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sezione I civile; sentenza 11 giugno 2003, n. 9353; Pres. Saggio, Est. Ceccherini, P.M. Carestia...

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sezione I civile; sentenza 11 giugno 2003, n. 9353; Pres. Saggio, Est. Ceccherini, P.M. Carestia (concl. diff.); Soc. Gamma (Avv. Rizzo, Bagianti) c. Mannocci e altro. Cassa App. Perugia 5 luglio 2000 Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 4 (APRILE 2004), pp. 1219/1220-1223/1224 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199161 . Accessed: 28/06/2014 09:38 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.97 on Sat, 28 Jun 2014 09:38:57 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 11 giugno 2003, n. 9353; Pres. Saggio, Est. Ceccherini, P.M. Carestia(concl. diff.); Soc. Gamma (Avv. Rizzo, Bagianti) c. Mannocci e altro. Cassa App. Perugia 5luglio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 4 (APRILE 2004), pp. 1219/1220-1223/1224Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199161 .

Accessed: 28/06/2014 09:38

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PARTE PRIMA

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 11 giu

gno 2003, n. 9353; Pres. Saggio, Est. Ceccherini, P.M. Ca

restia (conci, diff.); Soc. Gamma (Avv. Rizzo, Bagianti) c.

Mannocci e altro. Cassa App. Perugia 5 luglio 2000.

Società — Società di capitali — Assemblea — Irrazionalità della deliberazione — Eccesso di potere — Limiti — Fatti specie (Cod. civ., art. 1375, 2377).

Il vizio della deliberazione dell 'assemblea di società di capitali costituito dal c.d. eccesso di potere si verìfica allorquando la

deliberazione venga adottata da parte dei soci di maggioran za a proprio esclusivo vantaggio ed in danno dei soci di mi

noranza e non laddove la deliberazione risulti irrazionale,

per avere la maggioranza agito per finalità contrarie a quelle

per le quali la società era stata costituita (nella specie, la

sentenza cassata aveva ravvisato l'eccesso di potere nel

l'aumento di dieci volte del capitale sociale malgrado la si

tuazione di dissesto). (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 19 aprile 2003, n. 6361; Pres. Ciciretti, Est. Dell'Anno, P.M. Apice

(conci, conf.); Fondo pensione del gruppo Banca Lombarda

(Avv. Martino, Mina) c. Lorenzoni e altri (Avv. Roscini Vi

tali, Abbati). Conferma Trib. Brescia 15 ottobre 1999.

Previdenza e assistenza sociale — Fondo previdenziale —

Deliberazione assembleare — Eccesso di potere — Limiti — Fattispecie (Cod. civ., art. 1375, 2377).

Previdenza e assistenza sociale — Forme pensionistiche

complementari — Fondo convenzionale — Diritti quesiti — Immodificabilità «in peius» (Cod. civ., art. 2117; d.leg. 21 aprile 1993 n. 124, disciplina delle forme pensionistiche

complementari, a norma dell'art. 3, 1° comma, lett. v, 1. 23

ottobre 1992 n. 421, art. 18).

II vizio di eccesso o abuso di potere è ravvisabile allorquando la delibera dell'assemblea di un fondo previdenziale, anche

se adottata nelle forme legali e con le maggioranze prescritte, risulti arbitraria e fraudolentemente preordinata al perse

guimento, da parte dei soci di maggioranza, di interessi di versi da quelli del fondo ovvero volutamente lesivi degli inte

ressi degli altri soci, conseguendone pertanto che la relativa

tutela è richiamabile solo qualora la delibera stessa non ab

bia una propria autonoma giustificazione sulla base dei le

gittimi interessi dei soci di maggioranza e la finalità fraudo lenta in danno della minoranza costituisca l'unica ragione della delibera. (2)

( 1-2) Con le pronunce in rassegna (Cass. 9353/03 può leggersi anche in Società, 2004, 188, con nota di Malavasi, L'eccesso di potere nelle delibere assembleari come violazione della buona fede), la corte di le

gittimità torna sulla questione dell'eccesso od abuso di potere quale vi zio della deliberazione assembleare.

Il Supremo collegio, nella pronuncia 9353/03, richiama espressa mente la fondamentale Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151 (Foro it.. Rep. 1996, voce Società, n. 559, e Giur. comm., 1996, II, 329, con nota di Jaeger, Angelici, Gambino, Costi, Corsi, Cassazione e contrattualismo societario: un incontro?), che ha stabilito il principio secondo cui, ai fini della sussistenza dell'eccesso di potere, occorre che la deliberazio ne impugnata sia stata adottata a proprio esclusivo vantaggio dai soci di

maggioranza in danno di quelli di minoranza, essendo applicabile nello

svolgimento del contratto sociale, l'obbligo di buona fede stabilito dal l'art. 1375 c.c.; perché sussista il vizio dell'eccesso di potere, la finalità fraudolenta in danno della minoranza, chiarisce la pronuncia 6361/03, deve rappresentare l'unica ragione della deliberazione.

Altra manifestazione del vizio de quo consiste nel perseguimento da

parte della maggioranza dei soci, attraverso l'adozione della delibera zione, di scopi divergenti da quelli della società: in base al soggetto danneggiato dalla deliberazione, Cass. 29 maggio 1986, n. 3628 (Foro it.. Rep. 1986, voce cit., n. 621, e Società, 1986, 1087. con nota di Rordorf, Eccesso di potere nelle deliberazioni sociali) sembra distin

guere tra il vero e proprio eccesso di potere, che lederebbe la società, dal c.d. abuso di potere, che danneggerebbe i soci di minoranza; per un efficace vaglio di tale impostazione, che del resto non trova accogli mento presso la giurisprudenza (che è solita ricomprendere l'abuso al l'interno dell'eccesso di potere), cfr. Preite, Abuso di maggioranza e

Il Foro Italiano — 2004.

Ai sensi dell'art. 18, 7° comma, d.leg. 21 aprile 1993 n. 124, in

presenza di squilibri finanziari nella gestione di fondi di pre videnza complementare costituiti per contratto collettivo, la

stessa contrattazione collettiva può rideterminare la discipli na delle prestazioni e del finanziamento per gli iscritti al fon do che. alla data di entrata in vigore de! predetto decreto le

gislativo, non abbiano maturato i requisiti previsti dalla fonte istitutiva per i trattamenti pensionistici integrativi; pertanto, la disciplina collettiva successiva, peggiorativa di quella pre cedente, non può incidere sulla posizione degli iscritti al fon do che abbiano maturato i requisiti per il trattamento pensio nistico. (3)

conflitto di interessi dei socio nelle società per azioni, in Trattato delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, Torino, 1993, 3, II, 52, nota 48.

In giurisprudenza, sulla definizione del vizio di eccesso di potere, cfr., in materia di società, Cass. 5 maggio 1995, n. 4923, Foro it., Rep, 1995, voce cit., n. 901, e Società. 1995, 1548; 4 maggio 1994, n. 4323, Foro it., 1995, I, 2219; 11 marzo 1993, n. 2958, id., Rep. 1993, voce

cit., n. 498; 29 maggio 1986, n. 3628, cit.; tra le pronunce di merito, cfr., da ultimo, App. Trento 13 dicembre 2001, id., Rep. 2002, voce cit., n. 647, e Società, 2002, 442, con nota di Bonavera, Alcune que stioni su organi sociali e aumento di capitali nella s.r.l.; Trib. Milano 22 giugno 2001, Foro it., Rep. 2002, voce cit., n. 645, e Giur. it., 2002, 1898, con nota di Dentamaro, Clausole di prelazione tra interesse della società e diritti individuali dei soci; Trib. Perugia 22 dicembre 2000, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 627, e Società, 2001, 1387, con nota di Zagra, Una fattispecie particolare di acquisto di azioni pro prie.

Molte pronunce sull'eccesso o abuso di potere quale vizio delle deli berazioni assembleari sono state adottate in materia di condominio: v., tra le sentenze di legittimità, Cass. 20 aprile 2001, n. 5889, Foro it., Rep. 2002, voce Comunione e condominio, n. 133, e Riv. giur. edilizia, 2001, I, 809; 26 aprile 1994, n. 3938, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n.

234, e Arch, locazioni, 1994, 789; tra le pronunce di merito, v., da ulti

mo, Trib. Casale Monferrato 3 aprile 2001, Foro it.. Rep. 2002, voce cit., n. 154, e Riv. giur. edilizia, 2001, I, 861; Trib. Busto Arsizio 16 ottobre 2000, Foro it., Rep. 2001, voce cit.. n. 193. e Rass. locazioni, 2001, 148.

Non constano, invece, pronunce sul vizio di eccesso di potere nelle deliberazioni adottate dagli associati ad un fondo previdenziale (come è avvenuto nella pronuncia 6361/03).

In dottrina, cfr. Trimarchi, Invalidità delle deliberazioni di assem blea di società per azioni, Milano, 1958, 185; Mengoni, Appunti per una revisione della teoria del conflitto di interessi nelle deliberazioni dell'assemblea di società per azioni, in Riv. società, 1956, 460 ss.; Gambino, Il principio di correttezza nell'ordinamento delle società per azioni, Milano, 1987, 275; Jaeger, L'interesse sociale, Milano, 1963, 194; Malsano, L'eccesso di potere nelle deliberazioni assembleari di società per azioni, Milano, 1968. Più di recente, v. Cassottana, L'abu so di potere a danno della minoranza assembleare, Milano, 1991, 12; Preite, op. cit., 74-113; Salafia, Le deliberazioni assembleari viziate da eccesso di potere, in Società, 1994, 1470; Pasquariello, Il principio di correttezza applicato alle delibere assembleari: l'abuso della regola di maggioranza al vaglio dei giudici, in Giur. comm., 2002, II. 135.

La rilevanza del vizio di eccesso o abuso di potere ai fini dell'an nullabilità della deliberazione assembleare è strettamente correlata al l'estensione del sindacato di legittimità che il giudice può esercitare sulla deliberazione stessa. Ed invero, qualora la deliberazione trovi nei

legittimi interessi dei soci di maggioranza la propria giustificazione causale non vi è comunque spazio per un sindacato giudiziale sulla de liberazione medesima: come statuisce Cass. 6361/03, «il giudice non controlla l'opportunità o la convenienza della soluzione adottata dalla delibera impugnata, ma deve stabilire solo che essa sia o meno il risul tato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell'organo delibe rante» (v.. in particolare, Cass. 5 maggio 1995, n. 4923. cit.; 11 marzo 1993, n. 2958, cit.).

Tale circostanza si rivela decisiva ai fini di entrambe le pronunce in

epigrafe: nella 6361/03 si puntualizza come il sindacato di legittimità del giudice comprenda sia l'eventuale contrasto della deliberazione con norme di legge o statutarie, sia l'eccesso di potere rispetto al quale, nella specie, il ricorrente non ha assolto l'onere della prova (Rordorf, op. cit., 1091, sottolinea I'«estrema difficoltà di fronte alla quale viene a trovarsi colui che voglia impugnare una deliberazione assembleare di società viziata da eccesso di potere»); Cass. 9353/03 esclude la possi bilità per il giudice d'indagare sull'eventuale irrazionalità della delibe razione, risultando la «razionalità» irrilevante sia ai fini dell'eccesso di

potere, che dell'eventuale annullabilità ex art. 2377 c.c.

(3) Il precedente in termini è costituito da Cass. 21 gennaio 2000, n. 689, Foro it., Rep. 2000, voce Previdenza sociale, n. 224, e Mass. giur. lav., 2000, 271, con nota di Gramiccia, La previdenza complementare tra legge e contrattazione collettiva: i diritti quesiti.

Secondo la corte, relativamente ai fondi pensionistici complementari costituiti per contratto collettivo, la successiva contrattazione collettiva

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Perugia, con

sentenza 27 novembre 1996, accolse la domanda, proposta dai

soci dissenzienti Leonardo e Marco Mannocci, di annullamento

della deliberazione di aumento del capitale, assunta dalla s.r.l.

Gamma, e dichiarò illegittima la nomina dei sindaci, fatta in

violazione dell'art. 2399 c.c.

La società propose ricorso in appello. La corte d'appello di

Perugia, con sentenza depositata il 5 luglio 2002, in parziale ri

forma della sentenza di primo grado, respinse la domanda di

retta ad accertare l'illegittimità della nomina dei sindaci, e nel

resto confermò l'intervenuto annullamento della pronuncia di

aumento del capitale. La corte territoriale osservò, in particolare, che: — la delibe

razione in questione era affetta da eccesso di potere, per avere la

maggioranza agito per finalità contrarie a quelle per le quali era

stata costituita; — tale eccesso di potere era consistito nell'aver

deliberato un aumento di dieci volte il capitale sociale in pre senza di una situazione di dissesto, o quasi;

— dal verbale as

sembleare risultava infatti che, per carenza di liquidità, la so

cietà non era riuscita a far fronte a tutti gli impegni finanziari,

tra cui il pagamento dell'Iva, dei contributi previdenziali e in

parte degli stipendi, oltre che di creditori e fornitori vari; — la

situazione d'insolvenza risultava anche dalle dichiarazioni rese

in udienza dall'amministratore della società; — detta situazione

di dissesto avrebbe consigliato, e se del caso imposto, la ridu

zione del capitale; — contraddittoriamente con tale aumento era

stata decisa la vendita di un terreno di proprietà, nonché l'affitto

di azienda dello stabilimento industriale alla società Cosman,

facente capo agli stessi soci della Gamma, con conseguente ces

sione, riduzione o cessazione dell'attività produttiva. Per la cassazione della sentenza d'appello, notificata il 20

ottobre 2000 al domicilio eletto, la società ha proposto ricorso

con atto notificato il 23 novembre 2000, affidato ad un unico

motivo, ed illustrato anche con memoria.

Motivi della decisione. — Con il ricorso si denunzia la viola

zione e falsa applicazione degli art. 2377, 2446, 2447 e 2697 c.c., nonché l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione

della sentenza impugnata su punti decisivi della controversia. Si

deduce che l'annullamento era stato pronunciato in violazione

dell'art. 2377 c.c.; che la sentenza non aveva riscontrato, e nep

pure solo enunciato, gli interessi, divergenti da quelli, sociali,

che avrebbero ispirato la decisione di aumento del capitale so

ciale voluta dalla maggioranza, limitandosi invece ad identifica

re dei comportamenti diversi da quelli consigliabili e strategie

illogiche; che la sentenza medesima aveva argomentato, in

modo insufficiente ed illogico, l'eccesso di potere da una caren

za di liquidità che a suo avviso imponeva la riduzione del capi

tale, nonché dalla vendita di un-terreno e da un affitto integranti atti di gestione riservati al consiglio di amministrazione e ben

distinti dalla delibera impugnata. Il ricorso è fondato. Il vizio della deliberazione assembleare,

costituito dal c.d. eccesso di potere, deve riconoscersi, secondo

la giurisprudenza di questa corte di legittimità, laddove la deli

bera sia stata adottata a proprio esclusivo vantaggio dai soci di

maggioranza di una società di capitali in danno di quelli di mi

noranza, essendo applicabile in materia l'art. 1375 c.c., in base

al quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede,

atteso che le determinazioni dei soci durante lo svolgimento del

rapporto associativo debbono essere considerate, a tutti gli ef

non può modificare in peius i diritti di coloro che, alla data di entrata in

vigore dell'art. 18, 7° comma, d.leg. 124/93, avessero già maturato i

requisiti prima previsti per il conseguimento del trattamento pensioni stico integrativo, a prescindere dall'esercizio del relativo diritto (nel medesimo senso, v. Pret. Milano 7 settembre 1995, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 620, e Orient, giur. lav., 1995, 736).

Per quanto concerne gli iscritti che non abbiano ancora maturato i

requisiti per il conseguimento del suddetto trattamento pensionistico, il

Supremo collegio ravvisa dei limiti alla modificabilità in senso peggio rativo del loro trattamento. Tali limiti sono costituiti, innanzi tutto, dal

l'art. 2117 c.c., che fungerebbe da vera e propria «garanzia normativa»; in secondo luogo, dal «principio di ragionevolezza» che deve connotare

le eventuali modificazioni; infine, dalla protezione che le fonti conven

zionali accordano «alle posizioni soggettive che si costituiscono in una

fattispecie a formazione progressiva, costituita comunque (in ogni tipo di fondo) da capitale in via di accumulo, vincolato a beneficio di tutti

gli iscritti al fondo e non incondizionatamente azzerabile».

Il Foro Italiano — 2004.

fetti, come veri e propri atti di esecuzione, perché preordinati alla migliore attuazione del contratto sociale (sent. 26 ottobre

1995, n. 11151, Foro it., Rep. 1996, voce Società, n. 559). Nel caso sottoposto all'esame della corte, la ratio decidendi

posta a base dell'annullamento della delibera non è quella appe na ricordata, vale a dire la violazione del principio di buona fe

de nell'esecuzione del contratto sociale, in danno della mino

ranza dei soci, ma la supposta irrazionalità della determinazione

dell'assemblea, per avere la maggioranza agito per finalità con

trarie a quelle per le quali era stata costituita. Ora, un vizio di

questo tipo non è compreso tra quelli per i quali, a norma del

l'art. 2377, il socio dissenziente può domandare l'annullamento

della deliberazione. L'individuazione del modo migliore per

perseguire l'interesse sociale è rimesso, infatti, all'insindacabile

apprezzamento degli organi sociali a ciò deputati. La motivazione addotta a sostegno della decisione si rivela

sotto questo profilo del tutto insufficiente, e pertanto la sentenza

deve essere cassata, con rinvio ad altra corte d'appello, la quale, nel riesaminare la domanda di annullamento, anche ai fini del

regolamento delle spese del presente giudizio, valuterà, tenendo

conto della giurisprudenza sopra ricordata, se i vizi dedotti dalla

parte impugnante siano riconducibili a quelli per cui è data l'a

zione di annullamento dall'art. 2377 c.c., e, nel caso affermati

vo, se detti vizi siano riscontrabili nella fattispecie.

II

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Bre

scia, Lorenzoni Ferruccio e gli altri litisconsorti indicati in epi

grafe quali intimati, dipendenti o ex dipendenti della società

Credito agrario bresciano, iscritti al fondo integrativo aziendale,

convennero in giudizio quest'ultimo e l'istituto di appartenenza,

esponendo di aver beneficiato, nel corso dell'anno 1971, della

modifica statutaria prevedente il rimborso dei contributi versati

prima del 31 dicembre 1970 e della modifica successiva, intro

dotta nel 1978, prevedente il diritto, per coloro che avessero ot

tenuto il riscatto del periodo di contribuzione antecedente alla

data di cui sopra, al riconoscimento della validità, ai fini pen

sionistici, degli anni successivi al 1957. Essendosi peraltro op

posto dal fondo il rifiuto a computare nella pensione gli anni

precedenti al 1970, adducendo la stessa la sopravvenienza di

successive modificazioni alla disciplina, chiesero che il pretore,

previa declaratoria d'illegittimità dei provvedimenti peggiorati vi intervenuti, condannasse il fondo stesso e, in solido o in via

sussidiaria, la banca al pagamento delle somme illegittimamente decurtate. Costituitosi il contraddittorio, il fondo pensioni con

testò la fondatezza delle pretese opponendo che i provvedimenti che avevano modificato il trattamento previdenziale si erano re

si necessari a ragione del notevole squilibrio finanziario nella

gestione dell'ente provocato dai benefici accordati nel 1978.

Svolse quindi domanda riconvenzionale di restituzione delle

somme corrisposte agli attori in base all'erroneo presupposto della utilizzabilità, nel calcolo della pensione, anche degli anni

di anzianità antecedenti al 1970. L'istituto bancario, dal suo

canto, negò la propria legittimazione passiva. Avverso la pro nuncia del pretore, di accoglimento delle domande nei soli con

fronti del fondo, questo propose appello, che è stato rigettato dal

Tribunale di Brescia con sentenza del 23 settembre - 15 ottobre

1999. Il giudice di secondo grado ha rilevato che la deliberazio

ne assunta dal fondo nel 1978 — anche se contraria al principio di pariteticità, a questo implicitamente derogando

— era idonea

ad attribuire in favore dei singoli dipendenti, che potessero vantare i necessari requisiti, un vero e proprio diritto soggettivo non suscettibile di perenzione per effetto di successive contra

stanti delibere, anche se assunte in conformità alle regole statu

tarie, salva l'ipotesi di un'espressa adesione a esse da parte de

gli interessati.

Della decisione viene chiesta la cassazione dal fondo pensioni con ricorso sostenuto da sei motivi. Lorenzoni Ferruccio, Ca

pelli Cesarina, Baraldi Ettore, Piccini Gianni, Sina Pasino An

gelo e Margiotta Giancarlo resistono con controricorso. Gli altri

intimati non si sono costituiti.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo — denun

ciando violazione e falsa applicazione degli art. 23, 1142 e 2117

c.c., nonché vizi della motivazione — il fondo ricorrente espone che non è contestabile che la delibera assembleare assunta nel

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PARTE PRIMA 1224

mese di gennaio del 1978 fosse invalida, essendosi con la stessa

deciso, sovvertendo altra precedente del 1971, di calcolare le

pensioni «in misura fissa per ogni anno di partecipazione al

fondo da conteggiarsi dalla sua istituzione», con evidente van

taggio per quegli associati che, pur avendo beneficiato in prece denza della restituzione del capitale versato fino all'anno 1971, ottennero il riaccreditamento dell'anzianità contributiva con de

correnza dal 1958, con conseguente duplice erogazione e con la

costituzione di un trattamento pensionistico totalmente privo di

una corrispondente base contributiva. Tanto premesso, il ricor

rente lamenta che il tribunale, pur avendo condiviso la tesi della

ritualità dell'eccezione, formulata ai sensi dell'ultimo comma

dell'art. 1442 c.c., di annullabilità della delibera, tuttavia ha er

roneamente ritenuto la stessa valida per avere legittimamente

derogato allo statuto, omettendo peraltro di accertare se essa

fosse affetta da abuso o eccesso di potere dei componenti della

maggioranza assembleare che la approvò. Con il secondo motivo — denunciando violazione e falsa ap

plicazione degli art. 23, 2379 e 2117 c.c. e vizi della motivazio ne — il fondo deduce che, sempre erroneamente, il giudice del

merito, collocando l'eccezione di invalidità della delibera in

questione nell'art. 1442 c.c., ha ritenuto irrilevante ogni que stione in tema di applicabilità dell'art. 2379 c.c. alle delibere

delle associazioni, mentre anche queste sarebbero sottoposte alla disciplina delle società, operando quindi la citata norma che

prevede la nullità delle deliberazioni inficiate da impossibilità o

illiceità dell'oggetto, in questa rientrando ogni ipotesi di contra

sto con norme cogenti che tutelano interessi generali, come il

principio di pariteticità, che nella specie era stato violato, essen

do derivata una discriminazione sul piano retributivo pensioni stico a favore di un gruppo di lavoratori.

Le due ragioni di censura — il cui esame va operato con

giuntamente, attesa la loro connessione — sono manifestamente

infondate.

E invero, a prescindere dalla dibattuta questione della appli cabilità o meno alle associazioni della disciplina, dettata in ma

teria di società, dagli art. 2377 e 2379 c.c. — questione la cui

soluzione qui appare ininfluente — occorre considerare che co

situiscono principi consolidati nella giurisprudenza di questa corte e che il collegio condivide — che il sindacato dell'autorità

giudiziaria sulle delibere di assemblee di soci non può estender

si alla valutazione del merito e al controllo del potere discrezio nale che l'assemblea esercita quale organo sovrano della vo

lontà dei soci, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o statutarie, de

ve comprendere anche l'eccesso o abuso di potere, ravvisabile

quando la decisione sia deviata dal suo modo di essere, perché in tal caso il giudice non controlla l'opportunità o la convenien

za della soluzione adottata dalla delibera impugnata, ma deve

stabilire solo che essa sia o meno il risultato del legittimo eser

cizio del potere discrezionale dell'organo deliberante (Cass. 20

aprile 2001, n. 5889, Foro it., Rep. 2002, voce Comunione e

condominio, n. 135). Occorre peraltro marcare che, in tanto è ravvisabile un tale

vizio solo in quanto la delibera, anche se adottata nelle forme

legali e con le maggioranze prescritte, risulti arbitrariamente e fraudolentemente preordinata al perseguimento, da parte dei so ci di maggioranza, di interessi divergenti da quelli della società ovvero volutamente lesivi degli interessi degli altri soci, conse

guendone pertanto che la tutela in esame è richiamabile solo

qualora la delibera non abbia una propria e autonoma giustifica zione sulla base dei legittimi interessi dei soci di maggioranza e la finalità fraudolenta in danno della minoranza costituisca l'u

nica ragione della delibera, restando preclusa, fuori di una tale

ipotesi, ogni possibilità di sindacato in sede giudiziaria sui mo tivi che hanno indotto la maggioranza ad adottare la decisione e costituendo evidentemente onere di chi impugna la delibera

quello di fornire la dimostrazione dell'effettiva sussistenza del l'abuso o dell'eccesso (Cass. 5 maggio 1995, n. 4923, id., Rep. 1995, voce Società, n. 901; 11 marzo 1993, n. 2958, id., Rep. 1993, voce cit., n. 497; 29 maggio 1986, n. 3628, id., Rep. 1986, voce cit., n. 621).

Orbene, con entrambi i motivi, il ricorrente si limita a denun

ciare, in maniera totalmente assertoria, un vizio di formazione della volontà dell'assemblea, che giammai sarebbe, in ogni ca

so, riconducibile a un'ipotesi di impossibilità o illiceità dell'og getto della stessa ai sensi dell'art. 2379 c.c. da identificarsi nel

contenuto di questa, prospettato sotto l'esclusivo profilo del suo

Il Foro Italiano — 2004.

contrasto con il c.d. principio di parità di trattamento, introdotto — ma esclusivamente come criterio cui debbono ispirarsi le

forme pensionistiche complementari e, in ogni caso, non appli cabile per coloro che fossero già iscritti a tali forme alla data di

entrata in vigore del provvedimento (art. 18, 7° comma) — solo

con il 5° comma dell'art. 7 d.leg. n. 124 del 1993.

Con il terzo motivo, il ricorrente — denunciando violazione e

falsa applicazione dell'art. 18 d.leg. n. 124 del 1993 e vizi di

motivazione — espone che, una volta riconosciuta l'invalidità

della delibera, deve conseguire l'esclusione del riconoscimento

di un qualsiasi diritto quesito in capo agli associati al fondo non

coperti da contribuzioni annuali sufficienti, neanche potendo

operare, come al contrario si è ritenuto, il disposto del citato art.

18, non sussistendo un diritto al trattamento privilegiato per coloro che, per effetto della precedente delibera del 1971, ave

vano ottenuto in restituzione il capitale versato.

Con il quarto motivo — denunciando violazione e falsa ap

plicazione degli art. 2094 e 2103 c.c. e vizi della motivazione —

il fondo deduce che erroneamente il tribunale ha ritenuto che la

delibera del 1978 fosse in armonia con la contrattazione collet

tiva che regolava il rapporto tra l'istituto bancario e i dipenden ti, senza considerare che la delibera fu assunta da un soggetto estraneo a tale rapporto.

Con il quinto motivo — denunciando violazione e falsa ap

plicazione degli art. 115 c.p.c., 2697 c.c. e 18 d.leg. n. 124 del

1993, nonché vizi della motivazione — il ricorrente lamenta che

il tribunale ha ritenuto sfornito di prova l'assunto difensivo

dello stato di squilibrio finanziario del fondo, richiesto dall'art.

18 sopra indicato come presupposto per la modificabilità in pe ius della disciplina in materia di prestazioni e contribuzioni, omettendo di valutare sia la situazione conseguita alla delibera

assunta nel 1971 a seguito della quale si verificò uno svuota

mento di cassa che quella che si era presentata successivamente

alla delibera del 1978, con la quale si era attribuita un'anzianità

di partecipazione non sorretta da corrispondenti contribuzioni.

Anche questi tre motivi, da esaminarsi sempre unitariamente, sono privi di pregio.

Premesso che, come già sopra osservato, la sentenza impu

gnata si sottrae a censure nella parte in cui ha escluso l'invali

dità della delibera assembleare, va ribadito il principio, pure es

so costantemente affermato da questa corte, secondo il quale a

norma dell'art. 18, 7° comma, d.leg. n. 124 del 1993, in presen za di squilibri finanziari della gestione di fondi di previdenza complementare costituiti per contratto collettivo, la stessa con

trattazione può rideterminare la disciplina delle prestazioni e del

finanziamento per gli iscritti al fondo che, alla data di entrata in

vigore del citato provvedimento, non abbiano maturato i requi siti prima previsti per i trattamenti pensionistici integrativi. Pertanto la disciplina collettiva successiva, peggiorativa di

quella precedente, non può incidere negativamente sulla posi zione di coloro che, avendo maturato i requisiti ed esercitato il relativo diritto, hanno ormai conseguito il trattamento pensioni stico, né sulla posizione di coloro che, avendo maturato i requi siti, non hanno ancora esercitato il relativo diritto, mentre, per quanto concerne gli iscritti che non abbiano maturato i requisiti per il conseguimento del trattamento pensionistico, non può escludersi la configurabilità di limiti alle modificazioni, sia nella garanzia normativa di cui all'art. 2117 c.c., sia nel princi

pio di ragionevolezza delle medesime, sia, infine, nella tutela che le stesse fonti convenzionali apprestano alle posizioni sog

gettive che si costituiscono in una fattispecie a formazione pro

gressiva, costituita comunque (in ogni tipo di fondo) da capitale in via di accumulo, vincolato a beneficio di tutti gli iscritti al

fondo e non incondizionatamente azzerabile (per tutte, Cass. 21

gennaio 2000, n. 689, id., Rep. 2000, voce Previdenza sociale, n. 224).

Con l'ultimo motivo, si lamenta che, in violazione dell'art. 2033 c.c. e con motivazione insufficiente e contraddittoria, il

tribunale ha omesso di pronunciare sulla domanda proposta dal

fondo in via riconvenzionale di restituzione delle somme inde bitamente versate.

Del rilievo deve rilevarsi l'inammissibilità, e ciò in quanto, contrariamente all'assunto del ricorrente, il tribunale ha preso in

esame la doglianza osservando peraltro che la stessa era stata

espressa in termini di estrema genericità, giudizio la cui corret tezza non viene in alcun modo censurata dal ricorrente.

Del ricorso si impone pertanto il rigetto.

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