sezione I civile; sentenza 13 maggio 1986, n. 3169; Pres. Santosuosso, Est. Vercellone, P. M.Benanti (concl. conf.); Klitsche de la Grange (Avv. Prosperetti, Klitsche de la Grange) c.Comune di Allumiere (Avv. Davoli, Lauro), Comune di Tolfa (Avv. Cervati) e altri. ConfermaApp. Roma 1° ottobre 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 12 (DICEMBRE 1986), pp. 3021/3022-3029/3030Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181633 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il trasferimento del lavoratore determinato da ragioni disciplinari è legittimo ove esse integrino le comprovate ragioni tecniche,
organizzative e produttive di cui all'art. 2103 c.c. (nuovo
testo). (2)
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunciando
violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. si sostiene che, ove il datore di lavoro abbia posto a base del provvedimento di
trasferimento più ragioni concorrenti, il giudizio sulla legittimità dello stesso deve essere operato tenendo conto dell'unitario com
plesso di tali ragioni, per cui l'accertata infondatezza di una
sola di tali ragioni inficia l'unico provvedimento. Il motivo non è fondato. E, invero, l'assunto della ricorrente,
secondo il quale i motivi di trasferimento sarebbero soggetti, a
pena di nullità dell'atto relativo, al principio dell'unitarietà non
trova alcuna base nella legge, né in alcun principio giurispruden ziale.
Essa motiva la propria tesi, sostenendo che il giudice dovrebbe
fermarsi al risultato dell'autoregolamentazione degli interessi im
prenditoriali sottoposti al suo esame, senza sostituirsi al titolare
della facoltà soggetta a controllo nel valutare se da un diverso
presupposto di fatto (conseguito al venir meno di uno dei motivi
di trasferimento) derivi il medesimo effetto (trasferimento) o uno
diverso.
Ed aggiunge che nessuno vietava alla società Hydromac di
porre a base del proprio provvedimento una sola delle ragioni indicate nella lettera del 24 giugno 1977 (l'inattendibilità dei dati
trasmessi al centro contabile ed il grave disagio nei rapporti con
i lavoratori amministrati) ma, una volta dichiarata tale motiva zione unitaria ed inscindibile per volontà di controparte e non
per scelta del lavoratore, la legittimità del trasferimento avrebbe
dovuto essere giudicata solo alla stregua di essa.
Tali argomenti, però, non dimostrano alcunché di giuridica mente valido.
Non è ravvisabile, nella specie, alcuna interferenza da parte del
giudice con i poteri di autoregolamentazione degli interessi del
l'imprenditore, essendosi esso limitato a verificare la legittimità del trasferimento sulla base della norma di cui all'art. 2103 c.c.
(nuovo testo), che condiziona il relativo potere dell'imprenditore a « comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive ».
Ciò che legittima, sul piano sostanziale, il potere dell'imprendi tore è la esistenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzati ve e produttive, e sul piano formale o procedimentale, che tali
ragioni siano comunicate al lavoratore, anche oralmente ed ove
siano richieste (cfr. Cass. n. 331/79 e 4713/79, Foro it., 1979, I,
1962); principio confermato anche da queste sezioni unite in
causa Scardiglia-Montepaschi Siena, decisa nell'udienza odierna), ma da questo non può certo farsi derivare, in base ad alcun
principio logico, prima ancora che giuridico; che ove, in ipotesi, una delle ragioni comunicate non venga provata o risulti insussi
stente, venga anche meno la legittimità del trasferimento disposto in conformità delle condizioni di legge.
Una tale conseguenza implicherebbe assegnare alla comunica
zione delle ragioni un valore costitutivo, inscindibile, meramente
formale che, oltre a non trovare fondamento nella legge, non
avrebbe alcuna giustificazione logica, sia in relazione al rapporto tra potere organizzatorio e le ragioni indicate nella legge per
legittimarlo, sia al rapporto tra le ragioni medesime, eventualmen
te idonee, ciascuna per se stessa, a legittimare il potere di
trasferimento.
in essere ove il datore di lavoro avesse avuto la consapevolezza dell'insussistenza delle ragioni enunciate (è evidente il riferimento, pur se non espresso all'art. 1419, 1° comma, c.c.). Come pure va evi
denziata, in tema di forma del trasferimento, l'adesione alla tesi per la quale è necessario che le ragioni di esso siano comunicate al lavoratore anche oralmente ed ove siano da -lui richieste (da ultimo, cfr.
Cass., sez. un., 15 luglio 1986, n. 4572, Foro it., 1986, I, 2432, con nota di richiami. È la decisione richiamata in sentenza come emessa nella stessa udienza).
Circa la massima sub 2, cfr. per l'affermazione dell'illegittimità del tra
sferimento disciplinare ma per la valutabilità obiettiva del contegno del
dipendente ai fini di accertare una situazione di sua incompatibilità nel l'ambiente di lavoro, che si risolve nell'esistenza delle esigenze tecniche, organizzative e produttive dell'impresa che consentono il trasferimento ex art. 13 1. 300/70, Cass. 30 gennaio 1984, n. 722, id.. Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1047; 6 marzo 1975, n. 832, id., 1975, I, 2007, con nota di richiami. In tema di trasferimento dei lavoratori, cfr. L. Angiel
lo, Il trasferimento dei lavoratori, Padova, 1986, passim, e la sintesi di
giurisprudenza e dottrina offerta da F. Guarriello, in M. Grandi- G. Pera (a cura di), Commentario breve allo statuto dei lavoratori, Padova,
1985, 51-53.
Sul piano sostanziale, poi, delle condizioni di validità della
determinazione volitiva dell'imprenditore, nel disporre unilateral
mente il trasferimento del lavoratore, sulla base di più ragioni di
quelle previste dalla legge, l'insussistenza o la mancata prova di
una di tali ragioni non potrebbe giammai travolgere la validità
della dichiarazione negoziale, salvo che l'interessato a tale eve
nienza non dimostri che la dichiarazione di volontà non sarebbe
venuta in essere ove il dichiarante avesse avuto consapevolezza della insussistenza di una delle ragioni enunciate.
Con il secondo motivo, la ricorrente, denunciando violazione e
falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. (nuovo testo), sostiene che il
trasferimento del lavoratore non può essere esercitato legittima mente per motivi disciplinari.
Essa sostiene che, altrimenti, anche a prescindere da fini
soggettivamente maliziosi del datore di lavoro (quale il desiderio
di creare disagi al dipendente per indurlo a dimettersi) legittime rebbe l'uso del trasferimento quale sanzione disciplinare di fatto, in contrasto con la netta diversificazione dei due istituti operata dall'ordinamento giuridico.
Il motivo non ha fondamento. Ed infatti, se è certamente
esatto che, ove un comportamento del lavoratore disciplinarmente rilevante non determini anche alcuna delle ragioni previste dalla
legge per il trasferimento dello stesso, l'imprenditore non potrebbe
disporre il trasferimento, in sostituzione della sanzione disciplina
re, diversi essendo i presupposti dei due istituti e diverso l'ambito
del controllo riservato al giudice in caso di contestazione giudi
ziaria, non può dirsi che sia altrettanto esatto che, nel caso il
comportamento del lavoratore integri insieme un fatto disciplinare rilevante ed altresì una delle ragioni previste dalla legge per il
trasferimento del lavoratore medesimo, l'imprenditore non possa, nel legittimo esercizio dei suoi poteri organizzatori e di quelli
disciplinari, far ricorso agli uni piuttosto che agli altri, ove ne
sussistano i presupposti di legge. È perciò esatto quanto in proposito rileva il tribunale e, cioè,
che non spetta al giudice, oltre alla correttezza formale (e si deve
aggiungere anche sostanziale) del provvedimento di trasferimento,
di valutare « se un dato inconveniente sia da attribuirsi a fatto
proprio e sanzionabile del dipendente ovvero a diversi fattori e,
quindi, di stabilire se ad esso possa più convenientemente ovviar
si mediante un provvedimento disciplinare ovvero con iniziative
volte alla diversa strutturazione dell'apparato aziendale ».
Né potrebbe obiettarsi che — come pure rileva il tribunale —
in tal modo il lavoratore resterebbe di fatto esposto al pericolo di rappresaglia del proprio datore di lavoro, posto che il potere
organizzativo è sempre sottoposto al sindacato di legittimità e
l'eventuale abuso nel suo esercizio incontra un insuperabile ostacolo nella necessità della concreta ricorrenza delle ragioni
organizzative o tecniche. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 13 maggio
1986, n. 3169; Pres. Santosuosso, Est. Vercellone, P. M.
Benanti (conci, conf.); Klitsche de la Grange (Avv. Prosperet
ti, Klitsche de la Grange) c. Comune di Allumiere (Aw.
Datoli, Lauro), Comune di Tolfa (Avv. Cervati) e altri.
Conferma App. Roma 1° ottobre 1984.
Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità senza indenniz
zo — Risarcimento dei danni — Limiti — Condizioni (Cost.,
art. 42; 1. 19 novembre 1968 n. 1187, modifiche e integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 2).
Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità temporanea —
Risarcimento dei danni — Esclusione — Fattispecie.
Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità — Termini di
efficacia — Individuazione (L. 19 novembre 1968 n. 1187,
art. 2).
I vincoli di inedificabilità senza indennizzo, se sono a tempo
indeterminato o di durata irragionevole e talmente intensi da
annullare o ridurre notevolmente il valore economico degli
immobili cui si riferiscono, incidendo su veri e propri diritti
soggettivi dei proprietari, li abilitano a chiedere al giudice
ordinario il risarcimento dei danni subiti, se, invece, non
esibiscono entrambe le indicate caratteristiche (perché, ad esem
pio, sottoposti ab origine al termine determinato e ragionevole
dell'art. 2 l. 19 novembre 1968 n. 1187), riflettendosi solo su
posizioni di interesse legittimo degli stessi proprietari, impedi
scono ad essi di invocare la tutela risarcitoria dell'autorità
Il Foro Italiano — 1986.
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3023 PARTE PRIMA 3024
giudiziaria ordinaria anche dopo l'annullamento giurisdizionale dei provvedimenti limitativi, intervenuto prima della scadenza di
quel termine. (1) Il pregiudizio di fatto subito dal proprietario del terreno assogget
tato a vincolo di inedificabilità parziale e a tempo determinato
non consente di chiedere al giudice ordinario il risarcimento
dei danni tanto nella ipotesi di legittimità del provvedimento
impositivo del vincolo quanto in quella di annullamento giuris dizionale dello stesso con efficacia ex tunc. (2)
I vincoli di inedificabilità, anche se non preordinati all'espropria
zione, diventano inefficaci nei termini di legge e, quindi, in
assenza dei piani particolareggiati o di quelli di lottizzazione,
dopo la scadenza del quinquennio dall'approvazione del piano
regolatore generale, in presenza, invece, degli uni o degli altri, entro ulteriori dieci anni da tale scadenza. (3)
Svolgimento del processo. — Adolfo Klitsche de la Grange è
proprietario di una tenuta in Cibona, in territorio parte del
comune di Allumiere, parte del comune di Tolfa.
Su questa tenuta aveva a suo tempo iniziato e sviluppato un
proprio programma di fabbricazione: sette ville in territorio di
Allumiere e 52 in quello di Tolfa erano state costruite sulla base
di regolari licenze edilizie e dopo che i rispettivi enti locali
avevano esplicitamente o implicitamente riconosciuto il carattere
obiettivamente edificabile dei terreni contenuti nella tenuta Cibo
na.
Ma successivamente, sono intervenuti atti amministrativi che in
vario modo hanno escluso la edificabilità dei terreni stessi; atti
che qui di seguito vengono indicati per chiarezza, col loro
contenuto e la loro data.
a) Per il comune di Allumiere. — Il 6 febbraio 1971 è presa deliberazione che esclude Cibona dal programma di fabbricazione
(il comune non era, allora, tenuto a provvedersi di piano regolato
(1-3) Con la riportata sentenza, la cui motivazione appare a tratti
prolissa e ripetitiva, la Cassazione torna sul tema della efficacia dei
vincoli di inedificabilità impressi dagli strumenti urbanistici, integrando le enunciazioni di sez. un. 7 maggio 1981, n. 2951, Foro it., Rep.
1981, voci Edilizia e urbanistica, n. 280 e Espropriazione per p.i., n. 248 (resa sul ricorso per regolamento di giurisdizione proposto nella fase di primo grado del giudizio ora definito dalla corte) con le
affermazioni delle richiamate Corte cost. 12 maggio 19&2, n. 92 e 29
aprile 1982, n. 82, id., 1982, il, 2116, con osservazioni di C.M. Barone. E pur mantenendosi nella linea segnata da tali pronunzie, la corte riesce a formulare alcune interessanti considerazioni che investo no: a) la irrilevanza, ai fini della proponibilità avanti il giudice ordinario dell'azione risarcitoria del privato, dell'annullamento giurisdi zionale dei provvedimenti impositivi dei vincoli di inedificabilità, se ed in quanto intervenuto prima della scadenza del termine dell'art. 2 1. 19 novembre 1968 n. 1187. L'affermazione, che ricalca l'analoga, anche se meno puntuale, formulazione della precedente sez. un. n. 2951/81, avrebbe, tuttavia, meritato qualche ulteriore rilievo esplicativo, specie in relazione all'ormai pacifico orientamento delle stesse sezioni unite a
proposito della consistenza della posizione del privato, cui sia stata rilasciata la licenza (concessione) edilizia, e della proponibilità, da
parte dello stesso privato, dell'azione risarcitoria dopo l'annulla mento giurisdizionale del provvedimento limitativo della sua si tuazione di titolare dello ius aedificandi (sent. 1° ottobre 1982, n.
5027, id., 1982, I, 2433, con osservazioni di C.M. Barone); b) il termine massimo di durata dei vincoli in questione ritenuto « poten zialmente più lungo dei quindici anni ». Nella riportata pronunzia, in
parte Qua, manca comunque un riferimento alle proroghe del termine
quinquennale del ripetuto art. 2 1. n. 1187/68, alle quali (proroghe) ha
riguardo F. Pietrosanti nella nota redazionale a sez. un. 26 ottobre
1984, n. 5488, id., 1985, I, 161; c) la perdita di efficacia di tutti i vincoli di inedificabilità, e non soltanto di quelli preordinati alla
espropriazione, per decorso dei termini previsti dalla legge (di cui si
occupa anche Trib. Prato 17 giugno 19#6, id., 1986, I, 2654, con nota di richiami, per il quale l'affidamento dell'incarico professionale per la
progettazione del realizzando edificio scolastico nel quinquennio dal l'approvazione del piano regolatore generale non impedisce la dichiara zione di inefficacia del vincolo di destinazione scolastica impresso dal medesimo piano ad un terreno). L'affermazione, che la corte giustifica richiamando l'ampia portata dell'art. 2 1. n. 1187/68, si pone accanto all'orientamento di alcuni giudici amministrativi {fra gli altri, T.A.R.
Puglia 20 dicembre 1985, n. 820, id., 1986, IM, 61) che estendono anche ai c.d. vincoli procedimentali, incidenti sine die sulla proprietà privata, l'efficacia quinquennale di quelli di inedificabilità a contenuto
espropriativo; d) l'esclusiva incidenza di questi ultimi sempre e soltanto sullo ius aedificandi, con conseguente permanenza, in capo al
proprietario, dello ius vendendi, che gli consente di vendere « a chi vuole e al prezzo che vuole ». La puntualizzazione olire l'occasione per precisare, ove necessario, che le sanzioni previste dall'art. 17 1. 28 feb braio 1985 n. 47 non si estendono agli atti di trasferimento di terreni
assoggettati ai vincoli di cui si discute. [C. M. Barone]
re generale); il 28 ottobre 1971, tale programma di fabbrica
zione, inserito nel piano di fabbricazione, viene approvato dal
provveditore alle opere pubbliche. Da tale data, pertanto, è
posto sul territorio concernente la tenuta Cibona un vincolo di
inedificabilità non in funzione di eventuale trasferimento coat
tivo, ma del genere di quelli previsti al n. 2 dell'art. 1 e art. 2
1. 19 novembre 1968 n. 1187, cioè che comportano direttamente
l'inedificabilità. Il 28 gennaio 1975, su ricorso del proprietario Klitsche il
Consiglio di Stato annullò la deliberazione del comune per difetto
di motivazione.
Successivamente, ed anzi dopo che Klitsche aveva già notificato
l'atto introduttivo del presente giudizio, il comune di Allumiere si
dava un piano regolatore generale (deliberazioni 2 maggio 1978 e
28 dicembre 1978) che imponeva al comprensorio di Cibona il
vincolo di verde incostruibile.
Tale P.R.G. veniva approvato il 3 aprile 1984 dalla giunta della
regione Lazio.
b) Per il comune di Tolfa. — Con deliberazione del 28 giugno 1969 il comune adotta un P.R.G.: nelle planimetrie allegate al
relativo progetto la zona di Cibona è dichiarata incostruibile (non è chiaro se per tutta la sua estensione o solo per il 40 %).
Il 18 luglio 1975 quel P.R.G. è approvato dalla giunta della
regione Lazio.
Su ricorso di Klitsche, il T.A.R. Lazio, con decisione conferma
ta dal Consiglio di Stato, in data 15 ottobre 1976, annulla quel P.R.G. nella parte che riguardava il comprensorio di Cibona,
rilevando carenza di motivazione relativamente alle ragioni che
avevano indotto il comune a sacrificare la convenzione che inter
partes era intervenuta in precedenza. Anche qui, dunque, vi è un vincolo di inedificabilità sorto il 18
luglio 1975 in forza di atto amministrativo poi annullato il 15
ottobre 1976.
c) Il 15 maggio 1979 (dopo l'inizio di questo procedimento), la
regione Lazio ha imposto, con sua deliberazione, il c.d. vincolo
vegetazionale su tutti i boschi di Tolfa e Allumiere, tra i quali
vanno ricompresi quelli siti nella tenuta di Cibona. Tale delibera
zione venne presa a norma della 1. reg. 2 settembre 1974 n. 43, « provvedimenti per la difesa e lo sviluppo del patrimonio
forestale », che, in base agli art. 1 e 2, prevede atti amministrativi
regionali i quali, determinando le zone di rilevante interesse
vegetazionale e i boschi ritenuti meritevoli di conservazione,
dispongono divieti, tra i quali quello di costruzioni edilizie in
genere. Tale legge, a sua volta, è emanata in forza della
competenza trasferita alla regione dall'art. 82 d.p.r. 24 luglio
1977.
Sulla base di tale situazione di fatto Adolfo Klitsche de la
Grange ha citato in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma: 1)
con atto notificato il 9 marzo 1978, il comune di Allumiere, il
ministro dei lavori pubblici e la regione Lazio deducendo essere
avvenuta ai suoi danni una espropriazione c.d. di valore e
chiedendo la loro condanna in solido al risarcimento dei danni o
al pagamento della dovuta indennità. 2) Con atto notificato I'8
maggio 1978, il comune di Tolfa e la regione Lazio, proponendo domande e svolgendo argomenti a sostegno, sostanzialmente e
pressoché testualmente analoghe a quelle proposte nell'altro giudi
zio.
Riuniti i due procedimenti e sollevata eccezione di difetto di
giurisdizione da parte dei convenuti, Adolfo Klitsche de la
Grange ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giuri
sdizione. Le sezioni unite di questa Corte di cassazione hanno
pronunciato su tale ricorso con sentenza 7 maggio 1981, n. 2951
(Foro it., Rep. 1981, voci Edilizia e urbanistica, n. 280 e
Espropriazione per p.i., n. 248). Hanno escluso la proponibilità
della domanda risarcitoria sotto il profilo dell'asserita lesione del
diritto di proprietà nelle due estrinsecazioni dello ius aedificandi e
dello ius vendendi; ciò in quanto la posizione soggettiva del
privato proprietario, di fronte al potere della p.a. circa le forme
ed i modi di utilizzazione edilizia ed urbanistica del territorio, è
ab origine di interesse legittimo onde l'eventuale illegittimità ed il
conseguente annullamento anche giurisdizionale del provvedimento
con cui quel potere venga in concreto esercitato non possono
conferire a quella posizione una diversa consistenza di diritto
soggettivo, che essa, per intrinseca ed originaria sua natura, non ha.
Ha invece affermato essere fatto lesivo di diritto soggettivo,
legittimante il suo titolare al risarcimento del danno, l'imposizio ne di un vincolo ablatorio senza indennizzo: essere dunque, sul
piano del riparto delle giurisdizioni, questione di diritto soggettivo
quella fatta valere col secondo capo della domanda principale. Precisò la sentenza che attiene alla fondatezza della domanda
Il Foro Italiano — 1986.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
verificare se veramente si sia trattato di misure sostanzialmente
ablatorie coperte dalla garanzia dell'indennizzo e se ed in quali limiti la norma positiva che ne disciplina il modo di essere e di
operare si discosti dal paradigma costituzionale.
Quanto alla domanda subordinata (indennizzo per espropriazio ne di valore), le sezioni unite hanno affermato che il sopravvenu to annullamento degli atti amministrativi che ponevano i vincoli
esclude si possa qualificare in termini di indennità per espropria zione il ristoro patrimoniale eventualmente spettante al proprieta rio; aggiungendo testualmente che « ancora e sempre si trattereb
be di risarcimento del danno sofferto per la illecita compressione in fatto interinalmente sofferta dal suo diritto, refluente come tale
nell'ambito del secondo profilo della domanda principale ».
La sentenza dichiarava dunque la giurisdizione del giudice ordinario limitatamente alla domanda di risarcimento dei danni
fondata sulla allegazione dell'avvenuta imposizione di vincoli
sostanzialmente espropriativi senza indennizzo.
Le domande dell'attore erano respinte dal Tribunale di Roma e
successivamente, con la sentenza ora oggetto di ricorso per
cassazione, dalla Corte d'appello di Roma.
La decisione impugnata è fondata su diversi argomenti, alcuni
specifici alla specifica situazione dei due casi in questione, altri
generali.
1) È premesso, per quanto riguarda il comune di Allumiere, che
già prima della 1. 30 novembre 1973 n. 756, la quale all'art. 1
assimilava le indicazioni del P.R.G. a quelle del programma di
fabbricazione, col programma di fabbricazione si potevano porre vincoli di inedificabilità, soggetti alla stessa disciplina della 1. 19
novembre 1968 n. 1187, e dunque per loro natura di natura
temporanea. Sul punto, poi, relativo alla successiva assunzione di
un P.R.G. (28 dicembre 1978) che pure imponeva il vincolo di
verde incostruibile, piano regolatore che all'epoca della precisazio ne delle conclusioni ancora non era stato approvato (fu approvato
nell'aprile 1984), la corte ha ritenuto che era inaccoglibile una
domanda di risarcimento dei danni provocati dalla obbligatoria
applicazione delle misure di salvaguardia; non essendo ancora
stato approvato il piano non vi era ancora una sicura imposizione di vincolo e dunque non vi era ancora un atto sostanzialmente
espropriativo.
2) È affermato, per quanto riguarda il comune di Tolfa, che
l'annullamento dell'atto amministrativo ha fatto rivivere la con
venzione a suo tempo stipulata tra comune e Klitsche de la
Grange.
3) In linea generale la domanda di risarcimento è stata ritenuta
inaccoglibile in quanto non si è verificata, nell'uno e nell'altro
caso, una espropriazione c.d. di valore in quanto tale situazione si
ha solo allorché dallo strumento urbanistico consegue un vincolo
di contenuto sostanzialmente espropriativo a tempo indeterminato.
Tale condizione non si sarebbe verificata, secondo i giudici
d'appello, in quanto quegli strumenti urbanistici hanno avuto vita
limitata per essere stati annullati dal giudice amministrativo;
irrilevante essendo che fossero, in astratto, indeterminati nel
tempo perché, « ai fini dell'accoglimento della domanda di risar
cimento, è influente solo la situazione che in concreto si è
verificata e non, ovviamente, quella che si sarebbe potuta altri
menti determinare ».
4) Altro argomento, sempre di linea generale, fa leva sul punto
che, a seguito dell'annullamento degli strumenti urbanistici, i diritti
che competevano all'appellante si sono ripristinati nella loro
interezza; si che non vi era più alcuna compressione o svuota
mento di essi.
La corte, su preciso motivo di impugnazione dell'appellante, si
è poi posta il problema se l'art. 2 1. 1187/68, che stabilisce la
perdita di efficacia, qualora entro cinque anni dalla data di
approvazione del P.R.G. non siano stati approvati i relativi
piani particolareggiati, dei vincoli indicati nei P.R.G., ri
guardi anche i casi, come quello di specie, di vincoli di
inedificabilità non in funzione di successivi trasferimenti coattivi.
Lo ha risolto in senso affermativo, deducendone il principio della
non indennizzabilità di vincoli transitori e precisando testualmente
che: « Il termine quinquennale o la redazione dei piani particola
reggiati non costituiscono soltanto un parametro alla cui stregua
verificare la sussistenza del vincolo ablatorio ma integrano un
presupposto per la insorgenza del diritto all'indennizzo, il quale
non scatta se non successivamente al loro verificarsi ».
6) Passando infine, alla validità ed efficacia del successivo
vincolo c.d. vegetazionale, la corte d'appello ha affermato: a) la
sentenza 56/68 (id., 1968, I, 1361) della Corte costituzionale ha
escluso il valore ablatorio e dunque la garanzia di indennizzo
nell'atto che individua i beni immobili aventi valore paesistico cui
è collegato il divieto di edificare in quanto, in casi del genere, il
diritto è già noto col corrispondente limite. Lo stesso principio
deve valere, secondo i giudici del merito, anche in ogni
altra ipotesi in cui le limitazioni sono implicate dall'indole
del bene, quando cioè la legge imprime un certo carattere
a determinate categorie di beni identificabili a priori per
caratteristiche intrinseche, salva la possibilità di accertare con atti
amministrativi di destinazione individuale l'esistenza delle situa
zioni presupposte rispetto a singoli soggetti ed a singoli beni; b)
la legge regionale laziale n. 43/74 non è stata abrogata, come
pretende l'appellante, dall'altra 1. reg. Lazio n. 46/77 la quale
riguarda parchi e riserve, cioè parchi regionali e riserve naturali,
in forza dell'art. 83 d.p.r. 24 luglio 1977, non i boschi, disciplina
ti sempre dalla 1. reg. 43/74. Contro tale decisione Klitsche de la Grange ha proposto ricorso
per cassazione articolato su dodici motivi. Resistono con controri
corso i comuni di Tolfa ed Allumiere.
Motivi della decisione. — La complessità della fattispecie
presentata al giudizio di questa corte richiede che all'esame dei
motivi del ricorso sia premessa una esposizione introduttiva che
inquadri la situazione normativa quale risulta dalla legislazione
succedutasi nel tempo e dai principi giurisprudenziali stabiliti e
dalla Corte costituzionale e da questa Corte di cassazione.
Il primo punto riguarda la posizione del cittadino proprietario
di terreni di fronte al potere della p.a. ed agli atti amministrativi
compiuti nell'esercizio di questo potere, relativamente ai modi e
alle forme di utilizzazione edilizia ed urbanistica del territorio.
Per giurisprudenza ormai costante — ed in specie per la decisione
sez. un. 7 maggio 1981, n. 2951, cit., pronunciata in questo giudizio — la posizione del cittadino è ab origine di interesse legittimo e ta
le rimane anche nella ipotesi in cui l'atto amministrativo che
concretamente ha esercitato quel potere sia stato annullato per
illegittimità, come appunto è avvenuto nel caso di specie. La
posizione del cittadino non può mai assurgere a diritto soggettivo
sotto il profilo dell'asserita lesione del diritto di proprietà dello
ius aedificandi e dello ius vendendi.
La compressione, dunque, dell'uno o dell'altro diritto, subita dal
cittadino per il fatto che la p.a. abbia esercitato tale suo potere,
negando una licenza o concessione edilizia o ponendo limiti o
divieti, non dà mai luogo a danni risarcibili. Certo, è evidente
che il proprietario subisce danni, pregiudizi patrimoniali a volte
di grande rilevanza; ma non sono danni risarcibili appunto
perché rientra nei poteri della p.a. di armonizzare lo ius aedifi
candi del singolo proprietario del terreno con l'interesse collettivo
ad un armonico, ordinato, sviluppo urbanistico del territorio.
Il secondo punto concerne lo sviluppo giurisprudenziale, essen
zialmente ad opera della Corte costituzionale, di una forma di
protezione del cittadino dinanzi alla imposizione di limiti, pur di
natura urbanistica, tali da sostanzialmente svuotare il contenuto
del diritto di proprietà perlomeno per quanto riguarda la facoltà
di costruire (ius aedificandi). Resta fermo che la p.a. ha il potere di imporre qualsivoglia
limite. Ma l'imposizione di limiti dell'intensità cui ora si è fatto
cenno viene sostanzialmente allineata alla « privazione della pro
prietà »: si tratta allora di applicare gli stessi principi costituzio
nali dettati dall'art. 42 Cost.
In estrema sintesi le regole, appunto quali delineate dalla
giurisprudenza costituzionale, possono essere cosi indicate:
1) La legge può stabilire quali beni sono suscettibili di
proprietà privata e quali no: ovviamente, per categorie di beni,
essendo proprio della legge di operare per categorie. In specie,
dunque, la legge può escludere la proprietà privata per determina
te categorie di beni (Corte cost. 56/68, cit.). Tale esclusione può avvenire senza che ai cittadini già proprietari dei beni apparte nenti alla categoria esclusa sia attribuito alcun indennizzo o
risarcimento.
2) La legge può, altresì', pur ammettendo la proprietà privata di
certe categorie di beni, porre limiti al godimento di essi, « allo
scopo di assicurarne la funzione sociale ». Cosi la legge può escludere del tutto lo ius aedificandi (dunque a maggior ragione
limitarlo) per intere categorie di fondi o limitare assai il diritto di
godimento ed anche lo ius vendendi, come è il caso delle cose
artistiche. È ovvio che, anche per queste ipotesi di generali divieti
o limiti, nessun indennizzo è previsto per il cittadino che si trovi
ad essere proprietario di un bene appartenente alla categoria interessata (Corte cost. 56/68, cit.; 202/74, id., 1974, I, 2245;
245/76, id., 1977, I, 581). 3) La legge può prevedere dei casi in cui la proprietà del
singolo bene sia tolta al privato proprietario: è dunque ammessa
la espropriazione, ma alla doppia condizione che la privazione sia
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3027 PARTE PRIMA 3028
giustificata da un motivo di interesse generale e che il proprieta rio cosi espropriato riceva un indennizzo.
L'indennizzo è costituzionalmente garantito proprio perché l'in
tera categoria dei beni nella quale rientra il bene espropriato è
suscettibile di proprietà privata: dunque il sacrificio imposto al
singolo proprietario espropriato è sacrificio singolare, imposto solo a lui e che ha per oggetto un bene che è e può essere in
astratto oggetto di proprietà.
4) Alla ipotesi di espropriazione, cioè di privazione singolare della proprietà di un bene, è allineata l'ipotesi in cui, per atto
amministrativo che investa un singolo bene e non un'intera
categoria, il bene sia lasciato alla proprietà del singolo cittadino
ma con tali limiti di godimento da ridurne il valore economico, d'uso o di scambio, pressoché a zero. Si addiviene a questo modo
alla situazione che è stata definita « epropriazione di valore ». In
tali ipotesi, è legittimo il relativo atto amministrativo solo se al
cittadino è attribuito un indennizzo: per conseguenza non è
conforme alla Costituzione la legge che preveda un tal genere di
atti amministrativi, che cioè sostanzino una vera e propria
espropriazione di valore, senza il corrispondente indennizzo; per
conseguenza ancora, ove una c.d. espropriazione di valore avvenga senza che sia corrisposto indennizzo, si ha violazione di un vero e
proprio diritto soggettivo del cittadino, analogo a quello all'inden
nizzo nel caso di vera e propria espropriazione, diritto soggettivo che può essere fatto valere dinanzi alla giurisdizione ordinaria e
che si risolve nel diritto al risarcimento dei danni.
Ma, fuori dell'ipotesi estrema cui si è accennato, cioè della c.d.
espropriazione di valore, non è questione di applicazione dell'art.
42, 3° comma, Cost.: resta fermo il principio che vincoli anche
pesanti (e si pensi ad una riduzione anche estrema della volume
tria consentita) possono essere legittimamente imposti dalla p.a. senza obbligo di indennizzo e quindi senza che vi sia una pretesa del cittadino al risarcimento del danno in mancanza di indenniz
zo. Ciò pure se il vincolo non è posto per categoria ma al
singolo fondo come tale: come logica conseguenza del potere della p.a. nell'ambito urbanistico che deve poter incidere sul
singolo terreno, posto in quella particolare situazione territoriale e
funzionale ad un certo tipo di sviluppo urbanistico, senza che ad
ogni singolo provvedimento limitativo debba corrispondere un
obbligo di risarcimento, obbligo che di fatto impedirebbe qualsiasi concreta opera di armonizzazione urbanistica.
5) La categoria della c.d. espropriazione di valore è stata
determinata, appunto dalla giurisprudenza costituzionale (ancora essenzialmente sent. 55/68, cit., ma poi 82/82, id., 1982, I, 2118,
e 92/82, ibid., 2116), facendo riferimento a due fattori che
debbono ambedue sussistere: a) l'intensità e gravità del limite, in
senso qualitativo: si esemplifica la destinazione a verde privato ed in genere l'imposizione di totale vincolo di inedificabilità (al
contrario non raggiunge tale intensità l'imposizione di indici di
fabbricabilità con valori particolarmente bassi); b) la indetermina
tezza nel tempo del limite posto o il prolungarsi di esso oltre
limiti ragionevoli. Solo se sussistono ambedue i fattori si ha davvero un atto che
incide oltre i limiti connaturali al regime di appartenenza, che
annulla o riduce notevolmente il valore di scambio del bene, atto,
dunque, che costituisce il diritto soggettivo del cittadino al
risarcimento del danno cosi provocato. Al contrario, pertanto, non vi è danno risarcibile: a) quando il
limite è di durata indeterminata ma non incide qualitativamente in modo cosi profondo; b) quando il limite, pur qualitativamente cosi intenso, è destinato a venire meno, in un tempo ragionevole.
6) Ai principi cosi indicati dalla Corte costituzionale si è
adeguata la 1. 1187/68, legge che regola ancora oggi la materia
dei vincoli urbanistici, non essendovi su tale punto alcuna
disciplina specifica nella successiva 1. 10/77 cosi come è stato
affermato dalla Corte costituzionale (sent. 82/82, cit.) con motiva
zione che questo collegio ritiene di condividere pienamente. All'al
ternativa posta dalla Corte costituzionale, essere cioè necessaria la
previsione di un indennizzo, ovvero quella di un termine di
durata del vincolo, il legislatore ha risposto scegliendo di imporre un limite massimo di durata, escludendo, invece, la previsione di
un indennizzo.
Della conformità di tale legge ordinaria (1187/68) ai principi ricordati pare non sia il caso di dubitare stando anche la netta
posizione in tale senso assunta proprio dalla Corte costituzionale
nelle decisioni da ultimo menzionate (v. in specie 92/82: « Data
quest'alternativa... il legislatore correttamente si è limitato a
fissare, per l'efficacia del vincolo, un termine massimo di du
rata »). Il sistema pare anche logico. In tanto l'imposizione di un
vincolo di inedificabilità incide davvero oltre i limiti connaturali
al regime di appartenenza e fino ad annullare o quasi il valore di
scambio del bene in quanto il limite non abbia una sua
cronologica scadenza tale da potere consentire alla proprietà di
riespandersi pienamente entro un tempo ragionevole. Non è
dunque consentito non porre alcun limite: la durata indetermina
ta, per lo stato di incertezza che crea, « incide profondamente sul
complesso di facoltà consentite dalla legge al titolare del diritto,
sottraendogli la possibilità di un'adeguata e razionale utilizzazio
ne » (Corte cost. 82/82, cit.). Ma nemmeno è consentito porre una
scadenza troppo in là nel tempo. Nuovamente, anche per il
fattore « tempo », come per il fattore « intensità qualitativa » del
vincolo, l'elemento quantitativo appare rilevante e decisivo. È
possibile senza indennizzo imporre limiti anche più gravi ma solo
se per un periodo ragionevole, cioè per una durata che lasci al
proprietario la certezza di riacquistare la pienezza delle sue
facoltà in un tempo tale per cui il sacrificio patrimoniale
(indubbio nel periodo di persistenza del limite) appaia anch'esso
quantitativamente (in quantità di tempo) ridotto, e dunque sop
portabile.
Non è possibile invece porre un limite cosi lontano nel tempo da rendere subito, con l'apposizione del vincolo, di fatto incom
merciabile il bene.
Il terreno vincolato è ancora un terreno potenziale costruibile e
dunque vendibile ad un prezzo ancora congnio se il vincolo non
è a molto lungo termine: non vi è dunque espropriazione di
valore ma diminuzione, temporanea, del valore.
Un terreno vincolato a tempi lunghissimi diventa di fatto un
terreno cosi poco appetibile da non avere, già al momento
dell'imposizione del vincolo, quasi più alcun valore. L'atto ammi
nistrativo che pone tale vincolo di inedificabilità con termine di
durata tanto lungo, concreta dunque un'autentica « espropriazione di valore », perché proprio per la prevista lunga durata del
vincolo, il valore del terreno è già oggi grandemente diminuito,
quasi valore zero.
7) Deve ritenersi conforme a tali regole la disciplina attuale che
inserisce automaticamente un termine di scadenza a qualunque vincolo di inedificabilità (come tale o in funzione di successivo
trasferimento coattivo). Si evita cosi la possibilità di vincoli a
tempo indeterminato. Si evita, altresì, la possibilità di vincoli con
scadenza eccessivamente prolungata nel tempo. 11 tempo previsto come massimo è certamente lungo.
Dall'approvazione del piano inizia a decorrere un primo periodo di cinque anni: il vincolo perde efficacia se entro quel termine
non è stato approvato il relativo piano particolareggiato o auto
rizzato il piano di lottizzazione. Se l'approvazione o autorizzazio
ne sono state tempestive, il termine per la durata dei vincoli non
va oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati stessi, vale a dire dieci. Dunque il termine insuperabile risulta di
quindici anni al massimo. Poiché, però, il termine decorre dal
l'approvazione del piano regolatore generale e questa può tardare
mentre nel frattempo il vincolo diviene attuale per l'applicazione
obbligatoria delle misure di salvaguardia, il tempo reale durante il
quale il fondo può restare vincolato senza che sussista espropriazio ne di valore si prospetta potenzialmente più lungo di quindici anni.
Ma tale lunghezza appare accettabile e come tale è stata
ritenuta ormai, seppure implicitamente, dalla Corte costituzionale
a seguito dei suoi giudizi di conformità alla Costituzione e della
1. 1187/68 e della successiva 10/77.
8) La scadenza automatica dei vincoli, ad esempio se il piano
particolareggiato non è approvato entro i cinque anni dall'appro vazione del P.R.G., comporta come è stato enunciato dalla
Corte costituzionale, con sent. 82/82, il venir meno dello
specifico onere relativo per cui il titolare del bene si tro
verà quindi nella medesima situazione di tutti gli altri aventi diritto reali sui beni, restando cosi assoggettato a tutto quanto la
legge e gli strumenti urbanistici dispongono. L'imposizione del
vincolo e la sua successiva cessazione per decorrenza del termine
automatico costituiscono dunque una sorta di legittima diminuzio
ne temporanea del valore del bene oggetto del vincolo, legittima senza alcun indennizzo.
Non è pertanto ammissibile in tal caso una domanda di
risarcimento del danno perché l'applicazione temporanea del vin colo non è misura che assurga all'ipotesi di espropriazione di
valore quale configurata dalla Corte costituzionale, come ipotesi che implica l'applicazione dell'art. 42, 3° comma, Cost.
Il risarcimento del danno potrà essere ottenuto soltanto se e
quando una nuova legge nazionale o regionale abbia prorogato
irragionevolmente il termine fissato dalla 1. 1187/68 per il succedersi di atti amministrativi che abbiano uno dopo l'altro
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
riconfermato il vincolo immotivatamente, cosi riuscendo, contra
riamente alla disciplina ora delineata, a rendere ancora tanto
lunga la durata del vincolo da costituire davvero una espropria zione di valore.
Sulla base di quanto esposto finora e tenendo conto dei principi ora ricordati, si può adesso iniziare l'esame dei singoli motivi.
(Omissis) Il terzo motivo adduce violazione e falsa applicazione dell'art. 5
1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, e degli art. 28 e 113 Cost.,
omessa motivazione su più punti decisivi accertati con giudicati esterni ed interni.
In realtà si tratta del motivo che più propriamente investe la
decisione della corte d'appello nei suoi punti più rilevanti: a) non
risarcibilità dei danni determinati dall'apposizione di un vincolo
in quanto ogni vincolo è, per sua natura, a seguito del nuovo
disposto della 1. 1187/68, a tempo determinato; b) applicabilità di
tale principio anche all'ipotesi di vincoli di inedificabilità tout
court, cioè non in funzione di successivi trasferimenti coattivi; c)
non risarcibilità dei danni inerenti all'apposizione di un vincolo
mediante atto amministrativo poi dichiarato nullo dalla giustizia amministrativa.
Da quanto sopra si è detto nella parte introduttiva anche
questo motivo appare infondato. E ciò per le seguenti ragioni. Gli iniziali atti amministrativi posti in essere dai due comuni,
Tolfa e Allumiere, non erano in sé lesivi di diritti soggettivi. Ponevano si vincoli di inedificabilità ma non a tempo indeter
minato in quanto, già essendo in vigore la legge del 1968, quei vincoli erano destinati a cessare nei termini indicati dall'art. 2 di
quella legge. Non era dunque stata posta in atto un'espropriazione di valore nei termini di cui ai punti 5 e 6 della parte introduttiva
di questa decisione.
Erano illegittimi, per mancanza di motivazione, e furono perciò annullati l'uno e l'altro prima che fossero scaduti i termini
previsti dall'art. 2 1. 1187/68. Ma la dichiarazione di illeggittimità non porta con sé la pretesa del cittadino interessato a richiedere
un risarcimento del danno a lui provocato per il fatto in sé che
nel periodo tra l'emanazione dell'atto e il suo annullamento il suo
diritto di proprietà sia apparso compresso e dunque sia venuta
meno la sua reale possibilità di vendere al prezzo pieno che egli
si era ripromesso di ottenere con la vendita del terreno nella sua
qualità di fabbricabile.
Infatti, per quanto si è detto nella prima parte dell'introduzio
ne, quando il vincolo non ha natura di espropriazione di valore
la posizione del cittadino è sempre di interesse legittimo come in
ogni caso di esercizio da parte della p.a. di un potere che le è
conferito, quello appunto di porre vincoli non ablatori (tali non
essendo quelli a tempo determinato senza indennizzo): si è al di
fuori dei casi di applicazione dell'art. 42, 3° comma, Cost.
Quell'atto non era in violazione di diritti soggettivi. La sua
eliminazione a causa di annullamento pronunciato dal giudice
amministrativo non modifica né la natura dell'atto né, per
corollario, la natura della contrapposta situazione del cittadino
sulla quale incide l'atto, situazione che è quella ancora e sempre
di interesse legittimo. Accertata la illegittimità dei due atti
amministrativi in questione la situazione del ricorrente non muta
va dal punto di vista della non esistenza di un diritto soggettivo.
Certo, egli ottenne il vantaggio di ritrovarsi, ben prima della
naturale scadenza dei termini ex art. 2 1. 1187/68, nella situazione
in cui si trovava qualsiasi proprietario di terreni sui quali non vi
fosse uno speciale vincolo di inedificabilità, restando solo assog
gettato a tutto quanto la legge o gli altri punti dello strumento
urbanistico disponevano per la generalità dei terreni posti nei due
comuni (cfr. n. 8 della parte introduttiva di questa decisione). Da
quel momento poteva costruire o vendere i terreni come fabbrica
bili. Ma non poteva ottenere un risarcimento di danni che
comunque non gli spettavano: né per il periodo precedente
perché comunque il suo era interesse legittimo e non un diritto
soggettivo a costruire come e quando gli pareva; né per il
periodo successivo, per il semplice motivo che ormai il vincolo
non esisteva più, né era stata accertata la nullità ex tunc.
Su questo punto va parzialmente modificata la motivazione
della sentenza impugnata, che pur resta corretta.
Essa, infatti, aveva sostanzialmente risolto la controversia, sul
seguente sillogismo: a) espropriazione di valore si ha solo se il
vincolo è a tempo indeterminato; b) i due P.R.G. hanno avuto
durata limitata in quanto sono stati annullati; c) dunque, e per
questo solo motivo, non vi è stata espropriazione di valore e non
v'è luogo a risarcimento del danno.
In realtà, invece, per quanto fin qui detto, la reiezione delle
domande dell'attore è fondata su quest'altra serie di proposizioni:
a) non vi è espropriazione di valore quando sussiste vincolo di
inedificabilità sottoposto ab origine al termine determinato e
ragionevole di cui all'art. 2 1. 1187/68; b) non costituivano
dunque espropriazione di valore gli atti amministrativi poi annul
lati; c) dunque il loro annullamento non può portare all'accogli mento di una richiesta di risarcimento del danno in quanto tale
richiesta non sarebbe stata accoglibile in nessun caso, ad esempio nel caso di persistenza del vincolo fino alla naturale scadenza per il termine ex art. 2 1. 1187/68 in nessun caso essendosi verificata
una violazione di diritti soggettivi del ricorrente.
Va precisato, a questo punto, che non correttamente si è
parlato di danni sotto l'aspetto della violazione dello ius vendert
eli, i vincoli della categoria di cui si parla incidono sempre e
soltanto sullo ius aedificandi.
li proprietario conserva integro ed illimitato lo ius vendendi,
può vendere a chi vuole e al prezzo che vuole.
È soltanto una conseguenza di fatto, mediata ed indiretta, della
compressione dello ius aedificandi, la circostanza che difficilmente
il proprietario di un terreno con vincolo di inedificabilità, pure a
termine, trovi attualmente chi è disposto a comprarlo al prezzo di
mercato corrente per terreni edificabili. Ne rimane confermato
quanto detto sopra. Lo ius aedificandi non si presenta come
diritto soggettivo nei confronti di limitazioni poste sotto forma di
vincoli che o per la loro qualità (non eccessiva incidenza quale ad es. il limite di cubatura) o per la loro durata contenuta in
tempo ragionevole (es. vincoli ex art. 2 1. 1187/68) non costitui
scono un caso di espropriazione di valore cui possa applicarsi l'art. 42, 3° comma, Cost. Dunque non v'è luogo a risarcimento
del danno a seguito del pregiudizio di fatto sentito dal proprieta rio per effetto di atti amministrativi che tale vincolo abbiano
posto, siano essi stati legittimi e dunque destinati a durare nel
tempo ma comunque non oltre i termini di legge, siano essi stati
dichiarati illegittimi e pertanto inefficaci ex tunc.
Resta da dire del punto del ricorso, sempre al terzo mo
tivo, che lascia intendere un'interpretazione della normativa
tale per cui solo i vincoli posti su comprensori per i quali siano
previsti futuri piani particolareggiati o futuri piani di lottizzazione
sarebbero sottoposti al termine ex art. 2 1. 1187/68. «I terreni
zonizzati tout court come incostruibili sono da escludere », sostie
ne il ricorrente; i vincoli in tal caso sono sempre a tempo indeterminato e dunque illeciti se senza indennizzo.
Tale punto va esaminato in base all'altro, secondo il quale sarebbero comunque illegittimi, in violazione diretta dell'art. 42, 3° comma, Cost., i vincoli di inedificabilità su terreni obiettiva
mente fabbricabili.
Ambedue tali punti del motivo si rivelano anch'essi infondati.
Come si è già detto nei punti 6, 7 della parte introduttiva, il
sistema introdotto con la 1. 1187/68 è coerente e logico, tenuto
conto dell'intera disciplina quale risulta anche dalla successiva 1.
10/77. I vincoli di inedificabilità, tutti i vincoli, sia quelli che
comportino inedificabilità tout court sia quelli preordinati alla
espropriazione, perdono di efficacia nei tempi previsti dalla legge: il diritto di proprietà è destinato a riespandersi qualora i vincoli
non si siano tradotti in un piano particolareggiato o in un piano di lottizzazione.
Se questi piani non sono stati approvati nel quinquennio
dall'approvazione del piano regolatore, qualunque sia la ragione nella non approvazione, la proprietà si riespande automaticamente.
Certo, venuti a mancare quei vincoli, è tutto il sistema
urbanistico quale organizzato dal P.R.G. che è posto o può essere
messo in crisi, ma si tratta appunto di un sistema che, proteggen do il proprietario, nel rispetto della linea introdotta dalla Corte
costituzionale, pone un onere assai gravoso agli enti locali che
debbono prontamente provvedere alla emanazione degli strumenti
urbanistici successivi al P.R.G.
Se non sono previsti piani particolareggiati o di lottizzazione, la
sola conseguenza è che, scaduto il termine quinquennale dall'ap
provazione del P.G.R., automaticamente i vincoli cessano subito.
Se invece tali piani sono previsti ed approvati entro il quin
quennio, il termine di durata del vincolo prosegue fino al
massimo di ulteriori dieci anni.
I vincoli, d'altra parte, possono afferire a qualunque tipo di
terreno, sia esso per natura incostruibile oppure costruibile. Tra
l'altro, ha un senso porre vincoli proprio su terreni obiettivamente
fabbricabili. Né la natura dei vincoli cambia a seconda che siano
vincoli tout court o funzionali a successiva espropriazione o,
comunque, tasferimento coattivo. In ogni caso si tratta di vincoli
a tempo determinato, come è espressamente stabilito dall'art. 2 1.
1187/68, che ambedue le categorie comprende e disciplina. Anche il terzo motivo è pertanto infondato. (Omissis)
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