sezione I civile; sentenza 12 gennaio 1999, n. 244; Pres. Sgroi, Est. De Musis, P.M. Nardi (concl.diff.); Min. finanze c. Fall. soc. Sa.Pe. (Avv. Guizzetti, Longo). Cassa App. Brescia 12 febbraio1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 1929/1930-1935/1936Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193729 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sull'adozione dei minori firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967
e resa esecutiva in Italia con legge di ratifica 22 maggio 1974
n. 357, che all'art. 12 stabilisce che nessuna legge potrà impedi re a chicchessia di adottare, per il solo fatto di avere o di poter avere un figlio legittimo.
Secondo i giudici della costituzionalità delle leggi, non sussi
ste un motivo razionale per ritenere sufficientemente tutelata
la posizione del coniuge attraverso la previsione del suo assen
so, e per non disporre analogamente, in una situazione sostan
zialmente identica, rispetto ai discendenti legittimi o legittimati. Tali puntualizzazioni vanno prese in considerazione nel parti
colare caso dell'adozione di Enrico Maria Giarda. L'adottante
ha chiesto l'adozione al fine di assicurare legami più stabili tra
l'adottando ed i figli, nati in seconde nozze, nello specifico in
teresse di questi ultimi oltre che dell'adottando. Jacopo e Nico
le, anche se l'adozione costituisce un rapporto personale tra adot
tato ed adottante, beneficeranno dei riflessi morali, sociali ed
affettivi dell'intervenuto vincolo personale tra la loro madre e
gli altri figli del loro stesso padre, in quanto i rapporti derivanti
dall'adozione sono da porsi ad ogni effetto sullo stesso piano delle relazioni della famiglia biologica ove hanno importanza
preminente solo i vincoli personali ed affettivi.
La soluzione dei giudici a quo ha optato per una irrazionale
salvaguardia della famiglia legittima dell'adottante, tenuto pre sente lo scopo perseguito con l'adozione ed in virtù dell'assolu
ta mancanza di compressione dei diritti dei minori, oltre che
dello stridente ed evidente contrasto con una lettura costituzio
nalizzata della normativa. Nel caso di specie, nelle medesime
condizioni di fatto, emerge in maniera lampante la disparità di trattamento per ragioni di età in relazione alle due ipotesi di adozione tra entrambi i figli del primo matrimonio di Angelo Giarda: Enrico Maria nato nel 1975 e divenuto maggiorenne
all'epoca della domanda e Fabio Maria nato nel 1977 che all'e
poca della proposizione del ricorso risultava essere minorenne.
In tale situazione la ricorrente avrebbe potuto adottare Fabio
Maria — ancora minorenne all'epoca di presentazione del ricor
so per adozione di Enrico Maria — grazie all'art. 44, 1° com
ma, lett. ti), e 5° comma, 1. n. 184 così come modificato a
seguio della sentenza della Corte costituzionale n. 44 del 1990,
cit., ma consapevole dell'ingiusta disparità che si sarebbe venu
ta a creare tra i due fratelli, ancorché, entrambi figli della de
funta prima moglie del marito, non ha ritenuto di poter adotta
re l'uno senza l'altro e si è riservata di richiedere l'adozione
di Fabio Maria, che al momento della proposizione del ricorso
in primo grado era ancora minorenne, non appena si potrà ave
re la certezza che entrambi i figli potranno beneficiare dello
stesso provvedimento: non si vede, infatti, alcun ragionevole motivo per cui l'ordinamento non debba assicurare la stessa
tutela a due fratelli che hanno perduto la madre, mentre l'altro
genitore è il coniuge della ricorrente che intende adottarli.
La tutela di entrambi i fratelli, orfani della madre, appare meritevole di tutela a prescindere dal requisito dell'età, ed è
indispensabile equiparare il diritto degli orfani provenienti dalla
stessa famiglia, perché figli dello stesso padre a potersi inserire
in un nucleo familiare idoneo e stabile. Invece se si raffrontano
le discipline applicabili risulta che il figlio minorenne di un co
niuge può essere adottato dall'altro coniuge, anche quando non
sussistano i presupposti dell'adozione ed anche in presenza di
figli legittimi. Invece, nelle medesime condizioni di fatto, il fi
glio maggiorenne dell'altro coniuge non può essere adottato dalla
stessa persona, dando luogo ad un'ingiustificata irragionevole
disparità. Nella sentenza n. 44 del 1990, cit., la stessa Corte costituzio
nale ha ritenuto, invece, fondata con riferimento all'art. 30,
1° e 3° comma, Cost., l'illegittimità costituzionale dell'art. 44,
5° comma, 1. 4 maggio 1983 n. 184 (disciplina dell'adozione
e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui, limitatamente
al disposto della lett. ti) del 1 ° comma, non consente al giudice
competente di ridurre, quando sussistano validi motivi per la
realizzazione dell'unità familiare, l'intervallo di età di diciotto anni. Quello che conta, secondo i giudici della legittimità delle
leggi, è il valore complessivamente riconosciuto all'unità della
famiglia anche se in relazione alla particolare specie di adozione
prevista sub ti), dal 1° comma dell'art. 44, con cui il coniuge
adotta il minore figlio anche adottivo dell'altro coniuge, è ispi
rata all'unità familiare. Senza lo strumento dell'adozione così
impiegato, malgrado la coppia genitoriale sia legata al matti
li. Foro Italiano — 1999.
monio, la prole, figlia di primo letto e rimasta orfana della
madre, se non adottata dal nuovo coniuge resterebbe estranea
all'altro coniuge, ed inoltre vivrebbe il disagio sociale della ma
nifesta diversità di origine con possibili disarmonie nella forma
zione psicologica e morale. Il ricorso all'adozione ex art. 44, 1° comma, lett. b), evitando le conseguenze dello scenario de
scritto, agevola una più compiuta unione della coppia e della
prole. La ratio di queste considerazioni non muta se uno dei due
fratelli da adottare sia divenuto da poco maggiorenne e se il
divario di età tra adottando e adottante resti pur sempre nel
l'ambito dell'imitatio naturae. Infatti, il non raggiunto divario
d'età dei diciotto anni tra il coniuge adottante e il minore adot
tando, non può essere considerato in ogni caso inderogabile,
perché altrimenti la realizzazione del valore costituzionale del
l'unità della famiglia potrebbe risultarne compromessa. Affin
ché la norma impugnata non risulti in contrasto con l'art. 30, 1° e 3° comma, Cost., limitatamente all'ipotesi di cui alla lett.
b) dell'art. 44, 1° comma, 1. n. 184 del 1983, il giudice compe
tente, previo attento esame delle circostanze del caso, al fine
di corrispondere all'indicato preminente valore etico-sociale scol
pito in Costituzione, può accordare una ragionevole riduzione
del termine di diciotto anni.
L'esigenza, oggi molto più diffusa che in passato, di favorire
le adozioni da parte del coniuge del genitore va pienamente ri
conosciuta, rispondendo a situazioni che si verificano sempre
più spesso, anche in forza del diffondersi del divorzio. Mentre
prima poteva verificarsi solo nell'ipotesi del coniuge superstite con figli piccoli che contraeva un nuovo matrimonio, come nel
caso di specie, con il divorzio sempre più si fa sentire l'esigenza di rinsaldare la formazione di nuove famiglie, già dotate di figli
per lo più minori, nati da un precedente matrimonio. Per cui
anche in mancanza di un rapporto parentale tra la vecchia fa
miglia ed il nuovo coniuge esiste tuttavia una situazione di forte
convivenza, accresciuta dall'arrivo di nuova prole frutto del se
condo matrimonio, e la presenza qualificata del nuovo coniuge
può dispiegare un rapporto valido e proficuo anche con i figli nati dal primo matrimonio e non ancora autosufficienti, senza
distinguere tra maggiorenni e minorenni.
Alla stregua delle esposte considerazioni, il primo motivo del
ricorso merita accoglimento con conseguente assorbimento de
gli altri due. La decisione va pertanto cassata e le parti rimesse
innanzi alla Corte d'appello di Milano.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 12 gen naio 1999, n. 244; Pres. Sgroi, Est. De Musis, P.M. Nardi
(conci, diff.); Min. finanze c. Fall. soc. Sa.Pe. (Avv. Guiz
zetti, Longo). Cassa App. Brescia 12 febbraio 1996.
Fallimento — Accertamento del passivo — Privilegio speciale — Ammissibilità — Limiti (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disci plina del fallimento, art. 52, 93, 95).
Fallimento — Insinuazione tardiva — Privilegio speciale su be
ne da recuperare — Rinuncia del curatore ad apprendere il
bene contro corrispettivo — Domanda di privilegio sulla som
ma ricavata — Novità — Esclusione (Cod. civ., art. 2772;
cod. proc. civ., art. 345; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 101).
Va negata l'ammissione al rango privilegiato di un credito assi
stito da privilegio speciale se risulta assolutamente certo già
al momento della verifica dei crediti che il bene oggetto del
privilegio, non acquisito alla massa, non potrà esserlo nem
meno in futuro. (1)
(1) La questione della collocazione dei crediti assistiti da privilegio
speciale è problema assai frequente nella fase della formazione dello
stato passivo fallimentare, ove accade sovente che il bene o i beni og
getto del privilegio non siano rinvenibili tra quelli appresi alla massa.
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1931 PARTE PRIMA 1932
Proposta dichiarazione tardiva di credito assistito da privilegio spe
ciale (nella specie, privilegio Invim) su un bene da recuperare
alla procedura, non costituisce domanda nuova quella diretta
a far valere il detto privilegio, anziché sul bene, sulla somma
ricavata dal curatore in via transattiva (senza novazione del rap
porto), contro rinuncia ad apprendere quel bene alla massa. (2)
Svolgimento del processo. — L'amministrazione finanziaria
chiese l'ammissione (tardiva) in via privilegiata, al passivo del
Il problema, in particolare, è valutare se ed entro quali limiti un simile
credito possa o debba essere ammesso comunque al rango privilegiato, rinviandosi la questione attinente all'esistenza del bene alla fase del ri
parto, ovvero debba essere collocato al chirografo, dovendosi valutare
sin dalla fase della verifica la questione relativa all'esistenza del bene.
Entrambe le opinioni sono state rappresentate in giurisprudenza, an
che se, va avvertito, la lettura dei precedenti che si rinvengono suggeri sce di valutare con estrema attenzione se le singole decisioni (almeno le più recenti) abbiano accolto l'una piuttosto che l'altra impostazione.
La sentenza qui riportata, anzitutto, si astiene espressamente dall'af
frontare la tematica, ma pare aderire all'orientamento che rimette la
valutazione in questione al giudice della verifica là dove afferma che
il privilegio va senz'altro escluso se risulta assolutamente certo che il
bene non sarà acquisito alla massa, neppure in futuro; e la circostanza
sembra poi trovare conferma nel fatto che, nel caso di specie, il credito, insinuato in via tardiva, viene ammesso al rango privilegiato in un mo
mento in cui il (controvalore del) bene risulta ormai acquisito alla mas
sa. Dubbi maggiori suscita la lettura di Cass. 1° giugno 1995, n. 6149
(Foro it., Rep. 1995, voce Fallimento, n. 543, e Giust. civ., 1995, I,
2669), che definisce «validi e condivisibili» i principi espressi dal ricor
rente, che affermava che la constatazione della sussistenza dei beni sa
rebbe dovuta essere questione «di riparto», e ritiene che il credito possa essere collocato al rango chirografario sin dalla fase della verifica solo
se il privilegio sia privo di contenuto ab origine, per la non individuabi
lità del bene già al momento del sorgere del credito; mentre Cass. 2
febbraio 1995, n. 1227 (Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 547, e Falli
mento, 1995, 1008), pare dapprima orientata senz'altro nel senso della
valutazione al momento della verifica, affermandosi che in caso di «man
cato reperimento» del bene non v'è privilegio, ma afferma in seguito di condividere quanto espresso nella precedente Cass. 13 novembre 1992, n. 12207 (Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 443, e Fallimento, 1993,
500), che enuncia lo stesso principio di Cass. 6149/95, cit., ed afferma
che se il privilegio speciale grava su di un credito del fallito, l'ammis
sione al rango privilegiato non è impedita dalla non ancora avvenuta
riscossione del credito, rilevando questa circostanza in sede di riparto
poiché essa incide esclusivamente sulla capienza del credito ammesso.
Né maggior chiarezza si riscontra in Cass. 18 giugno 1982, n. 3728
(Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 400), immediato precedente di legitti mità di Cass. 12207/92, cit., che afferma espressamente che nella fase
di verifica del passivo il giudice delegato deve limitarsi ad accertare
l'esistenza del credito e delle cause di prelazione, senza dover procedere ad ulteriori indagini circa la concreta esperibilità di queste ultime, ma
in un caso nel quale il bene oggetto del privilegio risultava recuperabile con un'azione revocatoria. Paiono invece collocarsi senz'altro nel senso
della necessità della valutazione in sede di verifica, Cass. 15 novembre
1976, n. 4218, id., Rep. 1977, voce cit., n. 400; 25 luglio 1975, n. 2901,
id., Rep. 1976, voce Privilegio, n. 11; 20 marzo 1972, n. 843, id., Rep.
1972, voce Fallimento, n. 432. Tutte le decisioni qui citate, peraltro, paiono ammettere più o meno
implicitamente che il credito possa essere ammesso al passivo al rango
privilegiato quando il bene su cui il privilegio grava, pur non presente nel patrimonio fallimentare al momento della verifica, possa esservi re
cuperato per mezzo dell'esperimento delle opportune azioni giudiziarie.
Quanto alla giurisprudenza di merito, nel senso della necessità della
valutazione sulla sussistenza del bene in sede di verifica, v. Trib. Cata
nia 18 marzo 1993, id., Rep. 1994, voce cit., n. 520; Trib. Ancona
11 novembre 1992, id., Rep. 1993, voce cit., n. 445; Trib. Torino 10
gennaio 1991, id., Rep. 1991, voce cit., n. 473; Trib. Milano 20 settem
bre 1990, ibid., n. 474; Trib. Belluno 24 gennaio 1990, id., 1991, I,
932, in motivazione; Trib. Ragusa 13 gennaio 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 472; Trib. Ancona 11 marzo 1987, id., Rep. 1987, voce
cit., n. 478; Trib. Milano 16 ottobre 1986, ibid., n. 479; Trib. Bologna 27 settembre 1984, id., Rep. 1986, voce cit., n. 489; Trib. Milano 20
settembre 1984, id., Rep. 1985, voce Liquidazione coatta amministrati
va, n. 128; Trib. Firenze 15 luglio 1980, id., Rep. 1980, voce Fallimen
to, n. 400; Trib. Modena 3 marzo 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n.
379; Trib. Torino 2 agosto 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 397; Trib.
Milano 20 gennaio 1977, id., Rep. 1977, voce cit., n. 402; Trib. Caglia ri 14 dicembre 1976, ibid., n. 413; Trib. Milano 11 ottobre 1976, ibid., n. 404; App. Milano 15 gennaio 1974, id., Rep. 1974, voce cit., n.
476; App. Ancona 31 ottobre 1972, ibid., n. 479. Nel senso della spet tanza della detta valutazione al giudice del riparto, invece, paiono Trib.
Milano 3 febbraio 1994, id., Rep. 1994, voce cit., n. 529, sebbene an
ch'essa in un caso nel quale il bene andava recuperato; Trib. Trieste
Il Foro Italiano — 1999.
fallimento della s.n.c. Sa.Pe. di Pietro Savatarelli, di credito
per Invim; il curatore replicò che il privilegio era inammissibile
perché anteriormente al fallimento l'immobile in correlazione
al quale il credito ed il relativo privilegio erano sorti era stato
alienato.
Il Tribunale di Bergamo negò il privilegio rilevando che l'im
mobile era stato alienato e che nel frattempo il fallimento aveva
stipulato transazione con la quale aveva rinunziato (a domande
intese) all'acquisizione del bene alla massa.
7 novembre 1989, id., Rep. 1990, voce cit., n. 472; Trib. Napoli 17
marzo 1988, ibid., n. 473; Trib. Savona 21 dicembre 1961, id., Rep.
1963, voce cit., n. 463.
Chi ritiene che la sussistenza dei beni oggetto della prelazione sia
questione da affrontare in sede di accertamento del passivo, si interroga
poi sulle conseguenze che, in caso di ammissione al rango chirografa
rio, deriverebbero dalla successiva apprensione del bene alla massa; ed
anche a questo proposito, occorre registrare non poche diversità di opi
nioni, alcune delle quali destano non poche perplessità: secondo Trib.
Catania 18 marzo 1993, cit., la prelazione, per quanto non riconosciuta
in sede di verifica, sarebbe comunque opponibile alla massa, a nulla
rilevando il c.d. «giudicato endofallimentare» sceso sulla decisione sul
credito; per Trib. Ancona 11 novembre 1992, cit.; 11 marzo 1987, cit.; Trib. Firenze 15 luglio 1980, cit.; Trib. Torino 2 agosto 1979, cit., e
App. Milano 15 gennaio 1974, cit., invece, sarebbe possibile proporre dichiarazione tardiva al fine di ottenere il riconoscimento della prela
zione, malgrado il formarsi del giudicato sul credito; secondo Trib. To
rino 10 gennaio 1991, cit., poi, il rimedio sarebbe l'attacco dello stato
passivo, se ancora possibile, salva comunque la possibilità di esperire azione di danno nei confronti del curatore, ove ne sussistano i presup
posti; opinione, quest'ultima, condivisa anche da Trib. Milano 20 set
tembre 1990, cit.; 16 ottobre 1986, cit., e 20 settembre 1984, cit.; men
tre per Trib. Ragusa 13 gennaio 1988, cit., infine, la decisione sul credi
to andrebbe intesa alla luce del caso di specie, e in sede di riparto la
prelazione potrebbe esser fatta valere perché implicitamente riconosciu
ta nella decisione presa in sede di verifica.
In dottrina, v. Lo Cascio, Il credito per Iva di rivalsa del professio nista ed il privilegio che lo assiste, in Giust. civ., 1993, I, 963; Lugaro, Ancora sull'ammissione al passivo dei crediti assistiti da privilegio spe
ciale, in Fallimento, 1983, 78; Ruggeri, Necessità della sussistenza al
l'attivo fallimentare dei beni oggetto di privilegio speciale, id., 1991,
742; Di Cataldo, Fallimento e credito con garanzia su beni di terzi, in Giur. comm., 1989, II, 288.
Sul connesso tema dell'onere della prova dell'esistenza del privilegio e dei beni sui quali può esercitarsi, v., oltre ai precedenti già citati, Cass. 3 dicembre 1996, n. 10786, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 489.
(2) Non si rinvengono precedenti negli esatti termini.
Sul tema della novità della domanda, enuncia un principio sostan
zialmente analogo Cass. 7 giugno 1996, n. 5313, Foro it., Rep. 1996, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 242, secondo la quale «pro
posta in primo grado dall'Inps domanda di pagamento dei contributi
previdenziali e delle relative sanzioni sui compensi per lavoro straordi
nario erogati dal datore di lavoro, la successiva domanda con cui in
grado di appello l'istituto, riducendo l'ammontare della propria prete sa, richieda i contributi previdenziali e le relative sanzioni sulla somma versata dal datore di lavoro al lavoratore a seguito di transazione della
controversia concernente il pagamento dei menzionati compensi, confi
gura una domanda nuova, inammissibile ex art. 437 c.p.c., per modifi
ca della causa petendi, anziché una semplice riduzione della domanda
iniziale solo quando il giudice di merito . . . accerti che nel comporre il rapporto litigioso le parti abbiano dato vita ad una transazione c.d.
novativa, manifestando in modo non equivoco la volontà di estinguere la precedente obbligazione e sostituirla con una nuova ovvero creando
un nuovo rapporto oggettivamente incompatibile con quello preesisten te, atteso che solo in tale ipotesi le somme erogate a seguito della tran
sazione non possono considerarsi ricevute in dipendenza del rapporto di lavoro . . .». Cfr., inoltre, per quanto non in termini, Cass. 17 feb
braio 1993, n. 1941, id., 1993, I, 2530, secondo la quale «non costitui
sce domanda nuova, ma esercizio della facoltà di emendatio libelli, la
domanda del creditore in revocatoria tendente ad ottenere la condanna
del terzo acquirente alla restituzione del valore del bene donato, allor
ché quest'ultimo, in corso di causa, abbia eccepito di avere, a sua vol
ta, alienato il bene». A parte ciò, la decisione costituisce applicazione del principio secon
do il quale il privilegio speciale si trasferisce sulla somma ricavata dalla
realizzazione del bene sul quale esso gravava; ricavo che, nella specie, è avvenuto in via transattiva contro rinuncia del curatore ad agire per
apprendere il bene medesimo alla massa. Sul punto, v. Cass. 22 novem
bre 1966, n. 2790, id., 1967, I, 1576, che, come nell'odierna pronuncia,
puntualizza che la somma ricavata dalla transazione costituisce contro
valore del bene, salva la prova del carattere novativo della transazione;
e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano 3 febbraio 1994, cit.
Cfr., inoltre, App. Milano 15 marzo 1974, id., Rep. 1974, voce Falli
mento, n. 326. [E. Staunovo Polacco]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Con sentenza del 12 febbraio 1996 la Corte d'appello di Bre
scia confermò la pronunzia del tribunale affermando: a) che
l'inserzione privilegiata al passivo sarebbe risultata inutile, e quin di era inammissibile, dal momento che l'immobile era stato ven
duto dalla società anteriormente al suo fallimento e che succes
sivamente era stata stipulata la menzionata transazione: e per tanto non solo l'immobile non era acquisito alla massa, ma era
certo che non avrebbe potuto esserlo nemmeno in futuro; b) che la «adombrata possibilità» di far valere il privilegio sulla
somma acquisita al fallimento in luogo dell'immobile non pote va essere esaminata sia perché domanda non compresa nelle
conclusioni analiticamente formulate sia perché domanda nuo
va, come tale non proponibile per la prima volta in appello. Ha proposto ricorso per cassazione la soccombente; ha resi
stito con controricorso il fallimento.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso, denunziandosi violazione e falsa applicazione dell'art. 93 1. fall., si deduce che tale norma prescrive che in sede di verifica del
passivo il giudice delegato deve procedere unicamente all'accer
tamento del credito e della causa di prelazione, e pertanto l'ac
quisizione alla massa del bene assoggettato al privilegio concre
ta questione il cui accertamento spetta al giudice del riparto. Il motivo è infondato per la seguente considerazione.
L'attuabilità «in concreto» del previlegio speciale presuppone
l'acquisizione al fallimento del bene in relazione al quale il pri
vilegio stesso è sorto e sul quale questo deve esercitarsi.
Consegue che — anche senza voler prendere posizione sulla
questione astratta se il potere di accertare detta acquisizione
competa al giudice della verifica o a quello del riparto — il
primo di tali giudici, e quindi in sede di verifica, deve negare l'ammissione (del credito) in via privilegiata — e ciò per l'inuti
lità del relativo provvedimento — se già al momento della veri
fica stessa sia assolutamente certo che il bene, non acquisito alla massa, non potrà esserlo nemmeno in futuro.
Con il secondo motivo, denunziandosi violazione e falsa ap
plicazione degli art. 2752 e 2759 c.c. e 345 c.p.c., si deduce
che erroneamente la corte d'appello ha dichiarato inammissibi
le, perché nuova, la domanda intesa a far valere il privilegio sulla somma acquisita al fallimento in luogo dell'immobile a
seguito della transazione.
La domanda difatti — che doveva ritenersi fondata perché la somma acquisita al fallimento con la transazione, della quale non v'era prova che fosse novativa, concretava ricavato immo
biliare, come tale omogeneo alla natura del bene assoggettato al privilegio — non avrebbe potuto essere considerata nuova
perché detta omogeneità importava l'assoggettabilità al (mede
simo) privilegio gravante sul bene del ricavato immobiliare di
questo stesso.
Il motivo è fondato nel senso seguente. Va premesso che, per quanto si dirà, resta irrilevante la con
clusione cui si è pervenuti nell'esame del primo motivo: e cioè
che la mancanza sicura di acquisibilità del bene alla massa falli
mentare esclude l'ammissione del credito in via privilegiata. Il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, può fare espro
priare i beni del debitore secondo le regole stabilite dal codice
di procedura civile (art. 2910 c.c.): e il conseguimento di quan to gli è dovuto, trattandosi di un credito, non può che consiste
re nel soddisfacimento di questo sulla somma ricavata dall'alie
nazione dei beni.
Il creditore munito di privilegio speciale su un determinato
bene non ha diritto su questo stesso ma ha il diritto di far espro
priare proprio tale bene nonché il diritto di prelazione, e cioè
il diritto di soddisfare il suo credito a preferenza di altri credi
tori sul ricavato dell'espropriazione.
Pertanto, è il credito insoddisfatto che legittima il ricorso al
l'espropriazione, laddove il privilegio opera (oltre che nell'otte
nere che l'espropriazione ricada su quel determinato bene) in
sede di distribuzione della somma ricavata dall'espropriazione. Alla stregua di tali rilevazioni, per quanto riguarda specifica
mente la procedura concorsuale collettiva, nel caso di privilegio
speciale: a) se il bene non sia né acquisito né acquisibile alla
massa, non essendo possibile espropriare il bene al fine di rica
varne una somma, la prelazione è preclusa; b) se il bene sia
acquisito alla massa è possibile l'espropriazione e quindi la pre lazione opera; c) se il bene sia acquisibile alla massa perché
operi la prelazione è necessaria la (previa) acquisizione del bene.
La prelazione si attua ordinariamente con la espropriazio -e
Il Foro Italiano — 1999.
del bene in quanto è mediante questa stessa che si perviene alla
trasformazione del bene in somma ed è quest'ultima che, come
più sopra rilevato, è destinata al soddisfacimento preferenziale del credito privilegiato.
Ma l'essere l'espropriazione il normale procedimento strumen
tale al soddisfacimento del credito privilegiato non preclude l'u
tilizzabilità di procedimenti diversi perché, essendo — come si
è ripetuto — l'espropriazione del bene intesa alla trasformazio
ne del bene in somma da destinare al soddisfacimento del credi
to previlegiato, deve ritenersi consentito il ricorso ad altri mezzi
strumentali che, avendo ad oggetto il bene, assicurino egual mente detta trasformazione.
Decisivo cioè dell'attuazione della prelazione è l'immissione, nel patrimonio del fallimento, di una somma che costituisca
«controvalore» del bene assoggettato alla garanzia e acquisito alla massa, irrilevante essendo invece il modo attraverso il qua le si perviene a tale risultato.
Nel caso in cui il bene non sia acquisito ma sia acquisibile alla massa perché operi la prelazione occorrerebbe, come si è
visto, prima esperire positivamente azioni intese all'acquisizione del bene e poi procedere all'espropriazione di questo.
Ora entrambe tali azioni possono essere surrogate da qualsia si altro procedimento che consenta di pervenire al medesimo
risultato finale che conseguirebbe alle stesse, e cioè alla realiz
zazione di somme costituenti «controvalore» del bene da ac
quisire. Sarebbe d'altronde poco giustificabile giuridicamente — e lo
si rileva ad abundantiam e non per suffragare ulteriormente la
conclusione cui si è pervenuti, sufficientemente fondata sulle
considerazioni finora svolte — che la garanzia persista (meglio:
sussista) se il fallimento, come avviene normalmente, acquisisca il bene sul quale grava il privilegio e poi lo venda per realizzare
somma da destinare alla soddisfazione preferenziale del credito
re, e non persista invece se il fallimento convenga con il terzo
acquirente del bene acquisibile alla massa che costui si trattenga definitivamente il bene stesso e versi alla massa un corrispettivo in denaro: in entrambi i casi difatti si determina la medesima
condizione — tasformazione del bene in somma — che consen
ta l'attuazione della garanzia. Né si potrebbe ritenere che la raggiunta conclusione sia smen
tita dalla previsione normativa — art. 2742 c.c. — secondo la
quale se la cosa soggetta a privilegio, pegno o ipoteca perisce o si deteriora le somme dovute dagli assicuratori per indennità
della perdita o del deterioramento sono vincolate al pagamento dei crediti garantiti: nel senso che l'avvertita necessità da parte del legislatore di una espressa previsione di trasferimento della
garanzia sull'indennità presupporrebbe l'inesistenza del princi
pio generale di estensibilità della garanzia alla somma acquisita in luogo del bene.
Ed invero — a parte il rilievo che un principio siffatto non
potrebbe implicitamente desumersi perché contrasterebbe con
la disciplina della prelazione quale più sopra individuata — la
conclusione cui si è pervenuti non solo non è smentita dalla
riportata previsione codicistica, ma trae ulteriore conforto da
questa, la quale piuttosto che esprimere un'implicita limitazione
della garanzia, di questa dispone l'ampliamento. La previsione difatti estende la garanzia — e disciplina il pro
cedimento inteso a prevenire l'elusione di questa estensione —
da una somma (quella assicurata) che sia acquisibile al patrimo nio del debitore non quale diretto e immediato corrispettivo del
bene, e cioè quale «controvalore» di questo — come avviene
nel caso normale di espropriazione (o nei casi a questa equipa
rabili) — ma quale oggetto di specifica (e peraltro facoltativa)
negoziazione: estende cioè la garanzia all'indennità costituente
oggetto di contratto che, anche se concernente il bene assogget tato alla garanzia, è stato stipulato tra il debitore e un terzo
(la società assicuratrice). Alla stregua di quanto finora rilevato la domanda di ammis
sione in via privilegiata di un credito, la quale sia formulata
con riferimento al bene sul quale gravi privilegio speciale, non
abbisogna di essere riproposta né solamente precisata se sia ac
quisito alla massa non il bene ma un «controvalore» dello stésso.
La sentenza impugnata dev'essere pertanto cassata sul punto e la causa va rinviata ad altro giudice, il quale si atterrà al
seguente principio: «proposta domanda di ammissione in via
privilegiata di un credito al passivo fallimentare, (domanda) for
mulata con riferimento al bene assoggettato a privilegio (specia
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1935 PARTE PRIMA 1936
le) a favore del credito stesso, non costituisce domanda nuova
quella, intesa a ribadire detta domanda di ammissione, che sia
formulata con riferimento alla somma che, in virtù di transa
zione stipulata dal fallimento ed avente ad oggetto la rinunzia
da parte di questo stesso ad esercitare azioni intese ad acquisire il bene alla massa, sia entrata nel patrimonio fallimentare quale
corrispettivo di tale rinunzia, e quindi sostanzialmente quale 'con
trovalore' del bene».
L'accoglimento del secondo motivo rende irrilevante l'esame
del terzo con il quale, denunziandosi violazione e falsa applica zione degli art. 24 Cost, e 345 c.p.c., si deduce che l'inammissi
bilità in appello di domanda non proponibile in primo grado
per difetto non imputabile di conoscenza dei relativi elementi
costitutivi contrasterebbe con il principio costituzionale del di
ritto di difesa.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 22 di
cembre 1998, n. 12788; Pres. Meriggiola, Est. Amatucci, P.M. Sepe (conci, diff.); Motta (Aw. Invernizzi, Garlatti) c. Soc. Vittoria assicurazioni (Avv. Ottavi). Cassa App. Mi
lano 16 gennaio 1996.
Danni in materia civile — Debito di valore — Rivalutazione — Accertamento necessario in appello (Cod. civ., art. 1223,
1226, 2056).
Nella liquidazione del danno per un debito di valore, funziona le al ripristino della situazione in cui il patrimonio del dan
neggiato si sarebbe trovato in assenza del fatto illecito, il giu dice di appello è tenuto ad operare la rivalutazione della som
ma liquidata in primo grado fino al giorno della sua pro nuncia. (1)
(1) La necessità, per il giudice d'appello, di rivalutare la somma li
quidata in primo grado, con applicazione cumulativa degli interessi e sino alla data della pronuncia (rectius, del deposito della stessa) è prin cipio consolidato, sol che si acceda (come fa l'odierno estensore) alla teoria del cumulo di rivalutazione ed interessi nei debiti di valore come unica modalità idonea a ripristinare la diminuzione patrimoniale subita
per effetto del danno (v. Cass. 6 febbraio 1998, n. 1287, Foro it., 1998, I, 1116, con osservazioni di Caputi): cfr. Cass. 25 settembre 1997, n.
9396, id., Rep. 1997, voce Danni civili, n. 306 («l'obbligazione di risar cimento del danno determinato da un fatto illecito è debito di valore e la sua liquidazione per equivalente espressa in termini monetari, te nendo conto del valore del danno, all'epoca del fatto illecito, rivalutato alla data della decisione definitiva, comporta che la svalutazione mone taria intervenuta dopo la sentenza di primo grado sia accertata e liqui data dal giudice d'appello anche d'ufficio»); 4 dicembre 1997, n. 12297, ibid., n. 308 («nella liquidazione del danno per un debito di valore, funzionale al ripristino della situazione in cui il patrimonio del danneg giato si sarebbe trovato in assenza del fatto illecito causativo del pregiu dizio, il giudice d'appello è tenuto ad operare la rivalutazione della somma liquidata in primo grado fino a tutto il giorno della sua pronun cia anche in assenza di una specifica domanda della parte»), e 16 aprile 1997, n. 3274, ibid., n. 309 («nel giudizio di appello, ai fini della reinte
grazione per equivalente del danno da fatto illecito nell'attualità, la rivalutazione del credito da risarcimento (che è un credito di valore) deve essere computata, tenendo conto, come base di calcolo, della som ma capitale liquidata in riferimento al momento iniziale dell'esigibilità del risarcimento del danno, sulla quale applicare gli indici di rivaluta zione attuali al momento della pronuncia di secondo grado»). Fra gli altri precedenti in termini, cfr. Cass. 16 marzo 1995, n. 3072, id., Rep. 1996, voce cit., n. 245, che specifica che «l'adeguamento dell'effettivo valore monetario al momento della decisione in grado d'appello non costituisce mutamento della domanda»; 6 aprile 1995, n. 4024, ibid., n. 246; 2 dicembre 1995, n. 12460, id., Rep. 1995, voce cit., n. 313; 28 settembre 1995, n. 10246, ibid., n. 317; 20 marzo 1995, n. 3229, ibid., n. 318; 7 febbraio 1995, n. 1392, ibid., n. 320. Voce apparente mente dissonante è Cass. 29 settembre 1994, n. 7943, id., 1995, I, 842,
Il Foro Italiano — 1999.
Svolgimento del processo. — Nel 1986 Emilio Motta conven
ne in giudizio Santa Vallini, Renzo Pulici e la Vittoria assicura
zioni s.p.a. chiedendone la condanna solidale al risarcimento
dei danni subiti a seguito di un incidente stradale avvenuto il
15 luglio 1985. L'adito Tribunale di Milano accolse parzialmente la doman
da con decisione riformata dalla corte d'appello milanese che, con sentenza n. 118 del 16 gennaio 1996, liquidò il danno in
complessive lire 70.695.500, «con la rivalutazione monetaria se
condo gli indici Istat del costo della vita, indice medio dei prez zi al consumo delle famiglie degli operai e degli impiegati, e
con gli interessi legali sul capitale rivalutato secondo la media
annuale di detti indici per lo stesso periodo, dal fatto al 31
marzo 1989, data del pagamento dell'acconto di lire 70.000.000,
quanto all'intera somma liquidata, dal 31 marzo 1989 alla pre sente decisione sul residuo di lire 695.500».
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione Emilio (in ri
corso indicato come Elio) Motta sulla base di un unico motivo, cui resiste con controricorso la Vittoria assicurazioni s.p.a.
Motivi della decisione. — 1. - Si duole il ricorrente — dedu
cendo violazione e falsa applicazione dell'art. 1224 c.c., nonché
vizio di motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. — che la corte di merito non abbia riconosciuto sulle somme
dovute per rivalutazione monetaria ed interessi maturati fino
al 31 marzo 1989, ma corrisposte solo in data 11 aprile 1996, l'ulteriore rivalutazione e gli interessi per l'intervallo di tempo considerato (dal 31 marzo 1989 all'11 aprile 1996, ma recte, al 16 gennaio 1996, data della sentenza di secondo grado).
2. - Va preliminarmente chiarito che la censura muove dal
l'erroneo presupposto che la norma di cui all'art. 1224 c.c. si
applichi non solo alle obbligazioni pecuniarie, cosiddette di va
luta, ma anche alle obbligazioni di valore. In queste, al contra
rio di quanto accade in quelle, il denaro (inteso come quantità di pezzi monetari) non costituisce oggetto dell'obbligazione di
dare, ma solo il metro di commisurazione di un valore.
Tipica obbligazione di valore è, appunto, quella risarcitoria, che mira alla reintegrazione del danneggiato nella stessa situa
zione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno
non fosse stato prodotto. In tali obbligazioni la rivalutazione
monetaria non rappresenta il possibile strumento di risarcimen
to dell'eventuale maggior danno da mora indotto dalla svaluta
zione monetaria, rispetto a quello già coperto dagli interessi le
gali, come accade nelle obbligazioni pecuniarie ai sensi dell'art.
1224, 2° comma, c.c.; ma costituisce il necessario mezzo di com
misurazione attuale del valore perduto dal creditore, che va ap
punto reintegrato dal debitore.
Il riconoscimento di interessi costituisce in tale ipotesi — co
me chiarito dalle sezioni unite con sentenza n. 1712 del 1995
(Foro it., 1995, I, 1470) — una mera modalità liquidatoria del
possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudice di far ricorso col limite costituito dall'impossibilità di calcolare
gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data del
l'illecito. Non gli è invece inibito di riconoscere interessi anche
al tasso legale su somme progressivamente rivalutate; ovvero
sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia; ovvero di non riconoscerli affatto se, in relazione ai parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione moneta
ria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato, un danno da lucro cessante debba essere positivamente escluso.
Sulla scorta di tali premesse di fondo, appare evidente come
con nota di Pardolesi, secondo cui «[n]ei debiti di valore, gli interessi sulla somma rivalutata spettano solo dalla data di liquidazione», cui fa da contraltare il richiamo — operato nella sentenza in epigrafe —
a Cass., sez. un., 17 febbraio 1995, n. 1712, ibid., 1470, con note di De Marzo e Valcavi, che detta le guidelines per il computo che ci
occupa: «[i]l riconoscimento di interessi costituisce in tale ipotesi una mera modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudice di far ricorso col limite costituito dall'impossibi lità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell'illecito. Non gli è invece inibito di riconoscere interessi anche al tasso legale su somme progressivamente rivalutate; ovvero di non riconoscerli affatto, se in relazione ai parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato, un danno da lucro cessante debba esse re positivamente escluso».
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