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Sezione I civile; sentenza 11 marzo 1980, n. 1612; Pres. Mirabelli, Est. Corda, P. M. Gorssi(concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Baccari) c. Soc. Ferrero (Avv. Uckmar). ConfermaComm. trib. centrale 14 maggio 1976, n. 13120Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 11 (NOVEMBRE 1981), pp. 2819/2820-2823/2824Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174123 .
Accessed: 28/06/2014 15:28
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2819 PARTE PRIMA 2820
mo complessivo di anni due, allorché vi siano comprovate possi bilità di risanare l'impresa.
La sopravvenienza de qua è irrilevante nel presente giudizio di cassazione. Invero, la norma in esame limita espressamente la propria portata di ius superveniens ai casi di pendenza della
procedura davanti al tribunale competente a provvedere sulla domanda di ammissione all'amministrazione controllata e di pro roga eventuale.
Si tratta di una sopravvenienza funzionale, coordinata all'im mediata operatività del nuovo termine nella pendenza del pro cedimento di amministrazione controllata, e non di una soprav venienza generica, applicabile in ogni grado del giudizio.
In conclusione, i ricorsi debbono essere riuniti ed accolti con cassazione senza rinvio del provvedimento di proroga dell'ammi nistrazione controllata, proroga che non poteva essere accordata
perché allora non ammessa dalla legge. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 11 mar
zo 1980, n. 1612; Pres. Mirabelli, Est. Corda, P. M. Grossi
(conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Baccari) c. Soc.
Ferrerò (Aw. Uckmar). Conferma Comm. trib, centrale 14
maggio 1976, n. 13120.
Ricchezza mobile (imposta sulla) — Riscossione — Ritenute —
Concorsi a premio — Esclusione (D. pres. 29 gennaio 1958
n. 645, t. u. delle leggi sulle imposte dirette, art. 35, 127).
L'obbligo (di cui all'art. 127, 3" comma, t. u. n. 645/1958), posto a carico degli organizzatori di «lotterie in genere», di pagare
quali sostituti d'imposta di ricchezza mobile per le vincite da
essi dovute non è estensibile agli organizzatori di concorsi a
premio (ricadendo in tal caso unicamente sul soggetto che ha
realizzato la vincita). (1)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con avviso notificato il 28 dicembre 1965, l'ufficio distrettuale delle imposte dirette di Alba accertava, a carico della s.p.a. P. Ferrerò & C., un imponibile di r. m. cat. A di lire 78.366.621 per i redditi de
rivanti dai concorsi a premio organizzati dalla società stessa nel
l'anno 1961.
Contro tale accertamento, la soc. Ferrerò ricorreva alla com
missione distrettuale sostenendo, per quanto interessa in que sta sede, che per le vincite dei concorsi a premio l'art. 127 t. u.
sulle imposte dirette (d. pres. 29 gennaio 1958 ti. 645) non pre vede affatto l'obbligo del pagamento dell'imposta a carico degli
organizzatori, quali « sostituti » (con facoltà di rivalsa verso i
reddituari, mediante ritenuta), cosi come previsto « per le lotte
rie in genere ».
La commissione accoglieva la tesi della contribuente e, per
tanto, annullava l'accertamento.
Su appello dell'ufficio, però, la commissione provinciale rifor
mava la detta decisione e, conseguentemente, dichiarava la le
gittimità dell'accertamento predetto. Nel frattempo, l'ufficio notificava alla soc. Ferrerò altri avvisi,
con i quali venivano accertati i seguenti imponibili: a) per l'an
no 1962, lire 42.877.913; b) per l'anno 1963, lire 31.525.275;
c) per l'anno 1964, lire 46.254.518. Anche tali accertamenti ve
nivano, su ricorso della contribuente, annullati dalla commis
sione distrettuale e dichiarati legittimi, invece, dalla commis
sione provinciale. Contro le quattro decisioni di quest'ultima veniva, dalla con
tribuente, proposto ricorso alla Commissione tributaria centrale
(1) La Cassazione si pronuncia per la prima volta sulla questione dell'applicabilità della tassazione per ritenute — con facoltà di ri valsa — delle vincite di concorsi a premio sotto la normativa del t. u. 28 gennaio 1958 n. 645.
L'inapplicabilità della norma di cui all'art. 127, 3° comma, di detto t. u., era stata recepita dalla giurisprudenza della Commissione centrale per cui vedi, oltre la decisione confermata 16 maggio 1977, n. 13120, Foro it., Rep. 1972, voce Ricchezza mobile, n. 347, dee. 6 dicembre 1976, n. 14322, ibid., n. 348 (in senso contrario, peraltro, la più remota 25 ottobre 1968, n. 99650).
In dottrina la sentenza de qua è annotata adesivamente da Schwar zemberg, Sulla inapplicabilità al concorso a premi della tassazione mediante rivalsa, in Dir. e pratica trib., 1980, II, 678; nello stesso senso cfr. Magnani, Concorsi a premi e imposte di r. m., id., 1977, II, 533 e Guidi, Applicabilità della ritenuta di rivalsa per imposta di r. m. cat. A alle vincite derivanti da concorsi a premio, id., 1970, II, 451; Giussani, Concorsi a premi e imposte di r. m., in Riv. dir. fin., 1965, I, 722.
che, con una unica decisione (pubblicata il 14 maggio 1976),
accoglieva la tesi della ricorrente affermando che la norma con
tenuta nell'art. 127, 2° comma, lett. a), t. u. sulle imposte dirette
(norma di « stretta interpretazione ») prevede la tassazione, con
facoltà di rivalsa, a carico degli organizzatori di lotterie e non,
invece, a carico degli organizzatori di concorsi a premio. Tali
concorsi, secondo la commissione, hanno natura giuridica diversa
dalle lotterie e, pertanto, quando la legge ha menzionato le
« lotterie in genere » non ha affatto inteso riferirsi anche ai con
corsi a premio; e ciò si deve desumere, secondo la commissione, dal fatto che quando il t. u. ha voluto assoggettare i concorsi a
premio e le lotterie alla medesima disciplina (art. 85) ha fatto
espressamente menzione di entrambi.
Contro tale decisione ricorre per cassazione, ai sensi dell'art.
Ill Cost., l'amministrazione finanziaria dello Stato con un unico
motivo di censura. L'intimata società Ferrerò resiste mediante
controricorso.
Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico motivo di ricorso, la ricorrente amministrazione finanziaria dello Stato denuncia, con riferimento all'art. 360, un. 3 e 5, cod. proc. civ., la vio
lazione delle seguenti disposizioni di legge: « art. 39, 43 e 44
r. d. 1. 19 ottobre 1938 n. 1933, art. 85 e 127 t. u. delle leggi sulle
imposte dirette (d. pres. 29 gennaio 1958 n. 645), art. 12 disp. sulla legge in generale, art. 30 d. pres. 29 settembre 1973 n. 600».
Sostiene che la Commissione tributaria centrale sarebbe in
corsa in errore, allorché ha affermato che l'obbligo (di cui al
l'art. 127, 3° comma, t. u. n. 645 del 1958) posto a carico degli
organizzatori di « lotterie in genere » di pagare « quali sosti
tuti » l'imposta di ricchezza mobile per le vincite da essi dovute
non è estensibile agli organizzatori dei concorsi a premio. Secondo la ricorrente, la commissione sarebbe incorsa nell'er
rore predetto per non avere saputo coordinare esattamente la
disposizione di cui alla norma citata con quella contenuta nel
precedente art. 85, il quale indica, come « redditi » soggetti al
l'imposta di ricchezza mobile (tassabile in cat. A), i premi su
prestiti e vincite delle lotterie, dei concorsi a premio, dei giuochi e delle scommesse. L'errore, cioè, sarebbe consistito nel non ave
re inteso che, con l'espressione « lotterie in genere », il legisla tore aveva voluto riferirsi non solo a tutte le singole specie di
lotterie, bensì a tutte le « figure » indicate nel citato art. 85.
In tale errore, secondo la ricorrente, la commissione non sa
rebbe incorsa se avesse tenuto conto del disposto degli art. 39, 43 e 44 r. d. 1. 19 ottobre 1938 n. 1933, dal cui contenuto do
vrebbe ricavarsi l'esistenza di un ampio genus che comprende «le lotterie, i concorsi a premio, i giochi e le scommesse», con
trapposto solo a quello comprensivo dei «premi su prestiti». Si
sarebbe dovuto, cioè, ricavare che le lotterie e i concorsi a pre mio hanno identica natura giuridica e, pertanto, quando la legge
parla di lotterie « in genere » intenderebbe riferirsi anche ai
concorsi a premio. 2. - La censura è priva di fondamento.
Com'è noto, nel vigore della passata legislazione si era di
scusso se i premi di lotterie, e, in genere, i proventi derivanti da
un evento aleatorio, potessero assumere la natura di « reddito »
mobiliare e potessero perciò, in quanto tali, essere assoggettati ad imposta.
Il problema trovò in parte soluzione, allorché l'art. 11 t. u.
24 agosto 1877 n. 4021 dichiarò espressamente tassabili median
te ritenuta diretta le vincite del lotto. Tale norma subì la cri
tica della dottrina, la quale trovò modo di osservare che la stes
sa tendeva a colpire un « guadagno » non avente la natura giu ridica di «reddito»; né a tale critica si mostrò insensibile la
stessa Commissione centrale, la quale ritenne che la disposizione dettata per il lotto avesse natura eccezionale e non potesse,
perciò, estendersi alle vincite di altre lotterie i cui premi non
avevano natura di « reddito ». E se era vero, da un lato, che
l'art. 15 del detto t. u. disponeva la tassabilità dei premi dei
prestiti, non era men vero, dall'altro, che la tassazione predetta
appariva giustificata dalla considerazione che il premio costituiva
una integrazione degli interessi del finanziamento, ossia il frutto
dell'impiego del capitale. Si ritenne però, pacificamente, che
da tale norma non potesse ricavarsi un principio di tassabilità
dei premi in ogni caso.
Per assoggettare ad imposta i premi delle lotterie di ogni spe cie, fu emanata la legge 22 luglio 1894 n. 339 '(art. 2), ma ri
masero sempre esenti le vincite del lotto.
Tale legislazione restò immutata fino all'emanazione della leg
ge 8 giugno 1936 n. 1231 che, modificando il 2° comma dell'art.
15 citato t. u. del 1877, assimilava ai premi dei prestiti, da chiun
que emessi, i premi delle lotterie di ogni genere che non fos
sero esenti per disposizioni speciali. In virtù della predetta legge,
pertanto, furono ritenuti tassabili tutti i premi di lotteria non
dichiarati esenti; e la tassazione si ritenne disposta col sistema
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
della rivalsa. Col r. d. 1. 1° luglio 1938 n. 1265, poi, vennero di chiarati esenti i premi di alcune lotterie (Tripoli, Merano, ecc.).
Con l'entrata in vigore del t. u. 29 gennaio 1958 n. 645, la ma
teria ha trovato regolamentazione nell'art. 81, il quale nel pri mo comma ha definito il presupposto dell'imposta di ricchezza
mobile, indicandolo nel « reddito », secondo il concetto tradizio nalmente accolto dalla dottrina e dalla giurisprudenza; e nel se
condo ha fatto rientrare nella materia disponibile anche « som me » prive del carattere del « reddito ». Tra queste ultime, infatti, sono stati ricompresi « i premi su prestiti e le vincite di lotterie, concorsi a premio, giochi e scommesse »; e non v'è dubbio che
si tratta di « somme » non aventi natura di « reddito », giacché le stesse non sono collegate ad alcun processo produttivo, ma
che, tuttavia, si è inteso rendere tassabili, pur senza apportare al
terazione alcuna al concetto giuridico di « reddito fiscale ».
3. - Esaurito l'excursus storico, resta ora da considerare che, in
ordine alla classificazione di tali « somme » (assimilate al « red
dito » solo ai fini della tassabilità), l'art. 85 citato t. u. n. 645
del 1958 le ha fatte rientrare tutte nella categoria che poteva
presentare maggiori affinità di natura, cioè nella cat. A: nessun
dubbio perciò, può (rectius: poteva, nel vigore di quella legis lazione, che è poi quella ancora applicabile al caso di specie, te
nuto conto del momento in cui sarebbe sorta l'obbligazione tri
butaria) nascere circa l'identificazione del presupposto della im
posizione. Il problema, se mai, sorge riguardo alla formulazione dell'art.
127, con riferimento al sistema di tassazione: ed è proprio il pro blema la cui soluzione viene sollecitata col motivo di ricorso in
esame.
Tale norma disciplina il caso in cui ad assolvere l'obbliga zione tributaria è tenuto, in veste di « sostituto d'imposta » (se condo la definizione datane dall'art. 14 t. u.) un soggetto diverso
dal percipiente il « reddito » (o somma assimilata al reddito), ferma restando la facoltà di rivalsa. Essa dispone, cioè, che sono
sostituti di imposta « gli organizzatori di lotterie in genere per le vincite da essi dovute » : e già appaiono chiari, dalla detta
formulazione, i termini del problema, solo che si noti che nei
precedenti art. 81 e 85 erano state menzionate, a fianco delle
vincite delle lotterie, quelle dei concorsi, dei giochi e delle scom
msse; mentre, nell'articolo in esame, il riferimento è fatto uni
camente agli organizzatori delle sole lotterie (« in genere »).
Proprio a causa di questa limitata indicazione, la norma è
stata oggetto di errate critiche, essendosi osservato che se, da
un lato, appare determinante l'elemento letterale (collegato al
fatto che sono da considerarsi « eccezionali » e, quindi, non in
tegrabili col mezzo dell'analogia le norme disponenti una « so
stituzione tributaria »), dall'altro appare difficilmente comprensi bile che non si sia voluta una parità di trattamento per le fatti
specie concernenti i concorsi a premio, i giochi e le scommesse.
Né a queste critiche si è mostrato insensibile lo stesso legisla
tore, il quale, in sede di riforma, con l'art. 30 d. pres. 29 set
tembre 1973 n. 600, ha assoggettato a ritenuta alla fonte le « vin
cite derivanti dalla sorte, dai giochi di abilità, da concorsi a
premi, da pronostici e da scommesse ».
4. - Quest'ultima disciplina (che, come si è accennato, non si
applica al caso di specie, il quale resta regolato dalla norma
tiva anteriore) non aiuta però a risolvere il problema in esame,
apparendo sempre di scarsa consistenza l'argomento giuridico che
pretende di chiarire il significato di una norma alla luce di
quella emanata successivamente (che, ovviamente, non contenga
un'interpretazione autentica della precedente). La sola via possibile, perciò, è quella dell'analisi sistematica
degli istituti giuridici coinvolti nel problema esaminato; e, quin
di, in definitiva, occorre stabilire se la dizione « lotteria in ge
nere», contenuta nell'art. 127 t. u., possa ritenersi comprensiva
anche delle altre « figure » contemplate negli art. 81 e 85; e fra
esse, in particolare, i concorsi a premio. In questa prospettiva, però, va subito escluso che la norma
in esame abbia inteso superare un'espressione generica avente
valore di rinvio al contenuto di detti art. 81 e 85, perché, così
opinando, dovrebbero ritenersi in essa compresi anche i giochi
e le scommesse che, invece, ne restano esclusi. È pacifico, infat
ti, che, per il pagamento delle relative vincite, non era, nel si
stema considerato, prevista la sostituzione tributaria.
La stessa ricorrente, del resto, neppure prospetta una siffatta
possibilità di interpretazione e fonda, invece, il proprio assunto
— come si è riferito — sull'osservazione che le lotterie e i con
corsi a premio avrebbero identica natura giuridica (di modo
che, con l'espressione « lotterie in genere », il legislatore avrebbe
inteso indicare non solo le varie specie di lotterie, ma anche i
concorsi a premio). Ma una tale tesi è priva di fondamento.
Dottrina e giurisprudenza, infatti, sono assolutamente concordi
nell'escludere quell'identità di natura, osservando, anzitutto, che
differente è la struttura delle due figure, perché mentre nelle lotterie la partecipazione all'estrazione a sorte è subordinata al l'esecuzione di una determina prestazione patrimoniale (la quale deve necessariamente essere effettuata per poter essere ammessi
all'assegnazione del premio), i concorsi sono caratterizzati dalla
gratuità, giacché sussiste l'assoluto divieto legislativo (sancito
proprio da quel decreto del 1938 che la ricorrente assume es sere stato violato) della maggiorazione dei prezzi dei prodotti il cui acquisto costituisce condizione per la partecipazione al con corso. In altri termini, mentre la lotteria è da definirsi come il contratto con cui in cambio dell'esecuzione di una determinata
prestazione patrimoniale si acquista il diritto a partecipare a un'estrazione a sorte, nei concorsi a premio manca la bilateralità
dell'alea, né si è di fronte a un contratto avente causa di gioco, ossia a un contratto in cui la vincita o la perdita dipende da un
rischio creato artificialmente dalle parti, in quanto alla speranza di un guadagno non fa riscontro la possibilità di una perdita. Né in contrario rileva che anche il concorso ha un suo costo
che finisce per incidere su quello del prodotto; infatti, di fronte
al divieto di legge di aumentare i prezzi a causa del concorso,
quell'incidenza finisce per avere rilevanza solo nel campo eco
nomico (rientrando, in definitiva, fra i costi di pubblicità del
l'azienda), non anche in quello giuridico. Un'ulteriore differenza, poi, è da ravvisare nella diversa fun
zione delle due figure predette, ossia nello scopo perseguito dal
l'organizzatore, il quale, in caso di lotteria, si propone di rica
vare un guadagno dalla stessa gestione della lotteria (e cioè di
speculare sul rischio artificialmente creato dalle parti): mentre
nei concorsi a premio mira unicamente, sostenendone l'onere
economico, a favorire la diffusione di un determinato prodotto. Né ha pregio l'assunto dell'amministrazione ricorrente, secon
do cui l'identità di natura fra le lotterie e i concorsi a premio dovrebbe desumersi dal fatto che le due figure, per il modo della
rispettiva collocazione nella legge n. 1933 del 1938, sarebbero
egualmente equidistanti dai «premi su prestiti». Questo, infat
ti, non è un valido argomento giuridico, poiché non scalfisce
minimamente la bontà dei rilievi cui prima si è fatto cenno e
sui quali concordano pacificamente, come si è detto, dottrina e
giurisprudenza. 5. - Stabilita, quindi, la diversa natura dei due istituti giuri
dici esaminati ed escluso, conseguentemente, che l'art. 127 possa avere riferimento anche ai concorsi a premio, resta solo da
spiegare perché, in detta norma, il legislatore abbia adoperato l'espressione «lotterie in genere». Escluso, cioè, che lotterie e concorsi appartengano a un unico genus sembrerebbe priva di
significato l'espressione « in genere » riferita alle sole lotterie
(nel senso, cioè, che lotterie e lotterie in genere sarebbero espres sioni anonime, tanto che sarebbe bastato dire semplicemente « lotterie »).
L'osservazione, per la verità, non è del tutto priva di signifi cato; ma poiché le norme giuridiche devono essere interpretate nel senso di attribuire sempre alle stesse un possibile significato (non essendo consentito all'interprete la disapplicazione della
norma stessa, o l'applicazione aberrante, dietro il trinceramento
di una semplice imperfezione sintattica o di stile, ovvero di un
inutile pleonasma), puntualmente la dottrina ha suggerito una
plausibile soluzione del problema, osservando che quell'espres sione, nel dettato della norma, può intendersi come rafforzativa della volontà di assoggettare a quel particolare sistema di tas
sazione (« sostituzione con facoltà di rivalsa ») « ogni tipo di
lotteria ». È noto, infatti, che numerosi sono i tipi di lotteria
(basti pensare a quelle in cui l'assegnazione del premio discende
direttamente da una pura e semplice estrazione e a quelle in
cui l'estrazione stessa è collegata a una «competizione», spor tiva o di altro genere); di modo che il termine « lotteria » può anche essere inteso come indicativo di un genus, ma non tanto
ampio da farvi rientrare anche quei concorsi a premio, che, come si è detto, appartengono a un genus diverso. Le species che
in tale genere rientrano, cioè, sono unicamente le operazioni di
sorte che hanno natura di lotteria, ossia quelle caratterizzate
dall'onerosità della partecipazione e del fine speculativo che ne
ha giustificato l'organizzazione. L'unica conclusione possibile, pertanto, è che solo per il caso
di vincita delle lotterie è prevista la sostituzione tributaria, con
facoltà di rivalsa: mentre per quanto attiene alle vincite dei
concorsi a premio, l'obbligo del pagamento dell'imposta ricade
unicamente sul soggetto che ha realizzato la vincita. E se, nella
compilazione della norma del 1958, il legislatore non ha tenuto
presenti le difficoltà concrete di attuare un tale tipo di tassa
zione (come, invece, ha fatto il legislatore del 1973) questo ele
mento marginale non può, certo, orientare l'interprete a disat
tendere una ben più chiara voluntas legis. Né può suggerire una
diversa interpretazione della norma la diversità di regolamenta
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2823 PARTE PRIMA 2824
zione delle due fattispecie che, in definitiva, sono analoghe, giac ché la sostituzione tributaria (e solo di questa si tratta) si ricol
lega a una valutazione di natura strettamente tecnica e, perciò, ad una scelta assolutamente discrezionale del legislatore, della
quale l'interprete non può che prendere atto; la norma che at
tua una tale sostituzione, infatti, ha natura tipicamente eccezio
nale e perciò, secondo i vigenti canoni ermeneutici, va intesa
come norma di stretta interpretazione, insuscettibile di integra zione analogica.
6. - Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
(Omissis) Per questi motivi, ecc.
I
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 7 marzo
1980, n. 1537; Pres. Renda, Est. Buffoni, P. M. Valente
(conci, conf.); Lotto (Avv. Bussi) c. I.n.p.s. (Avv. Rossi
Doria, Chiabrera, Ausenda). Conferma App. Venezia 29 set
tembre 1975.
Previdenza sociale — Omesso versamento di contributi — Co
stituzione di rendita — Prova del rapporto di lavoro — Mezzi
diversi da prove documentali — Ammissibilità (Legge 12 agosto 1962 n. 1338, miglioramento dei trattamenti di pensione dell'as sicurazione per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, art. 13).
Nel giudizio promosso dal lavoratore, o dal datore di lavoro in
favore di questi, per ottenere la costituzione di una rendita
vitalizia a norma dell'art. 13 legge 12 agosto 1962 n. 1338, la
sussistenza del rapporto di lavoro può essere provata anche con
mezzi diversi dalla prova documentale necessaria in sede am
ministrativa. (1)
II
PRETURA DI VENEZIA; sentenza 24 maggio 1981; Giud. Sal
varani; Dal Corso (Avv. Dalla Santa) c. I.n.p.s. (Avv. Botta).
Previdenza sociale — Omesso versamento di contributi — Costi
tuzione di rendita per iniziativa del lavoratore — Prova del
rapporto di lavoro — Mezzi diversi da prove documentali —
Ammissibilità (Legge 12 agosto 1962 n. 1338, art. 13).
Nel giudizio promosso dal lavoratore per ottenere, in sostituzione del datore di lavoro inadempiente, la costituzione di una ren dita vitalizia a norma dell'art. 13 legge 12 agosto 1962 n. 1338, la sussistenza del rapporto di lavoro può essere provata anche
con mezzi diversi dalla prova documentale necessaria in sede amministrativa. (2)
I
La Corte, ecc. — Fatto. — In data 26 novembre 1976 Um berto Lotto presentava domanda all'I .n.p.s., sede di Padova, per la costituzione di rendita vitalizia, ai sensi dell'art. 13 legge 12
agosto 1962 n. 1338 essendo stati omessi e caduti in prescrizione i contributi che, dal maggio 1924 all'aprile 1927, avrebbe dovuto versare il mobilificio di Scanferla Angelo (cessato nel 1940) con sede in Padova, presso il quale, nel detto periodo, egli aveva la vorato percependo una paga di lire 90 settimanali. L'istante di chiarava di non essere in grado di dare la richiesta « prova scrit ta » dato il tempo trascorso e la cessazione della ditta.
(1-2) La sentenza del Pretore di Venezia amplia le argomentazioni di quella della Cassazione (riportata anche in Prev. soc., 1980. 561, con nota di Procaccio) sottolineando l'affermazione del prin cipio in favore del lavoratore, più che escludendola per il datore di lavoro, con il considerare «che normalmente il lavoratore è estraneo alla formazione della prova documentale di cui, pertanto, può non essere in possesso a differenza, invece, del datore di lavoro».
In senso conforme, v. anche Pret.. Livorno 26 giugno 1976, Foro it., Rep. 1978, voce Previdenza sociale, n. 337.
Orientamento diverso hanno espresso Pret. Padova, ord. 18 ottobre 1979, id., 1980, I, 1547, con nota di richiami, e in Prev. soc., 1980, 583, con nota di Picichè, e Trib. Torino, ord. 22 ottobre 1980, Lavoro e prev., 1981, 1654, con nota di Romanelli, che hanno sollevato questione di costituzionalità dell'art. 13 legge 1338/1962 nella parte in cui esclude il diritto sia del lavoratore che del datore di lavoro di provare con mezzi diversi da prove documentali di data certa il rapporto di lavoro e la misura della retribuzione. Tale orientamento è condiviso da Cass. 29 aprile 1980, n. 2867, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 340, che ha però ritenuto irrilevante la questione avendo il giudice di merito, nella specie, fornito motivato apprezzamento delle risultanze delle prove testimoniali esperite.
Tale domanda veniva respinta e la procedura in via ammini
strativa, seguita al ricorso del Lotto, si concludeva con il prov vedimento definitivo del comitato esecutivo, comunicato all'inte
ressato il 10 maggio 1967, con il quale veniva negato al Lotto il
diritto alla costituzione della rendita vitalizia, per non essere
stata dal medesimo fornita la prova certa di cui all'art. 13 legge 12 agosto 1962 n. 1338.
Conseguentemente il Lotto con citazione 28 dicembre 1972 con
veniva l'I.n.p.s. davanti al Tribunale di Padova per sentirlo con
dannare alla erogazione in suo favore della pensione di anzianità,
previo accertamento del rapporto di lavoro intercorso con la
ditta Scanferla Angelo dal 1° maggio 1924 al 30 aprile 1927 e con
seguente accredito nella sua posizione assicurativa dei relativi
contributi assicurativi.
Costituitosi in giudizio, l'I.n.p.s. eccepiva la decadenza della
azione, perché l'attore aveva adfto l'autorità giudiziaria dopo i
5 anni previsti dall'art. 2 della legge 5 febbraio 1957 n. 18, e.
auanto al merito, chiedeva il rigetto della domanda perché al
l'attore era preclusa la possibilità di fornire quella prova certa
che non era stato in grado di dare nella pregressa fase ammini
strativa e che era richiesta dal citato art. 13 legge 1338/1962. Con sentenza non definitiva 29 gennaio -12 febbraio 1974 il giu
dice unico del tribunale adfto, investito della decisione ai sensi
dell'art. 20 legge n. 533 del 1973, respingeva la eccezione di de
cadenza dedotta dall'I.n.p.s. e con separata ordinanza ammetteva
la prova per testi formulata dall'attore sulla esistenza e durata
del rapporto di lavoro con la ditta Scanferla nonché sulla misura
della retribuzione percepita. Espletata la prova, lo stesso giudice unico con sentenza definitiva 1974 rigettava la domanda.
Avverso tale sentenza definitiva appellava il Lotto e proponeva
l'appello ritualmente riservato anche l'I.n.p.s. avverso la sentenza
non definitiva.
La corte veneziana con sentenza 29 settembre 1975 ha respinto
entrambi gli appelli ed ha compensato le spese del secondo grado del giudizio.
La pronuncia sul merito si fonda sulla premessa che in sede
giudiziale, contrariamente alla sede amministrativa, è ammissibile
la prova diversa da quella documentale (prevista dal 4° comma
dell'art. 13 legge n. 1338 del 1962), per dimostrare «la effettiva
esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonché la misura
della retribuzione corrisposta al lavoratore interessato ». Peral
tro, ha soggiunto la corte territoriale, la valutazione della prova non può non essere rigorosa, avuto riguardo alla finalità della
legge di evitare frodi ai danni dell'I.n.p.s., per un verso, e di ri
costruire la riserva matematica su cui calcolare la rendita. Nella
specie le generiche disposizioni dei testi erano state esattamente
ritenute insufficienti dal primo giudice e non colmabili utilizzan
do le tabelle sindacali dell'epoca che non avrebbero dato la di
mostrazione della retribuzione effettivamente corrisposta al la
voratore.
Avverso questa sentenza il Lotto ricorre per cassazione, dedu
cendo un unico motivo. L'I.n.p.s. resiste con controricorso.
Diritto. — Con l'unico complesso motivo il ricorrente deduce
e sostiene sotto i profili sia della violazione di legge (art. 13 legge 12 agosto 1962 n. 1338, 421 e 437 cod. proc. civ.) sia della omes
sa, insufficiente motivazione: che a fronte della insufficiente pro va della pretesa attorea il giudice del merito avrebbe dovuto usa
re dei particolari poteri istruttori concessigli nelle controversie di
lavoro, ad esempio, ammettendo giuramento suppletorio, o infor
mazioni al ministero di tabelle salariali sullo ammontare della
retribuzione, o informazioni su di essa alle associazioni sindacali
a norma dell'art. 421 cod. proc. civ., e comunque presumere l'am
montare della retribuzione; che, a fronte della deposizione dei
testi Canova Antonio e Scamperla, la impugnata sentenza non
avrebbe dato sufficiente motivazione.
Il resistente ripropone la questione, già prospettata nei gradi di merito, circa l'inammissibilità di prove diverse da quella do
cumentale per dimostrare anche in giudizio la sussistenza e la
durata del rapporto di lavoro e la misura della retribuzione cor
risposta al lavoratore.
La tesi è infondata. È esatto che l'art. 13 legge n. 1338 del 1962, nel disciplinare l'esercizio della facoltà del datore di lavoro (4°
comma) e del lavoratore (5° comma) per la costituzione della ren
dita, quanto alla forma ed al contenuto della prova, non distin
gue fra i due titolari. Infatti, nel 4° comma dispone che « il da
tore è ammesso ad esercitare la facoltà... su esibizione all'l.n.p.s. di documenti di data certa, dai quali possano evincersi la effet
tiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonché la mi
sura della retribuzione corrisposta al datore di lavoro». Il 5°
comma subordina l'esercizio della stessa facoltà alla condizione
che « il lavoratore fornisca all'l.n.p.s. le prove del rapporto di la
voro e della retribuzione indicate nel comma precedente », evi
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