Sezione I civile; sentenza 12 novembre 1983, n. 6733; Pres. Scanzano, Est. Contu, P. M. La Valva(concl. conf.); I.n.p.s. (Avv. Romoli, Lironcurti) c. Fall. soc. Calza Bloch (Avv. Urbani, Fabbri).Cassa App. Milano 17 novembre 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 1 (GENNAIO 1984), pp. 87/88-91/92Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175938 .
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PARTE PRIMA
sarebbero retroattivamente soggette a provare documentalmente,
per agire in ripetizione di somme indebitamente versate all'erario
per rapporti passati relativamente alle imposte menzionate, l'ine
sistenza di una pregressa traslazione dei tributi a carico di terzi
e quindi l'inconfigurabilità di una propria locupletazione, mentre le imprese in genere, per agire in ripetizione dei tributi indebita mente versati, sarebbero tenute non alla prova documentale sud
detta, ma semplicemente a provare l'indebito.
Né è dato individuare, a giustificazione della prospettata di
sparità di trattamento, ragioni che consentano di ritenere che le
prime imprese operino in condizioni diverse (per particolari si
tuazioni organizzative, di gestione, di mercato) da quelle riguar danti tutte le altre imprese, e tali comunque da legittimare una
deroga alle condizioni necessarie per l'esercizio della ripetizione d'indebito (art. 2033 c.c.) ed una particolare rilevanza della non
operata (per il passato) traslazione, da provare documentalmente.
Per quanto concerne il contrasto con l'art. 24, l'art. 19 (1° e 2°
comma), nel disciplinare (anche) retroattivamente la ripetizione dei versamenti indebitamente effettuati dalle imposte e diritti ivi
specificamente indicati, ha introdotto (anche) per il passato una
modificazione delle condizioni oggettive della relativa azione,
prevedendo la particolare condizione della non traslazione pre gressa delle imposte e diritti richiesti, ed una parallela modifi
cazione del trattamento probatorio della medesima azione, di
sponendo che il legittimato debba provare documentalmente tale
non traslazione. La norma, nella portata retroattiva espressa mente sancita dal legislatore, sembra incidere negativamente sulla garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti di cui all'art.
24 Cost. Invero il soggetto importatore, che nel passato (cioè
prima della entrata in vigore dell'art. 19), dopo avere versato
all'amministrazione finanziaria diritti doganali non dovuti abbia
rivenduto la merce importata senza precostituirsi la prova docu
mentale (allora non prevista né prevedibile) di non avere trasfe
rito a carico dell'acquirente il pagamento dei diritti stessi, non
avrebbe ora (dopo l'entrata in vigore dell'art. 19) il diritto di
ripetere il pagamento non dovuto (sulla base dell'azione ordi
naria ex art. 2033) pur in costanza delle condizioni già maturate
per l'esperibilità dell'azione (fondamentalmente, l'esistenza del
l'indebito) e ciò a causa della non producibilità della prova do
cumentale della non traslazione dell'equivalente pecuniario del
diritto doganale versato, richiesta soltanto ora e non al momento
del perfezionamento dell'indebito.
In sostanza l'art. 19 (1° e 2° comma), postula, in funzione della
prova documentale richiesta retroattivamente, che -le scritture
contabili, tenute dalle imprese ai sensi degli art. 2214 ss. c.c. in
ossequio alle esigenze di legalità e controllo di cui alle norme
suddette ed alle necessità di una buona amministrazione (tra le
quali esigenze e necessità non era compresa la prova documentale
della non traslazione dei diritti doganali in sede di formazione
del prezzo di vendita delle merci importate), siano ora utilizza
bili concretamente, con deviazione dalla loro naturale funzione,
per la documentazione di un evento in passato non rilevante, cioè
della non traslazione del versamento di tributi non dovuti, e ciò
al fine dell'esperibilità della ripetizione di indebito, con la con
seguenza della perdita del diritto alla ripetizione in difetto di
detta diversa utilizzabiltà.
Inoltre, il medesimo art. 19 (1° e 2° comma) nella sua portata retroattiva sembra anche inadeguato, e quindi irrazionale nel
l'ottica della logica legislativa, al raggiungimento del fine propo stosi, che è quella di escludere la ripetibilità dell'indebito nei
confronti di coloro che abbiano trasferito su terzi gli efletti ne
gativi patrimonialmente del pagamento indebito. Al riguardo si
profila difficile in alto grado (con eventuale incidenza sulla ga ranzia giurisdizionale nella tutela dei diritti) pervenire retroatti
vamente alla costituzione di una prova documentale avente come
oggetto la non traslazione del tributo indebitamente pagato, muo
vendo dalla considerazione che detta non traslazione sarebbe
evidenziabile soltanto — seppure ipoteticamente e non conclusi
vamente — sulla base della valutazione economica ponderata della differenza tra costo di produzione e prezzo.
Infatti la prova documentale della non traslazione e del man
cato conglobamento del tributo (già versato ma non dovuto) nel
prezzo di vendita presuppone (anche) per il passato la documen
tazione dei singoli elementi del costo, e di una differenza attiva
tra costo e prezzo, che non sia imputabile al solo profitto ma
che sia (in parte) determinata dal conglobamento, come parte ulteriore della differenza attiva, del tributo pagato nel prezzo di
vendita. Siffatta ricostruzione retrospettiva dei valori concorrenti
alla formazione del prezzo non terrebbe conto né delle enormi
difficoltà (in genere) di individuare e quantificare singulatim le
diverse variabili incidenti nella formazione del prezzo, né in par
ticolare della variabilità (nel tempo) del profitto in dipendenza di
diverse (nel tempo) condizioni di mercato, variabilità che rende
la differenza tra costi e prezzo diversamente valutabile e che non
consente retrospettivamente la ragionevole riferibilità di (parte
della) differenza attiva tra costo e prezzo ad una ipotetica trasla
zione di tributi.
È altresì' prospettabile il contrasto dell'art. 19 (1° e 2° comma)
con l'art. 11 Cost, per avere introdotto una disciplina ostativa
all'esercizio del diritto, riconosciuto dall'ordinamento giuridico
comunitario, di ripetizione di tributi non dovuti secondo il me
desimo ordinamento.
Con la sentenza in pari data di questa corte è stato rilevato che
i diritti di visita sanitaria al confine sono stati illegittimamente
riscossi dall'amministrazione finanziaria in violazione dei regola
menti CEE 27 giugno 1968 n. 804 e 20 ottobre 1970 n. 2142 in
relazione al divieto di riscossione da parte degli Stati membri di
tasse, diritti o prestazioni di effetto equivalente ai dazi doganali
dall'importazione. Circa gli effetti dell'illegittima riscossione di tali tasse ed
equivalenti, che si producono direttamente nei rapporti giuridici
tra Stati membri e loro cittadini '(Corte giust. CEE 27 marzo 1980,
causa 61/79, id., 1981, IV, 119, ed altre sentenze ivi citate
nel medesimo senso), la Corte di giustizia CEE, con sentenze 10
luglio 1980, cause 826/79 ed 811/79 {ibid., 117 e 118), 27 marzo
1980, causa 61/79, cit., ed altre, ha affermato il principio
che, in mancanza di una normativa comunitaria in materia di
contestazione o di recupero di tasse nazionali pretese illegittima
mente o riscosse indebitamente perché incompatibili con il di
ritto comunitario, l'ordinamento giuridico interno di ciascuno
Stato membro può legittimamente designare il giudice compe
tente e stabilire le modalità procedurali delle azioni giudiziarie
intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza
delle norme comunitarie aventi efficacia diretta, modalità che
non possono essere meno favorevoli di quelle relative ad analo
ghe azioni del sistema processuale nazionale, né in alcun caso
possono essere strutturate in modo da rendere praticamente im
possibile l'esercizio dei diritti che i giudici nazionali sono tenuti
a tutelare.
Indubbiamente, per le stesse ragioni esposte a proposito del
contrasto con gli art. 3 e 24 Cost., l'introduzione retroattiva della
prova documentale relativa alla mancata traslazione del tributo
(indebitamente versato) ai fini dell'esercizio dell'azione di ripeti
zione ai sensi del più volte citato art. 19, può rappresentare sia
una modalità processuale meno favorevole di quelle proprie di
analoghe azioni del diritto nazionale (art. 2033 c.c.) sia una mo
dalità tale da rendere praticamente impossibile l'esercizio del di
ritto corrispondente, con la conseguente violazione dell'ordina
mento comunitario in relazione al quale (per effetto del divieto
di riscossione da parte degli Stati membri delle tasse o diritti
di effetto equivalente ai dazi doganali) il diritto alla ripetizione
della tassa o diritto indebitamente versato si è già perfezionato.
In conclusione è da ritenere rilevante e non manifestamente
infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 19
(1° e 2° comma) più volte citato nella sua portata retroattiva per
contrasto con gli art. 3, 24, 11 Cost., e pertanto necessaria ai
sensi dell'art. 1 1. cost. 9 febbraio 1948 n. 1 e dell'art. 23 1. 11
marzo 1953 n. 87 la rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 12 no
vembre 1983, n. 6733; Pres. Scanzano, Est. Contu, P. M. La
Valva (conci, conf.); I.n.p.s. (Avv. Romoli, Lironcurti) c.
Fall. soc. Calza Bloch (Avv. Urbani, Fabbri). Cassa App. Mi
lano 17 novembre 1980.
Previdenza sociale — Trattamento speciale di disoccupazione —
Licenziamenti a seguito di fallimento — Debito contributivo —
Sussistenza (L. 5 novembre 1968 n. 1115, estensione ai lavora
tori degli interventi sulla cassa integrazione guadagni, art. 8, 9; 1. 23 aprile 1981 n. 155, adeguamento delle strutture e delle
procedure per la liquidazione urgente delle pensioni e per i
trattamenti di disoccupazione, previdenziali e pensionistici, art.
25). Fallimento — Opposizione allo stato passivo — Crediti di lavoro
e previdenziali — Dichiarazione di incostituzionalità dell'art.
99, ult. comma, 1. fall. — Effetti (R. d. 16 marzo 1942 n. 267,
disciplina del fallimento, art. 99).
A seguito dell'entrata in vigore della l. 23 aprile 1981 n. 155, il
cui art. 25 ha interpretato autenticamente, con efficacia retroat
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
liva, l'art. 8 I. 5 novembre 1968 n. 1115, il diritto al trattamen
to speciale di disoccupazione e il correlativo credito contributi
vo deU'Ln.p.s. dipendono dal fatto obiettivo del licenziamento
dei dipendenti riferibile alla cessazione totale dell'attività del
l'impresa, ditalché anche il fallimento è riconducibile nella
fattispecie di cui agli art. 8 e 9 l. n. 1115/68 e il credito per i
contributi relativi a detto trattamento deve essere ammesso nel
passivo fallimentare. (1)
Non essendo più applicabile nei giudizi pendenti l'art. 99, ult.
comma, l. fall., dichiarato incostituzionale con sentenza n. 69
del 3 aprile 1982 nella parte in cui sancisce l'inappellabilità delle sentenze rese, in sede di opposizione allo stato passivo, su
crediti di lavoro e di previdenza e di assistenza obbligatorie, non può essere cassata la sentenza di secondo grado che,
anteriormente alla pronuncia di incostituzionalità, abbia omesso
di dichiarare inammissibile l'appello in una controversia di
natura previdenziale. (2)
(1) La sentenza ribadisce l'indirizzo assunto, in tema di trattamento
speciale di disoccupazione, dalla giurisprudenza della Cassazione dopo l'entrata in vigore dell'art. 25 1. 23 aprile 1981 n. 155, che ha dato
l'interpretazione autentica dell'art. 8 1. 5 novembre 1968 n. 1115, configurando, con efficacia retroattiva, lq fattispecie delineata da que st'ultima disposizione in termini tali (« licenziamenti per cessazione
totale dell'attività da parte di imprese industriali, per qualsiasi causa la stessa sia intervenuta ») da giustificare l'inclusione nella previsione normativa anche dei licenziamenti intimati a seguito del fallimento. In tal senso v. Cass. 20 aprile 1983, n. 2725, Foro it., Mass., 569; 23 febbraio 1983, n. 1369, ibid., 286; 20 maggio 1982, nn. 3119, 3120, 3121, id., Rep. 1982, voce Previdenza sociale, nn. 702-704; 7 luglio 1982, n. 4048, ibid., n. 706; per la giurisprudenza di merito cfr. Trib. Pordenone 26 luglio 1981, ibid., n. 721; (Pret. Bergamo 1° agosto 1981, ibid., n. 722. Per l'orientamento anteriore alla legge interpretativa, univoco nell'escludere l'applicabilità della normativa sul trattamento
speciale di disoccupazione in caso di fallimento dell'imprenditore, v. Cass. 4 giugno 1980, n. 3636, id., 1981, 1, 815.
Le sentenze emesse dopo l'entrata in vigore della 1. n. 155/81 chiariscono che il debito contributivo sorge solo al momento della ri soluzione dei rapporti di lavoro in conseguenza della dichiarazione di fallimento e, quindi, direttamente in capo al fallimento, traendone il corollario che, per tale fatto, non è ipotizzabile il ritardo nel pagamento costituente il presupposto della somma aggiuntiva a titolo di sanzione civile e che il debito stesso resta soggetto alle regole del concorso: su tale problema v. Cass. 4 ottobre 1982, n. 5076, id., 1982, I, 3028, con nota di richiami cui si rinvia anche per riferimenti sulle questioni concernenti la legittimità costituzionale della legge interpreta tiva n. 155/81 (posta in dubbio da Trib. Milano 11 febbraio 1982, id.,
Rep. 1982, voce cit., n. 705, che ne ha rimesso l'esame alla Corte
costituzionale) e la natura del credito dell'I .n.p.s. (privilegiato o in prededuzione). A quest'ultimo proposito, il problema della graduazione del credito contributivo dell'I .n.p.s. è stato esaminato, in obiter, da Cass. 20 maggio 1982, n. 3119, cit., secondo cui la qualificazione come credito di massa « troverebbe giustificazione nella circostanza che il pagamento è imposto all'amministrazione fallimentare dalla legge per un comportamento conseguente all'intervenuto fallimento e posteriore alla sua dichiarazione » : nella stessa sentenza è stata segnalata la
manifesta infondatezza di un'eventuale questione di costituzionalità della normativa che sancisce la prededuzione, anche se non si è mancato di sottolineare a chiare lettere che l'inquadramento tra i crediti di massa comporta lo stravolgimento dell'equilibrio del fallimen to, venendo il contributo suddetto ad anteporsi ai crediti con prelazio ne e a quelli chirografari insinuati al passivo, anziché essere pagato, secondo le regole della par condicio, in moneta fallimentare.
Sull'argomento cons, in dottrina Miscione, Brevi note su indennità
speciale di disoccupazione e legge interpretativa, in Giur. it., 1982, I, 1, 1719; Manferoce, Trattamento speciale di disoccupazione: riflessio ni sulla natura interpretativa o meno dell'art. 25, 2° comma, l. 23 aprile 1981 n. 155, in Fallimento, 1982, 170; Cinelli, La tutela del lavoratore contro la disoccupazione, Milano, 1982, 278 ss.; Aranguren, La tutela dei diritti dei lavoratori, in Enciclopedia giuridica del lavoro diretta da
Mazzoni, iPadova, 1981, 185 ss.; Spas ano, Fallimento e cassa integra zione guadagni, Padova, 1981, 200 ss.
(2) Sugli effetti della sentenza n. 69 del 3 aprile 1982 (Foro it., 1982, I, 1213), con cui è stata dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 99, ult. comma, 1. fall., nella parte in cui sancisce l'inappellabilità delle sentenze rese, in sede di opposizione allo stato passivo, su crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie, v. Cass. 1° dicembre 1982, n. 6524, id., Rep. 1982, voce Fallimento, n. 423, che ha ritenuto immediatamente applicabile la citata decisione nelle con troversie in corso, inferendone che, qualora sia sopravvenuta in sede di
legittimità, impone la cassazione con rinvio, per l'esame del gravame nel merito, della sentenza con la quale il giudice di secondo grado abbia dichiarato inammissibile l'appello proposto avverso la suddetta pronuncia. Per la dottrina, cfr., in nota a Corte cost. n. 69/82, Ricci, Prime impressioni sulla declaratoria di parziale incostituzionalità del l'art. 99 I. fall., in Giur. comm., 1982, ili, 563; Lanfranchi in Riv. giur. lav., 1982, II, 245; Favara in Rass. avv. Stato, 1982, I, 228.
Motivi della decisione. — I due ricorsi vanno riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., essendo stati proposti contro la stessa senten za.
Con l'unico motivo l'I.n.p.s., denunziando violazione e falsa applicazione degli art. 8 e 9 1. 5 novembre 1968 n. 1115, in relazione all'art. 25, 2° comma, 1. 23 aprile 1981 n. 155 ed all'art. 360, n. 3, c.p.c., sostiene che, dopo la pubblicazione di quest'ul tima legge, avente natura interpretativa ed efficacia retroattiva, è divenuto incontestabile il diritto dei lavoratori licenziati a seguito di fallimento dell'impresa ad ottenere il trattamento speciale di disoccupazione, e, conseguentemente, quello dell'istituto al paga mento dei relativi contributi.
Con il controricorso il fallimento della s.p.a. Calza Bloch contesta la fondatezza di tale tesi deducendo ohe: a) la pretesa dell'I.n.p.s. venne respinta non solo perché mancava il requisito obiettivo per l'insorgenza dell'obbligazione contributiva, stante l'inapplicabilità della 1. n. 1115 del 1968 in caso di licenziamenti a seguito di fallimento dell'impresa, ma anche perché mancava il requisito soggettivo, pure richiesto ai fini dell'obbligo contributi vo, dell'esistenza di un imprenditore in senso tecnico, non poten dosi qualificare come tale il curatore del fallimento; senonché il ricorso, investendo solo il primo profilo della decisione, è inam missibile per difetto di interesse, perché la seconda delle ragioni addotte dai giudici del merito è da sola sufficiente a sorreggere la sentenza impugnata; b) l'art. 25, 2° comma, 1. n. 155 del 1981, avendo natura innovativa e non interpretativa non ha efficacia retroattiva e non può influenzare la presente controversia, che deve essere decisa in base ad una giurisprudenza consolidatasi in senso contrario alla tesi dell'I.n.p.s.; c) il sistema della 1. n. 1115 del 1968 presuppone il licenziamento da parte di un'impresa industriale e non è applicabile in caso di licenziamenti dovuti alla cessazione di un'impresa per fallimento; d) un'imposizione contributiva retroattiva è costituzionalmente illegittima.
Il ricorso è fondato, non potendosi condividere le eccezioni formulate con il controricorso.
Si è discusso in causa se la disciplina degli art. 8 e 9 1. n. 1115 del 1968, relativa ad un trattamento speciale di disoccupazione agli operai di imprese industriali diverse da quelle edilizie, licenziati a seguito di cessazione di attività aziendali di stabili mento o di reparto, non stagionali e di breve durata, ed a seguito di riduzione di personale, sia applicabile nell'ipotesi di totale cessazione dell'attività imprenditoriale conseguente a fallimento. Sulla questione, variamente risolta dai giudici di merito, si pronunziò diverse volte questa corte e sempre nel senso che alla previsione legislativa fossero estranei i licenziamenti dovuti a fallimento dell'impresa (Cass. 27 febbraio 1979, n. 1282, Foro it., Rep. 1979, voce Previdenza sociale, n. 642; 4 giugno 1980, n. 3636, id., 1981, I, 815; 16 marzo 1981, n. 1473, id., Rep. 1981, voce cit., n. 609; 20 maggio 1981, n. 3316, ibid., n. 624).
La sentenza ora impugnata si è uniformata a tale indirizzo e, dopo aver escluso, in linea generale, che il trattamento speciale di disoccupazione di cui trattasi competa nell'ipotesi di totale cessa zione dell'impresa ha affermato che esso presuppone la continua zione dell'attività produttiva, sia pure in modo ridotto; con riferimento alla specifica ipotesi di fallimento dell'imprenditore ha perciò ritenuto applicabile tale principio e, coerentemente con le premesse, ha escluso detta fattispecie dalla previsione legislativa. Non è esatto, però, che a sostegno della decisione sia stata affermata l'inapplicabilità della normativa invocata dall'I.n.p.s. per essere stato il licenziamento intimato dal curatore del fallimento e non da un imprenditore in senso tecnico, in quanto tale questio ne non risulta trattata dai giudici del merito, i quali hanno parlato di impresa e di imprenditore solo con riferimento al concetto di cessazione di attività in senso obiettivo, senza affron tare il problema della posizione assunta dal curatore del fallimen to in relazione ai licenziamenti.
Viene perciò a cadere la tesi del controricorrente, relativa ad una asserita duplice ragione giustificatrice della decisione, in quanto la sentenza impugnata, muovendosi nel solco tracciato dalla giurisprudenza di questa Corte suprema, ha argomentato esclusi vamente sul piano della inapplicabilità della suddetta normativa per ragioni obiettive. Non può pertanto ravvisarsi una causa di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, poiché le censure del ricorrente investono la sentenza nel suo complesso.
Passando ora all'esame dell'unico motivo del ricorso principale deve rilevarsi che lo ius superveniens invocato dall'I.n.p.s. è decisamente risolutivo del problema, come è stato già statuito, del resto, con precedenti sentenze di questa corte (v. per tutte Cass. 4376 del 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 718; 3119 e 4048 del 1982, ibid., nn. 702, 706). Nelle more del giudizio è sopravve nuta, infatti, la 1. 23 aprile 1981 n. 155, la quale all'art. 25, 2° comma, dispone: « l'art. 8, 1° comma, 1. 5 novembre 1968 n. 1115 deve essere interpretato nel senso ohe il diritto al tratta
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PARTE PRIMA
mento di disoccupazione è riconosciuto anche ai lavoratori, im
piegati ed operai, licenziati per cessazione totale dell'attività da
parte di imprese industriali, per qualsiasi causa la stessa sia
intervenuta ».
Trattasi, indubbiamente, di una norma di interpretazione auten
tica, come è stato riconosciuto da questa corte, con diffusa
motivazione, con la sentenza n. 3119 del 1982, nella quale è stato
posto in evidenza che « ogni qualvolta la legge contenga una
disposizione la quale dichiari espressamente il suo carattere
interpretativo, ed a questa espressa diohiarazione corrisponda la
struttura tipica della disposizione interpretativa (integrandosi la
fattispecie della disposizione interpretanda con elementi desunti
dalla disposizione interpretata) sussistono i connotati essenziali
della legge di interpretazione con tutte le implicazioni che ne
conseguono ».
Nel contestare la natura interpretativa della norma, il controri
corrente ha sostenuto che non vi era motivo per ricorrere allo
strumento di interpretazione autentica, posto che, sulla scorta
della costante giurisprudenza di questa corte, si era realizzata
un'uniformità di interpretazione degli art. 8 e 9 1. n. 1115 del
1968, talché mancava una ragionevole ed obiettiva incertezza sul
loro significato, tale da giustificare l'intervento del legislatore. Senonché è stato già chiarito con la citata sentenza n. 3119 del
1982 che in tema di interpretazione autentica l'intervento del
legislatore è ammissibile anche quando l'indirizzo ermeneutico
segnato da questa corte, istituzionalmente investita del potere nomofilattico, risulti omogeneo, ed anche se l'interpretazione im
posta non sia da ritenere esatta alla stregua del diritto previgente. Non può inoltre disconoscersi che in realtà la giurisprudenza dei
giudici di merito aveva talvolta accolto l'indirizzo esegetico poi sancito con la legge di interpretazione autentica, e che lo stesso
era astrattamente possibile, tant'è ohe venne sostenuto dall'Ln.p.s., con argomentazioni di pregio, in numerose liti; ciò comporta che
esistessero dei dubbi interpretativi, idonei a giustificare l'interven
to del legislatore per dirimerli con la legge di interpretazione autentica, senza prestare il fianco a ragionevoli dubbi di legittimi tà costituzionale.
L'efficacia retroattiva incontrastatamente riconosciuta alle leggi di interpretazione autentica implica l'applicabilità alla fattispecie
degli art. 8 e 9 1. n. 1115 del 1968, posto che la legge
interpretativa, con il suo ampio dettato, ricomprende anche il
fallimento fra le cause di cessazione di attività di un'impresa industriale che danno luogo al trattamento speciale di disoccupa zione a favore dei dipendenti licenziati.
Né può avere rilevanza che al licenziamento abbia provveduto il
curatore del fallimento e non l'imprenditore fallito, in quanto
l'insorgere del trattamento speciale di disoccupazione e del relati
vo credito contributivo dell'I .n.p.s. prescinde totalmente da ogni riferimento alla qualifica della persona che abbia provveduto ai
licenziamenti, ed ha riguardo soltanto al loro verificarsi per una
causa obiettivamente collegabile alla cessazione dell'attività del-'
l'impresa. E poiché il fallimento rappresenta una peculiare vicen
da di cessazione dell'impresa, non vi è dubbio ohe esso alla
stregua della normativa risultante dalla 1. 155/81 debba essere
parificato agli altri casi di cessazione di attività dell'impresa, senza poter introdurre delle distinzioni che risultano estranee al
sistema legislativo, e senza che possa avere rilevanza l'eventualità
dell'esercizio provvisorio. Sul piano della legittimità costituzionale nessun ostacolo può
sussistere al riconoscimento della natura retroattiva della legge di interpretazione autentica, la cui funzione è proprio quella di
imporre una determinata interpretazione di una norma con effica
cia ex tunc, e si connota, quindi, per la sua naturale retroattività
a differenza delle altre leggi che sono naturalmente retroattive.
Ne deriva che la fonte normativa dell'obbligazione contributiva
rimane sempre l'anteriore 1. del 1968 n. 1115, onde l'eccezione di
incostituzionalità dell'art. 25, 2° comma, 1. n. 155 del 1981, sollevata dal controricorrente, si appalesa manifestamente infon
data. Peraltro, il principio della irretroattività delle leggi è costi
tuzionalmente garantito soltanto in materia penale, sicché per materie diverse, quale quella tributaria, è ben possibile che siano
emesse norme con efficacia ex tunc (Cass. 24 marzo 1981, n.
1703, id., Rep. 1981, voce Legge, n. 63). Con il ricorso incidentale condizionato il fallimento della
s.p.a. Calza Bloch deduce violazione e falsa applicazione degli art. 99, 6° comma, e 101 1. fall., dell'art. 3 Cost, e degli art. 348 e 350 c.p.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., nonché omessa motivazione su questione rilevabile d'ufficio, in
relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c.
Sostiene, al riguardo, che la corte milanese avrebbe dovuto
dichiarare inammissibile l'appello proposto dell'I-n.p.s. poiché l'art. 99, 6° comma, 1. fall, esclude l'appellabilità delle sentenze,
rese in sede di opposizione ordinaria allo stato passivo, allorché
la controversia non ecceda la competenza pretorile, e lo stesso
principio non può non valere anche per le cause di insinuazione tardiva. Sul piano interpretativo, poi, la presente controversia, avendo natura previdenziale ed essendo perciò attribuita alla
competenza per materia del pretore, deve essere equiparata a
quelle in cui tale giudizio è competente per valore. Tale tesi è divenuta manifestamente infondata dopo che la
Corte costituzionale, con la sentenza 3 aprile 1982, n. 69 (id., 1982, I, 1213), ha dichiarato illegittimo, per violazione dell'art. 3, 1° comma, Cost., l'art. 99, ult. comma, 1. fall., nella parte in cui sancisce l'inappellabilità dalle sentenze rese, in sede di opposizio ne allo stato passivo, su crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie. L'espunzione della norma dall'ordinamento
impedisce, infatti, che essa sia comunque applicabile alle contro versie pendenti, con il solo limite — palesemente estraneo alla
fattispecie — dell'esaurimento del rapporto. In definitiva deve accogliersi il ricorso principale e rigettarsi
quello incidentale; la sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano, la quale nella definizione della controversia si atterrà ai principi sopra enunciati. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 12 no vembre 1983, n. 6730; Pres. Moscone, Est. Menjchino, P. M. Corasaniti (conci, diff.); Buongiovanni (Avv. Manfredini, Fanfani, Mazzocchi) c. Soc. conceria Subalpina (Avv. Cascia
ni). Conferma Trib. Pistoia 16 agosto 1980.
Agenzia (contratto di) e agente di commercio — Iscrizione al ruolo — Difetto — Disciplina della prestazione di lavoro di fatto — Applicabilità — Esclusione — Conversione nel con tratto di procacciamento di affari o di mediazione — Esclusio ne (Cod. civ., art. 1343, 1424, 1754, 2126; 1. 12 marzo 1968 n.
316, disciplina della professione di agente e rappresentante di
commercio, art. 9).
Il contratto di agenzia stipulato da chi non sia iscritto al ruolo è nullo per contrarietà a norma imperativa, senza che vi si possa applicare l'art. 2126 c.c., sull'inefficacia dell'invalidità del con tratto di lavoro per il periodo in cui esso ha avuto esecuzione, ovvero sia dato convertirlo nel contratto di procacciamento di
affari o di mediazione. (1)
(1) Gli spiragli — alludiamo a quelli schiusi dalla sezione lavoro col revirement di cui alla sent. 13 agosto 1981, n. 4928, Foro it., 1981, I, 2699, ripreso dalla sent. 15 gennaio 1982, n. 255, id., 1982, I, 693, e ribadito di recente dalla sent. 26 gennaio 1983, n. 726, id., Mass., 139: quanto bastava ad alimentare la speranza che « anche le buone idee attecchiscano » — non sono a senso unico: possono aprirsi e preludere al consolidamento di nuovi assetti, ma anche ottundersi e rinviare allo status quo ante.
11 lungo itinerario della decisione in epigrafe — in qualche misura sbilanciato dalla circostanza di svolgersi in parallelo alla motivazione della coeva Cass., sez. un., 12 novembre 1983, n. 6729, pres. Mo scone, est. Menichino, p.m. Corasaniti (conci, diff.), Fall soc. Tanit c. Fall. soc. Telpa, in cui a ricorrere per cassazione era un agente
' abu sivo '
costituito in forma societaria e per ciò stesso sottratto a qualsivoglia tentativo di applicare la disciplina dell'art. 2126, 1° comma, c.c. — si riassume tutto in una battuta, quella con cui, in esordio, le sezioni unite intimano che il contratto di agenzia stipulato da chi non sia iscritto all'apposito ruolo è nullo per illiceità della causa.
Ciò vale, infatti, a chiuder la partita. Messa fuori giuoco la norma sulla prestazione di lavoro di fatto (impraticabile quante volte « la nullità derivi dall'illiceità dell'oggetto o della causa »), il ripiegamento sul procacciamento d'affari — secondo l'impostazione tenacemente, ma invano, caldeggiata nella controversia cui si riferisce Cass. 6729/83 da R. Baldi, fra i cui scritti sul punto rammentiamo il recente commento a Cass. 255/82, in Giur. comm., 1982, II, 508, dal titolo L'agente non iscritto al ruolo e la varietà di orientamenti della Cassazione — si colora dei tratti dell'Umgehungsgeschaft; ogni pretesa dell'agente abusi vo va respinta, senza neppur bisogno di far leva sull'art. 2231 c.c. (che, peraltro, viene ritenuto inapplicabile alla fattispecie).
Strada facendo, e con piglio singolarmente altalenante, la corte si preoccupa di corroborare la sua presa di posizione con argomenti ad adiuvandum. Uno di essi è la mera riedizione della battuta di esordio; solo che un lapsus calami (si legge che «la norma dell'art. 2126, 1° comma, c.c. presuppone che il contratto non sia affetto da ' nulli tà ', ma s'intendeva, evidentemente, parlare di ' nullità assoluta '
»), lo rende imperscrutabile. Altri — segnatamente quelli deputati a smentire l'applicabilità della disposizione de qua in ragione della natura auto noma dell'attività dell'agente, e ad esorcizzare lo spettro della parasu bordinazione (v. già Pret. Legnano 13 luglio 1982, Foro it., 1982, I, 2659) — sanno da lontano di formalismo irrigidito, non foss'altro
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