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sezione I civile; sentenza 11 ottobre 1994, n. 8288; Pres. Beneforti, Est. Nardino, P.M. Amirante...

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sezione I civile; sentenza 11 ottobre 1994, n. 8288; Pres. Beneforti, Est. Nardino, P.M. Amirante (concl. conf.); Di Filippo (Avv. Vitucci, Ruperto) c. Paoletta (Avv. Teresi). Cassa App. Roma 23 aprile 1990 Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 6 (GIUGNO 1995), pp. 1913/1914-1917/1918 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188935 . Accessed: 28/06/2014 07:39 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.21 on Sat, 28 Jun 2014 07:39:54 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 11 ottobre 1994, n. 8288; Pres. Beneforti, Est. Nardino, P.M.Amirante (concl. conf.); Di Filippo (Avv. Vitucci, Ruperto) c. Paoletta (Avv. Teresi). Cassa App.Roma 23 aprile 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 6 (GIUGNO 1995), pp. 1913/1914-1917/1918Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188935 .

Accessed: 28/06/2014 07:39

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

stesso non assume carattere di anomalia significativa. Né la sus

sistenza di debiti pregressi, è necessariamente indice, come la

ricorrente vorrebbe, di una situazione di irreversibile liquidità in atto da parte dell'appaltatore.

D'altronde, non può non rilevarsi che i giudici del merito

hanno sempre correttamente escluso la ricorrenza di comporta menti dolosi da parte della s.p.a. Merolla con un apprezzamen to di fatto incensurabile in questa sede e sulla quale il vizio

eventualmente deducibile sarebbe quello motivazionale (non de

dotto nella specie), non già la violazione di legge. III. - Con il terzo mezzo la ricorrente deduce la violazione

e la falsa applicazione dell'art. 1439 c.c. in relazione all'art.

1413 c.c. e 360, n. 3, c.p.c., dolendosi del fatto che la corte

del merito abbia ipotizzato, ai fini della individuazione della fattispecie del dolo determinante, come necessaria la dimostra

zione, oltre che del comportamento malizioso, anche la parteci

pazione dello stesso comune, partecipazione non necessaria, stante

la configurazione del negozio come contratto a favore di terzo.

IV. - Con il quarto mezzo la ricorrente deduce la violazione

e la falsa applicazione dell'art. 1439 c.c. in relazione all'art.

360, n. 3, c.p.c., oltre alla contraddittorietà di motivazione in

relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., dolendosi del fatto che la

corte napoletana, confermando sul punto la sentenza del tribu

nale, abbia escluso il dolo omissivo per non essersi la Sic preoc

cupata di chiedere all'impresa Merolla informazioni circa prece

denti sue esposizioni debitorie.

Siffatta omissione non è in rapporto di causalità diretta con

la reticenza, sul punto, della ditta obbligata. La assicuratrice-garante, poteva fare ben affidamento sulla

preventiva selezione effettuata dall'ente pubblico appaltante spe

cie, in un caso come quello di specie, di aggiudicazione a segui

to di gara esplorativa libera nella quale, secondo un criterio

di notoria esperienza, si aveva il diritto di presumere che la

selezione operata attraverso la gara dall'ente pubblico, garantis

se la non distrazione di una solvibilità assicurata dall'ente pub

blico attraverso il meccanismo dell'anticipazione.

Proprio l'anomalia della preventiva destinazione dell'antici

pazione, non al suo fine istituzionale, ma alla finalità di siste

mare passività pregresse, avrebbe inciso nella normalità del rap

porto inducendo la Sic ad effettuare opportune indagini.

I due mezzi di cassazione meritano una trattazione congiun

ta, essendo entrambi connessi alla posizione assunta in relazio

ne al secondo motivo.

Sotto il primo profilo si censura la sentenza della corte di

Napoli laddove, dopo avere rilevato che l'appellante Sic non

aveva provato, né aveva dedotto, che l'impresa Merolla aveva

posto in essere un comportamento fraudolento, aveva aggiunto

l'inciso: «e meno che mai aveva provato la partecipazione del

comune alla presunta condotta fraudolenta».

Non può affatto dedursi da detto inciso, che assume un rilie

vo di completezza di argomentazione, che la corte del merito

avesse ritenuto necessaria la partecipazione del comune alla sup

posta condotta fraudolenta per potersi ad esso opporre l'annul

labilità del contratto. In effetti, l'inciso costituiva risposta ad

una censura della stessa appellante (terzo motivo di appello,

come esposta dalla corte di Napoli a p. 9 della sentenza), la

quale si era doluta del fatto che il tribunale non avesse ravvisa

to nel comportamento del comune il concorso nel supposto do

lo della società Merolla. Ma quand'anche quello indicato dalla

ricorrente fosse il significato dell'inciso, come tale violatore del

la disciplina dell'art. 1413 c.c. secondo cui, nei contratti a favo

re di terzo, il promittente può opporre al terzo le eccezioni fon

date sul contratto dal quale il terzo deriva il suo diritto (nella

specie, la polizza fideiussoria), non per questo il mezzo assume

rebbe autonomo rilievo, essendo esso dipendente dalla soluzio

ne accolta in relazione al secondo motivo. Il rigetto del secondo

motivo rende ininfluente la eventuale fondatezza del terzo.

Né magior concretezza deve riconoscersi alla situazione de

dotta sempre come quarto motivo.

Si tenga conto del fatto che con la polizza in discussione nella

presente causa, non doveva essere garantita l'eventuale restitu

zione dell'anticipazione fatta all'appaltatore (oggetto di distinta

causa), ma l'esatta esecuzione del contratto di appalto. Di con

seguenza, l'eventuale obbligo di informazione della s.p.a. Stelio

Merolla non riguardava direttamente l'impiego dato dall'appal

tatrice all'acconto ricevuto, ma sostanzialmente la sua situazio

ne economica in relazione alla possibilità di eseguire l'appalto,

Il Foro Italiano — 1995 — Parte /-34.

situazione di cui sarebbe stato indice il debito verso lo Isveimer.

Poiché la cessione del credito derivante dall'anticipazione e dal

l'esecuzione dell'appalto non era di per sé situazione denun

ciarne l'insolvenza dell'appaltatore, o la sua mala fede secondo

un apprezzamento coerente dei giudici del merito, e poiché, co

me già rilevato, la s.p.a. Sic non era esonerata dalla normale

prudenza nell'instaurazione di un rapporto di garanzia, l'even

tuale insolvenza dell'appaltatrice, se già sussistente al momento

della stipulazione del contratto, era situazione della cui cono

scenza la concedente la garanzia avrebbe dovuto preoccuparsi. La mancata attivazione in tale senso da parte dell'attuale ri

corrente, come situazione coerente alla normalità dei rapporti

finanziari, e la già ricordata incoerenza dell'affidamento su si

tuazioni estrinseche (l'essere la soc. Merolla vincitrice di un ap

palto pubblico), sono situazioni atte a scindere il rapporto cau

sale tra la condotta suppostamente doverosa da parte della soc.

Merolla e quella, rientrante nella normalità dei rapporti finan

ziari e di garanzia, da parte della garante. Se la Sic si fosse attivata per conoscere la situazione finanzia

ria della parte con cui stava trattando la concessione della fi

deiussione, essa avrebbe potuto assumere quelle situazioni valu

tative atte a consentirle di apprezzare, con piena cognizione di

causa, le situazioni di rischio del rapporto che stava per instau

rare, sempre che situazioni anomale di rischio in allora già sus

sistessero.

L'apprezzamento sul punto della corte del merito, coerente

e logico, non è suscettivo della doglianza in esame. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 11 otto

bre 1994, n. 8288; Pres. Beneforti, Est. Nardino, P.M. Ami

rante (conci, conf.); Di Filippo (Aw. Vrrucci, Ruperto)

c. Paoletta (Aw. Teresi). Cassa App. Roma 23 aprile 1990.

Matrimonio — Divorzio — Assegno — Decorrenza dalla do

manda — Condizioni (L. 1° dicembre 1970 n. 898, disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, art. 4; 1. 6 marzo

1987 n. 74, nuove norme sulla disciplina dei casi di sciogli

mento del matrimonio, art. 8).

L'obbligo di corrispondere l'assegno divorzile può decorrere dalla

data della domanda relativa all'assegno stesso non solo quan do ci sia stata una sentenza non definitiva sul divorzio, ma

anche qualora una stessa sentenza abbia provveduto tanto sulla

domanda di divorzio, quanto su quella relativa all'assegno. (1)

(1) In senso conforme Cass. 23 luglio 1990, n. 7458 (Foro it., 1991,

I, 144, con nota di Cipriani), a cui dire la presenza di una sentenza

non definitiva di divorzio è circostanza accidentale ed estrinseca, che

non può condizionare la soluzione sulla decorrenza dell'assegno senza

creare un problema di legittimità costituzionale della norma con riferi

mento all'art. 3 Cost.; inoltre, la Cassazione, in conformità sul punto alla sentenza in epigrafe, ritiene non necessaria una apposita domanda

di parte circa la decorrenza dell'assegno. Negli stessi termini anche Cass.

5 novembre 1992, n. 11978, id., 1993, I, 1123, con nota di Quadri, Ancora sulla decorrenza dell'assegno di divorzio, che specifica come

la decorrenza dalla domanda sia un temperamento al principio generale

di decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio e

si pronuncia per incidens sulla natura anche risarcitoria e non solo assi

stenziale dell'assegno divorzile. Da Cass. 29 maggio 1993, n. 6049, id.,

Rep. 1993, voce Matrimonio, n. 178, e Dir. famiglia, 1994, 855, la

decorrenza dell'assegno dalla domanda è ritenuta, invece, una deroga al principio generale di decorrenza dalla sentenza di divorzio, costituti

va del nuovo status dei coniugi: la decisione sulla non retroattività del

l'assegno significa che il giudice ha ritenuto opportuno conservare il

regime della separazione per tutta la durata del processo sul divorzio.

In senso contrario si era pronunciata Cass. 26 febbraio 1988, n. 2039,

Foro it., Rep. 1988, voce cit., nn. 177, 185, per la quale l'assegno deve

decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio anche

quando la statuizione sull'assegno sia successiva alla stessa: ma il giudi

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1915 PARTE PRIMA 1916

Svolgimento del processo. — Con sentenza del 28 gennaio 1989 il Tribunale di Roma dichiarò la cessazione degli effetti

civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso cele

brato il 13 maggio 1979 tra Rinaldo Guido Di Filippo e Titina Paoletta e determinò in lire 200.000 mensili, rivalutabili annual mente in base agli indici Istat, l'assegno di divorzio in favore

della Paoletta.

Contro tale decisione propose appello il Di Filippo, chieden

do di essere esonerato dall'obbligo di corrispondere l'assegno all'ex coniuge.

Anche la Paoletta impugnò in via incidentale la predetta sen

tenza al fine di ottonere la condanna del Di Filippo alla corre

sponsione dell'assegno dalla data della domanda giudiziale, an

ziché da quella del passaggio in giudicto della sentenza stessa.

ce dovrà prendere in considerazione, al fine della quantificazione del

l'assegno, gli anni decorsi tra una pronuncia e l'altra (la sentenza risol ve il problema, di ius superveniens, derivante dall'entrata in vigore del la 1. 74/87 nel senso dell'immediata applicabilità della stessa nei giudizi in corso). Contraria anche Cass. 26 gennaio 1990, n. 475, id., Rep. 1990, voce cit., n. 183, per la quale è irrilevante, e non deducibile in sede di ricorso in Cassazione, l'omessa indicazione nella sentenza circa la decorrenza dell'assegno, essendo questa fissata ex lege al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, salvo il caso eccezionale dell'art.

4, 10° comma, 1. 898/70, come modificata dalla 1. 74/87. È possibile individuare un'indicazione in senso contrario anche nella motivazione di Cass. 18 aprile 1991, n. 4193, id., 1991, I, 2046: occupandosi di

questione diversa, essa trae argomento dall'art. 4, 10° comma, il quale, facendo decorrere l'assegno divorzile dalla domanda, salda gli effetti della condanna all'assegno con i provvedimenti presidenziali di cui all'80 comma dello stesso articolo, «pur con la limitazione costituita dall'esi stenza di una sentenza non definitiva di divorzio».

Contro Cass. 7458/90 si è registrata una levata di scudi da parte della dottrina. Fortemente critico Cipriani, Sulla decorrenza dell'asse

gno di divorzio dalla domanda, id., 1991, I, 144: la Cassazione non avrebbe scelto tra due interpretazioni della stessa norma, ma avrebbe fatto dire alla legge quello ch'essa non dice, per salvarne la legittimità costituzionale; invece, l'unica soluzione sarebbe rimettere la norma alla Corte costituzionale, per l'eliminazione del 10° comma dell'art. 4; l'a.

sottolinea, tra l'altro, come non si possano far decorrere gli effetti del divorzio da un momento in cui il divorzio non c'è. Nello stesso senso, Quadri, in Nuova giur. civ., 1991, I, 247, per il quale, visto che il

legislatore avrebbe potuto far decorrere in ogni caso l'assegno divorzile dalla domanda, ma non ha ritenuto opportuno farlo, non può spingersi a tanto il giudice, anche perché ciò costituirebbe violazione del princi pio per cui le conseguenze di una sentenza costitutiva decorrono dalla sentenza medesima. Contrario anche Russo, La decorrenza dell'assegno di divorzio: una norma ... in attesa di spiegazione, in Dir. famiglia, 1991, 504, per il quale la soluzione più logica sarebbe far decorrere

l'assegno dal deposito della sentenza di divorzio, vista la provvisoria esecutività delle statuizioni patrimoniali sul divorzio; quella dell'art. 4, 10° comma, è una facoltà eccezionale, esercitabile solo nei casi espres samente previsti ex lege, data al giudice per tutelare il beneficiario del

l'assegno da eventuali comportamenti dilatori del coniuge obbligato. Sperando in un ripensamento della Cassazione, Quadri, in nota a Cass.

11978/92, Ancora sulla decorrenza, cit., insiste sull'incotistituzionalità della norma che, dando al giudice un potere discrezionale, senza speci ficarne le condizioni, configura un'ipotesi di mero arbitrio.

A favore dell'orientamento di Cass. 7458/90 è Catalano, in Corrie re giur., 1990, 1269, che porta a sostegno della tesi il principio per cui la durata del processo non può andare a danno dell'attore che ha

ragione. Su un punto è concorde tutta la dottrina: la necessità di un'ap posita domanda della parte circa la decorrenza dell'assegno dalla domanda.

Per quanto riguarda la natura dell'assegno, Cass., sez. un., 29 no vembre 1990, n. 11490, Foro it., 1991, I, 67, con commento di Carbo ne e Quadri, risolve il problema a favore della natura assistenziale, identificando lo stato di bisogno del coniuge nella sua inidoneità a man tenere il livello di vita matrimoniale a seguito del divorzio. Secondo

Martucci, in nota a Cass. 7458/90, in Giur. it., 1990, I, 1, 1050, tale natura dell'assegno, che trova fonte nel nuovo status dei coniugi deri vante dal divorzio, entra in contraddizione con la decorrenza dello stes so dal momento della domanda. Dalla natura assistenziale dell'assegno, inoltre, deriva la sua indisponibilità: cfr. Cass. 6 dicembre 1991, n.

13128, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 181, e Giust. civ., 1992, I, 1239, con nota di Cavallo.

Infine, in merito al problema della decorrenza dell'assegno di separa zione, da ultimo, Cass. 8 gennaio 1994, n. 147, Giur. it., 1994, I, 1, 844, per la quale l'assegno di separazione decorre sempre dalla doman

da, in ottemperanza al principio per cui un diritto non può essere pre giudicato dal tempo necessario per farlo valere, a differenza di quello di divorzio, che decorre dalla sentenza di divorzio, perché ha titolo in essa.

Il Foro Italiano — 1995.

La Corte d'appello di Roma rigettò entrambe le impugnazio

ni, osservando: — che dalla prova testimoniale espletata in prime cure era

risultato che la Paoletta non svolgeva alcuna attività lavorativa,

pur se probabilmente, ma non certo con continuità, faceva «qual che lavoretto da sarta, recandosi al domicilio di qualche cliente»;

— che le esibite certificazioni medico-specialistiche dimostra

vano che la medesima Paoletta soffriva di eczema cronico da

contatto ad entrambe le mani, che le impediva di svolgere con

continuità il suo lavoro di sarta, nonostante l'uso di guanti di

cotone; — che il Di Filippo, pur non svolgendo più un lavoro dipen

dente, era tuttavia in grado di dedicarsi — ed in concreto, per sua stessa ammissione, attendeva — «ad altri lavori autonomi, come quello di autista . . .»;

— che non poteva, pertanto, negarsi il diritto della Paoletta

all'assegno divorzile, per la cui quantificazione («di gran lunga al di sotto del minimo indispensabile per la sopravvivenza») il

tribunale aveva tenuto conto non solo della possibilità, per la

beneficiaria, di integrare l'importo di lire 200.000 mensili con il compenso di «qualche piccolo lavoro», ma anche della breve

durata del matrimonio nonché della «mancanza di apporti per sonali ed economici, da parte della donna, alla conduzione fa

miliare ed alla formazione del patrimonio comune»; — che era infondata la doglianza della Paoletti in ordine alla

decorrenza dell'assegno, trovando questo la sua causa «nel nuovo

status di coniugi divorziati che i soggetti acquisiscono a seguito della . . . sentenza» di divorzio, sicché è dalla data di passaggio in giudicato di tale pronuncia — di natura costitutiva — che

deve farsi decorrere la corresponsione dell'assegno stesso.

Per la cassazione della suindicata sentenza, depositata il 23

aprile 1990, Rinaldo Guido Di Filippo ha proposto ricorso a

questa corte affidato ad un unico motivo di censura. Titina Pao

letta ha resistito con controricorso, con il quale ha impugnato in via incidentale la predetta sentenza. Il Di Filippo ha deposi tato controricorso volto a contrastare l'impugnazione incidentale.

Motivi della decisione. — I ricorsi proposti contro la medesi

ma sentenza vanno riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c.

A) Ricorso principale. Il Di Filippo, denunciando violazione

e falsa applicazione dell'art. 5 1. 1° dicembre 1970 n. 898 (nel testo modificato dalla 1. 6 marzo 1987 n. 74) nonché dell'art.

115 c.p.c. e vizi di motivazione su punti decisivi della contro

versia, censura l'impugnata sentenza per avere affermato, senza

una coerente motivazione, l'«impossibilità oggettiva», per la Pao

letta, di procurarsi mezzi adeguati di sostentamento mediante

l'esercizio della propria attività lavorativa di sarta e per avere

«compendiato la ragione del decidere» in una astratta «massi

ma di esperienza» secondo la quale «chiunque soffra di eczema

cronico» da contatto ad entrambe le mani non è in grado, per

ragioni oggettive, di procurarsi un reddito adeguato «nel senso

e per l'effetto dell'art. 5» sopra menzionato.

Lamenta inoltre il ricorrente che la corte d'appello, oltre ad

avere omesso l'accertamento in concreto della predetta circo

stanza, non abbia considerato che l'eczema potrebbe «al massi

mo impedire lo svolgimento continuativo del lavoro di sarta, . . . non già l'esercizio di qualsiasi attività produttiva, esercizio

doveroso per ogni cittadino».

Il ricorso è privo di fondamento. I giudici di appello hanno

posto a fondamento della loro pronuncia l'esatto principio di

diritto, richiamato anche dal ricorrente principale, secondo cui, a seguito delle modifiche apportate dall'art. 10 1. 74/87 all'art.

5, 4° comma, 1. 898/70, «l'obbligo per un coniuge di sommini

strare periodicamente a favore dell'altro un assegno sorge solo

quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non

può procurarseli per ragioni obiettive».

Sulla base di tale premessa gli stessi giudici, lungi dall'enun

ciare una «massima di esperienza generale ed astratta» (sulla

quale vanamente si diffonde il Di Filippo), hanno accertato in

concreto, con riferimento a specifiche circostanze di fatto so

stanzialmente non contestate, che la Paoletta non lavora, se non

in forma occasionale e sporadica come sarta a domicilio, né

è in grado di svolgere un'attività lavorativa continuativa e più redditizia, perché affetta da eczema cronico da contatto ad en

trambe le mani, che ostacola gravemente l'esercizio di detto la

voro, nonostante l'uso di guanti di cotone.

Coerente con tale accertamento è la conclusione che la Pao

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

letta versa nella impossibilità oggettiva di procurarsi mezzi ade

guati, tali non essendo — secondo l'insindacabile apprezzamen to della Corte del merito — i modesti e sporadici compensi de

rivanti dallo svolgimento di «qualche lavoretto da sarta». Non

è, di conseguenza, censurabile l'affermazione dell'obbligo del

Di Filippo di corrispondere alla ex coniuge un assegno, per la

cui determinazione («di gran lunga al di sotto del minimo indi

spensabile per la sopravvivenza») la stessa corte ha tenuto con

to di tutte le circostanze rilevanti, ed in particolare della mode

sta condizione economica dell'obbligato (titolare di una rendita

Inail ed esercente in forma autonoma l'attività di autista) non

ché degli occasionali compensi che la Paoletta è tuttora in gra do di conseguire mediante l'impiego della sua residua capacità

lavorativa.

In definitiva, non sono ravvisabili nella sentenza in esame

né gli errori giuridici infondatamente denunciati né alcun vizio

di motivazione, avendo i giudici di appello adeguatamente e

correttamente spiegato le ragioni e le fonti del loro convin

cimento.

Il ricorso principale va, pertanto, rigettato.

B) Ricorso incidentale. La sig. Paoletta deduce violazione degli

art. 4 e 5 1. 898/70, come modificati dalla 1. 74/87, nonché

dell'art. 445 c.c., dolendosi che la corte romana abbia fissato

la decorrenza dell'assegno divorzile dalla data di passaggio in

giudicato della sentenza di divorzio, anziché dalla data della

domanda, coerentemente alla natura assistenziale dell'assegno

stesso. In ogni caso — osserva la ricorrente incidentale — «il

richiamo al sorgere dello status di divorziati per la decorrenza

dell'assegno . . . poteva al limite indurre i giudici del merito

a far coincidere i due eventi ma non già a differire il secondo

a un tempo indeterminato . . .».

Il motivo di censura merita accoglimento. La corte d'appello

ha fondato la propria pronuncia sul punto in esame sul duplice

rilievo: a) che l'assegno divorzile «trova la sua causa nel nuovo

status di coniugi divorziati che i soggetti acquisiscono» a segui

to della sentenza di divorzio di «natura costitutiva»; b) che non

è applicabile nella specie l'art. 4, 10° comma, 1. 1° dicembre

1970 n. 898, come sostituito dall'art. 8 1. 6 marzo 1987 n. 74,

«avendo il legislatore subordinato la decorrenza degli effetti della

somministrazione dell'assegno fin dal momento della domanda

alla condizione che vi sia stata sentenza non definitiva di scio

glimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio».

Orbene, la seconda delle affermazioni sopra riferite, nella sua

assolutezza, contrasta con l'interpretazione delle norme sopra

menzionate ripetutamente accolta da questa corte, secondo la

quale il principio enunciato nell'art. 4, 10° comma, 1. 898/70,

come sostituito dall'art. 8 1. 74/87, ha una portata generale,

sicché il giudice del merito può far decorrere l'assegno di divor

zio, ove ne ricorrano le condizioni, dal momento della doman

da non solo nell'ipotesi, espressamente prevista, in cui il divor

zio sia stato pronunciato con sentenza non definitiva, ma anche

nel caso in cui con la medesima decisione sia stato dichiarato

10 scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimo

nio e sia stato condannato uno dei coniugi a corrispondere al

l'altro l'assegno di divorzio (cfr. Cass. 7458/90, Foro it., 1991,

I, 144; 11978/92, id., 1993, I, H23; 6049/93, id., Rep. 1993, voce Matrimonio, n. 178).

Si è puntualizzato al riguardo che, per ottenere la decorrenza

dell'assegno dalla data della domanda, non occorre una specifi

ca richiesta della parte in tal senso, essendo affidato al giudice

del merito il potere discrezionale di stabilire detta decorrenza

in esito all'esame ed alla valutazione delle circostanze del caso

concreto. E si è ulteriormente precisato che — fermo restando

11 principio generale secondo cui l'assegno di divorzio, trovando

la sua causa nel nuovo status di divorziati acquisito dalle parti,

decorre dalla data del passaggio in giudicato della relativa pro

nuncia — l'attribuzione al giudice del merito del suddetto pote

re discrezionale di anticipare alla data della domanda giudiziale

la decorrenza dell'assegno di divorzio costituisce un tempera

mento al principio sopra richiamato, che consente al giudice

di adeguare la propria statuizione a tal riguardo alla particolare

situazione di volta in volta accertata, senza essere vincolato,

per l'esercizio dell'anzidetto potere, all'esistenza di una senten

za non definitiva di divorzio.

Vero è che il giudice, ove ritenga di non avvalersi del potere

discrezionale in questione, non è obbligato a motivare tale scel

ta, dovendosi in tal caso ritenere che egli abbia ravvisato (impli

II Foro Italiano — 1995.

citamente) l'opportunità di conservare il regime economico del

la separazione per l'intera durata del processo di divorzio (cfr. Cass. 6049/93, cit.); ma tale rilievo non impedisce l'annulla

mento della sentenza in esame — sul punto che forma oggetto

dell'impugnazione incidentale — poiché la corte romana è in

corsa in errore di diritto per aver considerato la sentenza non

definitiva di divorzio condizione necessaria ed imprescindibile

per disporre la richiesta anticipazione dell'assegno, cosi ammet

tendo di non aver compiuto alcuna valutazione — neppure im

plicita — delle circostanze che avrebbero eventualmente consi

gliato l'adozione del più favorevole provvedimento invocato dalla

Paoletta.

Non è superfluo aggiungere che la statuizione censurata non

è, comunque, conforme a diritto, poiché la corte del merito

non sembra aver considerato che nella specie la pronuncia di

chiarativa della Cassazione degli effetti civili del matrimonio

tra le parti era già passata in giudicato alla data della proposi

zione dell'appello principale, che aveva unicamente ad oggetto la contestazione dell'obbligo del Di Filippo di corrispondere al

l'ex coniuge l'assegno di divorzio (mentre l'appello incidentale

della Paoletta verteva sulla decorrenza dell'assegno stesso). Di

questa circostanza, pertanto, i giudici di appello avrebbero do

vuto tener conto anche se avessero ritenuto (pur senza fornire

alcuna giustificazione al riguardo) di non derogare nel caso con

creto al criterio generale di decorrenza dell'assegno e di far coin

cidere la data di decorrenza con quella del passaggio in giudica

to della pronuncia di divorzio.

Per le esposte considerazioni l'impugnata sentenza va cassa

ta, limitatamente alla statuizione investita dall'appello inciden

tale, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d'appel lo di Roma, la quale riesaminerà la questione concernente la

decorrenza dell'assegno di divorzio, uniformandosi ai principi

di diritto innanzi enunciati.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 4 otto

bre 1994, n. 8077; Pres. Romagnoli, Est. Camuto, P.M. De

Nunzio (conci, diff.); Ducceschi (Aw. Ansaldi, Armillot

ta, Decimo) c. Soc. Marengo (Aw. Vacca). Cassa Trib. To

rino 7 novembre 1988.

Locazione — Legge 392/78 — Canone — Aumenti illegittimi — Azione di ripetizione — Termine semestrale di decadenza

— Sospensione feriale — Applicabilità (L. 7 ottobre 1969 n.

742, sospensione dei termini processuali nel periodo feriale,

art. 1; 1. 26 novembre 1969 n. 833, norme relative alle loca

zioni degli immobili urbani, art. 8; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 79).

Il termine di sei mesi entro il quale, a norma dell'art. 8 l. 833/69

frectius, art. 79, 2° comma, l. 392/78), il conduttore deve

proporre l'azione di ripetizione delle somme indebitamente

corrisposte al locatore in violazione dei divieti e dei limiti pre

visti dalla legge, decorre dalla riconsegna dell'immobile loca

to, consistente nel mettere a disposizione del locatore il bene

libero da persone e cose, e, avendo natura processuale, va

computato tenendo conto della sospensione dei termini in pe

riodo feriale, a norma della I. 742/69. (1)

(1) Circa il dies a quo del termine semestrale utile per la proposizione dell'azione di ripetizione di indebito da parte del conduttore, la pro nunzia (che deve correttamente leggersi come riferita non al previgente

art. 8 1. 833/69, ma al 2° comma dell'art. 79 1. 392/78, di identico

contenuto, sulla cui base era stata eccepita dal locatore convenuto la

improponibilità della domanda) conferma, sostanzialmente, un princi

pio già affermato da Cass. 20 febbraio 1993 n. 2071, Foro it., 1993,

1, 3305, con nota di D. Piombo.

La peculiarità della fattispecie qui esaminata sta nel fatto che il con

duttore, pur avendo consegnato al locatore un esemplare delle chiavi

dell'immobile, aveva continuato ad occuparlo con i propri mobili per

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