sezione I civile; sentenza 12 giugno 1997, n. 5287; Pres. Sensale, Est. Losavio, P.M. Maccarone(concl. diff.); Passiatore (Avv. Pellicoro) c. Lupica Spagnolo (Avv. Spadafora). Cassa App. Bari 4maggio 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 2 (FEBBRAIO 1999), pp. 671/672-675/676Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192847 .
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PARTE PRIMA
La sentenza impugnata, contrariamente a quanto ritenuto dal
ricorrente, ha fatto corretta applicazione di detto principio di
diritto.
Infatti non ha rigettato l'appello perché la banca convenuta
potesse legittimamente fornire informazioni inesatte, ma perché dette notizie in parte erano generiche, non avendo mai garanti to il pagamento né dato un «benefondi» ed in parte perché era
no già tali da dover indurre il Molino a dubitare dell'effettiva
solvibilità del Fornoni. La sentenza risulta, quindi, immune dal lamentato vizio di
violazione degli art. 2043, 1175 c.c., residuando solo la questio ne attinente al profilo del lamentato vizio motivazionale.
4. - La sentenza impugnata ha escluso la responsabilità della
banca sia perché ha escluso che la convenuta abbia fornito in
formazioni inesatte sia perché le informazioni fornite dalla ban
ca, in una ad altri dati già a conoscenza del Molino (la carcera
zione del Fornoni, l'esclusione della possibilità di allargamento del fido, il consiglio di farsi dare in sostituzione assegni della
suocera del Fornoni, di far pervenire gli assegni il lunedì o il
martedì), erano tali da escludere che il danno subito dal Molino
fosse da ascrivere a responsabilità della banca, dovendo, inve
ce, ascriversi a mancanza di diligenza da parte dello stesso Mo
lino, che sulla base di questi elementi avrebbe dovuto dubitare
della solvibilità del Fornoni.
Trattasi di una valutazione delle risultanze processuali, incen
surabile in questa sede di legittimità, rispetto alla quale le do
glianze del ricorrente costituiscono una diversa lettura delle stesse
e, come tale, non ammissibile in sede di sindacato di legittimità. 5.1. - Quanto alla doglianza consistente nel non aver la sen
tenza impugnata ravvisato la responsabilità aquiliana della ban
ca convenuta per effetto dell'omessa tempestiva comunicazione
del mancato pagamento degli assegni e del mancato protesto
degli stessi (contenuta in parte nel primo motivo e nel secondo
motivo), la stessa è egualmente infondata.
Infatti, quanto al mancato protesto dei quattordici assegni, la sentenza impugnata ha accertato in punto di fatto che essi
(ad eccezione di uno non pagato per irregolarità formale) non
furono protestati perché pervenuti alla sede della Cariplo di elu
sone fuori termine.
Infatti il luogo di presentazione degli assegni, ai fini del ter
mine di cui all'art. 32 1. ass., è quello dove il titolo deve essere
pagato, che in mancanza di specifica indicazione (art. 1, n. 4, 1. ass.) è il luogo indicato accanto al nome del trattario (art.
2, 2° comma, 1. ass.). Di nessun rilievo è, consequenzialmente, il fatto che detti as
segni erano stati trasmessi in tempo utile alla sede centrale della
Cariplo in Milano, stante l'autonomia tra i vari stabilimenti dello
stesso banchiere e l'individuazione del luogo di presentazione al pagamento effettuata dalla legge (salva l'ipotesi della presen tazione ad una stanza di compensazione per il pagamento —
art. 34 1. ass. — non verificatasi nella fattispecie in cui gli asse
gni furono trasmessi dalla Banca commerciale italiana con rac
comandata, come accertato dalla sentenza impugnata).
Correttamente, quindi, la sentenza impugnata ha escluso sul
punto una responsabilità aquiliana della banca convenuta, es
sendo stati trasmessi gli assegni non al luogo dove essi doveva
no essere presentati per il pagamento, ma ad altro luogo, adot
tando, peraltro il più lento mezzo del servizio postale, in luogo della presentazione ad una stanza di compensazione ovvero il
c.d. sistema della chek truncation (che prevede che la circola
zione dell'assegno sia troncata presso la banca negoziatrice che
invia alla banca trattarla un flusso elettronico contenente i dati
dell'assegno, da equipararsi alla presentazione dell'assegno alla
stanza di compensazione). 5.2. - Inoltre nella fattispecie la sentenza impugnata ha accer
tato che detti assegni furono presentati per il pagamento dal
beneficiario Molino non direttamente alla banca trattaria (Cari
pio, sede di elusone), ma tramite la banca di cui il Molino
era correntista e cioè la Banca commerciale di Torino.
In tal caso il rapporto che viene ad instaurarsi tra il correnti
sta e la propria banca, attraverso il ricorso al c.d. «servizio
di incasso» rientra nell'ambito dello schema contrattuale del
«mandato ad esigere». In questo caso la banca che espleta detto servizio di incasso
risponde secondo le regole del mandato per l'esecuzione di ogni
Il Foro Italiano — 1999.
incarico ricevuto dal correntista ed è in particolare soggetta al
l'obbligo di comunicare senza ritardo l'impossibilità di eseguire il mandato o l'esito infruttuoso di esso.
Pertanto nel caso di «versamento sul conto» di un assegno da parte del cliente il mandato non si esaurisce con l'invio del
l'assegno alla banca trattarla, ma ricomprende l'accertamento
dell'avvenuta ricezione del titolo e dell'esito dell'operazione, con
la comunicazione al mandante dell'impossibilità eventuale di ese
guire il mandato.
Ne consegue che la banca trattarla, ove sia adottato questo sistema del «servizio di incasso», nessuna informazione deve
al beneficiario o giratario dell'assegno dell'esito della presenta zione per il pagamento, in quanto l'unica comunicazione va for
nita alla banca negoziatrice, poiché è questa che effettua la pre sentazione del titolo.
Quest'ultima banca, poi, per effetto degli obblighi conseguenti al mandato ad incassare fornirà la comunicazione al mandante
dell'esito del suo mandato (provvedendo a stornare la partita di credito effettuata eventualmente sul conto corrente del
mandante). Infondata è quindi la doglianza del ricorrente secondo cui
la banca convenuta non aveva provveduto ad informarlo del
mancato pagamento degli assegni, non essendo a tanto tenuta.
6. - La stessa restituzione degli assegni non pagati andava
effettuata, alla banca mandataria all'incasso, come è avvenuto
nella fattispecie e non al beneficiario o al giratario dell'assegno. La sentenza impugnata, in ogni caso, ha rilevato che nessuna
prova ha fornito l'attore in merito alla data in cui avvenne da
parte della Banca commerciale lo storno dei fondi sul conto
del Molino e, quindi, la data in cui la banca convenuta restituì
gli assegni alla banca mandataria all'incasso.
Il ricorso va pertanto rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 12 giugno
1997, n. 5287; Pres. Sensale, Est. Losavio, P.M. Maccaro
ne (conci, diff.); Passiatore (Aw. Pellicoro) c. Lupica Spa
gnolo (Avv. Spadafora). Cassa App. Bari 4 maggio 1994.
Rinvio civile (giudizio di) — Annullamento di sentenza penale limitatamente alle disposizioni civili — Riassunzione — De
correnza del termine (Cod. proc. civ., art. 133, 392; cod. proc.
pen. del 1930, art. 474, 537, 541; cod. proc. pen. del 1988, art. 615, 622).
Nell'ipotesi in cui la Corte di cassazione, in sede penale, annulli
solamente le disposizioni o i capi della sentenza che riguarda no l'azione civile e rinvii la causa al giudice civile, a norma
dell'art. 541 c.p.p. del 1930, il termine di un anno per la
riassunzione davanti al giudice di rinvio decorre dal deposito in cancelleria della sentenza della Corte di cassazione e non
dalla lettura del dispositivo in udienza. (1)
(1) V., nello stesso senso, Cass. 1° febbraio 1996, n. 846, Foro it., 1997, I, 254, con nota di Monnini, e Corriere giur., 1996, 552, con nota di Catalano, Sentenza penale e riassunzione del giudizio civile. In senso contrario v. Cass. 5 gennaio 1967, n. 29, Foro it., Rep. 1967, voce Rinvio penale, n. 2, e Giusi, civ., 1967, I, 949, secondo cui il termine di un anno decorre dalla lettura del dispositivo in udienza.
La Cassazione fonda la propria decisione sulla distinzione esistente tra la pronuncia della sentenza penale (art. 472, 199, 151 c.p.p. del
1930) e la pronuncia della sentenza civile (art. 133 c.p.c.), stabilendo
che, trattandosi di vicende civili, bisogna fare capo al deposito, che è il mezzo di pubblicazione della sentenza civile, e non alla lettura del
dispositivo, che è invece la formalità tipica della sentenza penale. È orientamento costante della stessa Cassazione che in caso di so
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Giuseppe Lupica, condannato
dal Pretore di Casamassima per il reato di lesioni personali col
pose in danno di Domenico Passiatore, era invece assolto —
su suo appello — dal Tribunale di Bari per insufficienza di pro ve. Il Passiatore, costituito parte civile, ricorreva in Cassazione
e questa corte con sentenza letta in udienza il 18 gennaio 1988
e depositata il 21 aprile successivo annullava la decisione del
Tribunale di Bari — quanto alle disposizioni riguardanti l'azio
ne civile — e rinviava la causa al giudice civile competente per
valore in grado d'appello (ex art. 541 c.p.p. del 1930). Il Pas
siatore riassumeva il giudizio davanti alla Corte di appello di
Bari con atto notificato il 6 giugno 1989.
Con sentenza 16 marzo - 4 maggio 1994 la corte d'appello, in accoglimento della eccezione sollevata dal convenuto, dichia
rava l'estinzione del giudizio poiché l'atto di riassunzione era
stato notificato oltre l'anno dalla pubblicazione della sentenza
di cassazione, dovendosi intendere per «pubblicazione» la lettu
ra del dispositivo in udienza e non il deposito della sentenza.
Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione
Domenico Passiatore. Resiste con controricorso Giuseppe Lupi
ca Spagnolo che ha anche presentato memoria.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di impugnazio
ne il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art.
541 c.p.p. previgente, in relazione agli art. 474 stesso codice
e 392 c.p.c. e censura la decisione della corte di merito che
ha considerato il termine a quo per la riassunzione della causa
davanti al giudice civile (a norma dell'art. 541 c.p.p.) coinci
dente con la pubblicazione della sentenza mediante lettura del
dispositivo in udienza secondo quanto dispone l'art. 537, 2°
comma, c.p.p. (cui testualmente corrisponde il 3° comma del
l'art. 615 c.p.p. vigente) e ha quindi ritenuto tardiva la riassun
zione della causa eseguita dal Passiatore oltre l'anno dalla «pub
blicazione» della sentenza nei modi dell'art. 537 c.p.p., ma en
tro l'anno dal deposito in cancelleria (art. 151 c.p.p.) della
sentenza completa dei requisiti formali di cui all'art. 474 c.p.p.
Afferma il ricorrente che, trattandosi del giudizio di rinvio
davanti al giudice civile, si deve avere riguardo alla pubblicazio
ne della sentenza secondo il rito civile, che si realizza «mediante
deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata» co
me dispone l'art. 133, 1° comma, c.p.c., e a questo modo della
pubblicazione necessariamente si riferisce l'art. 392 c.p.c.: sic
ché la riassunzione nella specie doveva essere ritenuta tempestiva.
Il motivo è fondato, con le precisazioni qui di seguito esposte.
1. - Si deve preliminarmente rilevare che la questione qui pro
spettata con riferimento al codice di procedura penale del 1930
— vigente al tempo in cui il giudice penale di legittimità dispose
nella specie il rinvio della causa davanti al giudice civile — non
diversamente si pone rispetto al codice di rito entrato in vigore
nel 1989, che negli art. 615, 3° comma, e 622 ha confermato
il regime di pubblicazione della sentenza della Corte di cassa
zione e nello stesso modo ha disciplinato la prosecuzione dell'a
zione civile davanti al «giudice civile competente per valore in
grado di appello» nella ipotesi di «annullamento della sentenza
ai soli effetti civili». 2. - Ebbene, i giudici di appello nel presente processo si sono
attenuti all'unico precedente specifico di questa corte risalente
al 1967 (sez. I 5 gennaio 1967, n. 29, Foro it., Rep. 1967, voce
Rinvio penale, n. 2) che della espressione «pubblicazione» di
cui all'art. 392 c.p.c. ha dato interpretazione letterale e fatto
applicazione diretta alla fattispecie processuale del rinvio dispo
sto dal giudice penale di legittimità per il trasferimento
prosecuzione dell'azione civile (per le restituzioni e per il risar
spensione del processo civile per pregiudizialità penale ex art. 295 c.p.c.
e 3 c.p.p. del 1930 (ora ex art. 75 c.p.p. del 1988), la riassunzione
del processo civile debba avvenire nel termine di sei mesi decorrenti
dalla lettura del dispositivo di cassazione senza rinvio della sentenza:
Cass. 25 febbraio 1995, n. 2219, Foro it., Rep. 1995, voce Procedimen
to civile, n. 294; 11 febbraio 1995, n. 1526, id., 1995, I, 1833, con
nota di richiami.
In dottrina, v., fra gli altri, E.F. Ricci, Il giudizio civile di rinvio,
Milano, 1967; Spiazzi, Cassazione delle sole disposizioni civili di sen
tenza penale con rinvio in base all'art. 541 c.p.p., e vincoli concreti
che derivano per il giudice di rinvio dalle determinazioni contenute nel
la sentenza della Corte suprema, in Giur. it., 1987, I, 1, 849.
Il Foro Italiano — 1999.
cimento del danno) davanti al competente giudice civile; e ha
giudicato che nell'ambito di una tale interpretazione potesse tro
vare soddisfacente superamento anche 1'«inconveniente» pro
spettato dal ricorrente in quel giudizio nella ipotesi non fre
quente ma tuttavia in più casi verificatasi — specie in processi di straordinaria complessità — di persistente ritardo nel deposi to della sentenza (pubblicata mediante lettura in udienza) e per fino oltre l'anno dalla pubblicazione, giacché in quell'ipotesi è giustificata la mancata produzione della copia autentica della
sentenza prescritta dall'art. 394, 1° comma, c.p.c. — senza com
minatoria, per altro, di sanzione — e il deposito della copia del dispositivo è sufficiente a dare certezza della statuizione di
rinvio, fermo in ogni caso che l'udienza collegiale non potrà essere fissata prima che sia divenuta in concreto possibile la
produzione della copia integrale della sentenza.
Non condivide il collegio la soluzione adottata dalla sentenza
di questa corte n. 29 del 1967, cit., che postula l'interpretazione della espressione «pubblicazione della sentenza della Corte di
cassazione» contenuta nell'art. 392 c.p.c. come indifferentemente
riferita al rito civile e a quello penale e non dà ragione di un
essenziale profilo che discrimina i due riti quanto al momento
conclusivo dei rispettivi giudizi di legittimità, dal quale soltanto
può prendere avvio il termine dato per attivare la fase consecu
tiva di rinvio. 3. - È appena il caso di sottolineare che nella fattispecie pro
cessuale prevista dall'art. 541 c.p.p. previgente (ora art. 622
c.p.p.) il giudice penale, con la pronuncia di legittimità, ha esau
rito la sua cognizione anche in ordine al rapporto processuale
civile, ma la statuizione penale («gli effetti penali della senten
za» rimangono «fermi», secondo l'espressione dell'art. 622 c.p.p.
vigente) non preclude la prosecuzione dell'azione civile che deve
perciò trasferirsi davanti al giudice civile attraverso l'istituto del
«rinvio». E appunto il rinvio, rimesso all'impulso della parte
interessata, non può modellarsi che sul disposto dell'art. 392
c.p.c. che disciplina l'ulteriore sviluppo del processo — civile — a seguito della pronuncia di «cassazione con rinvio» a nor
ma dell'art. 383 c.p.c. e fissa il termine perentorio per la rias
sunzione della causa davanti al giudice di rinvio, con decorren
za «dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazio
ne». Non sembra revocabile in dubbio la constatazione che la
norma dell'art. 392 c.p.c., interna al giudizio civile di cassazio
ne e rinvio, là dove fa coincidere il termine a quo della riassun
zione con la «pubblicazione della sentenza della Corte di cassa
zione», abbia esclusivo riguardo alla pronuncia di cui all'art.
383 c.p.c. e ai modi in cui la sentenza civile è «pronunciata»
(art. 132 c.p.c.) e «resa pubblica» (art. 133 c.p.c.) attraverso
il deposito del provvedimento completo di tutti i requisiti di
«contenuto» prescritti dall'art. 132 c.p.c. L'art. 392 c.p.c. non può dunque che considerare la pubbli
cazione della sentenza civile (di cassazione con rinvio), essendo
estraneo al suo orizzonte l'istituto dell'annullamento con rinvio
di cui all'art. 541 del previgente codice di procedura penale (cui
corrisponde il conforme disposto del vigente art. 622 c.p.p.).
E per tale ragione la questione interpretativa posta dall'art. 392
c.p.c. in rapporto all'art. 541 c.p.p. previgente e con riferimen
to alla decorrenza del termine annuale di riassunzione non può
essere risolta con l'applicazione dei canoni ermeneutici letterali
e logici, ma esige il ricorso alla analogia sul fondamento della
ratio della norma di cui allo stesso art. 392 c.p.c. che regola
il collegamento tra due fasi del processo civile — il passaggio
dal giudizio di legittimità a quello di rinvio — e onera le parti
della osservanza di un termine decadenziale. È perfino ovvio
riconoscere che il termine a quo è necessariamente identificato
da tale articolo con la pubblicazione-deposito della sentenza,
che segna il momento conclusivo della «fase» del giudizio di
cassazione, giacché l'esercizio della facoltà data alle parti di at
tivare la fase consecutiva del processo presuppone l'esaurimen
to di quella precedente di legittimità e postula, funzionalmente,
la piena conoscenza della pronuncia del giudice di legittimità,
necessaria per conformarvi lo sviluppo difensivo nel giudizio
di rinvio. Queste stesse esigenze non possono dirsi soddisfatte
dalla «pubblicazione» della sentenza della Corte di cassazione
nel processo penale che si realizza «mediante» lettura del dispo
sitivo data «in udienza subito dopo la deliberazione in camera
di consiglio» (che a sua volta ha luogo «subito dopo terminata
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PARTE PRIMA
la pubblica udienza»: art. 537 c.p.p. previgente, art. 615 c.p.p.
vigente), poiché essa non corrisponde al momento conclusivo
del giudizio di legittimità e non offre alla parte interessata allo
sviluppo della fase di rinvio la conoscenza delle ragioni della
decisione (la sua motivazione, requisito formale prescritto dal
l'art. 474 c.p.p. previgente e dall'art. 546 c.p.p. vigente, con
formemente al precetto costituzionale dell'art. Ili), ovviamente
indispensabile per definire l'impostazione difensiva nell'atto di
riassunzione. Tali finalità (corrispondenti alla ratio che presiede alla indicazione del termine a quo della riassunzione secondo
il disposto dell'art. 392 c.p.c.) sono realizzate con il deposito in cancelleria della sentenza penale di cassazione e rinvio, che
esaurisca il giudizio di legittimità e offre la piena conoscenza
della decisione, sicché soltanto dal momento del deposito della
sentenza del giudice penale di legittimità, analogamente alla pub blicazione della sentenza di cassazione e rinvio del rito civile,
può in concreto essere esercitata la facoltà di riassumere il giu dizio di rinvio ed inizia perciò a decorrere il termine annuale
dato dall'art. 392 c.p.c. per attivare la fase consecutiva.
4. - Per le ragioni fin qui espresse, in accoglimento del ricor
so, deve disporsi l'annullamento della sentenza impugnata che
ha fatto nella specie decorrere il termine per la riassunzione
del giudizio di rinvio dalla «pubblicazione» della sentenza pena le di legittimità (mediante lettura in udienza del dispositivo, a
norma dell'art. 537, 2° comma, c.p.p. previgente) e ha conse
guentemente dichiarato l'estinzione del processo. Il giudice di
rinvio (identificato in altra sezione della Corte di appello di Ba
ri) si adeguerà al principio secondo il quale il termine annuale
per la riassunzione davanti al giudice civile competente per va
lore in grado di appello a seguito dell'«annullamento delle sole
disposizioni civili della sentenza» come previsto dall'art. 541
c.p.p. previgente, decorre dal deposito in cancelleria (a norma
dell'art. 151 stesso codice) della sentenza penale di cassazione
e rinvio.
CORTE D'APPELLO DI TORINO; sentenza 3 giugno 1998; Pres. Gamba, Est. Viberti; Antonova (Avv. G. e S. Matta).
CORTE D'APPELLO DI TORINO;
Stato civile — Cognome — Rettifica — Cognome acquisito per
legge nazionale — Fattispecie (Cost., art. 2; cod. civ., art.
6, 7; 1. 19 novembre 1984 n. 950, ratifica ed esecuzione della
convenzione relativa al rilascio di un certificato matrimoniale
e della convenzione sulla legge applicabile ai cognomi ed ai
nomi, adottate a Monaco il 5 settembre 1980, art. 1).
Posto che il diritto di mantenere il cognome originario (o quello
definitivamente e volontariamente acquisito nel paese di pro venienza in sostituzione del cognome originario) è un diritto
fondamentale di ogni cittadino, quale segno distintivo della
propria personalità e parte essenziale del patrimonio della per sona umana e non contrasta con alcuna norma di ordine pub blico del nostro Stato, non sussiste ragione per porre limiti
al diritto al mantenimento della propria completa identità,
acquisita nello Stato di provenienza, per chi ha ottenuto la
cittadinanza italiana provenendo da una diversa nazionalità
(nella specie, una cittadina russa, acquisita la cittadinanza ita
liana, richiedeva di tenere, per sé e la figlia, il cognome del
l'ex marito). (1)
(1) Con questa decisione, di cui non constano precedenti, la corte torinese accoglie l'orientamento più recente della giurisprudenza costi
tuzionale, che rimarca il carattere pregnante del principio secondo cui il nome è segno distintivo della personalità e parte essenziale del patri
II Foro Italiano — 1999.
Svolgimento del processo. — Con ricorso 24 marzo 1997 An
tonova Nadejda Alexandrovna, in proprio e quale esercente la
potestà genitoriale sulla minore Antonova Darja, chiedeva al
Tribunale di Torino ex art. 167 ss. r.d. 9 luglio 1939 n. 1238
e art. 454 c.c., accertarsi il diritto suo e della figlia a conserva
re, anche dopo l'acquisizione della cittadinanza italiana avvenu
ta in data 30 ottobre 1996, il proprio cognome Antonova, senza
le modifiche apportate dall'ufficiale dello stato civile di Forno
Canavese con annotazioni a margine della trascrizione dei due
atti di nascita, secondo le quali le certificazioni dovevano —
in conformità alla convenzione di Monaco 5 settembre 1980 ra
tificata con 1. 19 novembre 1984 n. 950 — essere rilasciate ri
spettivamente con i nominativi: «Matveev Nadejda Alexandrov
na» e «Antonov Darja». Il Tribunale di Torino con la sentenza n. 925 del 9 gennaio
- 20 febbraio 1998 disponeva la rettifica a mezzo di annotazioni
a margine: '■ \ — dell'atto di nascita n. 5, in modo che il cognome origina
rio Matveeva venisse determinato in «Matveev» e che venisse
dato atto del matrimonio (e del divorzio in data 12 agosto 1993) contratto con Antonov Alesxsej Alexseevic, con il conseguente
acquisto del cognome Antonova da determinarsi in «Antonov»; — dell'atto di nascita n. 7, in modo che il cognome di Darja
fosse determinato in «Antonov» e la madre della stessa venisse
indicata con il cognome «Antonov».
Contro la sentenza proponeva impugnazione la ricorrente, la
quale chiedeva per sé « per la figlia di mantenere il cognome «Antonova». \
Assumeva la ricorrente che il proprio cognome era «Antono
va» (cognome derivatole\dal primo marito) e non «Matveev»
(cognome che le era derivàto dal padre), prevedendo la legisla zione russa che le donne, alla nascita, assumano il cognome
paterno con l'aggiunta della desinenza femminile in «a», e suc
cessivamente, coniugandosi, possano a loro scelta conservare
il precedente cognome, oppure assumere il cognome del marito
con l'aggiunta della desinenza femminile in «a», in tale ultimo
caso perdendo l'originario cognome paterno.
Parimenti, assumeva che il cognome della figlia era «Antono
va» (cognome derivato dal padre "Antonov, a cui andava ag
giunta la desinenza femminile in «a») e non Antonov come rite
nuto dall'ufficiale dello stato civile.
Motivi della decisione. — La convenzione sulla legge da ap
plicare ai cognomi e nomi adottata a\Monaco il 5 settembre
1980 prevede all'art. 1,1° comma: «I cognomi e i nomi di una
persona vengono determinati dalla legge dello Stato di cui è
cittadino. A questo solo scopo, le situazioni da cui dipendono i cognomi e i nomi vengono valutate secondo la legge di detto
Stato.» e al 2° comma: «In caso di cambiamento di nazionali
tà, viene applicata la legge dello Stato della nuòva nazionalità».
monio della persona umana. Da qui la corte fa discendere il corollario
che, non ostando norme di ordine pubblico, non devono porsi limiti al diritto al mantenimento della propria completa identità così come
acquisita nel paese di provenienza. V. Corte cost. 23 luglio\1996, n.
297, Foro it., 1996, I, 3600; 3 febbraio 1994, n. 13, id., 1994, \, 1668, entrambe con nota di richiami. Per una pronunzia che utilizza la vicen da della perdita del cognome maritale a seguito di divorzio, «al fine di rendere palese l'avvenuto scioglimento del matrimonio», v. App. Roma 18 maggio 1987, id., 1987, I, 3143, con nota di R. Moccia.
In dottrina, sul diritto al nome, v. L. Lenti, Nome e cognome, voce del Digesto civ., Torino, 1995, XII, 135. Sulle vicende relative al nuovo
cognome, v. A. De Sanctis Ricciardone, Nome civile, voce àeW'Enci-x
clopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XXI, 6 ss. In tema di rettifi cazione di nome e cognome, cfr. anche U. Breccia, Persone fisiche, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 433, per il quale la rettificazione, nelle sue varie ipotesi applicative, sottolinea l'interesse alla regolarizzazione ed alla certezza del nome qual è o quale dovrebbe essere in conformità di un concorrente interesse privato e pubblico. V., altresì, A. Piraino Leto, Il diritto ad essere sé stessi, in Dir. famiglia, 1990, 601; A. Struycken, La convenzione di Monaco sulla legge appli cabile ai cognomi e nomi, in Riv. dir. internaz. privato e proc., 1991, 573, sugli aspetti legati precipuamente alle vicende del nome in relazio ne alla cittadinanza della persona. Sul diritto all'identità personale, v., infine, V. Zeno Zencovich, Identità personale, voce del Digesto civ., Torino, 1993, IX, 294; F. Cionti, Segni distintivi della persona e segni distintivi della personalità, Milano, 1994, passim.
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