sezione I civile; sentenza 11 giugno 2003, n. 9353; Pres. Saggio, Est. Ceccherini, P.M. Carestia(concl. diff.); Soc. Gamma (Avv. Rizzo, Bagianti) c. Mannocci e altro. Cassa App. Perugia 5luglio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 4 (APRILE 2004), pp. 1219/1220-1223/1224Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199161 .
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PARTE PRIMA
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 11 giu
gno 2003, n. 9353; Pres. Saggio, Est. Ceccherini, P.M. Ca
restia (conci, diff.); Soc. Gamma (Avv. Rizzo, Bagianti) c.
Mannocci e altro. Cassa App. Perugia 5 luglio 2000.
Società — Società di capitali — Assemblea — Irrazionalità della deliberazione — Eccesso di potere — Limiti — Fatti specie (Cod. civ., art. 1375, 2377).
Il vizio della deliberazione dell 'assemblea di società di capitali costituito dal c.d. eccesso di potere si verìfica allorquando la
deliberazione venga adottata da parte dei soci di maggioran za a proprio esclusivo vantaggio ed in danno dei soci di mi
noranza e non laddove la deliberazione risulti irrazionale,
per avere la maggioranza agito per finalità contrarie a quelle
per le quali la società era stata costituita (nella specie, la
sentenza cassata aveva ravvisato l'eccesso di potere nel
l'aumento di dieci volte del capitale sociale malgrado la si
tuazione di dissesto). (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 19 aprile 2003, n. 6361; Pres. Ciciretti, Est. Dell'Anno, P.M. Apice
(conci, conf.); Fondo pensione del gruppo Banca Lombarda
(Avv. Martino, Mina) c. Lorenzoni e altri (Avv. Roscini Vi
tali, Abbati). Conferma Trib. Brescia 15 ottobre 1999.
Previdenza e assistenza sociale — Fondo previdenziale —
Deliberazione assembleare — Eccesso di potere — Limiti — Fattispecie (Cod. civ., art. 1375, 2377).
Previdenza e assistenza sociale — Forme pensionistiche
complementari — Fondo convenzionale — Diritti quesiti — Immodificabilità «in peius» (Cod. civ., art. 2117; d.leg. 21 aprile 1993 n. 124, disciplina delle forme pensionistiche
complementari, a norma dell'art. 3, 1° comma, lett. v, 1. 23
ottobre 1992 n. 421, art. 18).
II vizio di eccesso o abuso di potere è ravvisabile allorquando la delibera dell'assemblea di un fondo previdenziale, anche
se adottata nelle forme legali e con le maggioranze prescritte, risulti arbitraria e fraudolentemente preordinata al perse
guimento, da parte dei soci di maggioranza, di interessi di versi da quelli del fondo ovvero volutamente lesivi degli inte
ressi degli altri soci, conseguendone pertanto che la relativa
tutela è richiamabile solo qualora la delibera stessa non ab
bia una propria autonoma giustificazione sulla base dei le
gittimi interessi dei soci di maggioranza e la finalità fraudo lenta in danno della minoranza costituisca l'unica ragione della delibera. (2)
( 1-2) Con le pronunce in rassegna (Cass. 9353/03 può leggersi anche in Società, 2004, 188, con nota di Malavasi, L'eccesso di potere nelle delibere assembleari come violazione della buona fede), la corte di le
gittimità torna sulla questione dell'eccesso od abuso di potere quale vi zio della deliberazione assembleare.
Il Supremo collegio, nella pronuncia 9353/03, richiama espressa mente la fondamentale Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151 (Foro it.. Rep. 1996, voce Società, n. 559, e Giur. comm., 1996, II, 329, con nota di Jaeger, Angelici, Gambino, Costi, Corsi, Cassazione e contrattualismo societario: un incontro?), che ha stabilito il principio secondo cui, ai fini della sussistenza dell'eccesso di potere, occorre che la deliberazio ne impugnata sia stata adottata a proprio esclusivo vantaggio dai soci di
maggioranza in danno di quelli di minoranza, essendo applicabile nello
svolgimento del contratto sociale, l'obbligo di buona fede stabilito dal l'art. 1375 c.c.; perché sussista il vizio dell'eccesso di potere, la finalità fraudolenta in danno della minoranza, chiarisce la pronuncia 6361/03, deve rappresentare l'unica ragione della deliberazione.
Altra manifestazione del vizio de quo consiste nel perseguimento da
parte della maggioranza dei soci, attraverso l'adozione della delibera zione, di scopi divergenti da quelli della società: in base al soggetto danneggiato dalla deliberazione, Cass. 29 maggio 1986, n. 3628 (Foro it.. Rep. 1986, voce cit., n. 621, e Società, 1986, 1087. con nota di Rordorf, Eccesso di potere nelle deliberazioni sociali) sembra distin
guere tra il vero e proprio eccesso di potere, che lederebbe la società, dal c.d. abuso di potere, che danneggerebbe i soci di minoranza; per un efficace vaglio di tale impostazione, che del resto non trova accogli mento presso la giurisprudenza (che è solita ricomprendere l'abuso al l'interno dell'eccesso di potere), cfr. Preite, Abuso di maggioranza e
Il Foro Italiano — 2004.
Ai sensi dell'art. 18, 7° comma, d.leg. 21 aprile 1993 n. 124, in
presenza di squilibri finanziari nella gestione di fondi di pre videnza complementare costituiti per contratto collettivo, la
stessa contrattazione collettiva può rideterminare la discipli na delle prestazioni e del finanziamento per gli iscritti al fon do che. alla data di entrata in vigore de! predetto decreto le
gislativo, non abbiano maturato i requisiti previsti dalla fonte istitutiva per i trattamenti pensionistici integrativi; pertanto, la disciplina collettiva successiva, peggiorativa di quella pre cedente, non può incidere sulla posizione degli iscritti al fon do che abbiano maturato i requisiti per il trattamento pensio nistico. (3)
conflitto di interessi dei socio nelle società per azioni, in Trattato delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, Torino, 1993, 3, II, 52, nota 48.
In giurisprudenza, sulla definizione del vizio di eccesso di potere, cfr., in materia di società, Cass. 5 maggio 1995, n. 4923, Foro it., Rep, 1995, voce cit., n. 901, e Società. 1995, 1548; 4 maggio 1994, n. 4323, Foro it., 1995, I, 2219; 11 marzo 1993, n. 2958, id., Rep. 1993, voce
cit., n. 498; 29 maggio 1986, n. 3628, cit.; tra le pronunce di merito, cfr., da ultimo, App. Trento 13 dicembre 2001, id., Rep. 2002, voce cit., n. 647, e Società, 2002, 442, con nota di Bonavera, Alcune que stioni su organi sociali e aumento di capitali nella s.r.l.; Trib. Milano 22 giugno 2001, Foro it., Rep. 2002, voce cit., n. 645, e Giur. it., 2002, 1898, con nota di Dentamaro, Clausole di prelazione tra interesse della società e diritti individuali dei soci; Trib. Perugia 22 dicembre 2000, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 627, e Società, 2001, 1387, con nota di Zagra, Una fattispecie particolare di acquisto di azioni pro prie.
Molte pronunce sull'eccesso o abuso di potere quale vizio delle deli berazioni assembleari sono state adottate in materia di condominio: v., tra le sentenze di legittimità, Cass. 20 aprile 2001, n. 5889, Foro it., Rep. 2002, voce Comunione e condominio, n. 133, e Riv. giur. edilizia, 2001, I, 809; 26 aprile 1994, n. 3938, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n.
234, e Arch, locazioni, 1994, 789; tra le pronunce di merito, v., da ulti
mo, Trib. Casale Monferrato 3 aprile 2001, Foro it.. Rep. 2002, voce cit., n. 154, e Riv. giur. edilizia, 2001, I, 861; Trib. Busto Arsizio 16 ottobre 2000, Foro it., Rep. 2001, voce cit.. n. 193. e Rass. locazioni, 2001, 148.
Non constano, invece, pronunce sul vizio di eccesso di potere nelle deliberazioni adottate dagli associati ad un fondo previdenziale (come è avvenuto nella pronuncia 6361/03).
In dottrina, cfr. Trimarchi, Invalidità delle deliberazioni di assem blea di società per azioni, Milano, 1958, 185; Mengoni, Appunti per una revisione della teoria del conflitto di interessi nelle deliberazioni dell'assemblea di società per azioni, in Riv. società, 1956, 460 ss.; Gambino, Il principio di correttezza nell'ordinamento delle società per azioni, Milano, 1987, 275; Jaeger, L'interesse sociale, Milano, 1963, 194; Malsano, L'eccesso di potere nelle deliberazioni assembleari di società per azioni, Milano, 1968. Più di recente, v. Cassottana, L'abu so di potere a danno della minoranza assembleare, Milano, 1991, 12; Preite, op. cit., 74-113; Salafia, Le deliberazioni assembleari viziate da eccesso di potere, in Società, 1994, 1470; Pasquariello, Il principio di correttezza applicato alle delibere assembleari: l'abuso della regola di maggioranza al vaglio dei giudici, in Giur. comm., 2002, II. 135.
La rilevanza del vizio di eccesso o abuso di potere ai fini dell'an nullabilità della deliberazione assembleare è strettamente correlata al l'estensione del sindacato di legittimità che il giudice può esercitare sulla deliberazione stessa. Ed invero, qualora la deliberazione trovi nei
legittimi interessi dei soci di maggioranza la propria giustificazione causale non vi è comunque spazio per un sindacato giudiziale sulla de liberazione medesima: come statuisce Cass. 6361/03, «il giudice non controlla l'opportunità o la convenienza della soluzione adottata dalla delibera impugnata, ma deve stabilire solo che essa sia o meno il risul tato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell'organo delibe rante» (v.. in particolare, Cass. 5 maggio 1995, n. 4923. cit.; 11 marzo 1993, n. 2958, cit.).
Tale circostanza si rivela decisiva ai fini di entrambe le pronunce in
epigrafe: nella 6361/03 si puntualizza come il sindacato di legittimità del giudice comprenda sia l'eventuale contrasto della deliberazione con norme di legge o statutarie, sia l'eccesso di potere rispetto al quale, nella specie, il ricorrente non ha assolto l'onere della prova (Rordorf, op. cit., 1091, sottolinea I'«estrema difficoltà di fronte alla quale viene a trovarsi colui che voglia impugnare una deliberazione assembleare di società viziata da eccesso di potere»); Cass. 9353/03 esclude la possi bilità per il giudice d'indagare sull'eventuale irrazionalità della delibe razione, risultando la «razionalità» irrilevante sia ai fini dell'eccesso di
potere, che dell'eventuale annullabilità ex art. 2377 c.c.
(3) Il precedente in termini è costituito da Cass. 21 gennaio 2000, n. 689, Foro it., Rep. 2000, voce Previdenza sociale, n. 224, e Mass. giur. lav., 2000, 271, con nota di Gramiccia, La previdenza complementare tra legge e contrattazione collettiva: i diritti quesiti.
Secondo la corte, relativamente ai fondi pensionistici complementari costituiti per contratto collettivo, la successiva contrattazione collettiva
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Perugia, con
sentenza 27 novembre 1996, accolse la domanda, proposta dai
soci dissenzienti Leonardo e Marco Mannocci, di annullamento
della deliberazione di aumento del capitale, assunta dalla s.r.l.
Gamma, e dichiarò illegittima la nomina dei sindaci, fatta in
violazione dell'art. 2399 c.c.
La società propose ricorso in appello. La corte d'appello di
Perugia, con sentenza depositata il 5 luglio 2002, in parziale ri
forma della sentenza di primo grado, respinse la domanda di
retta ad accertare l'illegittimità della nomina dei sindaci, e nel
resto confermò l'intervenuto annullamento della pronuncia di
aumento del capitale. La corte territoriale osservò, in particolare, che: — la delibe
razione in questione era affetta da eccesso di potere, per avere la
maggioranza agito per finalità contrarie a quelle per le quali era
stata costituita; — tale eccesso di potere era consistito nell'aver
deliberato un aumento di dieci volte il capitale sociale in pre senza di una situazione di dissesto, o quasi;
— dal verbale as
sembleare risultava infatti che, per carenza di liquidità, la so
cietà non era riuscita a far fronte a tutti gli impegni finanziari,
tra cui il pagamento dell'Iva, dei contributi previdenziali e in
parte degli stipendi, oltre che di creditori e fornitori vari; — la
situazione d'insolvenza risultava anche dalle dichiarazioni rese
in udienza dall'amministratore della società; — detta situazione
di dissesto avrebbe consigliato, e se del caso imposto, la ridu
zione del capitale; — contraddittoriamente con tale aumento era
stata decisa la vendita di un terreno di proprietà, nonché l'affitto
di azienda dello stabilimento industriale alla società Cosman,
facente capo agli stessi soci della Gamma, con conseguente ces
sione, riduzione o cessazione dell'attività produttiva. Per la cassazione della sentenza d'appello, notificata il 20
ottobre 2000 al domicilio eletto, la società ha proposto ricorso
con atto notificato il 23 novembre 2000, affidato ad un unico
motivo, ed illustrato anche con memoria.
Motivi della decisione. — Con il ricorso si denunzia la viola
zione e falsa applicazione degli art. 2377, 2446, 2447 e 2697 c.c., nonché l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione
della sentenza impugnata su punti decisivi della controversia. Si
deduce che l'annullamento era stato pronunciato in violazione
dell'art. 2377 c.c.; che la sentenza non aveva riscontrato, e nep
pure solo enunciato, gli interessi, divergenti da quelli, sociali,
che avrebbero ispirato la decisione di aumento del capitale so
ciale voluta dalla maggioranza, limitandosi invece ad identifica
re dei comportamenti diversi da quelli consigliabili e strategie
illogiche; che la sentenza medesima aveva argomentato, in
modo insufficiente ed illogico, l'eccesso di potere da una caren
za di liquidità che a suo avviso imponeva la riduzione del capi
tale, nonché dalla vendita di un-terreno e da un affitto integranti atti di gestione riservati al consiglio di amministrazione e ben
distinti dalla delibera impugnata. Il ricorso è fondato. Il vizio della deliberazione assembleare,
costituito dal c.d. eccesso di potere, deve riconoscersi, secondo
la giurisprudenza di questa corte di legittimità, laddove la deli
bera sia stata adottata a proprio esclusivo vantaggio dai soci di
maggioranza di una società di capitali in danno di quelli di mi
noranza, essendo applicabile in materia l'art. 1375 c.c., in base
al quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede,
atteso che le determinazioni dei soci durante lo svolgimento del
rapporto associativo debbono essere considerate, a tutti gli ef
non può modificare in peius i diritti di coloro che, alla data di entrata in
vigore dell'art. 18, 7° comma, d.leg. 124/93, avessero già maturato i
requisiti prima previsti per il conseguimento del trattamento pensioni stico integrativo, a prescindere dall'esercizio del relativo diritto (nel medesimo senso, v. Pret. Milano 7 settembre 1995, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 620, e Orient, giur. lav., 1995, 736).
Per quanto concerne gli iscritti che non abbiano ancora maturato i
requisiti per il conseguimento del suddetto trattamento pensionistico, il
Supremo collegio ravvisa dei limiti alla modificabilità in senso peggio rativo del loro trattamento. Tali limiti sono costituiti, innanzi tutto, dal
l'art. 2117 c.c., che fungerebbe da vera e propria «garanzia normativa»; in secondo luogo, dal «principio di ragionevolezza» che deve connotare
le eventuali modificazioni; infine, dalla protezione che le fonti conven
zionali accordano «alle posizioni soggettive che si costituiscono in una
fattispecie a formazione progressiva, costituita comunque (in ogni tipo di fondo) da capitale in via di accumulo, vincolato a beneficio di tutti
gli iscritti al fondo e non incondizionatamente azzerabile».
Il Foro Italiano — 2004.
fetti, come veri e propri atti di esecuzione, perché preordinati alla migliore attuazione del contratto sociale (sent. 26 ottobre
1995, n. 11151, Foro it., Rep. 1996, voce Società, n. 559). Nel caso sottoposto all'esame della corte, la ratio decidendi
posta a base dell'annullamento della delibera non è quella appe na ricordata, vale a dire la violazione del principio di buona fe
de nell'esecuzione del contratto sociale, in danno della mino
ranza dei soci, ma la supposta irrazionalità della determinazione
dell'assemblea, per avere la maggioranza agito per finalità con
trarie a quelle per le quali era stata costituita. Ora, un vizio di
questo tipo non è compreso tra quelli per i quali, a norma del
l'art. 2377, il socio dissenziente può domandare l'annullamento
della deliberazione. L'individuazione del modo migliore per
perseguire l'interesse sociale è rimesso, infatti, all'insindacabile
apprezzamento degli organi sociali a ciò deputati. La motivazione addotta a sostegno della decisione si rivela
sotto questo profilo del tutto insufficiente, e pertanto la sentenza
deve essere cassata, con rinvio ad altra corte d'appello, la quale, nel riesaminare la domanda di annullamento, anche ai fini del
regolamento delle spese del presente giudizio, valuterà, tenendo
conto della giurisprudenza sopra ricordata, se i vizi dedotti dalla
parte impugnante siano riconducibili a quelli per cui è data l'a
zione di annullamento dall'art. 2377 c.c., e, nel caso affermati
vo, se detti vizi siano riscontrabili nella fattispecie.
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Bre
scia, Lorenzoni Ferruccio e gli altri litisconsorti indicati in epi
grafe quali intimati, dipendenti o ex dipendenti della società
Credito agrario bresciano, iscritti al fondo integrativo aziendale,
convennero in giudizio quest'ultimo e l'istituto di appartenenza,
esponendo di aver beneficiato, nel corso dell'anno 1971, della
modifica statutaria prevedente il rimborso dei contributi versati
prima del 31 dicembre 1970 e della modifica successiva, intro
dotta nel 1978, prevedente il diritto, per coloro che avessero ot
tenuto il riscatto del periodo di contribuzione antecedente alla
data di cui sopra, al riconoscimento della validità, ai fini pen
sionistici, degli anni successivi al 1957. Essendosi peraltro op
posto dal fondo il rifiuto a computare nella pensione gli anni
precedenti al 1970, adducendo la stessa la sopravvenienza di
successive modificazioni alla disciplina, chiesero che il pretore,
previa declaratoria d'illegittimità dei provvedimenti peggiorati vi intervenuti, condannasse il fondo stesso e, in solido o in via
sussidiaria, la banca al pagamento delle somme illegittimamente decurtate. Costituitosi il contraddittorio, il fondo pensioni con
testò la fondatezza delle pretese opponendo che i provvedimenti che avevano modificato il trattamento previdenziale si erano re
si necessari a ragione del notevole squilibrio finanziario nella
gestione dell'ente provocato dai benefici accordati nel 1978.
Svolse quindi domanda riconvenzionale di restituzione delle
somme corrisposte agli attori in base all'erroneo presupposto della utilizzabilità, nel calcolo della pensione, anche degli anni
di anzianità antecedenti al 1970. L'istituto bancario, dal suo
canto, negò la propria legittimazione passiva. Avverso la pro nuncia del pretore, di accoglimento delle domande nei soli con
fronti del fondo, questo propose appello, che è stato rigettato dal
Tribunale di Brescia con sentenza del 23 settembre - 15 ottobre
1999. Il giudice di secondo grado ha rilevato che la deliberazio
ne assunta dal fondo nel 1978 — anche se contraria al principio di pariteticità, a questo implicitamente derogando
— era idonea
ad attribuire in favore dei singoli dipendenti, che potessero vantare i necessari requisiti, un vero e proprio diritto soggettivo non suscettibile di perenzione per effetto di successive contra
stanti delibere, anche se assunte in conformità alle regole statu
tarie, salva l'ipotesi di un'espressa adesione a esse da parte de
gli interessati.
Della decisione viene chiesta la cassazione dal fondo pensioni con ricorso sostenuto da sei motivi. Lorenzoni Ferruccio, Ca
pelli Cesarina, Baraldi Ettore, Piccini Gianni, Sina Pasino An
gelo e Margiotta Giancarlo resistono con controricorso. Gli altri
intimati non si sono costituiti.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo — denun
ciando violazione e falsa applicazione degli art. 23, 1142 e 2117
c.c., nonché vizi della motivazione — il fondo ricorrente espone che non è contestabile che la delibera assembleare assunta nel
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PARTE PRIMA 1224
mese di gennaio del 1978 fosse invalida, essendosi con la stessa
deciso, sovvertendo altra precedente del 1971, di calcolare le
pensioni «in misura fissa per ogni anno di partecipazione al
fondo da conteggiarsi dalla sua istituzione», con evidente van
taggio per quegli associati che, pur avendo beneficiato in prece denza della restituzione del capitale versato fino all'anno 1971, ottennero il riaccreditamento dell'anzianità contributiva con de
correnza dal 1958, con conseguente duplice erogazione e con la
costituzione di un trattamento pensionistico totalmente privo di
una corrispondente base contributiva. Tanto premesso, il ricor
rente lamenta che il tribunale, pur avendo condiviso la tesi della
ritualità dell'eccezione, formulata ai sensi dell'ultimo comma
dell'art. 1442 c.c., di annullabilità della delibera, tuttavia ha er
roneamente ritenuto la stessa valida per avere legittimamente
derogato allo statuto, omettendo peraltro di accertare se essa
fosse affetta da abuso o eccesso di potere dei componenti della
maggioranza assembleare che la approvò. Con il secondo motivo — denunciando violazione e falsa ap
plicazione degli art. 23, 2379 e 2117 c.c. e vizi della motivazio ne — il fondo deduce che, sempre erroneamente, il giudice del
merito, collocando l'eccezione di invalidità della delibera in
questione nell'art. 1442 c.c., ha ritenuto irrilevante ogni que stione in tema di applicabilità dell'art. 2379 c.c. alle delibere
delle associazioni, mentre anche queste sarebbero sottoposte alla disciplina delle società, operando quindi la citata norma che
prevede la nullità delle deliberazioni inficiate da impossibilità o
illiceità dell'oggetto, in questa rientrando ogni ipotesi di contra
sto con norme cogenti che tutelano interessi generali, come il
principio di pariteticità, che nella specie era stato violato, essen
do derivata una discriminazione sul piano retributivo pensioni stico a favore di un gruppo di lavoratori.
Le due ragioni di censura — il cui esame va operato con
giuntamente, attesa la loro connessione — sono manifestamente
infondate.
E invero, a prescindere dalla dibattuta questione della appli cabilità o meno alle associazioni della disciplina, dettata in ma
teria di società, dagli art. 2377 e 2379 c.c. — questione la cui
soluzione qui appare ininfluente — occorre considerare che co
situiscono principi consolidati nella giurisprudenza di questa corte e che il collegio condivide — che il sindacato dell'autorità
giudiziaria sulle delibere di assemblee di soci non può estender
si alla valutazione del merito e al controllo del potere discrezio nale che l'assemblea esercita quale organo sovrano della vo
lontà dei soci, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o statutarie, de
ve comprendere anche l'eccesso o abuso di potere, ravvisabile
quando la decisione sia deviata dal suo modo di essere, perché in tal caso il giudice non controlla l'opportunità o la convenien
za della soluzione adottata dalla delibera impugnata, ma deve
stabilire solo che essa sia o meno il risultato del legittimo eser
cizio del potere discrezionale dell'organo deliberante (Cass. 20
aprile 2001, n. 5889, Foro it., Rep. 2002, voce Comunione e
condominio, n. 135). Occorre peraltro marcare che, in tanto è ravvisabile un tale
vizio solo in quanto la delibera, anche se adottata nelle forme
legali e con le maggioranze prescritte, risulti arbitrariamente e fraudolentemente preordinata al perseguimento, da parte dei so ci di maggioranza, di interessi divergenti da quelli della società ovvero volutamente lesivi degli interessi degli altri soci, conse
guendone pertanto che la tutela in esame è richiamabile solo
qualora la delibera non abbia una propria e autonoma giustifica zione sulla base dei legittimi interessi dei soci di maggioranza e la finalità fraudolenta in danno della minoranza costituisca l'u
nica ragione della delibera, restando preclusa, fuori di una tale
ipotesi, ogni possibilità di sindacato in sede giudiziaria sui mo tivi che hanno indotto la maggioranza ad adottare la decisione e costituendo evidentemente onere di chi impugna la delibera
quello di fornire la dimostrazione dell'effettiva sussistenza del l'abuso o dell'eccesso (Cass. 5 maggio 1995, n. 4923, id., Rep. 1995, voce Società, n. 901; 11 marzo 1993, n. 2958, id., Rep. 1993, voce cit., n. 497; 29 maggio 1986, n. 3628, id., Rep. 1986, voce cit., n. 621).
Orbene, con entrambi i motivi, il ricorrente si limita a denun
ciare, in maniera totalmente assertoria, un vizio di formazione della volontà dell'assemblea, che giammai sarebbe, in ogni ca
so, riconducibile a un'ipotesi di impossibilità o illiceità dell'og getto della stessa ai sensi dell'art. 2379 c.c. da identificarsi nel
contenuto di questa, prospettato sotto l'esclusivo profilo del suo
Il Foro Italiano — 2004.
contrasto con il c.d. principio di parità di trattamento, introdotto — ma esclusivamente come criterio cui debbono ispirarsi le
forme pensionistiche complementari e, in ogni caso, non appli cabile per coloro che fossero già iscritti a tali forme alla data di
entrata in vigore del provvedimento (art. 18, 7° comma) — solo
con il 5° comma dell'art. 7 d.leg. n. 124 del 1993.
Con il terzo motivo, il ricorrente — denunciando violazione e
falsa applicazione dell'art. 18 d.leg. n. 124 del 1993 e vizi di
motivazione — espone che, una volta riconosciuta l'invalidità
della delibera, deve conseguire l'esclusione del riconoscimento
di un qualsiasi diritto quesito in capo agli associati al fondo non
coperti da contribuzioni annuali sufficienti, neanche potendo
operare, come al contrario si è ritenuto, il disposto del citato art.
18, non sussistendo un diritto al trattamento privilegiato per coloro che, per effetto della precedente delibera del 1971, ave
vano ottenuto in restituzione il capitale versato.
Con il quarto motivo — denunciando violazione e falsa ap
plicazione degli art. 2094 e 2103 c.c. e vizi della motivazione —
il fondo deduce che erroneamente il tribunale ha ritenuto che la
delibera del 1978 fosse in armonia con la contrattazione collet
tiva che regolava il rapporto tra l'istituto bancario e i dipenden ti, senza considerare che la delibera fu assunta da un soggetto estraneo a tale rapporto.
Con il quinto motivo — denunciando violazione e falsa ap
plicazione degli art. 115 c.p.c., 2697 c.c. e 18 d.leg. n. 124 del
1993, nonché vizi della motivazione — il ricorrente lamenta che
il tribunale ha ritenuto sfornito di prova l'assunto difensivo
dello stato di squilibrio finanziario del fondo, richiesto dall'art.
18 sopra indicato come presupposto per la modificabilità in pe ius della disciplina in materia di prestazioni e contribuzioni, omettendo di valutare sia la situazione conseguita alla delibera
assunta nel 1971 a seguito della quale si verificò uno svuota
mento di cassa che quella che si era presentata successivamente
alla delibera del 1978, con la quale si era attribuita un'anzianità
di partecipazione non sorretta da corrispondenti contribuzioni.
Anche questi tre motivi, da esaminarsi sempre unitariamente, sono privi di pregio.
Premesso che, come già sopra osservato, la sentenza impu
gnata si sottrae a censure nella parte in cui ha escluso l'invali
dità della delibera assembleare, va ribadito il principio, pure es
so costantemente affermato da questa corte, secondo il quale a
norma dell'art. 18, 7° comma, d.leg. n. 124 del 1993, in presen za di squilibri finanziari della gestione di fondi di previdenza complementare costituiti per contratto collettivo, la stessa con
trattazione può rideterminare la disciplina delle prestazioni e del
finanziamento per gli iscritti al fondo che, alla data di entrata in
vigore del citato provvedimento, non abbiano maturato i requi siti prima previsti per i trattamenti pensionistici integrativi. Pertanto la disciplina collettiva successiva, peggiorativa di
quella precedente, non può incidere negativamente sulla posi zione di coloro che, avendo maturato i requisiti ed esercitato il relativo diritto, hanno ormai conseguito il trattamento pensioni stico, né sulla posizione di coloro che, avendo maturato i requi siti, non hanno ancora esercitato il relativo diritto, mentre, per quanto concerne gli iscritti che non abbiano maturato i requisiti per il conseguimento del trattamento pensionistico, non può escludersi la configurabilità di limiti alle modificazioni, sia nella garanzia normativa di cui all'art. 2117 c.c., sia nel princi
pio di ragionevolezza delle medesime, sia, infine, nella tutela che le stesse fonti convenzionali apprestano alle posizioni sog
gettive che si costituiscono in una fattispecie a formazione pro
gressiva, costituita comunque (in ogni tipo di fondo) da capitale in via di accumulo, vincolato a beneficio di tutti gli iscritti al
fondo e non incondizionatamente azzerabile (per tutte, Cass. 21
gennaio 2000, n. 689, id., Rep. 2000, voce Previdenza sociale, n. 224).
Con l'ultimo motivo, si lamenta che, in violazione dell'art. 2033 c.c. e con motivazione insufficiente e contraddittoria, il
tribunale ha omesso di pronunciare sulla domanda proposta dal
fondo in via riconvenzionale di restituzione delle somme inde bitamente versate.
Del rilievo deve rilevarsi l'inammissibilità, e ciò in quanto, contrariamente all'assunto del ricorrente, il tribunale ha preso in
esame la doglianza osservando peraltro che la stessa era stata
espressa in termini di estrema genericità, giudizio la cui corret tezza non viene in alcun modo censurata dal ricorrente.
Del ricorso si impone pertanto il rigetto.
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