sezione I civile; sentenza 13 gennaio 1993, n. 342; Pres. Montanari Visco, Est. Bibolini, P.M.Zema (concl. conf.); Soc. Assitalia (Avv. Iannotta) c. Consorzio Veneto trasporti e altri (Avv.Scotellaro, Mesiano). Cassa App. Venezia 4 giugno 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1993), pp. 2213/2214-2219/2220Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187542 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
della locatrice e, ritenuta la prevalenza dell'uso abitativo, di
chiarò cessata la locazione alla data del 31 dicembre 1983.
La decisione del tribunale, impugnata dal Torlaschi, fu con
fermata dalla Corte di appello di Genova con sentenza del 31
agosto 1988.
Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre il Torlaschi
sulla base di due motivi di censura. Resiste con controricorso
la Ramasco, la quale ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunciando
violazione e falsa applicazione degli art. 2727, 2729, 1° comma,
c.c. 115, 1° e 2° comma, c.p.c., nonché vizio di insufficiente
motivazione su punto decisivo della controversia, il ricorrente
censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto delle
argomentazioni da lui svolte con le quali venivano indicati con
creti elementi da prendere a base per la determinazione dell'uso
prevalente dell'immobile, quali la consistenza del nucleo fami
liare del conduttore, le superfici dell'immobile destinate all'uno
o all'altro uso, l'importanza economica degli stessi in relazione
alle esigenze di vita del conduttore, e per aver fondato il pro
prio convincimento su elementi incerti, inidonei a sostenere un
giudizio presuntivo, peraltro assegnando prevalenza all'esigenza
abitativa, solo perché ritenuta prioritaria rispetto a quella pro
fessionale, senza attribuire alcuna considerazione al numero su
periore dei vani destinati a quest'ultima attività.
Con il secondo motivo, denunciando vizio di difetto di moti
vazione su un punto decisivo della controversia, il ricorrente
censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto del
fatto che, successivamente alla stipulazione del contratto, nel
quale era stato indicato l'uso di «abitazione e studio», in occa
sione del rinnovo, in sede di denuncia verbale, la parola abita
zione era stata sostituita con quella di appartamento, per cui
si rendeva necessario accertare, in ordine alla destinazione del
l'immobile, quale fosse stata la volontà delle parti con riferi
mento alla quale era stata anche richiesta una prova testimonia
le, non ammessa.
Occorre premettere che all'esame del ricorso non è di ostaco
lo il fatto, dedotto dalla controricorrente nella memoria difensi
va, che l'immobile sia stato rilasciato dal conduttore, atteso che
permane un interesse di quest'ultimo all'accertamento della na
tura del rapporto. L'esame del secondo motivo del ricorso deve precedere, in
linea logica, quello del primo, perché attiene all'accertamento
della volontà contrattuale delle parti in ordine alla destinazione
da dare all'immobile locato, mentre il primo concerne un mo
mento successivo, relativo all'uso concreto conferito dal con
duttore dello stesso immobile.
Il motivo in esame è fondato. La 1. n. 392 del 1978 non pre
vede una specifica disciplina degli immobili locati fin dall'origi ne a più usi, per comune volontà dei contraenti.
Invero, l'art. 80 1. cit., allorquando stabilisce che in caso di
uso promiscuo, si applica al contratto il regime giuridico dell'u
so prevalente, si riferisce all'ipotesi di mutamento parziale della
destinazione d'uso, dovuta all'arbitraria iniziativa del conduttore.
Ciò non toglie, tuttavia, che le parti possano pattuire, fin
dalla stipulazione del contratto, la destinazione a più usi del
l'immobile locato, rientrando ciò nella loro autonomia e non
essendovi norme che ne limitino il contenuto.
In tal caso la disciplina da applicare alla locazione sarà quella
de"uso prevalente, in applicazione analogica della disposizione
contenuta nell'ultimo comma dell'art. 80 1. n. 392 del 1978.
Pertanto, quando, come nella specie, secondo quanto risulta
dalla sentenza impugnata, l'uso promiscuo sia stato pattuito dalle
parti, il giudice, al fine di stabilire quale regime giuridico debba
essere applicato al contratto, dove in primo luogo, accertare
quale sia stata la volontà delle parti in ordine all'uso prevalente
e se variazioni consensuali in ordine a tale punto siano soprav
venute nel corso del rapporto. Solo dopo aver proceduto a tale accertamento e nell'ipotesi
che da taluna delle parti venga prospettata l'esistenza di un rap
porto di prevalenza diverso da quello pattuito, tale da incidere
sulla disciplina giuridica del contratto (o perché si deduca che
il contratto sia frutto di un accordo simulatorio ovvero perché
la destinazione dell'immobile sia stata unilateralmente mutata
dal conduttore), il giudice potrà procedere all'accertamento del
l'uso effettivo e conseguentemente, in applicazione del richia
mato disposto dell'ultimo comma dell'art. 80, applicare al con
tratto il corrispondente regime giuridico.
Il Foro Italiano — 1993.
Nella specie, il giudice di merito — e ciò forma oggetto della
censura di cui al secondo motivo del ricorso — ha pretermesso
ogni indagine in ordine alla comune volontà dei contraenti al
fine di accertare quale fosse l'uso prevalente da attribuire al
l'immobile. Anzi, il giudice di merito ha affermato, in contrasto con il
principio sopra enunciato, che una «rilevanza relativa», doveva
attribuirsi alle espressioni usate nel contratto e nella successiva
denuncia verbale ed ha altresì omesso di motivare in ordine alla
rilevanza della prova per testi dedotta dal ricorrente, con la quale si tendeva a dimostrare che la comune volontà dei contraenti
era diretta a conferire prevalenza alla destinazione ad uso pro
fessionale, nell'ambito del quale era consentito al conduttore
di usare l'appartamento anche come abitazione.
Solo dopo aver svolto questa indagine, il giudice avrebbe po tuto prendere in considerazione, ove sussistenti i presupposti
per l'applicazione dell'art. 80, la destinazione effettiva dell'im
mobile al fine di verificare se essa fosse conforme o meno a
quella pattuita.
L'indagine omessa dalla sentenza impugnata dovrà essere com
piuta dal giudice di rinvio. L'accoglimento della censura di cui al secondo motivo del
ricorso comporta l'assorbimento di quella contenuta nel primo motivo.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 13 gen naio 1993, n. 342; Pres. Montanari Visco, Est. Bibolini,
P.M. Zema (conci, conf.); Soc. Assitalia (Avv. Iannotta) c.
Consorzio Veneto trasporti e altri (Avv. Scotellaro, Mesia
no). Cassa App. Venezia 4 giugno 1988.
Impugnazioni civili in genere — Atto unico di impugnazione
— Stesse parti — Pluralità di sentenze — Inammissibilità —
Limiti (Cod. proc. civ., art. 273, 274, 335).
È inammissibile un'unica impugnazione contro diverse senten
ze, ancorché fra le stesse parti, al di fuori dei casi espressa
mente previsti dalla legge e dei casi di unitarietà del rapporto
processuale. (1)
(1) La giurisprudenza della Cassazione è senz'altro orientata in mo
do prevalente nel senso espresso della sentenza in epigrafe: in termini sent. 29 novembre 1991, n. 12817, Foro it., Rep. 1991, voce Appello
civile, n. 6; nonché sent. 4 maggio 1981, n. 2716, id., Rep. 1981, voce
Lavoro e previdenza (controversie), n. 387; 10 dicembre 1981, n. 6533,
id., 1982, I, 1994, con nota di richiami; 28 aprile 1975, n. 1616, id.,
1975, I, 2251, con nota di richiami.
Al di fuori dei casi in cui l'unicità dell'impugnazione contro diverse
sentenze è dovuta all'unicità del giudizio pregresso (art. 36, 102, 103, 104 c.p.c.: ma in questo caso siamo di fronte ad un'unica sentenza
divisa in capi), e di quelli in cui ciò è consentito espressamente la legge
(riserva d'impugnazione, art. 340 e 361 c.p.c.), l'atto di impugnazione unico è stato ritenuto ammissibile nell'ipotesi di impugnazione sia della
sentenza di gravame sia di quella di revocazione (v. Cass. 22 marzo
1991, n. 3107, id., Rep. 1991, voce Cassazione civile, n. 17; 23 maggio
1985, n. 3110, id., Rep. 1985, voce cit., n. 48; ord. 3 maggio 1984, n. 280, id., 1985, I, 207, con nota di richiami), oppure di sentenza
di rinvio e di revocazione (Cass. 27 ottobre 1987, n. 7914, id., Rep.
1987, voce cit., n. 27). Il principio per cui la riunione delle impugnazioni spetta solo al giu
dice, è stato ulteriormente stemperato da quel filone giurisprudenziale, che fa salvo l'atto unico di impugnazione contro diverse sentenze (sem
pre fra le stesse parti), purché le cause siano intimamente connesse e
richiedano una sola decisione.
Di tale indirizzo (formulato in tema di unico atto di regolamento
preventivo di giurisdizione, nell'ambito di procedimenti diversi aventi
entrambi ad oggetto la stessa situazione di diritto sostanziale e pendenti
contemporaneamente dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria ed a quella amministrativa o tributaria) sono espressione Cass. 28 ottobre 1985,
n. 5287, id., Rep. 1985, voce Giurisdizione civile, n. 193; 21 novembre
1983, n. 6917, id., Rep. 1983, voce cit., n. 149 (per altra parte, id.,
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2215 PARTE PRIMA 2216
Svolgimento del processo. — Per comprendere il tema del
dibattito tra le parti in questa sede di legittimità, è opportuno
seguire separatamente due vicende giudiziali che sono state poi unificate in fase di appello, costituendo il fatto oggetto della
doglianza del primo mezzo di cassazione.
A) Con sentenza in data 29 ottobre 1981 della Corte d'appel lo di Milano il sig. Walter Salmaso veniva dichiarato debitore
per lire 134.000.000 del consorzio Covetra.
B) Con altra sentenza n. 123/84 in data 31 gennaio 1984 la
Corte d'appello di Milano condannava la s.p.a. Assitalia a pa
gare al sig. Walter Salmaso una somma di circa 56.000.000.
I) Vicenda processuale. Nel marzo 1984 il Covetra, avvalendosi della sentenza 29 ot
tobre 1981 che la qualificava creditrice di Walter Salmaso, il
quale era a sua volta creditore, in base alla sentenza n. 123/84, della Assitalia, eseguiva il pignoramento del credito di Walter
Salmaso verso Assitalia, nella forma del pignoramento presso terzi.
Nel relativo procedimento, incardinatosi davanti al Pretore
di Venezia, all'udienza del 6 marzo 1984, e successivamente del
27 marzo 1984, la Assitalia rendeva la dichiarazione di legge
precisando, al fine, che essa era stata condannata a versare al
Salmaso la somma di lire 37.440.000 oltre agli interessi dal 20
luglio 1977, ed inoltre che contro detta sentenza essa intendeva
proporre ricorso per cassazione.
Il Pretore di Venezia, quale giudice dell'esecuzione, ritenendo
sussistere contestazione in ordine alla liquidità del credito, ri
metteva le parti davanti al Tribunale di Venezia, competente
per valore.
Previa riassunzione della controversia, il Tribunale di Vene
zia, con sentenza 1090/85 in data 27 luglio 1985, pur rilevando
che nessuna controversia sul credito vi era mai stata, accertava
l'esistenza del diritto di credito di Walter Salmaso nei confronti
dell'Assitalia di cui alla citata sentenza della Corte d'appello Milano n. 123/84, ed assegnava alle parti termine per la prose cuzione del processo ai sensi dell'art. 549 c.p.c.
II) Vicenda processuale. In data 5 maggio 1984 (e quindi dopo l'inizio del pignora
mento presso terzi), il Covetra notificava alla Assitalia la sen
tenza 123/84 della corte di Milano (intervenuta nella causa tra
Walter Salmaso ed Assitalia), intimando contestuale atto di pre cetto e dichiarando di volere, quale creditrice del Salmaso, eser
1984, I, 1003); 29 ottobre 1983, n. 6417, id., Rep. 1983, voce cit., n. 150 (per altre parti, id., 1983, I, 2995); 9 ottobre 1979, n. 5215, id., Rep. 1979, voce cit., n. 167; 14 ottobre 1976, n. 3428, id., Rep. 1976, voce cit., n. 168.
Se invece il rapporto non è unico, allora l'ammissibilità dell'unico
regolamento preventivo di giurisdizione dev'essere esclusa: cfr. Cass. 12 marzo 1987, n. 2641, id., Rep. 1987, voce cit., n. 166; 4 luglio 1981, n. 4346, id., 1981, I, 2418, con nota di richiami; nonché le ordinanze 21 aprile 1989, n. 233, id., Rep. 1989, voce cit., n. 156 e 28 marzo 1986, n. 160, id., Rep. 1986, voce Cassazione civile, n. 30.
Ispirandosi a questo orientamento, la Cassazione ha escluso l'ammis sibilità dell'unico ricorso per cassazione avverso più sentenze della Com missione tributaria centrale (sempre fra le stesse parti), aventi ad ogget to autonome e distinte controversie; v. sent. 10 giugno 1981, n. 3756, id., 1982, I, 111, con nota di richiami; 14 febbraio 1980, n. 1061, id., Rep. 1980, voce cit., n. 51; contra, sent. 13 gennaio 1981, n. 267, id., Rep. 1981, voce cit., n. 57; altri richiami in nota a Cass. 3756/81, cit.
La Cassazione, con l'indirizzo fin'ora richiamato, ha voluto contem
perare due opposte esigenze: da un lato salvaguardare il principio gene rale, per cui il potere di riunione di distinti giudizi spetta solo al giudi ce, dall'altro evitare che il dato meramente formale della pluralità delle sentenze (non accompagnato da una sostanziale diversità delle contro versie decise dalle stesse) finisca per mettere in moto un complesso e dispendioso meccanismo di duplicazione degli atti di impugnazione, sal vo poi dover provvedere comunque alla riunione in un momento suc cessivo.
L'orientamento contrario, espresso da Cass. 11 luglio 1988, n. 4569, id., Rep. 1988, voce cit., n. 30; 267/81, cit. e 6 novembre 1976, n,
4037, id., Rep. 1977, voce cit., n. 156, stando al quale è ammissibile tout court l'unico atto di impugnazione contro più sentenze (fra le stes se parti), senza che possa incidere sull'ammissibilità l'inosservanza delle norme sulla carta bollata (potendosi provvedere alla regolarizzazione tributaria in altra sede), evidentemente prende le mosse dal solo princi pio di economia processuale.
Il Foro Italiano — 1993.
citare in surrogazione il diritto di credito del proprio debitore
verso la Assitalia.
Trascorso il termine dell'intimazione, il Covetra provvedeva al pignoramento di beni mobili di proprietà della Assitalia esi
stenti presso l'ispettorato di questa in Venezia.
La Assitalia, con ricorso 11 giugno 1984, proponeva opposi zione ex art. 615, 2° comma, c.p.c., deducendo l'inammissibili
tà della prospettata azione esecutiva in via surrogatoria, perché
incompatibile con il pignoramento presso terzi già in atto e,
comunque, per mancanza di un titolo esecutivo del Covetra verso
la Assitalia. Nel contraddittorio del Covetra costituitosi, il Pretore di Ve
nezia non sospendeva l'esecuzione e rimetteva le parti al Tribu
nale di Venezia, competente per valore.
Riassunta la causa, il Tribunale di Venezia con sentenza n.
1431/85 in data 7 settembre 1985 dichiarava, in accoglimento
dell'opposizione, nullo il pignoramento.
Ili) Prosecuzione unificata.
Con unico atto, notificato il 25 ed il 26 novembre 1985, il
consorzio Covetra proponeva appello contro entrambe le sen
tenze del Tribunale di Venezia, presentando distinti motivi con
tro ciascuna di esse e chiedendo, in riforma parziale di quella di data anteriore (29 luglio 1985, n. 1090/85), la condanna del
l'Assitalia all'integrale rifusione delle spese di primo grado ed
al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c.; chiedendo, inoltre, con riferimento alla seconda sentenza (quella 1481/85 in data
7 settembre 1985), la dichiarazione di ammissibilità e fondatez
za dell'azione esecutiva surrogatoria. La Corte d'appello di Venezia, provvedendo con unica sen
tenza n. 497 in data 4 giugno 1988 sull'appello proposto dal
consorzio Covetra, e nel contraddittorio della Assitalia e del
sig. Walter Salmaso, accoglieva l'appello avverso la sentenza
del Tribunale di Venezia n. 1090/85 e per l'effetto, in parziale
riforma, condannava la s.p.a. Assitalia a pagare al Covetra le
spese di primo grado di giudizio, che venivano liquidate;
accoglieva, inoltre, l'appello avverso la sentenza 1431/85 e, in totale riforma, rigettava l'opposizione proposta dalla Assita
lia che condannava al pagamento, in favore del consorzio, al
pagamento delle spese del primo grado di giudizio, che veniva
no liquidate;
dichiarava, infine, ammissibile l'intervento in causa dei con
sorziati a titolo personale e condannava Assitalia e Salmaso in solido alla rifusione delle spese del grado in favore dell'appellante.
In particolare la corte del merito, tenendo conto solo delle
questioni che si rifletteranno nei motivi di ricorso per cassazio
ne, risolveva i seguenti problemi;
1) riteneva valido ed ammissibile l'appello contro le due sen
tenze, ancorché proposto con un unico atto di citazione, in vir
tù del principio della libertà delle forme processuali (art. 121
c.p.c.) e di economia processuale (art. 103, 104, 273, 274, 332, e 335 c.p.c.).
Ritenuto che conseguenza di detti principi fossero le tre rego le rituali in ordine alle nullità, e cioè:
a) nessuna nullità senza previsione di legge; b) nessuna nullità se l'atto non manchi dei requisiti indispen
sabili per il raggiungimento dello scopo;
c) sanatoria della nullità per il conseguimento dello scopo; ciò premesso, la corte veneziana riteneva ulteriormente che
nessuna norma precludesse la proposizione di unico appello con
tro più sentenze, soprattutto quando, come nel caso di specie, esse riguardavano le stesse parti e l'atto di appello aveva tutti
i requisiti per il raggiungimento dello scopo, avendo enunciato
sia le due sentenze che erano oggetto di impugnazione, sia i
singoli motivi di gravame riferiti all'una ed all'altra. (Omissis) Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la
Assitalia deducendo tre motivi, integrati da memoria; si costi tuivano con controricorso il consorzio Covetra ed alcuni dei
consorziati intervenuti in appello. Motivi della decisione. — Con il primo mezzo di cassazione
la Assitalia deduce la violazione e falsa applicazione degli art.
273 e 274 c.p.c. nonché dell'art. 335 c.p.c. e del principio e
delle norme che disciplinano la riunione dei giudizi in primo ed in secondo grado; deduce, inoltre, la violazione e la falsa
applicazione dell'art. 156 c.p.c., nonché dei principi e delle nor
me regolanti la sanatoria delle nullità degli atti processuali, del
l'art. 342 c.p.c. nonché dei principi e norme che regolano le
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
formalità dell'atto di appello, dell'art. 340 c.p.c., nonché dei
principi e delle norme che circoscrivono alla sola ipotesi di sen
tenza parziale e definitiva la possibilità di impugnare con un
unico atto d'appello sentenze diverse, il tutto sotto il profilo dell'art. 360, n. 3, c.p.c.; deduce, infine, l'insufficiente e con
traddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della
controversia ex art. 360, n. 5, c.p.c. Dolendosi del fatto che la corte veneziana abbia considerato
legittima la proposizione con unico atto di impugnazione in ap
pello di due sentenze di primo grado, la ricorrente sostiene che
nessuna norma consente detta forma unica di impugnazione che
comporta, di per sé, la riunione di due procedimenti, ad opera di parte, senza alcuna delibera del giudice né in primo grado né in secondo grado di appello, contrariamente alla previsione dell'art. 335 c.p.c.; sostiene, inoltre, non rilevante il fatto che
l'appello abbia raggiunto lo scopo, volta che lo scopo raggiunto è ulteriore rispetto a quello consentito dalla legge, con la riu
nione sopra indicata dei due procedimenti; a ciò aggiunge il
fatto che la corte territoriale aveva del tutto ignorato la discipli na dell'art. 340 c.p.c., concernente l'unico caso codificato di
impugnazione unica contro due sentenze, sulla base peraltro di
presupposti ben precisi, inesistenti nella specie. Il problema fondamentale proposto con il primo mezzo di
cassazione, cosi come era emerso dal dibattito tra le parti già nel corso del giudizio di appello, attiene all'ammissibilità, o no,
di un atto di appello proposto contro differenti sentenze con
cernenti le stesse parti (ancorché in diversa posizione processua
le nei due differenti giudizi) con un'unica citazione nella quale,
peraltro, siano ben individuati con distinzione sia le sentenze
impugnate, sia i motivi di gravame concernenti l'una e l'altra
sentenza impugnata. Al quesito la Corte d'appello di Venezia ha dato risposta af
fermativa, ritenendo ammissibile l'appello cosi come proposto
in virtù dei principi di economia processuale, nonché di libertà
delle forme processuali (art. 121 c.p.c.), di cui è conseguenza la disciplina delle nullità prevista dall'art. 156 c.p.c.
Peraltro, nella giurisprudenza di questa corte, soprattutto a
sezioni unite, esiste un indirizzo logico risalente e perdurante,
anche se non del tutto costante, in senso decisamente contrario
a quello espresso della Corte d'appello di Venezia, che si espri
me nell'inammissibilità di un'unica impugnazione contro sen
tenze diverse, ancorché tra le stesse parti, al di fuori dei casi
espressamente previsti dalla legge, o che nella legge trovino una
chiara condizione di ammissibilità. Le pronunce che si richiamano concernono espressamente il
ricorso per cassazione, sia in materia di conflitto di giurisdizio
ne, sia in causa di lavoro, sia ancora nel caso del ricorso ex
art. Ili, 2° comma, Cost, avverso le decisioni della Commis
sione tributaria centrale; il principio da esse espresso, però, e
gli argomenti che lo sorreggono coinvolgono qualsiasi forma
di impugnazione e, quindi, anche l'appello (il riferimento è alle
seguenti sentenze: sent. 28 aprile 1975, n. 1616, Foro it., 1975,
I, 2251; 14 ottobre 1976, n. 3428, id., Rep. 1976, voce Giurisdi
zione civile, n. 168; 9 ottobre 1979, n. 5215, id., Rep. 1979, voce cit., n. 167; 14 febbraio 1980, n. 1061, id., Rep. 1980,
voce Cassazione civile, n. 51; 4 maggio 1981, n. 2716, id., Rep.
1981, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 387; 10 giu
gno 1981, n. 3756, id., 1982, I, 111-, 4 luglio 1981, n. 4346,
id., 1981, I, 2418; 10 dicembre 1981, n. 6533, id., 1982, I, 1994;
21 novembre 1983, n. 6917, id., Rep. 1983, voce Giurisdizione
civile, n. 149; 28 ottobre 1985, n. 5287, id., Rep. 1985, voce
cit., n. 193; 13 marzo 1987, n. 2641, id., Rep. 1987, voce cit.,
n. 166). Con dette sentenze si è rilevato che il nostro ordinamento
processuale prevede espressamente i casi in cui può essere ini
ziato (art. 104 c.p.c.) o determinato, con impulso di parte di
per sé sufficiente, un unico giudizio rispetto a domande separa
te (casi di litisconsorzio ex art. 102 e 103 c.p.c.), ovvero per
iniziativa della sola parte possa proporsi un unico gravame con
tro più sentenze emesse nello stesso giudizio, ovvero ancora nel
caso di sentenze emesse rispettivamente nel giudizio di appello
ed in quello di revocazione, sulla base della considerazione che,
in tali casi, l'atto di impugnazione ha carattere unitario, perché
già unitario è il rapporto processuale nella fase precedente al
l'impugnazione (caso di sentenza non definitiva e definitiva nel
lo stesso giudizio), ovvero le due sentenze concorrono a dare
contenuto unico alla decisione dell'unica controversia, per quanto
Il Foro Italiano — 1993 — Parte 7-41.
attiene alle posizioni dedotte (il caso dell'appello e della revo
cazione). Al di fuori di dette ipotesi, in cui il giudizio unitario su do
mande o su pronunce distinte possa essere instaurato su iniziati
va di una parte, di per sé sufficiente al fine, vige nel nostro
ordinamento un criterio generale secondo cui rientra nella fun
zione del giudice (sia pure sollecitato dalla parte, ma non sosti
tuito dall'attività della parte) determinare la riunione di due giu
dizi, soprattutto nelle ipotesi degli art. 273 e 274 c.p.c., di cui
viene ritenuta l'applicabilità anche in fase di appello, in virtù
del generale richiamo contenuto nell'art. 359 c.p.c. alle norme
del giudizio di primo grado, ed inoltre nell'ipotesi specifica de
gli art. 335 e 350, 3° comma, c.p.c. concernenti le impugnazio ni di più parti contro la stessa sentenza.
In definitiva, la struttura del nostro processo è improntata a due criteri alternativi e, cioè: l'iniziativa di una parte in sede
di gravame può autonomamente determinare la trattazione uni
taria di una pluralità di provvedimenti, se ed in quanto un mo
mento di unità inscindibile già si sia legittimamente verificato
nel processo, sia per la proposizione originaria, in un'unica ci
tazione, di più domande contro la stessa parte ovvero per la
proposizione di una riconvenzionale, sia per situazioni litiscon
sortili, ovvero ancora nel caso in cui l'unità del giudizio si sia
scissa in più sentenze non definitive e definitive, o infine quan do la già sussistente unità processuale si rifletta in più atti di
gravame volti a dare contenuto unitario al provvedimento di
definizione del grado. Al di fuori delle ipotesi che trovano nella norma processuale
la loro fonte espressa o implicita, vige la diversa regola che
conferisce alla funzione del giudice, ed unicamente alla funzio
ne del giudice, la possibile prosecuzione in trattazione unitaria
di processi fino a quel momento distinti e separati. Di conseguenza, un atto di appello unico contro sentenze di
verse, le quali abbiano definito in primo grado processi che aves
sero avuto trattazione distinta in separati processi, finirebbe ine
vitabilmente per determinare un effetto (la trattazione unitaria
in appello), la cui determinazione non appartiene ai poteri di
iniziativa della parte, ma ai poteri di disposizione processuale
del giudice, talora vincolati, come nell'ipotesi dell'art. 151 disp.
att. c.p.c., nelle materie ivi indicate; la parte, quindi, finirebbe
per esercitare un potere che l'ordinamento processuale attribui
sce unicamente al giudice. Né la separazione tra i due principi alternativi può essere su
perata richiamando i principi di economia processuale e di li
bertà delle forme.
La regola fondamentale dell'art. 121 c.p.c., al di là della di
zione letterale, esprime un criterio di strumentalità delle forme,
nel senso che le forme processuali non debbono mai essere inte
se come fine a se stesse, ma hanno un carattere funzionale in
quanto mezzo per raggiungere lo scopo dell'atto, scopo, inol
tre, da individuarsi in quello indicato dal legislatore nella previ
sione generale e tipica dell'atto.
Il requisito, inoltre, deve essere inteso in relazione ai commi
2° e 3° dell'art. 156 c.p.c., che sanziona di nullità l'atto man
chevole dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimen to dello scopo e che preclude la pronuncia di nullità quando
l'atto abbia di fatto raggiunto lo scopo cui è destinato.
La discrasia, peraltro, tra l'atto tipico e l'atto posto in essere,
sotto il profilo funzionale, può sussistere per difetto, ma anche
per eccesso, quando alla forma di fatto adottata sia intimamen
te connesso un effetto ulteriore rispetto allo scopo minimo indi
spensabile dell'atto tipico nella configurazione normativa. Se
l'effetto ulteriore non è lesivo di altre situazioni, esso è irrile
vante e l'atto concretamente realizzato può rientrare nella pre
visione del 3° comma dell'art. 156. Se, per contro, l'effetto ul
teriore, in quanto inscindibilmente connesso all'atto di fatto posto
in essere, sia di per sé lesivo di autonome situazioni di diritto,
l'atto nel suo complesso inscindibile subisce gli effetti della vio
lazione normativa.
Nell'ipotesi in esame è incontroverso, come posto in rilievo
nella pronuncia della corte del merito, che l'atto di appello uni
co aveva l'idoneità al conseguimento della devoluzione in grado
di appello dell'esame delle due controversie, indicando l'unico
atto le distinte sentenze impugnate ed i motivi di censura sepa
ratamente riferibili all'una ed all'altra; è altresì indubbio che
al conseguimento dello scopo tipico dell'atto di appello, si ag
giungeva un secondo effetto, inscindibilmente connesso all'uni
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2219 PARTE PRIMA 2220
tarietà dell'appello, della devoluzione e della trattazione unita
ria di due cause che in primo grado avevano avuto separata
trattazione, erano sfociate in due distinte sentenze di contenuto
diverso e nelle quali le stesse parti avevano assunto differenti
posizioni processuali, volta che nell'una la Assitalia era sempli
cemente il terzo dichiarante rispetto ad un rapporto esecutivo
intercorrente direttamente tra Covetra e Walter Samaso, mentre
nell'altra la Assitalia era il soggetto sottoposto ad esecuzione
mobiliare.
Né può trovare applicazione nel caso di specie un indirizzo
di più vasta portata che ha consentito di ammettere, in caso
di regolamento preventivo di giurisdizione, un unico ricorso nel
caso in cui fossero ben individuate due pretese che, essendo
«intimamente connesse», debbano «essere necessariamente de
cise nello stesso processo», e ciò in quanto anche nell'ipotesi
richiamata, l'ammissibilità dell'unico ricorso è incentrata sul
l'unitarietà del rapporto processuale e, quindi, della sostanziale
unitarietà delle impugnazioni.
D'altronde, anche l'interpretazione meno rigoristica che con
sente l'unicità del ricorso per cassazione avverso distinte deci
sioni, concernenti lo stesso contribuente, dalla Commissione tri
butaria centrale, è ancorata al presupposto dell'unitarietà dei
motivi e dell'identità delle questioni concernenti le diverse deci
sioni, situazione di connessione non certo ravvisabile nella spe
cie, ove si consideri che un appello concerneva soltanto deter
minazioni accessorie alla questione sostanziale dibattuta in se
condo grado (le spese di causa e la responsabilità ex art. 96
c.p.c.), mentre con l'altro si dibatteva la questione relativa al
l'esperabilità dell'azione surrogatoria direttamente nell'esecuzione
forzata mobiliare.
Anche a volere accedere alle tesi più possibiliste, di conse
guenza, deve rilevarsi che, nella specie, la proposizione dell'uni
co atto di appello avverso le due sentenze citate ledeva situazio
ni essenziali relative alla struttura del processo civile in grado di appello, per cui l'appello stesso deve dichiararsi inammissibile.
Di conseguenza, la sentenza oggetto di ricorso deve essere
cassata senza rinvio.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 no
vembre 1992, n. 12729; Pres. Bologna, Est. Luccioli, P.M.
Zema (conci, conf.); Soc. Lesi (Avv. Piaggio) c. Ente acque dotti siciliani (Avv. dello Stato Carbone). Conferma App. Roma 26 marzo 1990.
Arbitrato e compromesso — Arbitrato rituale — Lodo — Im
pugnazione — Termine breve — Decorrenza — Ente pubbli co — Estremi (Cod. proc. civ., art. 828, 829; r.d. 30 ottobre
1933 n. 1611, approvazione del testo unico delle leggi e delle
norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello
Stato e sull'ordinamento dell'avvocatura dello Stato, art. 1, 43; 1. 3 aprile 1979 n. 103, modifiche dell'ordinamento del
l'avvocatura dello Stato, art. 10).
Nei confronti di ente pubblico, costituito avanti gli arbitri ri tuali con la rappresentanza e la difesa dell'avvocatura dello
Stato, il termine breve di impugnazione previsto dall'art. 828
c.p.c. decorre soltanto dalla data di notifica della sentenza
arbitrale presso l'avvocatura. (1)
(1) Per la decorrenza del termine breve d'impugnazione, previsto dal l'art. 828 c.p.c., dalla data di notifica della sentenza arbitrale alla parte personalmente, cons. Cass. 21 marzo 1987, nn. 2809 e 2812, Foro it., Rep. 1987, voce Arbitrato, nn. 149, 150; 12 ottobre 1983, n. 5918, id., 1983, I, 2703, con osservazioni di C. M. Barone, ai cui richiami di dottrina, adde Punzi, Arbitrato, arbitrato rituale e irrituale, voce della Enciclopedia giuridica Treccani, 1988, II, 28.
Sulla attuale configurazione del patrocinio dell'avvocatura dello Sta
li. Foro Italiano — 1993.
Svolgimento del processo. — In relazione ai lavori di realiz
zazione del nono lotto dell'acquedotto Favara di Burgio di cui
al contratto di appalto stipulato il 20 dicembre 1971 tra l'Ente
acquedotti siciliani e l'impresa Siracusa s.r.l. — ora Lesi s.r.l. — l'impresa appaltatrice in data 10 maggio 1980 notificava al
l'ente domanda di arbitrato, chiedendo al costituendo collegio arbitrale la condanna dell'Eas al pagamento in proprio favore
della somma di lire 1.250.902.297.
Con successivo atto del 27 maggio 1980 l'Eas, tramite il pro
prio presidente, declinava il giudizio arbitrale.
L'impresa chiedeva quindi al presidente del Tribunale di Pa
lermo territorialmente competente la nomina dell'arbitro di parte di detto ente.
Il collegio arbitrale, costituitosi nonostante l'opposizione del
l'Eas, con lodo sottoscritto il 10-13 dicembre 1985 condannava
quest'ultimo a pagare all'impresa la somma complessiva di lire
1.936.719.000, oltre gli interessi.
L'Eas proponeva impugnazione con atto di citazione notifi
cato il 17 settembre 1987 dinanzi alla Corte d'appello di Roma,
deducendo che la declaratoria della competenza arbitrale effet
tuata dal proprio presidente doveva ritenersi valida, trattandosi
di atto processuale e non negoziale, di mera esecuzione della
clausola compromissoria, demandato al soggetto che rappresen ta l'ente e non al consiglio di amministrazione.
Costituitasi l'impresa che preliminarmente eccepiva l'inam
missibilità dell'impugnazione perché proposta oltre il termine
di trenta giorni dalla notifica del lodo nei confronti della parte, con sentenza dell'11 ottobre 1989-26 marzo 1990 la Corte d'ap
pello di Roma accoglieva l'impugnazione, dichiarando la nullità
del lodo.
In relazione all'eccezione di inammissibilità osservava la cor
te che se è vero che la notifica personale alla parte del lodo
arbitrale vale a far decorrere il termine breve di cui all'art. 828, 1° comma, c.p.c. anche ove la parte stessa sia stata rappresen tata nel giudizio arbitrale da un procuratore, in quanto il rap
porto che in detto giudizio lega la parte al suo procuratore si
svolge sul piano meramente contrattuale del mandato con rap
presentanza ed esaurisce i suoi effetti nell'ambito di quel giudi
zio, senza determinare costituzione in senso proprio, tuttavia
tale principio non può considerarsi applicabile nell'ipotesi —
ricorrente nella specie — in cui alla controversia arbitrale abbia
partecipato un ente pubblico rappresentato e difeso dall'avvo
catura dello Stato. Rilevava al riguardo la corte che per effetto
dell'art. 43 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, come modificato dal
l'art. 11 1. 3 aprile 1979 n. 103, il rapporto che si instaura tra
l'avvocatura dello Stato e gli enti che dalla stessa devono essere
difesi trova il suo fondamento non in un atto di natura contrat
tuale, ma direttamente nella legge, salva la facoltà in casi ecce
zionali, e con la necessaria ratifica degli organi di vigilanza, di avvalersi del ministero di un difensore libero professionista.
E poiché nel caso in esame l'ente, difeso dall'avvocatura del
lo Stato ai sensi dell'art. 29 r.d. 23 febbraio 1942 n. 369, non
si era avvalso di detta facoltà, doveva ritenersi che quello in
staurato con l'avvocatura fosse un rapporto organico ed esclu
sivo, con la conseguenza che la notifica del lodo andava fatta
a detta avvocatura, e che per converso la notifica personalmen te alla parte non era idonea a far decorrere il termine breve.
Quanto alla legittimazione alla declinatoria della competenza
arbitrale, rilevava che il r.d. n. 369 del 1942, istitutivo dell'Eas, nel prevedere le attribuzioni del presidente e del consiglio di
amministrazione, non regola espressamente detta facoltà, ma
to e sulla inutilità di una specifica deliberazione di incarico e del confe rimento di una formale procura, salvi i casi di conflitti di interessi con lo Stato o con le regioni, cons., in aggiunta ai precedenti richiamati in motivazione, Cass. 7 marzo 1991, n. 2410, Foro it., Rep. 1991, voce
Amministrazione dello Stato (rappresentanza in giudizio), n. 4; nonché, a proposito dell'estensione, in via obbligatoria ed esclusiva, dell'anzi detto patrocinio all'agenzia per la promozione dello sviluppo per il Mez
zogiorno, Trib. Catania 30 aprile 1991, id., 1991, I, 2213, con nota di richiami, cui adde, in dottrina, Piacentini, Rappresentanza proces suale, rappresentanza in giudizio della pubblica amministrazione, voce dell 'Enciclopedia giuridica Treccani, 1991, XXV, 1 ss.
Per riferimenti, a proposito della facoltà dell'Automobile club d'Ita lia di avvalersi dell'avvocatura dello Stato o in alternativa di professio nisti del libero foro, Cass. 23 marzo 1992, n. 3576, Foro it., 1993, I, 1627, con ulteriori indicazioni.
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