svalutazione del credito dell'attore. Innanzitutto si deduce che
la mora della p.a è configurabile soltanto una volta che sia stato
approvato il collaudo ed emesso il titolo di pagamento. Seconda
riamente si lamenta l'omessa motivazione sulla sussistenza del dan
no da svalutazione monetaria. La prima doglianza costituisce un
particolare aspetto del secondo motivo di ricorso, relativo alle
conseguenze della mancata effettuazione del collaudo. Si è già
detto, in relazione a questo motivo, che l'assenza del collaudo, nella presente fattispecie, non fa venir meno la sussistenza del
l'inadempimento e gli effetti risarcitoli a carico dell'inadem
piente. La seconda doglianza introduce una questione nuova, in quan
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1119 PARTE PRIMA
to nel giudizio di appello il ricorrente non aveva contestato l'am
montare del danno liquidato dal giudice di primo grado, limitan
dosi — nel quinto motivo dell'atto di appello — a dedurre
«l'inesistenza della obbligazione risarcitoria per gli interessi e ri
valutazione monetaria», quale conseguenza del difetto di legitti mazione passiva del comune. Poiché la questione nuova comporta accertamenti di fatto in ordine alla sussistenza in capo al credito
re del «maggior danno» di cui all'art. 1224, cpv., c.c., essa non
può essere introdotta per la prima volta in Cassazione, onde il
relativo motivo di ricorso è inammissibile.
Di conseguenza, il terzo motivo di ricorso è, per il primo aspetto,
infondato e, per il secondo aspetto, inammissibile. (Omissis).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 10 dicem
bre 1986, n. 7322; Pres. Carotenuto, Est. Rotunno, P.M.
Fabi (conci, conf.); Tanesini (Aw. Furci) c. Mazzei (Aw. Cor
radini). Cassa App. Roma 19 gennaio 1983.
Contratto in genere — Truffa contrattuale — Annullamento del
contratto per dolo — Successivo avente causa — Conseguenze — Fattispecie (Cod. civ., art. 1153, 1439; cod. pen., art. 640).
Il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti
ai danni dell'altro è annullabile per dolo; pertanto, il successi
vo acquirente di buona fede a titolo oneroso fa salvo il proprio
acquisto, senza che a lui sia opponibile la disciplina degli ac
quisti a non domino (nella specie, è stata cassata la sentenza
d'appello che, avendo ritenuto nullo per contrarietà a norme
imperative l'acquisto di alcune serie di francobolli viziato da
truffa, aveva qualificato il trasferimento successivo al terzo co
me acquisto a non domino di un 'universalità di mobili cui non
è applicabile la norma dell'art. 1153 c.c.). (1)
Svolgimento del processo. — In seguito a denunzia per truffa
presentata da Franco Mazzei contro Sergio Kiswarday che aveva
acquistato da lui alcune serie di francobolli in quartine, il procu ratore della repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia ordi
nò il sequestro dei francobolli stessi, che venne eseguito nel negozio di vendita in Como di Domenica Claudia Tanesini.
Emessa poi sentenza di condanna per il reato di truffa a carico
del Kiswarday, il Mazzei e la Tanesini che si erano costituiti parte civile per ottenere la restituzione dei francobolli sequestrati, si
videro rimessi, ai sensi dell'art. 624 c.p.c., davanti al giudice com
petente. Indi il Mazzei convenne davanti allo stesso Tribunale la Tane
sini, chiedendo di essere dichiarato unico proprietario dei franco bolli e di ottenerne il dissequestro.
(1) Non constano precedenti in termini, ad eccezione della sentenza
ora cassata, in Foro it., Rep. 1984, voce Contratto in genere, n. 226.
Quanto alle conseguenze civili della violazione di una norma penale realizzata con la conclusione di un contratto, v. Cass. 20 settembre 1979, n. 4824, id., 1980, I, 2860, con nota critica di R. Moschella, La rilevan
za civile della circonvenzione d'incapaci, a cui dire il contratto concluso
con violazione della norma penale che incrimina la circonvenzione di per sone incapaci (nella specie, violazione accertata da sentenza penale di con
danna) è nullo ai sensi dell'art. 1418, 1° comma, c.c., e non semplicemente annullabile per incapacità naturale del contraente circonvenuto (la deci
sione è annotata criticamente altresì da E. Raganelli, Circonvenzione di incapace e nullità o annullabilità del contratto, in Giusi, civ., 1980,
I, 943). Nella sentenza veniva richiamata la massima di Cass. 8 maggio 1969, n. 1570, Foro it., Rep. 1970, voce Obbligazioni e contratti, n. 508, secondo la quale il dolus malus, anche se penalmente accertato, non può mai di per sé essere causa di nullità del negozio; tuttavia, Cass. 4824/79 sottolineava il carattere di obiter dictum del principio, che è invece ora
affermato dalla pronuncia riportata. In dottrina, v. G. De Nova, Il contratto contrario a norme imperative,
in Riv. critica dir. privato, 1985, 448, nonché da ultimo la rassegna di
M. Mantovani, Divieti legislativi e nullità del contratto, in Nuova giur. civ.., 1987, II, 68, 72.
La sentenza in epigrafe è riprodotta con commento di Mariconda, in Corriere giur., 1987, 208.
Il Foro Italiano — 1987.
La convenuta oppose dal suo canto di aver acquistato in per fetta buona fede i francobolli, di averne pagato il giusto prezzo
e di esserne divenuta pertanto legittima proprietaria. L'adito tribunale; con sentenza 3 aprile 1981, accolse la do
manda, dichiarando il Mazzei proprietario dei francobolli e ordi
nando il dissequestro e la restituzione dei medesimi all'istante.
Sul gravame proposto dalla Tanesini, la Corte d'appello di Ro
ma riformò la predetta pronunzia con la sola riduzione delle spe
se processuali liquidate a favore del Mazzei e compensò tra le
parti le spese del giudizio di appello. Considerò la stessa corte relativamente alla parte confermata:
a) che l'acquisto dei francobolli era stato conseguenza di reato
e precisamente di attività truffaldina del Kiswarday ai danni del
Mazzei, con la relativa nullità assoluta del negozio ai sensi del
l'art. 1418 c.c. in relazione con l'art. 640 c.p.c.; b) che, costi
tuendo il complesso dei francobolli venduti dal Kiswarday alla
Tanesini una collezione e quindi un'universalità di cose mobili,
la compratrice non aveva potuto acquistare la proprietà con la
trasmissione del possesso e in presenza degli altri presupposti pre
visti dall'art. 1153 c.c.
La Tanesini ha proposto ricorso per cassazione, seguito dal
controricorso, con ricorso incidentale del Mazzei.
Motivi della decisione. — Previamente riuniti i ricorsi princi
pale e quello incidentale, trattandosi di impugnazione rivolte contro
la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.), si rileva che col primo motivo del ricorso principale è denunziata violazione e falsa ap
plicazione degli art. 1153, 1418, 1439 c.c. e 640 c.p. in riferimen
to all'art. 360, n. 3, c.p.c. Sostiene la ricorrente che la corte del merito avrebbe dovuto
ritenere, non certo nullo, ma soltanto annullabile il contratto in
tercorso fra il Mazzei e il Kiswarday, poiché la truffa di uno
dei contraenti a danno dell'altro, anche se penalmente accertata,
non costituisce causa di nullità del negozio, non essendovi diver
sità fra il dolo, che determina il consenso della conclusione del
contratto, e il dolo, che la legge penale prevede come elemento
del delitto di truffa; che, pertanto, essendo il Kiswarday divenuto
proprietario dei francobolli, essa Tanesini ne aveva fatto acqui
sto a domino, con la conseguenza che se ne sarebbe dovuto di
sporre il dissequestro in suo favore.
Il motivo è fondato. Sulla base degli accertati precedenti di
fatto dell'attuale vicenda processuale, che concernono la prove nienza dei francobolli venduti a Domenica Claudia Tanesini da
una truffa di Sergio Kiswarday ai danni di Franco Mazzei, si
controverte tra le parti (per i riflessi sul successivo acquisto della
odierna ricorrente) innanzitutto in ordine alla sanzione, di nullità
o di annullamento, applicabile al contratto concluso per effetto
della truffa di uno dei due contraenti ai danni dell'altro.
Il problema non può che riguardare l'inquadramento del con
senso del contraente truffato di fronte alla reazione predisposta dall'ordinamento giuridico, del quale consenso sarebbe arbitrario
ritenere l'inesistenza, dal momento che pur sempre un atto di
volontà non manca. Trattasi piuttosto di un volere alterato nel
suo processo formativo per l'influsso perturbatore di qualche ele
mento estraneo, che incida sulla libertà di autodeterminarsi del
soggetto interessato. Anche in un contratto, apparentemente vali
do per la presenza degli elementi sostitutivi di esso, compreso l'accordo delle parti (art. 1325 c.c.), il consenso dato da uno dei
contraenti può avere subito l'influenza determinante dell'altro con
traente attraverso raggiri tali che, se non fossero stati adoperati, non avrebbe avuto luogo il perfezionamento del vincolo contrat
tuale: è questa l'ipotesi del dolo che, previsto come causa di an
nullamento del contratto (art. 1439 c.c.), si risolve in un'attività
fraudolenta del deceptor con l'effetto di trarre in inganno l'altro
contraente, determinandolo ad una violazione che, altrimenti, non
si sarebbe avuta. Una siffatta attività fraudolenta può anche inte
grare gli estremi del reato di truffa (art. 640 c.p.), sempre che
l'induzione di altri in errore mediante artifici o raggiri abbia avu
to quale risultato il conseguimento di un profitto per il soggetto attivo con altrui danno. Non è richiesta invece l'esistenza di un
danno patrimoniale per l'annullamento del contratto nel caso con
templato dall'art. 1439 c.c., si che, sul piano oggettivo, il dolo
determinante, che può dar luogo a tale annullamento, non può ritenersi ontologicamente differente o di intensità diversa dal do
lo quale elemento della truffa (inteso non nel senso di elemento
psicologico del reato), poiché ambedue si esplicano in artifizi o
raggiri adoperati dall'agente e diretti a indurre in errore l'altra
parte, e quindi a viziare il consenso.
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