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sezione I civile; sentenza 12 giugno 1997, n. 5287; Pres. Sensale, Est. Losavio, P.M. Maccarone...

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sezione I civile; sentenza 12 giugno 1997, n. 5287; Pres. Sensale, Est. Losavio, P.M. Maccarone (concl. diff.); Passiatore (Avv. Pellicoro) c. Lupica Spagnolo (Avv. Spadafora). Cassa App. Bari 4 maggio 1994 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 2 (FEBBRAIO 1999), pp. 671/672-675/676 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192847 . Accessed: 25/06/2014 05:04 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.40 on Wed, 25 Jun 2014 05:04:51 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 12 giugno 1997, n. 5287; Pres. Sensale, Est. Losavio, P.M. Maccarone(concl. diff.); Passiatore (Avv. Pellicoro) c. Lupica Spagnolo (Avv. Spadafora). Cassa App. Bari 4maggio 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 2 (FEBBRAIO 1999), pp. 671/672-675/676Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192847 .

Accessed: 25/06/2014 05:04

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PARTE PRIMA

La sentenza impugnata, contrariamente a quanto ritenuto dal

ricorrente, ha fatto corretta applicazione di detto principio di

diritto.

Infatti non ha rigettato l'appello perché la banca convenuta

potesse legittimamente fornire informazioni inesatte, ma perché dette notizie in parte erano generiche, non avendo mai garanti to il pagamento né dato un «benefondi» ed in parte perché era

no già tali da dover indurre il Molino a dubitare dell'effettiva

solvibilità del Fornoni. La sentenza risulta, quindi, immune dal lamentato vizio di

violazione degli art. 2043, 1175 c.c., residuando solo la questio ne attinente al profilo del lamentato vizio motivazionale.

4. - La sentenza impugnata ha escluso la responsabilità della

banca sia perché ha escluso che la convenuta abbia fornito in

formazioni inesatte sia perché le informazioni fornite dalla ban

ca, in una ad altri dati già a conoscenza del Molino (la carcera

zione del Fornoni, l'esclusione della possibilità di allargamento del fido, il consiglio di farsi dare in sostituzione assegni della

suocera del Fornoni, di far pervenire gli assegni il lunedì o il

martedì), erano tali da escludere che il danno subito dal Molino

fosse da ascrivere a responsabilità della banca, dovendo, inve

ce, ascriversi a mancanza di diligenza da parte dello stesso Mo

lino, che sulla base di questi elementi avrebbe dovuto dubitare

della solvibilità del Fornoni.

Trattasi di una valutazione delle risultanze processuali, incen

surabile in questa sede di legittimità, rispetto alla quale le do

glianze del ricorrente costituiscono una diversa lettura delle stesse

e, come tale, non ammissibile in sede di sindacato di legittimità. 5.1. - Quanto alla doglianza consistente nel non aver la sen

tenza impugnata ravvisato la responsabilità aquiliana della ban

ca convenuta per effetto dell'omessa tempestiva comunicazione

del mancato pagamento degli assegni e del mancato protesto

degli stessi (contenuta in parte nel primo motivo e nel secondo

motivo), la stessa è egualmente infondata.

Infatti, quanto al mancato protesto dei quattordici assegni, la sentenza impugnata ha accertato in punto di fatto che essi

(ad eccezione di uno non pagato per irregolarità formale) non

furono protestati perché pervenuti alla sede della Cariplo di elu

sone fuori termine.

Infatti il luogo di presentazione degli assegni, ai fini del ter

mine di cui all'art. 32 1. ass., è quello dove il titolo deve essere

pagato, che in mancanza di specifica indicazione (art. 1, n. 4, 1. ass.) è il luogo indicato accanto al nome del trattario (art.

2, 2° comma, 1. ass.). Di nessun rilievo è, consequenzialmente, il fatto che detti as

segni erano stati trasmessi in tempo utile alla sede centrale della

Cariplo in Milano, stante l'autonomia tra i vari stabilimenti dello

stesso banchiere e l'individuazione del luogo di presentazione al pagamento effettuata dalla legge (salva l'ipotesi della presen tazione ad una stanza di compensazione per il pagamento —

art. 34 1. ass. — non verificatasi nella fattispecie in cui gli asse

gni furono trasmessi dalla Banca commerciale italiana con rac

comandata, come accertato dalla sentenza impugnata).

Correttamente, quindi, la sentenza impugnata ha escluso sul

punto una responsabilità aquiliana della banca convenuta, es

sendo stati trasmessi gli assegni non al luogo dove essi doveva

no essere presentati per il pagamento, ma ad altro luogo, adot

tando, peraltro il più lento mezzo del servizio postale, in luogo della presentazione ad una stanza di compensazione ovvero il

c.d. sistema della chek truncation (che prevede che la circola

zione dell'assegno sia troncata presso la banca negoziatrice che

invia alla banca trattarla un flusso elettronico contenente i dati

dell'assegno, da equipararsi alla presentazione dell'assegno alla

stanza di compensazione). 5.2. - Inoltre nella fattispecie la sentenza impugnata ha accer

tato che detti assegni furono presentati per il pagamento dal

beneficiario Molino non direttamente alla banca trattaria (Cari

pio, sede di elusone), ma tramite la banca di cui il Molino

era correntista e cioè la Banca commerciale di Torino.

In tal caso il rapporto che viene ad instaurarsi tra il correnti

sta e la propria banca, attraverso il ricorso al c.d. «servizio

di incasso» rientra nell'ambito dello schema contrattuale del

«mandato ad esigere». In questo caso la banca che espleta detto servizio di incasso

risponde secondo le regole del mandato per l'esecuzione di ogni

Il Foro Italiano — 1999.

incarico ricevuto dal correntista ed è in particolare soggetta al

l'obbligo di comunicare senza ritardo l'impossibilità di eseguire il mandato o l'esito infruttuoso di esso.

Pertanto nel caso di «versamento sul conto» di un assegno da parte del cliente il mandato non si esaurisce con l'invio del

l'assegno alla banca trattarla, ma ricomprende l'accertamento

dell'avvenuta ricezione del titolo e dell'esito dell'operazione, con

la comunicazione al mandante dell'impossibilità eventuale di ese

guire il mandato.

Ne consegue che la banca trattarla, ove sia adottato questo sistema del «servizio di incasso», nessuna informazione deve

al beneficiario o giratario dell'assegno dell'esito della presenta zione per il pagamento, in quanto l'unica comunicazione va for

nita alla banca negoziatrice, poiché è questa che effettua la pre sentazione del titolo.

Quest'ultima banca, poi, per effetto degli obblighi conseguenti al mandato ad incassare fornirà la comunicazione al mandante

dell'esito del suo mandato (provvedendo a stornare la partita di credito effettuata eventualmente sul conto corrente del

mandante). Infondata è quindi la doglianza del ricorrente secondo cui

la banca convenuta non aveva provveduto ad informarlo del

mancato pagamento degli assegni, non essendo a tanto tenuta.

6. - La stessa restituzione degli assegni non pagati andava

effettuata, alla banca mandataria all'incasso, come è avvenuto

nella fattispecie e non al beneficiario o al giratario dell'assegno. La sentenza impugnata, in ogni caso, ha rilevato che nessuna

prova ha fornito l'attore in merito alla data in cui avvenne da

parte della Banca commerciale lo storno dei fondi sul conto

del Molino e, quindi, la data in cui la banca convenuta restituì

gli assegni alla banca mandataria all'incasso.

Il ricorso va pertanto rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 12 giugno

1997, n. 5287; Pres. Sensale, Est. Losavio, P.M. Maccaro

ne (conci, diff.); Passiatore (Aw. Pellicoro) c. Lupica Spa

gnolo (Avv. Spadafora). Cassa App. Bari 4 maggio 1994.

Rinvio civile (giudizio di) — Annullamento di sentenza penale limitatamente alle disposizioni civili — Riassunzione — De

correnza del termine (Cod. proc. civ., art. 133, 392; cod. proc.

pen. del 1930, art. 474, 537, 541; cod. proc. pen. del 1988, art. 615, 622).

Nell'ipotesi in cui la Corte di cassazione, in sede penale, annulli

solamente le disposizioni o i capi della sentenza che riguarda no l'azione civile e rinvii la causa al giudice civile, a norma

dell'art. 541 c.p.p. del 1930, il termine di un anno per la

riassunzione davanti al giudice di rinvio decorre dal deposito in cancelleria della sentenza della Corte di cassazione e non

dalla lettura del dispositivo in udienza. (1)

(1) V., nello stesso senso, Cass. 1° febbraio 1996, n. 846, Foro it., 1997, I, 254, con nota di Monnini, e Corriere giur., 1996, 552, con nota di Catalano, Sentenza penale e riassunzione del giudizio civile. In senso contrario v. Cass. 5 gennaio 1967, n. 29, Foro it., Rep. 1967, voce Rinvio penale, n. 2, e Giusi, civ., 1967, I, 949, secondo cui il termine di un anno decorre dalla lettura del dispositivo in udienza.

La Cassazione fonda la propria decisione sulla distinzione esistente tra la pronuncia della sentenza penale (art. 472, 199, 151 c.p.p. del

1930) e la pronuncia della sentenza civile (art. 133 c.p.c.), stabilendo

che, trattandosi di vicende civili, bisogna fare capo al deposito, che è il mezzo di pubblicazione della sentenza civile, e non alla lettura del

dispositivo, che è invece la formalità tipica della sentenza penale. È orientamento costante della stessa Cassazione che in caso di so

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Giuseppe Lupica, condannato

dal Pretore di Casamassima per il reato di lesioni personali col

pose in danno di Domenico Passiatore, era invece assolto —

su suo appello — dal Tribunale di Bari per insufficienza di pro ve. Il Passiatore, costituito parte civile, ricorreva in Cassazione

e questa corte con sentenza letta in udienza il 18 gennaio 1988

e depositata il 21 aprile successivo annullava la decisione del

Tribunale di Bari — quanto alle disposizioni riguardanti l'azio

ne civile — e rinviava la causa al giudice civile competente per

valore in grado d'appello (ex art. 541 c.p.p. del 1930). Il Pas

siatore riassumeva il giudizio davanti alla Corte di appello di

Bari con atto notificato il 6 giugno 1989.

Con sentenza 16 marzo - 4 maggio 1994 la corte d'appello, in accoglimento della eccezione sollevata dal convenuto, dichia

rava l'estinzione del giudizio poiché l'atto di riassunzione era

stato notificato oltre l'anno dalla pubblicazione della sentenza

di cassazione, dovendosi intendere per «pubblicazione» la lettu

ra del dispositivo in udienza e non il deposito della sentenza.

Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione

Domenico Passiatore. Resiste con controricorso Giuseppe Lupi

ca Spagnolo che ha anche presentato memoria.

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di impugnazio

ne il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art.

541 c.p.p. previgente, in relazione agli art. 474 stesso codice

e 392 c.p.c. e censura la decisione della corte di merito che

ha considerato il termine a quo per la riassunzione della causa

davanti al giudice civile (a norma dell'art. 541 c.p.p.) coinci

dente con la pubblicazione della sentenza mediante lettura del

dispositivo in udienza secondo quanto dispone l'art. 537, 2°

comma, c.p.p. (cui testualmente corrisponde il 3° comma del

l'art. 615 c.p.p. vigente) e ha quindi ritenuto tardiva la riassun

zione della causa eseguita dal Passiatore oltre l'anno dalla «pub

blicazione» della sentenza nei modi dell'art. 537 c.p.p., ma en

tro l'anno dal deposito in cancelleria (art. 151 c.p.p.) della

sentenza completa dei requisiti formali di cui all'art. 474 c.p.p.

Afferma il ricorrente che, trattandosi del giudizio di rinvio

davanti al giudice civile, si deve avere riguardo alla pubblicazio

ne della sentenza secondo il rito civile, che si realizza «mediante

deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata» co

me dispone l'art. 133, 1° comma, c.p.c., e a questo modo della

pubblicazione necessariamente si riferisce l'art. 392 c.p.c.: sic

ché la riassunzione nella specie doveva essere ritenuta tempestiva.

Il motivo è fondato, con le precisazioni qui di seguito esposte.

1. - Si deve preliminarmente rilevare che la questione qui pro

spettata con riferimento al codice di procedura penale del 1930

— vigente al tempo in cui il giudice penale di legittimità dispose

nella specie il rinvio della causa davanti al giudice civile — non

diversamente si pone rispetto al codice di rito entrato in vigore

nel 1989, che negli art. 615, 3° comma, e 622 ha confermato

il regime di pubblicazione della sentenza della Corte di cassa

zione e nello stesso modo ha disciplinato la prosecuzione dell'a

zione civile davanti al «giudice civile competente per valore in

grado di appello» nella ipotesi di «annullamento della sentenza

ai soli effetti civili». 2. - Ebbene, i giudici di appello nel presente processo si sono

attenuti all'unico precedente specifico di questa corte risalente

al 1967 (sez. I 5 gennaio 1967, n. 29, Foro it., Rep. 1967, voce

Rinvio penale, n. 2) che della espressione «pubblicazione» di

cui all'art. 392 c.p.c. ha dato interpretazione letterale e fatto

applicazione diretta alla fattispecie processuale del rinvio dispo

sto dal giudice penale di legittimità per il trasferimento

prosecuzione dell'azione civile (per le restituzioni e per il risar

spensione del processo civile per pregiudizialità penale ex art. 295 c.p.c.

e 3 c.p.p. del 1930 (ora ex art. 75 c.p.p. del 1988), la riassunzione

del processo civile debba avvenire nel termine di sei mesi decorrenti

dalla lettura del dispositivo di cassazione senza rinvio della sentenza:

Cass. 25 febbraio 1995, n. 2219, Foro it., Rep. 1995, voce Procedimen

to civile, n. 294; 11 febbraio 1995, n. 1526, id., 1995, I, 1833, con

nota di richiami.

In dottrina, v., fra gli altri, E.F. Ricci, Il giudizio civile di rinvio,

Milano, 1967; Spiazzi, Cassazione delle sole disposizioni civili di sen

tenza penale con rinvio in base all'art. 541 c.p.p., e vincoli concreti

che derivano per il giudice di rinvio dalle determinazioni contenute nel

la sentenza della Corte suprema, in Giur. it., 1987, I, 1, 849.

Il Foro Italiano — 1999.

cimento del danno) davanti al competente giudice civile; e ha

giudicato che nell'ambito di una tale interpretazione potesse tro

vare soddisfacente superamento anche 1'«inconveniente» pro

spettato dal ricorrente in quel giudizio nella ipotesi non fre

quente ma tuttavia in più casi verificatasi — specie in processi di straordinaria complessità — di persistente ritardo nel deposi to della sentenza (pubblicata mediante lettura in udienza) e per fino oltre l'anno dalla pubblicazione, giacché in quell'ipotesi è giustificata la mancata produzione della copia autentica della

sentenza prescritta dall'art. 394, 1° comma, c.p.c. — senza com

minatoria, per altro, di sanzione — e il deposito della copia del dispositivo è sufficiente a dare certezza della statuizione di

rinvio, fermo in ogni caso che l'udienza collegiale non potrà essere fissata prima che sia divenuta in concreto possibile la

produzione della copia integrale della sentenza.

Non condivide il collegio la soluzione adottata dalla sentenza

di questa corte n. 29 del 1967, cit., che postula l'interpretazione della espressione «pubblicazione della sentenza della Corte di

cassazione» contenuta nell'art. 392 c.p.c. come indifferentemente

riferita al rito civile e a quello penale e non dà ragione di un

essenziale profilo che discrimina i due riti quanto al momento

conclusivo dei rispettivi giudizi di legittimità, dal quale soltanto

può prendere avvio il termine dato per attivare la fase consecu

tiva di rinvio. 3. - È appena il caso di sottolineare che nella fattispecie pro

cessuale prevista dall'art. 541 c.p.p. previgente (ora art. 622

c.p.p.) il giudice penale, con la pronuncia di legittimità, ha esau

rito la sua cognizione anche in ordine al rapporto processuale

civile, ma la statuizione penale («gli effetti penali della senten

za» rimangono «fermi», secondo l'espressione dell'art. 622 c.p.p.

vigente) non preclude la prosecuzione dell'azione civile che deve

perciò trasferirsi davanti al giudice civile attraverso l'istituto del

«rinvio». E appunto il rinvio, rimesso all'impulso della parte

interessata, non può modellarsi che sul disposto dell'art. 392

c.p.c. che disciplina l'ulteriore sviluppo del processo — civile — a seguito della pronuncia di «cassazione con rinvio» a nor

ma dell'art. 383 c.p.c. e fissa il termine perentorio per la rias

sunzione della causa davanti al giudice di rinvio, con decorren

za «dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazio

ne». Non sembra revocabile in dubbio la constatazione che la

norma dell'art. 392 c.p.c., interna al giudizio civile di cassazio

ne e rinvio, là dove fa coincidere il termine a quo della riassun

zione con la «pubblicazione della sentenza della Corte di cassa

zione», abbia esclusivo riguardo alla pronuncia di cui all'art.

383 c.p.c. e ai modi in cui la sentenza civile è «pronunciata»

(art. 132 c.p.c.) e «resa pubblica» (art. 133 c.p.c.) attraverso

il deposito del provvedimento completo di tutti i requisiti di

«contenuto» prescritti dall'art. 132 c.p.c. L'art. 392 c.p.c. non può dunque che considerare la pubbli

cazione della sentenza civile (di cassazione con rinvio), essendo

estraneo al suo orizzonte l'istituto dell'annullamento con rinvio

di cui all'art. 541 del previgente codice di procedura penale (cui

corrisponde il conforme disposto del vigente art. 622 c.p.p.).

E per tale ragione la questione interpretativa posta dall'art. 392

c.p.c. in rapporto all'art. 541 c.p.p. previgente e con riferimen

to alla decorrenza del termine annuale di riassunzione non può

essere risolta con l'applicazione dei canoni ermeneutici letterali

e logici, ma esige il ricorso alla analogia sul fondamento della

ratio della norma di cui allo stesso art. 392 c.p.c. che regola

il collegamento tra due fasi del processo civile — il passaggio

dal giudizio di legittimità a quello di rinvio — e onera le parti

della osservanza di un termine decadenziale. È perfino ovvio

riconoscere che il termine a quo è necessariamente identificato

da tale articolo con la pubblicazione-deposito della sentenza,

che segna il momento conclusivo della «fase» del giudizio di

cassazione, giacché l'esercizio della facoltà data alle parti di at

tivare la fase consecutiva del processo presuppone l'esaurimen

to di quella precedente di legittimità e postula, funzionalmente,

la piena conoscenza della pronuncia del giudice di legittimità,

necessaria per conformarvi lo sviluppo difensivo nel giudizio

di rinvio. Queste stesse esigenze non possono dirsi soddisfatte

dalla «pubblicazione» della sentenza della Corte di cassazione

nel processo penale che si realizza «mediante» lettura del dispo

sitivo data «in udienza subito dopo la deliberazione in camera

di consiglio» (che a sua volta ha luogo «subito dopo terminata

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PARTE PRIMA

la pubblica udienza»: art. 537 c.p.p. previgente, art. 615 c.p.p.

vigente), poiché essa non corrisponde al momento conclusivo

del giudizio di legittimità e non offre alla parte interessata allo

sviluppo della fase di rinvio la conoscenza delle ragioni della

decisione (la sua motivazione, requisito formale prescritto dal

l'art. 474 c.p.p. previgente e dall'art. 546 c.p.p. vigente, con

formemente al precetto costituzionale dell'art. Ili), ovviamente

indispensabile per definire l'impostazione difensiva nell'atto di

riassunzione. Tali finalità (corrispondenti alla ratio che presiede alla indicazione del termine a quo della riassunzione secondo

il disposto dell'art. 392 c.p.c.) sono realizzate con il deposito in cancelleria della sentenza penale di cassazione e rinvio, che

esaurisca il giudizio di legittimità e offre la piena conoscenza

della decisione, sicché soltanto dal momento del deposito della

sentenza del giudice penale di legittimità, analogamente alla pub blicazione della sentenza di cassazione e rinvio del rito civile,

può in concreto essere esercitata la facoltà di riassumere il giu dizio di rinvio ed inizia perciò a decorrere il termine annuale

dato dall'art. 392 c.p.c. per attivare la fase consecutiva.

4. - Per le ragioni fin qui espresse, in accoglimento del ricor

so, deve disporsi l'annullamento della sentenza impugnata che

ha fatto nella specie decorrere il termine per la riassunzione

del giudizio di rinvio dalla «pubblicazione» della sentenza pena le di legittimità (mediante lettura in udienza del dispositivo, a

norma dell'art. 537, 2° comma, c.p.p. previgente) e ha conse

guentemente dichiarato l'estinzione del processo. Il giudice di

rinvio (identificato in altra sezione della Corte di appello di Ba

ri) si adeguerà al principio secondo il quale il termine annuale

per la riassunzione davanti al giudice civile competente per va

lore in grado di appello a seguito dell'«annullamento delle sole

disposizioni civili della sentenza» come previsto dall'art. 541

c.p.p. previgente, decorre dal deposito in cancelleria (a norma

dell'art. 151 stesso codice) della sentenza penale di cassazione

e rinvio.

CORTE D'APPELLO DI TORINO; sentenza 3 giugno 1998; Pres. Gamba, Est. Viberti; Antonova (Avv. G. e S. Matta).

CORTE D'APPELLO DI TORINO;

Stato civile — Cognome — Rettifica — Cognome acquisito per

legge nazionale — Fattispecie (Cost., art. 2; cod. civ., art.

6, 7; 1. 19 novembre 1984 n. 950, ratifica ed esecuzione della

convenzione relativa al rilascio di un certificato matrimoniale

e della convenzione sulla legge applicabile ai cognomi ed ai

nomi, adottate a Monaco il 5 settembre 1980, art. 1).

Posto che il diritto di mantenere il cognome originario (o quello

definitivamente e volontariamente acquisito nel paese di pro venienza in sostituzione del cognome originario) è un diritto

fondamentale di ogni cittadino, quale segno distintivo della

propria personalità e parte essenziale del patrimonio della per sona umana e non contrasta con alcuna norma di ordine pub blico del nostro Stato, non sussiste ragione per porre limiti

al diritto al mantenimento della propria completa identità,

acquisita nello Stato di provenienza, per chi ha ottenuto la

cittadinanza italiana provenendo da una diversa nazionalità

(nella specie, una cittadina russa, acquisita la cittadinanza ita

liana, richiedeva di tenere, per sé e la figlia, il cognome del

l'ex marito). (1)

(1) Con questa decisione, di cui non constano precedenti, la corte torinese accoglie l'orientamento più recente della giurisprudenza costi

tuzionale, che rimarca il carattere pregnante del principio secondo cui il nome è segno distintivo della personalità e parte essenziale del patri

II Foro Italiano — 1999.

Svolgimento del processo. — Con ricorso 24 marzo 1997 An

tonova Nadejda Alexandrovna, in proprio e quale esercente la

potestà genitoriale sulla minore Antonova Darja, chiedeva al

Tribunale di Torino ex art. 167 ss. r.d. 9 luglio 1939 n. 1238

e art. 454 c.c., accertarsi il diritto suo e della figlia a conserva

re, anche dopo l'acquisizione della cittadinanza italiana avvenu

ta in data 30 ottobre 1996, il proprio cognome Antonova, senza

le modifiche apportate dall'ufficiale dello stato civile di Forno

Canavese con annotazioni a margine della trascrizione dei due

atti di nascita, secondo le quali le certificazioni dovevano —

in conformità alla convenzione di Monaco 5 settembre 1980 ra

tificata con 1. 19 novembre 1984 n. 950 — essere rilasciate ri

spettivamente con i nominativi: «Matveev Nadejda Alexandrov

na» e «Antonov Darja». Il Tribunale di Torino con la sentenza n. 925 del 9 gennaio

- 20 febbraio 1998 disponeva la rettifica a mezzo di annotazioni

a margine: '■ \ — dell'atto di nascita n. 5, in modo che il cognome origina

rio Matveeva venisse determinato in «Matveev» e che venisse

dato atto del matrimonio (e del divorzio in data 12 agosto 1993) contratto con Antonov Alesxsej Alexseevic, con il conseguente

acquisto del cognome Antonova da determinarsi in «Antonov»; — dell'atto di nascita n. 7, in modo che il cognome di Darja

fosse determinato in «Antonov» e la madre della stessa venisse

indicata con il cognome «Antonov».

Contro la sentenza proponeva impugnazione la ricorrente, la

quale chiedeva per sé « per la figlia di mantenere il cognome «Antonova». \

Assumeva la ricorrente che il proprio cognome era «Antono

va» (cognome derivatole\dal primo marito) e non «Matveev»

(cognome che le era derivàto dal padre), prevedendo la legisla zione russa che le donne, alla nascita, assumano il cognome

paterno con l'aggiunta della desinenza femminile in «a», e suc

cessivamente, coniugandosi, possano a loro scelta conservare

il precedente cognome, oppure assumere il cognome del marito

con l'aggiunta della desinenza femminile in «a», in tale ultimo

caso perdendo l'originario cognome paterno.

Parimenti, assumeva che il cognome della figlia era «Antono

va» (cognome derivato dal padre "Antonov, a cui andava ag

giunta la desinenza femminile in «a») e non Antonov come rite

nuto dall'ufficiale dello stato civile.

Motivi della decisione. — La convenzione sulla legge da ap

plicare ai cognomi e nomi adottata a\Monaco il 5 settembre

1980 prevede all'art. 1,1° comma: «I cognomi e i nomi di una

persona vengono determinati dalla legge dello Stato di cui è

cittadino. A questo solo scopo, le situazioni da cui dipendono i cognomi e i nomi vengono valutate secondo la legge di detto

Stato.» e al 2° comma: «In caso di cambiamento di nazionali

tà, viene applicata la legge dello Stato della nuòva nazionalità».

monio della persona umana. Da qui la corte fa discendere il corollario

che, non ostando norme di ordine pubblico, non devono porsi limiti al diritto al mantenimento della propria completa identità così come

acquisita nel paese di provenienza. V. Corte cost. 23 luglio\1996, n.

297, Foro it., 1996, I, 3600; 3 febbraio 1994, n. 13, id., 1994, \, 1668, entrambe con nota di richiami. Per una pronunzia che utilizza la vicen da della perdita del cognome maritale a seguito di divorzio, «al fine di rendere palese l'avvenuto scioglimento del matrimonio», v. App. Roma 18 maggio 1987, id., 1987, I, 3143, con nota di R. Moccia.

In dottrina, sul diritto al nome, v. L. Lenti, Nome e cognome, voce del Digesto civ., Torino, 1995, XII, 135. Sulle vicende relative al nuovo

cognome, v. A. De Sanctis Ricciardone, Nome civile, voce àeW'Enci-x

clopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XXI, 6 ss. In tema di rettifi cazione di nome e cognome, cfr. anche U. Breccia, Persone fisiche, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 433, per il quale la rettificazione, nelle sue varie ipotesi applicative, sottolinea l'interesse alla regolarizzazione ed alla certezza del nome qual è o quale dovrebbe essere in conformità di un concorrente interesse privato e pubblico. V., altresì, A. Piraino Leto, Il diritto ad essere sé stessi, in Dir. famiglia, 1990, 601; A. Struycken, La convenzione di Monaco sulla legge appli cabile ai cognomi e nomi, in Riv. dir. internaz. privato e proc., 1991, 573, sugli aspetti legati precipuamente alle vicende del nome in relazio ne alla cittadinanza della persona. Sul diritto all'identità personale, v., infine, V. Zeno Zencovich, Identità personale, voce del Digesto civ., Torino, 1993, IX, 294; F. Cionti, Segni distintivi della persona e segni distintivi della personalità, Milano, 1994, passim.

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