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Sezione I civile; sentenza 12 marzo 1981, n. 1406; Pres. V. D'Orsi, Est. A. Martinelli, P. M. Leo...

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Sezione I civile; sentenza 12 marzo 1981, n. 1406; Pres. V. D'Orsi, Est. A. Martinelli, P. M. Leo (concl. conf.); Ordine professionale degli agenti di cambio di Milano (Avv. Manzi, Celona) c. Pullè (Avv. Carboni Corner, Rolle). Cassa App. Milano 3 maggio 1978 Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 1953/1954-1959/1960 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23172589 . Accessed: 25/06/2014 07:36 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.82 on Wed, 25 Jun 2014 07:36:10 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 12 marzo 1981, n. 1406; Pres. V. D'Orsi, Est. A. Martinelli, P. M. Leo(concl. conf.); Ordine professionale degli agenti di cambio di Milano (Avv. Manzi, Celona) c.Pullè (Avv. Carboni Corner, Rolle). Cassa App. Milano 3 maggio 1978Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 1953/1954-1959/1960Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172589 .

Accessed: 25/06/2014 07:36

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Tale opinione non può, però, essere condivisa. Si è già fatto cenno alla particolare natura del rapporto cosi

come essa si è posta e tuttora, in una certa misura, ancora si

pone nella realtà economico-sociale, e che consiste nella sua

precarietà e tendenziale saltuarietà, che, spesso, pur in presenza della normativa che ha inteso tutelarlo, ha fatto dubitare giuris prudenza e dottrina (anche se infondatamente) della sua natura di rapporto di lavoro subordinato.

È, infatti, generalmente riconosciuto, quanto alla precarietà., che il lavoratore non abbia in via normale alcuna garanzia giuridica alla continuità ed alla entità delle commesse, potendo queste modificarsi in ordine anche alla loro frequenza fino a cessare del tutto, determinando cosi una situazione di fatto

rilevante, anche sul piano negoziale, per l'esaurimento o la impos sibilità di realizzazione della funzione economico-sociale ad esso

piano sottostante.

Di fronte a questa situazione svolgentesi in fatto, in coerenza con la natura del fenomeno, e costituente certamente la più vistosa situazione di debolezza di questo tipo di lavoro subordina

to (anche se, in una certa misura, bilanciato da una messa a

disposizione di energie lavorative quantitativamente e qualitativa mente limitata da parte del prestatore d'opera) il legislatore, il

quale pure si è mosso per allargare le garanzie giuridiche solleci tate a tutela di tale categoria di lavoratori, non ha ritenuto di

provvedere espressamente, tacendo del tutto sulla questione della

estinzione del rapporto. Anzi, nell'art. 11 legge n. 264/1958 vi era indiretta menzione

del preavviso e del licenziamento, laddove era previsto che i

contratti collettivi avrebbero regolato il preavviso ed il licenzia

mento. Detta disposizione è, invece, scomparsa nella vigente legge n. 877.

Tale silenzio potrebbe essere interpretato, come in sostanza ha

ritenuto il tribunale, nel senso che il legislatore, poste le norme

speciali proprie del rapporto in questione, ha ritenuto, per quanto

riguarda la sua vicenda estintiva, non incompatibili quelle proprie del rapporto di lavoro subordinato, qual'è pur sempre il rapporto medesimo.

Ma tale ipotesi interpretativa appare assolutamente insostenibile, almeno per quanto riguarda i rapporti che non comportino alcun

affidamento sulla continuità e la quantità delle commesse, di cui

appresso si dirà separatamente (ex art 11 legge 877/1973).

Non poteva, cioè, ignorare il legislatore tutte le complesse

questioni che avrebbe comportato l'estensione pura e semplice delle norme sull'estinzione del rapporto — peraltro diversificate

pur nell'ambito del rapporto subordinato interno o ordinario con

la coesistenza di norme del codice civile quali quelle di cui agli art. 2118 e 2119 e quelle delle leggi n. 604/1966 e n. 300/1970 — a

tutta l'area del lavoro a domicilio subordinato, estesa ancora più, come si è detto, a seguito dell'allargamento dell'elemento della

subordinazione giuridica. E non ignorandole o vi avrebbe provveduto articolatamente o,

quanto meno, in modo esplicito avrebbe espresso la propria preci sa volontà normativa in ordine alla pura e semplice estensione

delle norme generali sulla estinzione, rimettendosi al momento

applicativo per la definizione delle possibili questioni che, da tale

estensione, sarebbero derivate.

Vi sono, peraltro, precisi indizi normativi circa una presa d'atto, allo stato, di una oggettiva impossibilità di totale assimila

zione del rapporto di lavoro a domicilio con quello interno dal

momento che il primo, pur con tutte le garanzie proprie ricono

sciute dalla legge speciale, è pur sempre riguardato con notevole

sfavore (previsione di particolari divieti come ad esempio quello di affidare lavoro a domicilio da parte di aziende che abbiano

comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro) tanto da pre vedere la completa assimilazione solo come sanzione.

Significativa, in proposito, è la disposizione del 2° comma

dell'art. 1 legge 877, secondo cui « non è lavoratore a domicilio e

deve a tutti gli effetti considerarsi dipendente con rapporto di

lavoro a tempo indeterminato chiunque eserciti nelle condizioni di

cui ai comma precedenti, lavori in locali di pertinenza dello

stesso imprenditore, anche se per l'uso di tali locali e dei mezzi

di lavoro in essi esistenti corrisponde al datore di lavoro un

compenso di qualsiasi natura ».

Altrettanto può dirsi della sanzione prevista in violazione del

divieto di cui all'art. 2, 4° comma, della legge di valersi dell'opera di mediatori ed intermediatori comunque denominati da parte dei

committenti di lavoro a domicilio, consistente nel considerare i

« gruppisti », unitamente a coloro ai quali hanno commesso il

lavoro, dipendenti « a tutti gli effetti » dall'imprenditore nel cui

interesse sia avvenuta la mediazione.

Concludendo, quindi, sul punto, si deve ritenere che il silenzio

del legislatore non possa essere interpretato come implicita previ

sione di generale compatibilità delle norme ordinarie sulla estin zione del rapporto di lavoro subordinato con la natura e la struttura del rapporto di lavoro a domicilio.

Esclusa una generale compatibilità tra norme ordinarie sull'e stinzione del rapporto di lavoro subordinato con il rapporto di lavoro a domicilio subordinato, a causa della sua naturale preca rietà, resta da ultimo il problema interpretativo più delicato, consistente nello stabilire se l'incompatibilità possa ritenersi sus sistente in ogni caso di rapporto di lavoro a domicilio o se tale

incompatibilità cessi, una volta che risulti in concreto esclusa detta precarietà, con l'assicurazione di una continuatività qua lificata di prestazione di lavoro.

In alfri termini si tratta di stabilire, se l'elemento della preca rietà debba ritenersi appartenere alla categoria degli essentialia

negotii o a quella dei meri naturalia, con la conseguenza, nel

primo caso, che il rapporto di lavoro non potrebbe essere rappor to di lavoro subordinato a domicilio se non in presenza di detto

elemento, mancando il quale il rapporto non potrebbe non essere che un diverso negozio.

Ne deriverebbe che, accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro a domicilio alla stregua della legge n. 877/1973, attesa la sua essenziale precarietà dovrebbe sempre ed in ogni caso essere esclusa la possibilità di estendere ad esso le norme ordinarie volte a regolare l'estinzione del rapporto di lavoro subordinato.

La conseguenza sarebbe, però, manifestamente contraria ad ogni ragionevolezza ermeneutica ed eccessiva quanto la tesi contraria, condivisa dal tribunale, secondo cui le norme ordinarie sull'estin zione del rapporto del lavoro subordinato, nel silenzio della legge speciale, dovrebbero trovare applicazione sempre ed in ogni caso di rapporto di lavoro a domicilio subordinato

È da ritenere, invece, che la precarietà del rapporto sia un

mero elemento naturale (naturalia negotii) del (rapporto di) lavo ro a domicilio, la cui assenza non ne altera affatto la identità

tipologica negoziale e possa sussistere quante volte essa, per volontà delle parti o per lo svolgimento concreto del rapporto, sia assicurata « una quantità di lavoro atta a procurare una relazione continuativa corrispondente all'orario normale di lavoro » che

impegna, in modo particolare, il prestatore di lavoro (v. art. 11

legge n. 877/1973 e 12 legge previgente n. 264/1958). Dalla previsione di tale qualificata continuatività (art. 11) è

lecito desumere un preciso argomento testuale circa la realistica visione normativa del fenomeno, rivolta a ricomprendere in una tutela minima speciale tutta la differenziata area del lavoro a domicilio e ad assicurare, in tale ambito, anche la tutela ordinaria in tema di stabilità del rapporto quante volte questo si qualifichi nel suo svolgimento con una ragionevole ed apprezzabile conti

nuatività, venendosi in tal modo ad evidenziare una realtà di fatto cui non ripugna affatto una applicabilità delle norme rego lanti in via ordinaria l'estinzione del rapporto subordinato, quante volte ne sussistano i relativi presupposti.

Concludendo, quindi, in relazione ai due motivi in esame, deve essere affermato il principio di diritto che le norme previste in tema di estinzione del rapporto di lavoro subordinato di cui alle

leggi n. 604/1966 e n. 300/1970 non possono applicarsi in via

generale al rapporto di lavoro subordinato a domicilio di cui alla

legge n. 877/1973, a meno che questo, per accordo tra le parti o

per il concreto suo svolgimento, non abbia ad oggetto una

qualificata e ragionevole continuatività di prestazioni lavorative, valutata specificamente in rapporto alla durata dell'ordinario ora rio di lavoro previsto nel settore di attività produttiva esercitata

dall'impresa interessata. Il terzo motivo, con il quale si denuncia violazione e falsa

applicazione del combinato disposto degli art. 1324 e 1368 segg. cod. civ., nonché difetto di motivazione ai sensi dell'art 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., per avere il tribunale senz'altro ritenuto che la comunicazione orale di momentanea sospensione della presta zione o, addirittura, di dichiarazione di sopravvenuta impossibilità della stessa, fatta dalla società costituisse senz'altro licenziamento, rèsta assorbito.

La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata per quan to di ragione e la causa rimessa ad altro giudice di pari grado. (Omissis)

Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 12 marzo

1981, n. 1406; Pres. V. D'Orsi, Est. A. Martinelli, P. M. Leo

(conci, conf.); Ordine professionale degli agenti di cambio di

Milano (Avv. Manzi, Celona) c. Pullè (Avv. Carboni Corner,

Rolle). Cassa App. Milano 3 maggio 1978.

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1955 PARTE PRIMA 1956

Borsa (ordinamento, operazioni e contratti di) — Iscrizione al

l'albo professionale di iscritto nei ruoli degli agenti di cam

bio — Requisiti previsti per l'esercizio della professione —

Poteri dell'ordine degli agenti di cambio — Fattispecie (Cod.

civ., art. 2229; legge 29 maggio 1967 n. 402, ordinamento

della professione degli agenti di cambio, art. 1).

In materia di iscrizione all'albo professionale degli agenti di

cambio, è al consiglio dell'ordine che spetta, in ogni caso,

l'apprezzamento dei requisiti previsti per l'esercizio della pro

fessione (tra i quali la buona condotta e la specchiata corret

tezza professionale), ancorché il richiedente abbia già ottenuto

l'iscrizione nel ruolo degli agenti di cambio e gli addebiti ri

guardino fatti precedenti a tale iscrizione. (1)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con d. pres. 8

gennaio 1974, registrato alla Corte dei conti il 29 marzo 1974 e

pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica il 17 aprile

1974, Gianfranco Pullè veniva nominato agente di cambio presso

la borsa valori di Milano.

Il 14 maggio 1974, pagata la prescritta tassa di cpncessione

governativa e prestata la cauzione, l'interessato chiedeva di essere

iscritto all'albo professionale, ma il consiglio dell'ordine di Mila

no, con delibera in pari data, decideva di non adottare allo stato

alcun provvedimento, ritenendo che il Pullè non fosse persona di

specchiata correttezza professionale tenuto conto di fatti anteriori

alla sua nomina. Formulato al medesimo l'invito di controdedurre

sugli addebiti specificamente rivoltigli ed esaurita l'istruttoria con

decisione del 13 maggio 1975, il consiglio dell'ordine di Milano

rigettava la domanda d'iscrizione.

Contro detta pronunzia, con ricorso in data 12 giugno 1975,

Gianfranco Pullè proponeva impugnazione al consiglio nazionale

degli ordini degli agenti di cambio, deducendo: a) che soltanto al

ministero del tesoro era riservato l'accertamento dei requisiti per

la nomina ad agente di cambio e, quindi, la verifica del requisito

di « specchiata correttezza professionale », onde il consiglio del

l'ordine di Milano, risultata favorevole la deliberazione sul punto

da parte dell'autorità competente, non poteva rifiutare l'iscrizione;

(1) App. Milano 3 maggio 1978, ora cassata, è riassunta in Foro it.,

Rep. 1979, voce Borsa (ordinamento), nn. 10-12, e riportata in extenso

in Banca, borsa, ecc., 1978, II, 435; Trib. Milano 17 ottobre 1977, resa

in primo grado, è riassunta in Foro it., Rep. 1978, voce cit., nn. 23-25, e riportata in extenso in Banca, borsa, ecc., 1978, II, 212.

La sentenza qui riportata (segnalata nel Dizionario guida alla borsa, voce Agente di cambio, 7, del settimanale « Il Mondo ») non ha

precedenti negli esatti termini. Per riferimenti, nel senso che il provvedimento di revoca dalla carica

di agente di cambio debba essere preceduto da una formale contesta

zione degli addebiti, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12 novembre 1974, n.

778, Foro it., Rep. 1974, voce Bórsa (operazioni), n. 12; 3 dicembre

1969, n. 755, id., 1970, III, 197; 18 maggio 1960, n. 496, id., Rep.

1960, voce cit., n. 15. Secondo Trib. Milano 16 aprile 1973 (id., Rep. 1973, voce cit., n.

11), è ammissibile il ricorso proposto dall'agente di cambio avverso la decisione con cui il consiglio nazionale degli ordini degli agenti di

cambio, sebbene in violazione dei limiti posti alla sua competenza, ordini ad un consiglio locale dell'ordine degli agenti di cambio, diverso da quello territorialmente competente, di iniziare contro il suddetto

agente di cambio il procedimento disciplinare. In dottrina, in argomento, cfr. Coltro Campi, Borsa valori, voce del

Novissimo digesto, appendice, 1980, 899 e 900: l'autore vi lamenta la

mancata regolamentazione del potenziale conflitto di competenza nel

procedimento disciplinare tra il ministero del tesoro ed il consiglio dell'ordine degli agenti di cambio (scarsa luce getta, invece, Casanova,

Agente di cambio, voce dell'Enciclopedia del diritto, 1958, I, 843 ss., considerata la data di pubblicazione della voce medesima).

Sui poteri di iscrizione all'albo da parte dell'ente professionale v.

pure Catelani, Gli ordini ed i collegi professionali nel diritto pubbli

co, Milano, 1976, 134 ss., il quale ritiene in linea generale (p. 149) che

la valutazione della moralità del richiedente da parte dei collegi

professionali non possa portare al rifiuto dell'iscrizione, se non nel

caso di gravi circostanze che risultino debitamente provate, e che siano

concretamente idonee a pregiudicare il corretto esercizio della profes sione.

Per una sottolineatura del fatto che, a differenza di quanto è

disposto per le altre professioni intellettuali, i consigli dell'ordine degli

agenti di cambio possono infliggere solo le sanzioni disciplinari minori

(come il richiamo e la censura), mentre quelle che importano la

sospensione, o addirittura la cessazione dell'attività dell'agente di

cambio, possono essere adottate solo dal ministro, su proposta dei detti

consigli, v. Bianchj d'Espinosa, I contratti di borsa, il riporto, in

Trattato di diritto civile e commerciale, a cura di Cicu-Messineo,

Milano, 1969, XXV, 211. Sull'ordinamento della professione degli agenti di cambio, ed in

particolare sulle attribuzioni del consiglio nazionale dell'ordine, cfr., da

ultimo, Ruoppolo, Le borse ed i contratti di borsa, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, Torino, 1970, 112.

b) che il procedimento instaurato dal consiglio dell'ordine di

Milano nei suoi confronti era arbitrario ed illegittimo, non essen

do previsto dalla legge; c) che il consiglio predetto, iscrivendo

nell'albo, senza preventiva procedura d'accertamento, i neo agenti di cambio nominali cotemporaneamente al Pullè, aveva operato una discriminazione nei suoi confronti, in violazione dell'art. 3

Cost.; d) che l'istruttoria esperita in primo grado era nulla, in

quanto inficiata da varie irregolarità; e) che la decisione resa era

viziata da errori ed incongruenze nella valutazione dei fatti, con

travisamento di questi. Con decisione del 20-21 settembre 1976 il consiglio nazionale,

rilevata l'infondatezza delle doglianze mosse, confermava la pro nunzia del consiglio dell'ordine di Milano.

Avverso tale decisione Gianfranco Pullè con ricorso depositato il 25 gennaio 1977 interponeva impugnazione davanti al Tribunale

di Milano ai sensi dell'art. 6 legge 12 dicembre 1967 n. 216, ribadendo la propria tesi e denunziando altre irregolarità proces suali consumate nella seconda fase. 11 giudice adito, con sentenza

del 10 giugno - 17 ottobre 1977, ritenuto che la pronunzia gravata doveva considerarsi quale proposta al ministero del tesoro per la

cancellazione dal ruolo degli agenti di cambio, dichiarava legitti mo allo stato il rifiuto d'iscrizione all'albo e disponeva che il

consiglio dell'ordine di Milano trasmettesse la decisione impugna

ta, insieme alla sentenza, al ministero del tesoro per i provvedi menti di sua competenza.

Contro la sentenza in oggetto, con atto del 6 gennaio 1978,

spiegava rituale appello Gianfranco Pullè per gli stessi motivi già

precisati nelle impugnazioni davanti al consiglio nazionale ed al

tribunale, insistendo per l'annullamento della decisione del 20-21

settembre 1976, con ogni statuizione conseguenziale.

Anche l'ordine professionale degli agenti di cambio di Milano,

con comparsa di costituzione del 20 marzo 1978, formulava

appello incidentale, chiedendo il rigetto dell'impugnazione princi

pale e la riforma della pronunzia del tribunale, nel senso del

pieno riconoscimento della legittimità del rifiuto di iscrizione

all'albo del Pullè.

La Corte d'appello di Milano, con decisione del 5 aprile - 3

maggio 1978, accoglieva l'appello principale rigettando quello incidentale e affermava che l'iscrizione nell'albo professionale richiesta da un soggetto che abbia ottenuto la preventiva iscrizio

ne nei ruoli degli agenti di cambio costituisce un atto dovuto,

non essendo riconosciuto al consiglio dell'ordine alcun potere di

accertamento e di valutazione del requisito della buona condotta

e della correttezza professionale in colui che richiede l'iscrizione,

in quanto il detto accertamento per legge è riservato all'esclusiva

competenza dell'autorità che procede all'iscrizione nei ruoli degli

agenti di borsa.

Avverso questa decisione l'ordine professionale degli agenti di

borsa di Milano propone ricorso per cassazione, articolato in due

mezzi. Il Pullè resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno

presentato memorie illustrative.

Motivi della decisione. — Con i due motivi del ricorso, che,

stante la loro interdipendenza logica, vanno congiuntamente esa

minati, l'ordine professionale degli agenti di cambio di Milano,

lamentando la violazione dell'art. 12 delle preleggi, dell'art. 2229

cod. civ., degli art. 1 e 3 legge 29 maggio 1967 n. 402 in relazione

all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., censura l'impugnata decisione: A) per aver ritenuto che l'iscrizione all'albo professio

nale, richiesta da un soggetto che, quale vincitore del relativo

concorso, abbia ottenuto la preventiva iscrizione nel ruolo degli

agenti di borsa, costituisca, in senso stretto, un atto dovuto;

cosicché da essere inibita all'ordine professionale ogni valutazione

sul requisito della specchiata condotta morale e della correttezza

professionale da parte del soggetto che abbia richiesto detta

iscrizione (valutazione questa riservata, in modo esclusivo, al

ministero del tesoro); B) per essere incorsa in omessa e contrad

dittoria motivazione in ordine alla circostanza dell'effettuato ac

certamento di tale requisito da parte del ministero del tesoro

prima della intervenuta iscrizione del Pullè nei ruoli degli agenti di borsa. Rileva, inoltre, che, ove dovesse pervenirsi ad una

conclusione ermeneutica cosi' limitativa dei poteri dell'ordine

professionale degli agenti di borsa, ciò comporterebbe, come

conseguenza, il sospetto di illegittimità costituzionale della legge 29 maggio 1967 n. 402 per disparità di trattamento rispetto agli altri ordini professionali (ex art. 3, 13, 111 Cost.).

Le censure prospettate nel primo motivo e, per quanto di

ragione, nel secondo sono fondate.

Va innanzitutto rilevato che la soluzione del problema posto dal ricorso postula l'esame delle tre tesi che si sono venute

delineando nel corso del giudizio, e che possono cosi' riassumersi:

A) l'iscrizione all'albo professionale richiesta da un soggetto che

abbia ottenuto, in precedenza, l'iscrizione al ruolo di cui all'art. 1

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

legge 23 maggio 1956 n. 515, è un atto vincolato e dovuto da

parte dell'ordine professionale, previsto dalla legge 29 maggio 1967 n. 402, in quanto detto ente non è investito di alcun

autonomo potere di accertamento e valutazione del requisito

riguardante la correttezza professionale del soggetto richiedente, una volta che questi abbia ottenuto -l'iscrizione nel ruolo di cui

all'art. 1 legge cit., atteso che tale potere di esame e valutazione è

riservato, unitamente all'esame di idoneità tecnica (art. 8), all'au- y torità statale (ministero del tesoro) ai fini dell'iscrizione nel ruolo'

degli agenti di cambio; B) l'accertamento e la valutazione del

requisito della correttezza professionale rientra nei poteri autono

mi dell'ordine professionale, sempre che attenga a fatti successivi

all'iscrizione al ruolo di cui all'art. 1 legge n. 515 del 1956, non

potuti esaminare dall'autorità statale; cosicché va ritenuto che

l'ordine abbia il potere di rifiutare l'iscrizione all'albo di un

soggetto, nel quale, dopo l'anzidetta iscrizione a ruolo, sia venuto

meno il requisito della buona condotta e della correttezza profes

sionale; C) tale potere autonomo di esame e di valutazione

compete, in ogni caso, all'ordine professionale pure in relazione a

quei fatti dai quali possa desumersi la carenza del requisito della

correttezza professionale, anche se intervenuti prima dell'iscrizio

ne nel ruolo di cui all'art. 1 legge citata, e quindi suscettibili,

come tali, di essere presi in considerazione dall'amministrazione

statale.

Il problema in esame va indubbiamente risolto nel senso della

tesi prospettata dalla lettera C). Infatti va rilevato che l'iscrizione

nel ruolo degli agenti di borsa (art. 1 legge n. 515 del 1956)

previo espletamento dell'esame di idoneità tecnica e morale del

l'aspirante (ex art. 2, 8 legge cit.), a seguito di concorso per la

copertura dei posti resisi vacanti presso ciascuna borsa, quale atto

rientrante nella competenza dell'autorità statale (ministero del

tesoro), costituisce un evidente atto ammissivo e concessivo della

qualità professionale di agente di borsa, e quindi un titolo di

abilitazione astratto all'esercizio di tale professione. Per converso

l'iscrizione all'albo professionale degli agenti di borsa concretizza

un atto ammissivo, in concreto, all'esercizio di detta attività

professionale, e per il quale costituisce uno dei presupposti indefettibili l'iscrizione del richiedente nel ruolo degli agenti di

borsa.

Orbene, anche se il legislatore con le leggi n. 515 del 1956 e n.

402 del 1967 ha inteso innovare la pregressa regolamentazione in

materia, che autorizzava all'esercizio della professione di agenti di

borsa coloro i quali avessero ottenuto l'iscrizione ai ruoli di cui

all'art. 1 legge cit., indipendentemente dalla loro successiva iscri

zione all'albo professionale, è del tutto evidente che da tale

circostanza non può ricavarsi come necessario corollario logico

che, stante il particolare regime preesistente il quale riservava

allo Stato ogni potere attinente all'abilitazione professionale in

esame, la portata della riforma legislativa vada limitata all'istitu

zione di ordini professionali con compiti esclusivamente limitati a

mera tutela corporativa, senza alcuna investitura di potere circa

l'esame e la valutazione dei requisiti per l'iscrizione all'albo e per il conseguente esercizio professionale: tutto ciò, infatti, sarebbe in

palese contrasto con quanto previsto per gli altri ordini professio

nali, e più specificatamente con la legge 23 novembre 1944 n. 382

e successive modifiche, con la quale sono stati formulati i prin

cipi generali in ordine alla struttura e alla funzione degli ordini e

collegi interessanti la quasi generalità delle libere professioni.

Né il richiamo all'esistenza in un necessario rapporto d'interdi

pendenza tra i due procedimenti amministrativi predisposti rispet tivamente per l'iscrizione nel ruolo e nell'albo professionale, né

quello alla rilevanza pubblicistica che assume l'attività dell'agente di borsa possono costituire solidi argomenti a suffragio della tesi

circa una portata limitata dei poteri istituzionali spettanti agli ordini professionali degli agenti di borsa che finirebbero, cosi, per essere ristretti alla mera tenuta dell'albo, all'esercizio di un

limitato potere disciplinare (arg. ex art. 19, 21, 22 legge n. 402 del

1967) e alla tutela di interessi corporativi.

Invero, pur esistendo un'indubbia rilevanza pubblicistica in

materia, in quanto gli agenti di borsa in alcune loro attività ed

attestazioni rivestono la qualità di pubblici ufficiali, è indubbio

che la maggior parte dell'attività espletata dagli agenti di borsa

assume carattere professionale e rilevanza esclusiva iure privato. Pertanto sarebbe del tutto assurdo sul piano logico un diverso

trattamento legislativo, a carattere discriminatorio, nei confronti

degli ordini professionali degli agenti di borsa rispetto agli altri

ordini che assumono la tutela e la rappresentanza di altri profes sionisti.

Peraltro l'esistenza di un tale potere autonomo di esame e di

valutazione dei titoli richiesti per l'iscrizione, soprattutto per

quanto attiene al requisito della buona condotta morale e della

correttezza professionale, neppure può negarsi a quegli ordini che

riguardano la tutela e la rappresentanza di professionisti che

nell'espletamento della loro attività rivestono la qualità di pubbli ci ufficiali, quali i notai. Infatti, in tale materia nella quale in

maniera preminente, se non esclusiva (legge 16 febbraio 1913 n.

89), si esplica la competenza dello Stato nella valutazione di titoli

ammissivi all'esercizio della professione notarile, anche il consi

glio notarile interviene nella valutazione dei requisiti morali e di

correttezza professionale del candidato attraverso l'iscrizione per la necessaria pratica notarile (art. 5 legge cit.), costituente uno dei

presupposti per l'espletamento del concorso per esami.

Da ciò consegue che, pur dovendosi tener conto del rapporto

d'interdipendenza esistente tra i due procedimenti amministrativi

rientranti rispettivamente nella competenza dello Stato, per quan to riguarda l'iscrizione nel modo previsto nell'art. 1 legge cit., e

dell'ordine professionale, per quanto attiene l'iscrizione all'albo

(ex lege n. 402 del 1967), nonché dell'indubbia rilevanza pubbli cistica che assume l'attività dell'agente di borsa, è incontrovertibi

le che detto ordine sia investito di un autonomo potere di

valutazione dei requisiti richiesti per l'iscrizione all'albo nei con

fronti di un soggetto che abbia in precedenza ottenuto l'iscrizione

ai ruoli di cui all'art. 1 legge cit., ivi compresi quelli attinenti alla

condotta morale e alla correttezza professionale, con esclusione, si

intende, del requisito riguardante l'idoneità tecnica, riservato al

l'accertamento e alla valutazione dell'amministrazione statale.

Indubbi e molteplici sono gli argomenti ermeneutici che confor

tano tale conclusione interpretativa: soprattutto di carattere logi co-sistematico. Tra questi assume rilevanza, come si è affermato in

precedenza, quello fondato su un principio di carattere generale desumibile dall'uniforme regolamentazione legislativa in materia

di ordini professionali e dai loro relativi poteri in materia di

iscrizione all'albo, alla tenuta del medesimo e all'esercizio della

potestà disciplinare. Anzi, proprio perché gli ordini professionali sono investiti del potere di tenuta dell'albo e degli eventuali

provvedimenti riguardanti la cancellazione, la radiazione, la so

spensione dell'iscritto, deve ritenersi come necessario corollario

l'esistenza di un relativo potere di delibazione e valutazione dei

requisiti richiesti per l'iscrizione e l'esercizio della professione, ivi

compresi quelli attinenti alle qualità morali e di correttezza profes sionale del richiedente, ai fini della tutela del decoro professiona le e degli altri iscritti. Tale ultimo interesse tutelato assume

maggiore rilevanza, proprio in subiecta materia, in considerazione

della responsabilità patrimoniale in cui possono incorrere gli

agenti di borsa nella ipotesi di insolvenza di un loro collega. A

tale conclusione deve necessariamente pervenirsi anche nell'ipotesi

in cui (come nella legge n. 402 del 1967) manchi un espresso

richiamo a detto potere di esame e valutazione di requisiti morali

e di correttezza professionale ai fini dell'iscrizione nell'albo.

D'altra parte non può non rilevarsi che sarebbe del tutto

illogico: a) negare l'esistenza di detto potere, quando l'ordine

professionale degli agenti di borsa è pur sempre investito di un

potere, sebbene concorrente, diretto alla cancellazione e alla

radiazione dall'albo nei confronti del suo iscritto; b) pretendere,

contro ogni logica, che l'ordine, una volta rilevate circostanze,

seppure intervenute successivamente all'iscrizione nei ruoli di cui

all'art. 1 legge cit., dalle quali possa desumersi il difetto del

requisito della correttezza professionale, non possa prenderle in

considerazione ai fini del diniego della richiesta di iscrizione,

dovendo di conseguenza procedere a tale adempimento, come atto

dovuto, per poi promuovere il procedimento diretto alla cancella

zione dal ruolo e dall'albo nei confronti del professionista.

Alcun valore a sostegno della tesi contraria assume la conside

razione che, proprio con riferimento all'esclusivo potere ricono

sciuto all'autorità statale (ex art. 21 legge 29 maggio 1967 n. 402)

di provvedere alla cancellazione dal ruolo dell'agente di borsa, nei

confronti del quale sia venuto meno il requisito della correttezza

professionale (provvedimento dal quale consegue pure la cancella

zione dall'albo), rimanendo riservata all'ordine professionale una

mera potestà di preventiva istruttoria e di formulazione di pro

posta di cancellazione, dovrebbe necessariamente conseguire, sul

piano logico, la conclusione circa la carenza di potestà da parte

di tale ordine professionale anche in relazione all'esame e alla

valutazione del requisito della correttezza professionale nel mo

mento in cui Viene richiesta l'iscrizione all'albo, rientrando nella

potestà di detto ordine (secondo quanto affermato nella sentenza

del giudice di primo grado) soltanto un mero potere di formula

zione di una proposta di cancellazione dal ruolo, ex art. 1 legge

n. 515 del 1956, nei confronti del soggetto che richiede l'iscrizione

all'albo.

Tale assunto, indubbiamente suggestivo, appare in tutta la sua

inconsistenza, ove si consideri che alcun valore logico e conclu

dente può ricavarsi dal richiamo all'art. 21 legge n. 402 del 1967,

atteso che la ratio legis, su cui detta norma si fonda, con la

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1959 PARTE PRIMA 1960

concessione del potere esclusivo all'autorità statale di procedere alla cancellazione dell'iscrizione a ruolo (dalla quale consegue anche quella dall'albo professionale, nel caso di sopraggiunta cessazione del requisito della correttezza professionale), è diretta a

soddisfare l'esigenza di assicurare la necessaria correlazione tra

l'iscrizione nel ruolo e quella nell'albo professionale, e ad impedi re che l'agente, il quale sia incorso nella perdita dell'anzidetto

requisito, possa conseguire l'abilitazione all'esercizio professionale

presso altra borsa. Peraltro non può non rilevarsi che, ove il

legislatore avesse inteso riconoscere l'esclusivo potere dell'autorità

statale nella delibazione dei requisiti della , condotta morale e della

correttezza professionale, anche nella fase antecedente all'iscrizio

ne all'albo, riservando all'ordine professionale un mero potere di

proposta in relazione a tale cancellazione, ciò avrebbe espressa mente previsto.

Ma un ulteriore argomento logico che conforta la anzidetta

conclusione ermeneutica si ricava dalla considerazione che, pro

prio con riferimento a tale autonomo potere di valutazione in

ordine ai requisiti oggettivi e soggettivi, richiesti per l'iscrizione

all'albo, la legge 12 dicembre 1967 n. 1216 prevede la tutela

contenziosa, in sede amministrativa e giurisdizionale ordinaria, in

materia di provvedimenti ammissivi e reiettivi in ordine all'iscri

zione nell'albo professionale degli agenti di borsa.

Da ciò consegue che in materia di iscrizione all'albo professio nale rientra nei poteri autonomi dell'ordine professionale di deli

bare l'esistenza dei requisiti richiesti per tale iscrizione, ivi com

presi quelli riguardanti la condotta morale e la correttezza profes sionale del soggetto, che in precedenza ha ottenuto l'iscrizione al

ruolo di cui ' all'art. 1 legge cit.

Tale valutazione si estende, oltre che ai fatti dai quali viene

desunta la carenza di detti requisiti soggettivi (condotta morale e

correttezza professionale), già in precedenza esaminati o che

avrebbero potuto essere esaminati all'atto dell'iscrizione a ruolo, a

quelli sopravvenienti a detta iscrizione.

Dall'accoglimento del primo motivo del ricorso, rimanendo

assorbiti gli altri profili di censura discende che la causa va

rinviata per il nuovo esame al giudice di rinvio, che si atterrà al

principio di diritto formulato da questa corte. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 4 marzo

1981, n. 1276; Pres. Renda, Est. Nocella, P. M. Grossi (conci, conf.); Aceti (Avv. Serra) c. Maurizi e altro (Avv. Lombardi). Cassa App. Roma 7 novembre 1975.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Appello —

Credito pecuniario del lavoratore '— Maggior danno da sva lutazione monetaria — Assenza di specifica domanda — Do vere di liquidazione d'ufficio — Sussistenza (Cod. proc. civ., art. 429).

Il giudice d'appello deve procedere alla rivalutazione monetaria del credito del lavoratore anche in assenza di specifica doman

da, poiché il maggior danno da svalutazione monetaria è

componente intrinseca non eliminabile del credito di lavoro, di cui il giudice, in ogni stato e grado del giudizio, è obbligato a tenere conto. (1)

(1) La pronuncia, che si rifà all'orientamento pressoché costante secondo cui il giudice del lavoro è tenuto, in base al disposto dell'art. 429, 3° comma, cod. proc. civ., a procedere anche d'ufficio ed in grado di appello alla rivalutazione dei crediti di lavoro, ha una portata particolarmente ampia, poiché attiene ad una causa instaurata in secondo grado successivamente all'entrata in vigore della legge n. 533 del 1973, e dunque parzialmente estranea alla problematica dell'appli cabilità d'ufficio dello ius superveniens in appello. L'affermazione che la norma dell'art. 429, 3P comma, ha introdotto un meccanismo automatico di rivalutazione dei crediti di lavoro, riconoscendo nel maggior danno da svalutazione monetaria una componente intrinseca, non eliminabile, dei crediti stessi, importa, nella fattispecie, una derogs al principio di cui all'art. 112 cod. proc. civ. in sede di impugnazione. Sul punto non constano precedenti conformi relativi a giudizi di appello instaurati dopo l'entrata in vigore della legge n. 533 del 1973, mentre due recenti pronunce della Cassazione hanno affermato il principio opposto per cui, in assenza di impugnazione sul punto, l'implicita statuizione negativa sulla sussistenza nel credito della com ponente risarcitoria — pronunciata dopo l'entrata in vigore della legge n. 533 — passerebbe in giudicato (sent. 2 luglio 1980, n. 4193, Foro it., Rep. 1980, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 256, citata in motivazione; 24 aprile 1980, n. 2748, ibid., n. 257). Da ultimo si è però sostenuto che il giudice d'appello di rinvio, in seguito a sentenza della Cassazione pubblicata dopo l'entrata in vigore della legge n. 533, debba disporre anche d'ufficio la rivalutazione del credito di lavoro

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con citazione, notificata il 15 dicembre 1970, Aceti Enrico conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Roma Maurizi Francesca in Del Greco e il

figlio Del Greco Antonio, alle dipendenze dei quali assumeva di

aver lavorato quale « banconiere » nella macelleria di loro pro

prietà in Roma, via Macerata 44, dal 5 gennaio 1963 al 4 aprile 1970, al fine di sentirli condannare al pagamento a suo favore di lire 2.978.618 per competenze e indennità maturate nel corso e in

dipendenza del rapporto di lavoro.

La Maurizi, costituitasi in giudizio, eccepiva che l'Aceti aveva

lavorato alle sue dipendenze sino al 31 dicembre 1968, data in cui

il rapporto era stato risolto di comune accordo per l'intervenuta

cessione della macelleria al figlio Del Greco Antonio e che,

inoltre, lo stesso Aceti in data 22 gennaio 1969 aveva ricevuto la

liquidazione delle sue spettanze, rilasciando quietanza liberatoria, avente natura di transazione, non impugnata nei termini, per modo che la domanda, formulata nei suoi confronti, doveva

essere dichiarata improcedibile ai sensi dell'art. 2113 cod. civile.

Il Del Greco, anch'egli costituito in giudizio, eccepiva che il

ricorrente aveva lavorato alle sue dipendenze solo dal 1° gennaio

controverso (Cass. 3 dicembre 1980, n. 6305, id., 1981, I, 29, con nota di richiami di C. M. Barone).

Per quanto riguarda procedimenti pendenti in appello al momento di entrata in vigore della legge n. 533, è prevalente l'orientamento che afferma l'esistenza, in virtù della natura anche processuale della norma ex art. 429, 3° comma, del potere-dovere del giudice d'appello di provvedere alla rivalutazione monetaria del credito anche d'ufficio, salva espressa rinuncia del lavoratore, la cui eventuale domanda in

proposito fungerebbe da mera sollecitazione (Cass. 8 agosto 1979, n. 4597, id., Rep. 1979, voce cit., n. 255; 19 maggio 1979, n. 2891, ibid., n. 305; 23 febbraio 1979, n. 1178, ibid., n. 256; 19 dicembre 1978, n. 6107, id., Rep. 1978, voce cit., n. 213; 26 luglio 1978, n. 3763, ibid., n. 370; 22 luglio 1978, n. 3666, id., Rep. 1979, voce cit., n. 258; 22 luglio 1978, n. 3665, id., Rep. 1978, voce cit., n. 371; 11 gennaio 1977, n. 96, id.; 1977, I, 340, con osservazione di C. M. Barone; 22 ottobre 1976, n. 3788, id., 1976, I, 2568, con nota di C. M. Barone; 2 ottobre 1976, n. 3215, id., 1976, I, 2352, con osservazione di C. M. Barone).

Per l'orientamento minoritario opposto, secondo cui nelle cause pendenti in appello all'entrata in vigore della legge n. 533, il giudice non avrebbe potuto applicare la rivalutazione monetaria, in assenza di

apposita domanda, nonostante lo ius superveniens, v. Cass. 22 ottobre

1976, n. 3785, id., 1976, I, 2569, con osservazione critica di C. M.

Barone; 20 maggio 1976, n. 1818, id., 1976, I, 2353, con osservazione di C. M. Barone.

Sull'applicabilità ex officio della rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro in primo grado, v. Cass. 27 giugno 1979, n. 3604, id., Rep. 1979, voce cit., n. 206; 25 ottobre 1978, n. 4838, id., 1978, I, 2691; 9 ottobre 1978, n. 4505, id., Rep. 1979, voce cit., n. 257, e in Giur. it., 1979, I, 1, 595, con nota di Garutti; Pret. Napoli 10 dicembre 1976, Foro it., 1977, I, 1024. Contra, nel senso che oltre alla specifica domanda sia richiesta anche l'allegazione del fatto costitutivo, Pret. Cava dei Tirreni 5 marzo 1977, id., 1977, 1, 1016; Cass. 16 gennaio 1976, n. 4258, id., 1976, I, 2732, con osservazione critica di C. M. Ba rone.

Sulla questione, ormai pacifica, dell'applicabilità dell'art. 429, 3° comma, ai crediti di lavoro sorti in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 533, v. la sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale n. 161 del 22 dicembre 1977 (id., 1978, I, 8), che confermò l'orientamento precedente pressoché costante della Cassazione, in senso favorevole (v. ad es. sent. 18 marzo 1977, n. 1080, id., 1977, 1, 1108, con osservazione di Buoncristiano).

In dottrina, sotto il profilo della costituzionalità della disciplina introdotta dal nuovo art. 429, 3° comma, v. Carpino, Sulla vicenda costituzionale dell'art. 429, 3° comma, cod. proc. civ. e di alcuni riflessi in tema di svalutazione monetaria, in Giur. costit., 1977, I, 1574; Cuomo e Altamura, Retroattività e costituzionalità dell'art. 429, ult.

comma, della legge n. 533 del 1973 nel pensiero della Corte costituzio nale e delle sezioni unite della Cassazione, in Riv. giur. lav., 1977, I, 711; Mastropaolo, Ingiustificato arricchimento e risarcimento del dan no nella giurisprudenza costituzionale sulla rivalutazione dei crediti

pecuniari del lavoratore, in Giur. costit., 1978, I, 1022. V. altresì, nella

prospettiva di confronto con la disciplina comune delle obbligazioni pecuniarie: Calderale, Piepoli, Tucci, Tutela del lavoratore, svalu tazione monetaria e disciplina comune delle obbligazioni pecuniarie, in Riv. giur. lav., 1977, I, 39; Perfetti, Il maggior danno del lavoratore

per svalutazione della moneta: art. 429, 3° comma, cod. proc. civ. e

inadempimento di comuni obbligazioni pecuniarie, in Giur. merito, 1977, 447; Napoletano, Il risarcimento del danno da svalutazione monetaria nel diritto comune e nel diritto del lavoro, in Riv. trim. dir.

proc. civ., 1976, 1137; nonché, in generale: Di Maio, Interessi, danno da svalutazione, tecniche di rivalutazione nella tutela dei crediti di

lavoro, in Riv. giur. lav., 1978, II, 451; Di Amato, L'art. 429 cod.

proc. civ. e la natura del credito di lavoro, in Giust. civ., 1977, I, 171; Di Ma(0, Rivalutazione del credito retributivo e domanda giudiziale, in Riv. giur. lav., 1976, II, 765; Minervini, Sulla rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro, in Riv. dir. lav., 1977, I, 259; Natoli, Svaluta zione monetaria e credito per retribuzione di lavoro, in Riv. giur. lav., 1977, I, 3; Referza, Ancora gualche cènno sulla rivalutazione dei crediti di lavoro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, 398.

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