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sezione I civile; sentenza 12 gennaio 1999, n. 244; Pres. Sgroi, Est. De Musis, P.M. Nardi (concl....

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sezione I civile; sentenza 12 gennaio 1999, n. 244; Pres. Sgroi, Est. De Musis, P.M. Nardi (concl. diff.); Min. finanze c. Fall. soc. Sa.Pe. (Avv. Guizzetti, Longo). Cassa App. Brescia 12 febbraio 1996 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 1929/1930-1935/1936 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193729 . Accessed: 28/06/2014 13:38 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.53 on Sat, 28 Jun 2014 13:38:05 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezione I civile; sentenza 12 gennaio 1999, n. 244; Pres. Sgroi, Est. De Musis, P.M. Nardi (concl. diff.); Min. finanze c. Fall. soc. Sa.Pe. (Avv. Guizzetti, Longo). Cassa App. Brescia

sezione I civile; sentenza 12 gennaio 1999, n. 244; Pres. Sgroi, Est. De Musis, P.M. Nardi (concl.diff.); Min. finanze c. Fall. soc. Sa.Pe. (Avv. Guizzetti, Longo). Cassa App. Brescia 12 febbraio1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 1929/1930-1935/1936Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193729 .

Accessed: 28/06/2014 13:38

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sull'adozione dei minori firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967

e resa esecutiva in Italia con legge di ratifica 22 maggio 1974

n. 357, che all'art. 12 stabilisce che nessuna legge potrà impedi re a chicchessia di adottare, per il solo fatto di avere o di poter avere un figlio legittimo.

Secondo i giudici della costituzionalità delle leggi, non sussi

ste un motivo razionale per ritenere sufficientemente tutelata

la posizione del coniuge attraverso la previsione del suo assen

so, e per non disporre analogamente, in una situazione sostan

zialmente identica, rispetto ai discendenti legittimi o legittimati. Tali puntualizzazioni vanno prese in considerazione nel parti

colare caso dell'adozione di Enrico Maria Giarda. L'adottante

ha chiesto l'adozione al fine di assicurare legami più stabili tra

l'adottando ed i figli, nati in seconde nozze, nello specifico in

teresse di questi ultimi oltre che dell'adottando. Jacopo e Nico

le, anche se l'adozione costituisce un rapporto personale tra adot

tato ed adottante, beneficeranno dei riflessi morali, sociali ed

affettivi dell'intervenuto vincolo personale tra la loro madre e

gli altri figli del loro stesso padre, in quanto i rapporti derivanti

dall'adozione sono da porsi ad ogni effetto sullo stesso piano delle relazioni della famiglia biologica ove hanno importanza

preminente solo i vincoli personali ed affettivi.

La soluzione dei giudici a quo ha optato per una irrazionale

salvaguardia della famiglia legittima dell'adottante, tenuto pre sente lo scopo perseguito con l'adozione ed in virtù dell'assolu

ta mancanza di compressione dei diritti dei minori, oltre che

dello stridente ed evidente contrasto con una lettura costituzio

nalizzata della normativa. Nel caso di specie, nelle medesime

condizioni di fatto, emerge in maniera lampante la disparità di trattamento per ragioni di età in relazione alle due ipotesi di adozione tra entrambi i figli del primo matrimonio di Angelo Giarda: Enrico Maria nato nel 1975 e divenuto maggiorenne

all'epoca della domanda e Fabio Maria nato nel 1977 che all'e

poca della proposizione del ricorso risultava essere minorenne.

In tale situazione la ricorrente avrebbe potuto adottare Fabio

Maria — ancora minorenne all'epoca di presentazione del ricor

so per adozione di Enrico Maria — grazie all'art. 44, 1° com

ma, lett. ti), e 5° comma, 1. n. 184 così come modificato a

seguio della sentenza della Corte costituzionale n. 44 del 1990,

cit., ma consapevole dell'ingiusta disparità che si sarebbe venu

ta a creare tra i due fratelli, ancorché, entrambi figli della de

funta prima moglie del marito, non ha ritenuto di poter adotta

re l'uno senza l'altro e si è riservata di richiedere l'adozione

di Fabio Maria, che al momento della proposizione del ricorso

in primo grado era ancora minorenne, non appena si potrà ave

re la certezza che entrambi i figli potranno beneficiare dello

stesso provvedimento: non si vede, infatti, alcun ragionevole motivo per cui l'ordinamento non debba assicurare la stessa

tutela a due fratelli che hanno perduto la madre, mentre l'altro

genitore è il coniuge della ricorrente che intende adottarli.

La tutela di entrambi i fratelli, orfani della madre, appare meritevole di tutela a prescindere dal requisito dell'età, ed è

indispensabile equiparare il diritto degli orfani provenienti dalla

stessa famiglia, perché figli dello stesso padre a potersi inserire

in un nucleo familiare idoneo e stabile. Invece se si raffrontano

le discipline applicabili risulta che il figlio minorenne di un co

niuge può essere adottato dall'altro coniuge, anche quando non

sussistano i presupposti dell'adozione ed anche in presenza di

figli legittimi. Invece, nelle medesime condizioni di fatto, il fi

glio maggiorenne dell'altro coniuge non può essere adottato dalla

stessa persona, dando luogo ad un'ingiustificata irragionevole

disparità. Nella sentenza n. 44 del 1990, cit., la stessa Corte costituzio

nale ha ritenuto, invece, fondata con riferimento all'art. 30,

1° e 3° comma, Cost., l'illegittimità costituzionale dell'art. 44,

5° comma, 1. 4 maggio 1983 n. 184 (disciplina dell'adozione

e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui, limitatamente

al disposto della lett. ti) del 1 ° comma, non consente al giudice

competente di ridurre, quando sussistano validi motivi per la

realizzazione dell'unità familiare, l'intervallo di età di diciotto anni. Quello che conta, secondo i giudici della legittimità delle

leggi, è il valore complessivamente riconosciuto all'unità della

famiglia anche se in relazione alla particolare specie di adozione

prevista sub ti), dal 1° comma dell'art. 44, con cui il coniuge

adotta il minore figlio anche adottivo dell'altro coniuge, è ispi

rata all'unità familiare. Senza lo strumento dell'adozione così

impiegato, malgrado la coppia genitoriale sia legata al matti

li. Foro Italiano — 1999.

monio, la prole, figlia di primo letto e rimasta orfana della

madre, se non adottata dal nuovo coniuge resterebbe estranea

all'altro coniuge, ed inoltre vivrebbe il disagio sociale della ma

nifesta diversità di origine con possibili disarmonie nella forma

zione psicologica e morale. Il ricorso all'adozione ex art. 44, 1° comma, lett. b), evitando le conseguenze dello scenario de

scritto, agevola una più compiuta unione della coppia e della

prole. La ratio di queste considerazioni non muta se uno dei due

fratelli da adottare sia divenuto da poco maggiorenne e se il

divario di età tra adottando e adottante resti pur sempre nel

l'ambito dell'imitatio naturae. Infatti, il non raggiunto divario

d'età dei diciotto anni tra il coniuge adottante e il minore adot

tando, non può essere considerato in ogni caso inderogabile,

perché altrimenti la realizzazione del valore costituzionale del

l'unità della famiglia potrebbe risultarne compromessa. Affin

ché la norma impugnata non risulti in contrasto con l'art. 30, 1° e 3° comma, Cost., limitatamente all'ipotesi di cui alla lett.

b) dell'art. 44, 1° comma, 1. n. 184 del 1983, il giudice compe

tente, previo attento esame delle circostanze del caso, al fine

di corrispondere all'indicato preminente valore etico-sociale scol

pito in Costituzione, può accordare una ragionevole riduzione

del termine di diciotto anni.

L'esigenza, oggi molto più diffusa che in passato, di favorire

le adozioni da parte del coniuge del genitore va pienamente ri

conosciuta, rispondendo a situazioni che si verificano sempre

più spesso, anche in forza del diffondersi del divorzio. Mentre

prima poteva verificarsi solo nell'ipotesi del coniuge superstite con figli piccoli che contraeva un nuovo matrimonio, come nel

caso di specie, con il divorzio sempre più si fa sentire l'esigenza di rinsaldare la formazione di nuove famiglie, già dotate di figli

per lo più minori, nati da un precedente matrimonio. Per cui

anche in mancanza di un rapporto parentale tra la vecchia fa

miglia ed il nuovo coniuge esiste tuttavia una situazione di forte

convivenza, accresciuta dall'arrivo di nuova prole frutto del se

condo matrimonio, e la presenza qualificata del nuovo coniuge

può dispiegare un rapporto valido e proficuo anche con i figli nati dal primo matrimonio e non ancora autosufficienti, senza

distinguere tra maggiorenni e minorenni.

Alla stregua delle esposte considerazioni, il primo motivo del

ricorso merita accoglimento con conseguente assorbimento de

gli altri due. La decisione va pertanto cassata e le parti rimesse

innanzi alla Corte d'appello di Milano.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 12 gen naio 1999, n. 244; Pres. Sgroi, Est. De Musis, P.M. Nardi

(conci, diff.); Min. finanze c. Fall. soc. Sa.Pe. (Avv. Guiz

zetti, Longo). Cassa App. Brescia 12 febbraio 1996.

Fallimento — Accertamento del passivo — Privilegio speciale — Ammissibilità — Limiti (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disci plina del fallimento, art. 52, 93, 95).

Fallimento — Insinuazione tardiva — Privilegio speciale su be

ne da recuperare — Rinuncia del curatore ad apprendere il

bene contro corrispettivo — Domanda di privilegio sulla som

ma ricavata — Novità — Esclusione (Cod. civ., art. 2772;

cod. proc. civ., art. 345; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 101).

Va negata l'ammissione al rango privilegiato di un credito assi

stito da privilegio speciale se risulta assolutamente certo già

al momento della verifica dei crediti che il bene oggetto del

privilegio, non acquisito alla massa, non potrà esserlo nem

meno in futuro. (1)

(1) La questione della collocazione dei crediti assistiti da privilegio

speciale è problema assai frequente nella fase della formazione dello

stato passivo fallimentare, ove accade sovente che il bene o i beni og

getto del privilegio non siano rinvenibili tra quelli appresi alla massa.

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1931 PARTE PRIMA 1932

Proposta dichiarazione tardiva di credito assistito da privilegio spe

ciale (nella specie, privilegio Invim) su un bene da recuperare

alla procedura, non costituisce domanda nuova quella diretta

a far valere il detto privilegio, anziché sul bene, sulla somma

ricavata dal curatore in via transattiva (senza novazione del rap

porto), contro rinuncia ad apprendere quel bene alla massa. (2)

Svolgimento del processo. — L'amministrazione finanziaria

chiese l'ammissione (tardiva) in via privilegiata, al passivo del

Il problema, in particolare, è valutare se ed entro quali limiti un simile

credito possa o debba essere ammesso comunque al rango privilegiato, rinviandosi la questione attinente all'esistenza del bene alla fase del ri

parto, ovvero debba essere collocato al chirografo, dovendosi valutare

sin dalla fase della verifica la questione relativa all'esistenza del bene.

Entrambe le opinioni sono state rappresentate in giurisprudenza, an

che se, va avvertito, la lettura dei precedenti che si rinvengono suggeri sce di valutare con estrema attenzione se le singole decisioni (almeno le più recenti) abbiano accolto l'una piuttosto che l'altra impostazione.

La sentenza qui riportata, anzitutto, si astiene espressamente dall'af

frontare la tematica, ma pare aderire all'orientamento che rimette la

valutazione in questione al giudice della verifica là dove afferma che

il privilegio va senz'altro escluso se risulta assolutamente certo che il

bene non sarà acquisito alla massa, neppure in futuro; e la circostanza

sembra poi trovare conferma nel fatto che, nel caso di specie, il credito, insinuato in via tardiva, viene ammesso al rango privilegiato in un mo

mento in cui il (controvalore del) bene risulta ormai acquisito alla mas

sa. Dubbi maggiori suscita la lettura di Cass. 1° giugno 1995, n. 6149

(Foro it., Rep. 1995, voce Fallimento, n. 543, e Giust. civ., 1995, I,

2669), che definisce «validi e condivisibili» i principi espressi dal ricor

rente, che affermava che la constatazione della sussistenza dei beni sa

rebbe dovuta essere questione «di riparto», e ritiene che il credito possa essere collocato al rango chirografario sin dalla fase della verifica solo

se il privilegio sia privo di contenuto ab origine, per la non individuabi

lità del bene già al momento del sorgere del credito; mentre Cass. 2

febbraio 1995, n. 1227 (Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 547, e Falli

mento, 1995, 1008), pare dapprima orientata senz'altro nel senso della

valutazione al momento della verifica, affermandosi che in caso di «man

cato reperimento» del bene non v'è privilegio, ma afferma in seguito di condividere quanto espresso nella precedente Cass. 13 novembre 1992, n. 12207 (Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 443, e Fallimento, 1993,

500), che enuncia lo stesso principio di Cass. 6149/95, cit., ed afferma

che se il privilegio speciale grava su di un credito del fallito, l'ammis

sione al rango privilegiato non è impedita dalla non ancora avvenuta

riscossione del credito, rilevando questa circostanza in sede di riparto

poiché essa incide esclusivamente sulla capienza del credito ammesso.

Né maggior chiarezza si riscontra in Cass. 18 giugno 1982, n. 3728

(Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 400), immediato precedente di legitti mità di Cass. 12207/92, cit., che afferma espressamente che nella fase

di verifica del passivo il giudice delegato deve limitarsi ad accertare

l'esistenza del credito e delle cause di prelazione, senza dover procedere ad ulteriori indagini circa la concreta esperibilità di queste ultime, ma

in un caso nel quale il bene oggetto del privilegio risultava recuperabile con un'azione revocatoria. Paiono invece collocarsi senz'altro nel senso

della necessità della valutazione in sede di verifica, Cass. 15 novembre

1976, n. 4218, id., Rep. 1977, voce cit., n. 400; 25 luglio 1975, n. 2901,

id., Rep. 1976, voce Privilegio, n. 11; 20 marzo 1972, n. 843, id., Rep.

1972, voce Fallimento, n. 432. Tutte le decisioni qui citate, peraltro, paiono ammettere più o meno

implicitamente che il credito possa essere ammesso al passivo al rango

privilegiato quando il bene su cui il privilegio grava, pur non presente nel patrimonio fallimentare al momento della verifica, possa esservi re

cuperato per mezzo dell'esperimento delle opportune azioni giudiziarie.

Quanto alla giurisprudenza di merito, nel senso della necessità della

valutazione sulla sussistenza del bene in sede di verifica, v. Trib. Cata

nia 18 marzo 1993, id., Rep. 1994, voce cit., n. 520; Trib. Ancona

11 novembre 1992, id., Rep. 1993, voce cit., n. 445; Trib. Torino 10

gennaio 1991, id., Rep. 1991, voce cit., n. 473; Trib. Milano 20 settem

bre 1990, ibid., n. 474; Trib. Belluno 24 gennaio 1990, id., 1991, I,

932, in motivazione; Trib. Ragusa 13 gennaio 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 472; Trib. Ancona 11 marzo 1987, id., Rep. 1987, voce

cit., n. 478; Trib. Milano 16 ottobre 1986, ibid., n. 479; Trib. Bologna 27 settembre 1984, id., Rep. 1986, voce cit., n. 489; Trib. Milano 20

settembre 1984, id., Rep. 1985, voce Liquidazione coatta amministrati

va, n. 128; Trib. Firenze 15 luglio 1980, id., Rep. 1980, voce Fallimen

to, n. 400; Trib. Modena 3 marzo 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n.

379; Trib. Torino 2 agosto 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 397; Trib.

Milano 20 gennaio 1977, id., Rep. 1977, voce cit., n. 402; Trib. Caglia ri 14 dicembre 1976, ibid., n. 413; Trib. Milano 11 ottobre 1976, ibid., n. 404; App. Milano 15 gennaio 1974, id., Rep. 1974, voce cit., n.

476; App. Ancona 31 ottobre 1972, ibid., n. 479. Nel senso della spet tanza della detta valutazione al giudice del riparto, invece, paiono Trib.

Milano 3 febbraio 1994, id., Rep. 1994, voce cit., n. 529, sebbene an

ch'essa in un caso nel quale il bene andava recuperato; Trib. Trieste

Il Foro Italiano — 1999.

fallimento della s.n.c. Sa.Pe. di Pietro Savatarelli, di credito

per Invim; il curatore replicò che il privilegio era inammissibile

perché anteriormente al fallimento l'immobile in correlazione

al quale il credito ed il relativo privilegio erano sorti era stato

alienato.

Il Tribunale di Bergamo negò il privilegio rilevando che l'im

mobile era stato alienato e che nel frattempo il fallimento aveva

stipulato transazione con la quale aveva rinunziato (a domande

intese) all'acquisizione del bene alla massa.

7 novembre 1989, id., Rep. 1990, voce cit., n. 472; Trib. Napoli 17

marzo 1988, ibid., n. 473; Trib. Savona 21 dicembre 1961, id., Rep.

1963, voce cit., n. 463.

Chi ritiene che la sussistenza dei beni oggetto della prelazione sia

questione da affrontare in sede di accertamento del passivo, si interroga

poi sulle conseguenze che, in caso di ammissione al rango chirografa

rio, deriverebbero dalla successiva apprensione del bene alla massa; ed

anche a questo proposito, occorre registrare non poche diversità di opi

nioni, alcune delle quali destano non poche perplessità: secondo Trib.

Catania 18 marzo 1993, cit., la prelazione, per quanto non riconosciuta

in sede di verifica, sarebbe comunque opponibile alla massa, a nulla

rilevando il c.d. «giudicato endofallimentare» sceso sulla decisione sul

credito; per Trib. Ancona 11 novembre 1992, cit.; 11 marzo 1987, cit.; Trib. Firenze 15 luglio 1980, cit.; Trib. Torino 2 agosto 1979, cit., e

App. Milano 15 gennaio 1974, cit., invece, sarebbe possibile proporre dichiarazione tardiva al fine di ottenere il riconoscimento della prela

zione, malgrado il formarsi del giudicato sul credito; secondo Trib. To

rino 10 gennaio 1991, cit., poi, il rimedio sarebbe l'attacco dello stato

passivo, se ancora possibile, salva comunque la possibilità di esperire azione di danno nei confronti del curatore, ove ne sussistano i presup

posti; opinione, quest'ultima, condivisa anche da Trib. Milano 20 set

tembre 1990, cit.; 16 ottobre 1986, cit., e 20 settembre 1984, cit.; men

tre per Trib. Ragusa 13 gennaio 1988, cit., infine, la decisione sul credi

to andrebbe intesa alla luce del caso di specie, e in sede di riparto la

prelazione potrebbe esser fatta valere perché implicitamente riconosciu

ta nella decisione presa in sede di verifica.

In dottrina, v. Lo Cascio, Il credito per Iva di rivalsa del professio nista ed il privilegio che lo assiste, in Giust. civ., 1993, I, 963; Lugaro, Ancora sull'ammissione al passivo dei crediti assistiti da privilegio spe

ciale, in Fallimento, 1983, 78; Ruggeri, Necessità della sussistenza al

l'attivo fallimentare dei beni oggetto di privilegio speciale, id., 1991,

742; Di Cataldo, Fallimento e credito con garanzia su beni di terzi, in Giur. comm., 1989, II, 288.

Sul connesso tema dell'onere della prova dell'esistenza del privilegio e dei beni sui quali può esercitarsi, v., oltre ai precedenti già citati, Cass. 3 dicembre 1996, n. 10786, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 489.

(2) Non si rinvengono precedenti negli esatti termini.

Sul tema della novità della domanda, enuncia un principio sostan

zialmente analogo Cass. 7 giugno 1996, n. 5313, Foro it., Rep. 1996, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 242, secondo la quale «pro

posta in primo grado dall'Inps domanda di pagamento dei contributi

previdenziali e delle relative sanzioni sui compensi per lavoro straordi

nario erogati dal datore di lavoro, la successiva domanda con cui in

grado di appello l'istituto, riducendo l'ammontare della propria prete sa, richieda i contributi previdenziali e le relative sanzioni sulla somma versata dal datore di lavoro al lavoratore a seguito di transazione della

controversia concernente il pagamento dei menzionati compensi, confi

gura una domanda nuova, inammissibile ex art. 437 c.p.c., per modifi

ca della causa petendi, anziché una semplice riduzione della domanda

iniziale solo quando il giudice di merito . . . accerti che nel comporre il rapporto litigioso le parti abbiano dato vita ad una transazione c.d.

novativa, manifestando in modo non equivoco la volontà di estinguere la precedente obbligazione e sostituirla con una nuova ovvero creando

un nuovo rapporto oggettivamente incompatibile con quello preesisten te, atteso che solo in tale ipotesi le somme erogate a seguito della tran

sazione non possono considerarsi ricevute in dipendenza del rapporto di lavoro . . .». Cfr., inoltre, per quanto non in termini, Cass. 17 feb

braio 1993, n. 1941, id., 1993, I, 2530, secondo la quale «non costitui

sce domanda nuova, ma esercizio della facoltà di emendatio libelli, la

domanda del creditore in revocatoria tendente ad ottenere la condanna

del terzo acquirente alla restituzione del valore del bene donato, allor

ché quest'ultimo, in corso di causa, abbia eccepito di avere, a sua vol

ta, alienato il bene». A parte ciò, la decisione costituisce applicazione del principio secon

do il quale il privilegio speciale si trasferisce sulla somma ricavata dalla

realizzazione del bene sul quale esso gravava; ricavo che, nella specie, è avvenuto in via transattiva contro rinuncia del curatore ad agire per

apprendere il bene medesimo alla massa. Sul punto, v. Cass. 22 novem

bre 1966, n. 2790, id., 1967, I, 1576, che, come nell'odierna pronuncia,

puntualizza che la somma ricavata dalla transazione costituisce contro

valore del bene, salva la prova del carattere novativo della transazione;

e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano 3 febbraio 1994, cit.

Cfr., inoltre, App. Milano 15 marzo 1974, id., Rep. 1974, voce Falli

mento, n. 326. [E. Staunovo Polacco]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Con sentenza del 12 febbraio 1996 la Corte d'appello di Bre

scia confermò la pronunzia del tribunale affermando: a) che

l'inserzione privilegiata al passivo sarebbe risultata inutile, e quin di era inammissibile, dal momento che l'immobile era stato ven

duto dalla società anteriormente al suo fallimento e che succes

sivamente era stata stipulata la menzionata transazione: e per tanto non solo l'immobile non era acquisito alla massa, ma era

certo che non avrebbe potuto esserlo nemmeno in futuro; b) che la «adombrata possibilità» di far valere il privilegio sulla

somma acquisita al fallimento in luogo dell'immobile non pote va essere esaminata sia perché domanda non compresa nelle

conclusioni analiticamente formulate sia perché domanda nuo

va, come tale non proponibile per la prima volta in appello. Ha proposto ricorso per cassazione la soccombente; ha resi

stito con controricorso il fallimento.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso, denunziandosi violazione e falsa applicazione dell'art. 93 1. fall., si deduce che tale norma prescrive che in sede di verifica del

passivo il giudice delegato deve procedere unicamente all'accer

tamento del credito e della causa di prelazione, e pertanto l'ac

quisizione alla massa del bene assoggettato al privilegio concre

ta questione il cui accertamento spetta al giudice del riparto. Il motivo è infondato per la seguente considerazione.

L'attuabilità «in concreto» del previlegio speciale presuppone

l'acquisizione al fallimento del bene in relazione al quale il pri

vilegio stesso è sorto e sul quale questo deve esercitarsi.

Consegue che — anche senza voler prendere posizione sulla

questione astratta se il potere di accertare detta acquisizione

competa al giudice della verifica o a quello del riparto — il

primo di tali giudici, e quindi in sede di verifica, deve negare l'ammissione (del credito) in via privilegiata — e ciò per l'inuti

lità del relativo provvedimento — se già al momento della veri

fica stessa sia assolutamente certo che il bene, non acquisito alla massa, non potrà esserlo nemmeno in futuro.

Con il secondo motivo, denunziandosi violazione e falsa ap

plicazione degli art. 2752 e 2759 c.c. e 345 c.p.c., si deduce

che erroneamente la corte d'appello ha dichiarato inammissibi

le, perché nuova, la domanda intesa a far valere il privilegio sulla somma acquisita al fallimento in luogo dell'immobile a

seguito della transazione.

La domanda difatti — che doveva ritenersi fondata perché la somma acquisita al fallimento con la transazione, della quale non v'era prova che fosse novativa, concretava ricavato immo

biliare, come tale omogeneo alla natura del bene assoggettato al privilegio — non avrebbe potuto essere considerata nuova

perché detta omogeneità importava l'assoggettabilità al (mede

simo) privilegio gravante sul bene del ricavato immobiliare di

questo stesso.

Il motivo è fondato nel senso seguente. Va premesso che, per quanto si dirà, resta irrilevante la con

clusione cui si è pervenuti nell'esame del primo motivo: e cioè

che la mancanza sicura di acquisibilità del bene alla massa falli

mentare esclude l'ammissione del credito in via privilegiata. Il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, può fare espro

priare i beni del debitore secondo le regole stabilite dal codice

di procedura civile (art. 2910 c.c.): e il conseguimento di quan to gli è dovuto, trattandosi di un credito, non può che consiste

re nel soddisfacimento di questo sulla somma ricavata dall'alie

nazione dei beni.

Il creditore munito di privilegio speciale su un determinato

bene non ha diritto su questo stesso ma ha il diritto di far espro

priare proprio tale bene nonché il diritto di prelazione, e cioè

il diritto di soddisfare il suo credito a preferenza di altri credi

tori sul ricavato dell'espropriazione.

Pertanto, è il credito insoddisfatto che legittima il ricorso al

l'espropriazione, laddove il privilegio opera (oltre che nell'otte

nere che l'espropriazione ricada su quel determinato bene) in

sede di distribuzione della somma ricavata dall'espropriazione. Alla stregua di tali rilevazioni, per quanto riguarda specifica

mente la procedura concorsuale collettiva, nel caso di privilegio

speciale: a) se il bene non sia né acquisito né acquisibile alla

massa, non essendo possibile espropriare il bene al fine di rica

varne una somma, la prelazione è preclusa; b) se il bene sia

acquisito alla massa è possibile l'espropriazione e quindi la pre lazione opera; c) se il bene sia acquisibile alla massa perché

operi la prelazione è necessaria la (previa) acquisizione del bene.

La prelazione si attua ordinariamente con la espropriazio -e

Il Foro Italiano — 1999.

del bene in quanto è mediante questa stessa che si perviene alla

trasformazione del bene in somma ed è quest'ultima che, come

più sopra rilevato, è destinata al soddisfacimento preferenziale del credito privilegiato.

Ma l'essere l'espropriazione il normale procedimento strumen

tale al soddisfacimento del credito privilegiato non preclude l'u

tilizzabilità di procedimenti diversi perché, essendo — come si

è ripetuto — l'espropriazione del bene intesa alla trasformazio

ne del bene in somma da destinare al soddisfacimento del credi

to previlegiato, deve ritenersi consentito il ricorso ad altri mezzi

strumentali che, avendo ad oggetto il bene, assicurino egual mente detta trasformazione.

Decisivo cioè dell'attuazione della prelazione è l'immissione, nel patrimonio del fallimento, di una somma che costituisca

«controvalore» del bene assoggettato alla garanzia e acquisito alla massa, irrilevante essendo invece il modo attraverso il qua le si perviene a tale risultato.

Nel caso in cui il bene non sia acquisito ma sia acquisibile alla massa perché operi la prelazione occorrerebbe, come si è

visto, prima esperire positivamente azioni intese all'acquisizione del bene e poi procedere all'espropriazione di questo.

Ora entrambe tali azioni possono essere surrogate da qualsia si altro procedimento che consenta di pervenire al medesimo

risultato finale che conseguirebbe alle stesse, e cioè alla realiz

zazione di somme costituenti «controvalore» del bene da ac

quisire. Sarebbe d'altronde poco giustificabile giuridicamente — e lo

si rileva ad abundantiam e non per suffragare ulteriormente la

conclusione cui si è pervenuti, sufficientemente fondata sulle

considerazioni finora svolte — che la garanzia persista (meglio:

sussista) se il fallimento, come avviene normalmente, acquisisca il bene sul quale grava il privilegio e poi lo venda per realizzare

somma da destinare alla soddisfazione preferenziale del credito

re, e non persista invece se il fallimento convenga con il terzo

acquirente del bene acquisibile alla massa che costui si trattenga definitivamente il bene stesso e versi alla massa un corrispettivo in denaro: in entrambi i casi difatti si determina la medesima

condizione — tasformazione del bene in somma — che consen

ta l'attuazione della garanzia. Né si potrebbe ritenere che la raggiunta conclusione sia smen

tita dalla previsione normativa — art. 2742 c.c. — secondo la

quale se la cosa soggetta a privilegio, pegno o ipoteca perisce o si deteriora le somme dovute dagli assicuratori per indennità

della perdita o del deterioramento sono vincolate al pagamento dei crediti garantiti: nel senso che l'avvertita necessità da parte del legislatore di una espressa previsione di trasferimento della

garanzia sull'indennità presupporrebbe l'inesistenza del princi

pio generale di estensibilità della garanzia alla somma acquisita in luogo del bene.

Ed invero — a parte il rilievo che un principio siffatto non

potrebbe implicitamente desumersi perché contrasterebbe con

la disciplina della prelazione quale più sopra individuata — la

conclusione cui si è pervenuti non solo non è smentita dalla

riportata previsione codicistica, ma trae ulteriore conforto da

questa, la quale piuttosto che esprimere un'implicita limitazione

della garanzia, di questa dispone l'ampliamento. La previsione difatti estende la garanzia — e disciplina il pro

cedimento inteso a prevenire l'elusione di questa estensione —

da una somma (quella assicurata) che sia acquisibile al patrimo nio del debitore non quale diretto e immediato corrispettivo del

bene, e cioè quale «controvalore» di questo — come avviene

nel caso normale di espropriazione (o nei casi a questa equipa

rabili) — ma quale oggetto di specifica (e peraltro facoltativa)

negoziazione: estende cioè la garanzia all'indennità costituente

oggetto di contratto che, anche se concernente il bene assogget tato alla garanzia, è stato stipulato tra il debitore e un terzo

(la società assicuratrice). Alla stregua di quanto finora rilevato la domanda di ammis

sione in via privilegiata di un credito, la quale sia formulata

con riferimento al bene sul quale gravi privilegio speciale, non

abbisogna di essere riproposta né solamente precisata se sia ac

quisito alla massa non il bene ma un «controvalore» dello stésso.

La sentenza impugnata dev'essere pertanto cassata sul punto e la causa va rinviata ad altro giudice, il quale si atterrà al

seguente principio: «proposta domanda di ammissione in via

privilegiata di un credito al passivo fallimentare, (domanda) for

mulata con riferimento al bene assoggettato a privilegio (specia

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Page 5: sezione I civile; sentenza 12 gennaio 1999, n. 244; Pres. Sgroi, Est. De Musis, P.M. Nardi (concl. diff.); Min. finanze c. Fall. soc. Sa.Pe. (Avv. Guizzetti, Longo). Cassa App. Brescia

1935 PARTE PRIMA 1936

le) a favore del credito stesso, non costituisce domanda nuova

quella, intesa a ribadire detta domanda di ammissione, che sia

formulata con riferimento alla somma che, in virtù di transa

zione stipulata dal fallimento ed avente ad oggetto la rinunzia

da parte di questo stesso ad esercitare azioni intese ad acquisire il bene alla massa, sia entrata nel patrimonio fallimentare quale

corrispettivo di tale rinunzia, e quindi sostanzialmente quale 'con

trovalore' del bene».

L'accoglimento del secondo motivo rende irrilevante l'esame

del terzo con il quale, denunziandosi violazione e falsa applica zione degli art. 24 Cost, e 345 c.p.c., si deduce che l'inammissi

bilità in appello di domanda non proponibile in primo grado

per difetto non imputabile di conoscenza dei relativi elementi

costitutivi contrasterebbe con il principio costituzionale del di

ritto di difesa.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 22 di

cembre 1998, n. 12788; Pres. Meriggiola, Est. Amatucci, P.M. Sepe (conci, diff.); Motta (Aw. Invernizzi, Garlatti) c. Soc. Vittoria assicurazioni (Avv. Ottavi). Cassa App. Mi

lano 16 gennaio 1996.

Danni in materia civile — Debito di valore — Rivalutazione — Accertamento necessario in appello (Cod. civ., art. 1223,

1226, 2056).

Nella liquidazione del danno per un debito di valore, funziona le al ripristino della situazione in cui il patrimonio del dan

neggiato si sarebbe trovato in assenza del fatto illecito, il giu dice di appello è tenuto ad operare la rivalutazione della som

ma liquidata in primo grado fino al giorno della sua pro nuncia. (1)

(1) La necessità, per il giudice d'appello, di rivalutare la somma li

quidata in primo grado, con applicazione cumulativa degli interessi e sino alla data della pronuncia (rectius, del deposito della stessa) è prin cipio consolidato, sol che si acceda (come fa l'odierno estensore) alla teoria del cumulo di rivalutazione ed interessi nei debiti di valore come unica modalità idonea a ripristinare la diminuzione patrimoniale subita

per effetto del danno (v. Cass. 6 febbraio 1998, n. 1287, Foro it., 1998, I, 1116, con osservazioni di Caputi): cfr. Cass. 25 settembre 1997, n.

9396, id., Rep. 1997, voce Danni civili, n. 306 («l'obbligazione di risar cimento del danno determinato da un fatto illecito è debito di valore e la sua liquidazione per equivalente espressa in termini monetari, te nendo conto del valore del danno, all'epoca del fatto illecito, rivalutato alla data della decisione definitiva, comporta che la svalutazione mone taria intervenuta dopo la sentenza di primo grado sia accertata e liqui data dal giudice d'appello anche d'ufficio»); 4 dicembre 1997, n. 12297, ibid., n. 308 («nella liquidazione del danno per un debito di valore, funzionale al ripristino della situazione in cui il patrimonio del danneg giato si sarebbe trovato in assenza del fatto illecito causativo del pregiu dizio, il giudice d'appello è tenuto ad operare la rivalutazione della somma liquidata in primo grado fino a tutto il giorno della sua pronun cia anche in assenza di una specifica domanda della parte»), e 16 aprile 1997, n. 3274, ibid., n. 309 («nel giudizio di appello, ai fini della reinte

grazione per equivalente del danno da fatto illecito nell'attualità, la rivalutazione del credito da risarcimento (che è un credito di valore) deve essere computata, tenendo conto, come base di calcolo, della som ma capitale liquidata in riferimento al momento iniziale dell'esigibilità del risarcimento del danno, sulla quale applicare gli indici di rivaluta zione attuali al momento della pronuncia di secondo grado»). Fra gli altri precedenti in termini, cfr. Cass. 16 marzo 1995, n. 3072, id., Rep. 1996, voce cit., n. 245, che specifica che «l'adeguamento dell'effettivo valore monetario al momento della decisione in grado d'appello non costituisce mutamento della domanda»; 6 aprile 1995, n. 4024, ibid., n. 246; 2 dicembre 1995, n. 12460, id., Rep. 1995, voce cit., n. 313; 28 settembre 1995, n. 10246, ibid., n. 317; 20 marzo 1995, n. 3229, ibid., n. 318; 7 febbraio 1995, n. 1392, ibid., n. 320. Voce apparente mente dissonante è Cass. 29 settembre 1994, n. 7943, id., 1995, I, 842,

Il Foro Italiano — 1999.

Svolgimento del processo. — Nel 1986 Emilio Motta conven

ne in giudizio Santa Vallini, Renzo Pulici e la Vittoria assicura

zioni s.p.a. chiedendone la condanna solidale al risarcimento

dei danni subiti a seguito di un incidente stradale avvenuto il

15 luglio 1985. L'adito Tribunale di Milano accolse parzialmente la doman

da con decisione riformata dalla corte d'appello milanese che, con sentenza n. 118 del 16 gennaio 1996, liquidò il danno in

complessive lire 70.695.500, «con la rivalutazione monetaria se

condo gli indici Istat del costo della vita, indice medio dei prez zi al consumo delle famiglie degli operai e degli impiegati, e

con gli interessi legali sul capitale rivalutato secondo la media

annuale di detti indici per lo stesso periodo, dal fatto al 31

marzo 1989, data del pagamento dell'acconto di lire 70.000.000,

quanto all'intera somma liquidata, dal 31 marzo 1989 alla pre sente decisione sul residuo di lire 695.500».

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione Emilio (in ri

corso indicato come Elio) Motta sulla base di un unico motivo, cui resiste con controricorso la Vittoria assicurazioni s.p.a.

Motivi della decisione. — 1. - Si duole il ricorrente — dedu

cendo violazione e falsa applicazione dell'art. 1224 c.c., nonché

vizio di motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. — che la corte di merito non abbia riconosciuto sulle somme

dovute per rivalutazione monetaria ed interessi maturati fino

al 31 marzo 1989, ma corrisposte solo in data 11 aprile 1996, l'ulteriore rivalutazione e gli interessi per l'intervallo di tempo considerato (dal 31 marzo 1989 all'11 aprile 1996, ma recte, al 16 gennaio 1996, data della sentenza di secondo grado).

2. - Va preliminarmente chiarito che la censura muove dal

l'erroneo presupposto che la norma di cui all'art. 1224 c.c. si

applichi non solo alle obbligazioni pecuniarie, cosiddette di va

luta, ma anche alle obbligazioni di valore. In queste, al contra

rio di quanto accade in quelle, il denaro (inteso come quantità di pezzi monetari) non costituisce oggetto dell'obbligazione di

dare, ma solo il metro di commisurazione di un valore.

Tipica obbligazione di valore è, appunto, quella risarcitoria, che mira alla reintegrazione del danneggiato nella stessa situa

zione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno

non fosse stato prodotto. In tali obbligazioni la rivalutazione

monetaria non rappresenta il possibile strumento di risarcimen

to dell'eventuale maggior danno da mora indotto dalla svaluta

zione monetaria, rispetto a quello già coperto dagli interessi le

gali, come accade nelle obbligazioni pecuniarie ai sensi dell'art.

1224, 2° comma, c.c.; ma costituisce il necessario mezzo di com

misurazione attuale del valore perduto dal creditore, che va ap

punto reintegrato dal debitore.

Il riconoscimento di interessi costituisce in tale ipotesi — co

me chiarito dalle sezioni unite con sentenza n. 1712 del 1995

(Foro it., 1995, I, 1470) — una mera modalità liquidatoria del

possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudice di far ricorso col limite costituito dall'impossibilità di calcolare

gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data del

l'illecito. Non gli è invece inibito di riconoscere interessi anche

al tasso legale su somme progressivamente rivalutate; ovvero

sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia; ovvero di non riconoscerli affatto se, in relazione ai parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione moneta

ria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato, un danno da lucro cessante debba essere positivamente escluso.

Sulla scorta di tali premesse di fondo, appare evidente come

con nota di Pardolesi, secondo cui «[n]ei debiti di valore, gli interessi sulla somma rivalutata spettano solo dalla data di liquidazione», cui fa da contraltare il richiamo — operato nella sentenza in epigrafe —

a Cass., sez. un., 17 febbraio 1995, n. 1712, ibid., 1470, con note di De Marzo e Valcavi, che detta le guidelines per il computo che ci

occupa: «[i]l riconoscimento di interessi costituisce in tale ipotesi una mera modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudice di far ricorso col limite costituito dall'impossibi lità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell'illecito. Non gli è invece inibito di riconoscere interessi anche al tasso legale su somme progressivamente rivalutate; ovvero di non riconoscerli affatto, se in relazione ai parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato, un danno da lucro cessante debba esse re positivamente escluso».

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