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sezione I civile; sentenza 13 maggio 1986, n. 3169; Pres. Santosuosso, Est. Vercellone, P. M....

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sezione I civile; sentenza 13 maggio 1986, n. 3169; Pres. Santosuosso, Est. Vercellone, P. M. Benanti (concl. conf.); Klitsche de la Grange (Avv. Prosperetti, Klitsche de la Grange) c. Comune di Allumiere (Avv. Davoli, Lauro), Comune di Tolfa (Avv. Cervati) e altri. Conferma App. Roma 1° ottobre 1984 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 12 (DICEMBRE 1986), pp. 3021/3022-3029/3030 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181633 . Accessed: 25/06/2014 07:50 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.105 on Wed, 25 Jun 2014 07:50:58 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 13 maggio 1986, n. 3169; Pres. Santosuosso, Est. Vercellone, P. M.Benanti (concl. conf.); Klitsche de la Grange (Avv. Prosperetti, Klitsche de la Grange) c.Comune di Allumiere (Avv. Davoli, Lauro), Comune di Tolfa (Avv. Cervati) e altri. ConfermaApp. Roma 1° ottobre 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 12 (DICEMBRE 1986), pp. 3021/3022-3029/3030Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181633 .

Accessed: 25/06/2014 07:50

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il trasferimento del lavoratore determinato da ragioni disciplinari è legittimo ove esse integrino le comprovate ragioni tecniche,

organizzative e produttive di cui all'art. 2103 c.c. (nuovo

testo). (2)

Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunciando

violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. si sostiene che, ove il datore di lavoro abbia posto a base del provvedimento di

trasferimento più ragioni concorrenti, il giudizio sulla legittimità dello stesso deve essere operato tenendo conto dell'unitario com

plesso di tali ragioni, per cui l'accertata infondatezza di una

sola di tali ragioni inficia l'unico provvedimento. Il motivo non è fondato. E, invero, l'assunto della ricorrente,

secondo il quale i motivi di trasferimento sarebbero soggetti, a

pena di nullità dell'atto relativo, al principio dell'unitarietà non

trova alcuna base nella legge, né in alcun principio giurispruden ziale.

Essa motiva la propria tesi, sostenendo che il giudice dovrebbe

fermarsi al risultato dell'autoregolamentazione degli interessi im

prenditoriali sottoposti al suo esame, senza sostituirsi al titolare

della facoltà soggetta a controllo nel valutare se da un diverso

presupposto di fatto (conseguito al venir meno di uno dei motivi

di trasferimento) derivi il medesimo effetto (trasferimento) o uno

diverso.

Ed aggiunge che nessuno vietava alla società Hydromac di

porre a base del proprio provvedimento una sola delle ragioni indicate nella lettera del 24 giugno 1977 (l'inattendibilità dei dati

trasmessi al centro contabile ed il grave disagio nei rapporti con

i lavoratori amministrati) ma, una volta dichiarata tale motiva zione unitaria ed inscindibile per volontà di controparte e non

per scelta del lavoratore, la legittimità del trasferimento avrebbe

dovuto essere giudicata solo alla stregua di essa.

Tali argomenti, però, non dimostrano alcunché di giuridica mente valido.

Non è ravvisabile, nella specie, alcuna interferenza da parte del

giudice con i poteri di autoregolamentazione degli interessi del

l'imprenditore, essendosi esso limitato a verificare la legittimità del trasferimento sulla base della norma di cui all'art. 2103 c.c.

(nuovo testo), che condiziona il relativo potere dell'imprenditore a « comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive ».

Ciò che legittima, sul piano sostanziale, il potere dell'imprendi tore è la esistenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzati ve e produttive, e sul piano formale o procedimentale, che tali

ragioni siano comunicate al lavoratore, anche oralmente ed ove

siano richieste (cfr. Cass. n. 331/79 e 4713/79, Foro it., 1979, I,

1962); principio confermato anche da queste sezioni unite in

causa Scardiglia-Montepaschi Siena, decisa nell'udienza odierna), ma da questo non può certo farsi derivare, in base ad alcun

principio logico, prima ancora che giuridico; che ove, in ipotesi, una delle ragioni comunicate non venga provata o risulti insussi

stente, venga anche meno la legittimità del trasferimento disposto in conformità delle condizioni di legge.

Una tale conseguenza implicherebbe assegnare alla comunica

zione delle ragioni un valore costitutivo, inscindibile, meramente

formale che, oltre a non trovare fondamento nella legge, non

avrebbe alcuna giustificazione logica, sia in relazione al rapporto tra potere organizzatorio e le ragioni indicate nella legge per

legittimarlo, sia al rapporto tra le ragioni medesime, eventualmen

te idonee, ciascuna per se stessa, a legittimare il potere di

trasferimento.

in essere ove il datore di lavoro avesse avuto la consapevolezza dell'insussistenza delle ragioni enunciate (è evidente il riferimento, pur se non espresso all'art. 1419, 1° comma, c.c.). Come pure va evi

denziata, in tema di forma del trasferimento, l'adesione alla tesi per la quale è necessario che le ragioni di esso siano comunicate al lavoratore anche oralmente ed ove siano da -lui richieste (da ultimo, cfr.

Cass., sez. un., 15 luglio 1986, n. 4572, Foro it., 1986, I, 2432, con nota di richiami. È la decisione richiamata in sentenza come emessa nella stessa udienza).

Circa la massima sub 2, cfr. per l'affermazione dell'illegittimità del tra

sferimento disciplinare ma per la valutabilità obiettiva del contegno del

dipendente ai fini di accertare una situazione di sua incompatibilità nel l'ambiente di lavoro, che si risolve nell'esistenza delle esigenze tecniche, organizzative e produttive dell'impresa che consentono il trasferimento ex art. 13 1. 300/70, Cass. 30 gennaio 1984, n. 722, id.. Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1047; 6 marzo 1975, n. 832, id., 1975, I, 2007, con nota di richiami. In tema di trasferimento dei lavoratori, cfr. L. Angiel

lo, Il trasferimento dei lavoratori, Padova, 1986, passim, e la sintesi di

giurisprudenza e dottrina offerta da F. Guarriello, in M. Grandi- G. Pera (a cura di), Commentario breve allo statuto dei lavoratori, Padova,

1985, 51-53.

Sul piano sostanziale, poi, delle condizioni di validità della

determinazione volitiva dell'imprenditore, nel disporre unilateral

mente il trasferimento del lavoratore, sulla base di più ragioni di

quelle previste dalla legge, l'insussistenza o la mancata prova di

una di tali ragioni non potrebbe giammai travolgere la validità

della dichiarazione negoziale, salvo che l'interessato a tale eve

nienza non dimostri che la dichiarazione di volontà non sarebbe

venuta in essere ove il dichiarante avesse avuto consapevolezza della insussistenza di una delle ragioni enunciate.

Con il secondo motivo, la ricorrente, denunciando violazione e

falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. (nuovo testo), sostiene che il

trasferimento del lavoratore non può essere esercitato legittima mente per motivi disciplinari.

Essa sostiene che, altrimenti, anche a prescindere da fini

soggettivamente maliziosi del datore di lavoro (quale il desiderio

di creare disagi al dipendente per indurlo a dimettersi) legittime rebbe l'uso del trasferimento quale sanzione disciplinare di fatto, in contrasto con la netta diversificazione dei due istituti operata dall'ordinamento giuridico.

Il motivo non ha fondamento. Ed infatti, se è certamente

esatto che, ove un comportamento del lavoratore disciplinarmente rilevante non determini anche alcuna delle ragioni previste dalla

legge per il trasferimento dello stesso, l'imprenditore non potrebbe

disporre il trasferimento, in sostituzione della sanzione disciplina

re, diversi essendo i presupposti dei due istituti e diverso l'ambito

del controllo riservato al giudice in caso di contestazione giudi

ziaria, non può dirsi che sia altrettanto esatto che, nel caso il

comportamento del lavoratore integri insieme un fatto disciplinare rilevante ed altresì una delle ragioni previste dalla legge per il

trasferimento del lavoratore medesimo, l'imprenditore non possa, nel legittimo esercizio dei suoi poteri organizzatori e di quelli

disciplinari, far ricorso agli uni piuttosto che agli altri, ove ne

sussistano i presupposti di legge. È perciò esatto quanto in proposito rileva il tribunale e, cioè,

che non spetta al giudice, oltre alla correttezza formale (e si deve

aggiungere anche sostanziale) del provvedimento di trasferimento,

di valutare « se un dato inconveniente sia da attribuirsi a fatto

proprio e sanzionabile del dipendente ovvero a diversi fattori e,

quindi, di stabilire se ad esso possa più convenientemente ovviar

si mediante un provvedimento disciplinare ovvero con iniziative

volte alla diversa strutturazione dell'apparato aziendale ».

Né potrebbe obiettarsi che — come pure rileva il tribunale —

in tal modo il lavoratore resterebbe di fatto esposto al pericolo di rappresaglia del proprio datore di lavoro, posto che il potere

organizzativo è sempre sottoposto al sindacato di legittimità e

l'eventuale abuso nel suo esercizio incontra un insuperabile ostacolo nella necessità della concreta ricorrenza delle ragioni

organizzative o tecniche. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 13 maggio

1986, n. 3169; Pres. Santosuosso, Est. Vercellone, P. M.

Benanti (conci, conf.); Klitsche de la Grange (Avv. Prosperet

ti, Klitsche de la Grange) c. Comune di Allumiere (Aw.

Datoli, Lauro), Comune di Tolfa (Avv. Cervati) e altri.

Conferma App. Roma 1° ottobre 1984.

Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità senza indenniz

zo — Risarcimento dei danni — Limiti — Condizioni (Cost.,

art. 42; 1. 19 novembre 1968 n. 1187, modifiche e integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 2).

Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità temporanea —

Risarcimento dei danni — Esclusione — Fattispecie.

Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità — Termini di

efficacia — Individuazione (L. 19 novembre 1968 n. 1187,

art. 2).

I vincoli di inedificabilità senza indennizzo, se sono a tempo

indeterminato o di durata irragionevole e talmente intensi da

annullare o ridurre notevolmente il valore economico degli

immobili cui si riferiscono, incidendo su veri e propri diritti

soggettivi dei proprietari, li abilitano a chiedere al giudice

ordinario il risarcimento dei danni subiti, se, invece, non

esibiscono entrambe le indicate caratteristiche (perché, ad esem

pio, sottoposti ab origine al termine determinato e ragionevole

dell'art. 2 l. 19 novembre 1968 n. 1187), riflettendosi solo su

posizioni di interesse legittimo degli stessi proprietari, impedi

scono ad essi di invocare la tutela risarcitoria dell'autorità

Il Foro Italiano — 1986.

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3023 PARTE PRIMA 3024

giudiziaria ordinaria anche dopo l'annullamento giurisdizionale dei provvedimenti limitativi, intervenuto prima della scadenza di

quel termine. (1) Il pregiudizio di fatto subito dal proprietario del terreno assogget

tato a vincolo di inedificabilità parziale e a tempo determinato

non consente di chiedere al giudice ordinario il risarcimento

dei danni tanto nella ipotesi di legittimità del provvedimento

impositivo del vincolo quanto in quella di annullamento giuris dizionale dello stesso con efficacia ex tunc. (2)

I vincoli di inedificabilità, anche se non preordinati all'espropria

zione, diventano inefficaci nei termini di legge e, quindi, in

assenza dei piani particolareggiati o di quelli di lottizzazione,

dopo la scadenza del quinquennio dall'approvazione del piano

regolatore generale, in presenza, invece, degli uni o degli altri, entro ulteriori dieci anni da tale scadenza. (3)

Svolgimento del processo. — Adolfo Klitsche de la Grange è

proprietario di una tenuta in Cibona, in territorio parte del

comune di Allumiere, parte del comune di Tolfa.

Su questa tenuta aveva a suo tempo iniziato e sviluppato un

proprio programma di fabbricazione: sette ville in territorio di

Allumiere e 52 in quello di Tolfa erano state costruite sulla base

di regolari licenze edilizie e dopo che i rispettivi enti locali

avevano esplicitamente o implicitamente riconosciuto il carattere

obiettivamente edificabile dei terreni contenuti nella tenuta Cibo

na.

Ma successivamente, sono intervenuti atti amministrativi che in

vario modo hanno escluso la edificabilità dei terreni stessi; atti

che qui di seguito vengono indicati per chiarezza, col loro

contenuto e la loro data.

a) Per il comune di Allumiere. — Il 6 febbraio 1971 è presa deliberazione che esclude Cibona dal programma di fabbricazione

(il comune non era, allora, tenuto a provvedersi di piano regolato

(1-3) Con la riportata sentenza, la cui motivazione appare a tratti

prolissa e ripetitiva, la Cassazione torna sul tema della efficacia dei

vincoli di inedificabilità impressi dagli strumenti urbanistici, integrando le enunciazioni di sez. un. 7 maggio 1981, n. 2951, Foro it., Rep.

1981, voci Edilizia e urbanistica, n. 280 e Espropriazione per p.i., n. 248 (resa sul ricorso per regolamento di giurisdizione proposto nella fase di primo grado del giudizio ora definito dalla corte) con le

affermazioni delle richiamate Corte cost. 12 maggio 19&2, n. 92 e 29

aprile 1982, n. 82, id., 1982, il, 2116, con osservazioni di C.M. Barone. E pur mantenendosi nella linea segnata da tali pronunzie, la corte riesce a formulare alcune interessanti considerazioni che investo no: a) la irrilevanza, ai fini della proponibilità avanti il giudice ordinario dell'azione risarcitoria del privato, dell'annullamento giurisdi zionale dei provvedimenti impositivi dei vincoli di inedificabilità, se ed in quanto intervenuto prima della scadenza del termine dell'art. 2 1. 19 novembre 1968 n. 1187. L'affermazione, che ricalca l'analoga, anche se meno puntuale, formulazione della precedente sez. un. n. 2951/81, avrebbe, tuttavia, meritato qualche ulteriore rilievo esplicativo, specie in relazione all'ormai pacifico orientamento delle stesse sezioni unite a

proposito della consistenza della posizione del privato, cui sia stata rilasciata la licenza (concessione) edilizia, e della proponibilità, da

parte dello stesso privato, dell'azione risarcitoria dopo l'annulla mento giurisdizionale del provvedimento limitativo della sua si tuazione di titolare dello ius aedificandi (sent. 1° ottobre 1982, n.

5027, id., 1982, I, 2433, con osservazioni di C.M. Barone); b) il termine massimo di durata dei vincoli in questione ritenuto « poten zialmente più lungo dei quindici anni ». Nella riportata pronunzia, in

parte Qua, manca comunque un riferimento alle proroghe del termine

quinquennale del ripetuto art. 2 1. n. 1187/68, alle quali (proroghe) ha

riguardo F. Pietrosanti nella nota redazionale a sez. un. 26 ottobre

1984, n. 5488, id., 1985, I, 161; c) la perdita di efficacia di tutti i vincoli di inedificabilità, e non soltanto di quelli preordinati alla

espropriazione, per decorso dei termini previsti dalla legge (di cui si

occupa anche Trib. Prato 17 giugno 19#6, id., 1986, I, 2654, con nota di richiami, per il quale l'affidamento dell'incarico professionale per la

progettazione del realizzando edificio scolastico nel quinquennio dal l'approvazione del piano regolatore generale non impedisce la dichiara zione di inefficacia del vincolo di destinazione scolastica impresso dal medesimo piano ad un terreno). L'affermazione, che la corte giustifica richiamando l'ampia portata dell'art. 2 1. n. 1187/68, si pone accanto all'orientamento di alcuni giudici amministrativi {fra gli altri, T.A.R.

Puglia 20 dicembre 1985, n. 820, id., 1986, IM, 61) che estendono anche ai c.d. vincoli procedimentali, incidenti sine die sulla proprietà privata, l'efficacia quinquennale di quelli di inedificabilità a contenuto

espropriativo; d) l'esclusiva incidenza di questi ultimi sempre e soltanto sullo ius aedificandi, con conseguente permanenza, in capo al

proprietario, dello ius vendendi, che gli consente di vendere « a chi vuole e al prezzo che vuole ». La puntualizzazione olire l'occasione per precisare, ove necessario, che le sanzioni previste dall'art. 17 1. 28 feb braio 1985 n. 47 non si estendono agli atti di trasferimento di terreni

assoggettati ai vincoli di cui si discute. [C. M. Barone]

re generale); il 28 ottobre 1971, tale programma di fabbrica

zione, inserito nel piano di fabbricazione, viene approvato dal

provveditore alle opere pubbliche. Da tale data, pertanto, è

posto sul territorio concernente la tenuta Cibona un vincolo di

inedificabilità non in funzione di eventuale trasferimento coat

tivo, ma del genere di quelli previsti al n. 2 dell'art. 1 e art. 2

1. 19 novembre 1968 n. 1187, cioè che comportano direttamente

l'inedificabilità. Il 28 gennaio 1975, su ricorso del proprietario Klitsche il

Consiglio di Stato annullò la deliberazione del comune per difetto

di motivazione.

Successivamente, ed anzi dopo che Klitsche aveva già notificato

l'atto introduttivo del presente giudizio, il comune di Allumiere si

dava un piano regolatore generale (deliberazioni 2 maggio 1978 e

28 dicembre 1978) che imponeva al comprensorio di Cibona il

vincolo di verde incostruibile.

Tale P.R.G. veniva approvato il 3 aprile 1984 dalla giunta della

regione Lazio.

b) Per il comune di Tolfa. — Con deliberazione del 28 giugno 1969 il comune adotta un P.R.G.: nelle planimetrie allegate al

relativo progetto la zona di Cibona è dichiarata incostruibile (non è chiaro se per tutta la sua estensione o solo per il 40 %).

Il 18 luglio 1975 quel P.R.G. è approvato dalla giunta della

regione Lazio.

Su ricorso di Klitsche, il T.A.R. Lazio, con decisione conferma

ta dal Consiglio di Stato, in data 15 ottobre 1976, annulla quel P.R.G. nella parte che riguardava il comprensorio di Cibona,

rilevando carenza di motivazione relativamente alle ragioni che

avevano indotto il comune a sacrificare la convenzione che inter

partes era intervenuta in precedenza. Anche qui, dunque, vi è un vincolo di inedificabilità sorto il 18

luglio 1975 in forza di atto amministrativo poi annullato il 15

ottobre 1976.

c) Il 15 maggio 1979 (dopo l'inizio di questo procedimento), la

regione Lazio ha imposto, con sua deliberazione, il c.d. vincolo

vegetazionale su tutti i boschi di Tolfa e Allumiere, tra i quali

vanno ricompresi quelli siti nella tenuta di Cibona. Tale delibera

zione venne presa a norma della 1. reg. 2 settembre 1974 n. 43, « provvedimenti per la difesa e lo sviluppo del patrimonio

forestale », che, in base agli art. 1 e 2, prevede atti amministrativi

regionali i quali, determinando le zone di rilevante interesse

vegetazionale e i boschi ritenuti meritevoli di conservazione,

dispongono divieti, tra i quali quello di costruzioni edilizie in

genere. Tale legge, a sua volta, è emanata in forza della

competenza trasferita alla regione dall'art. 82 d.p.r. 24 luglio

1977.

Sulla base di tale situazione di fatto Adolfo Klitsche de la

Grange ha citato in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma: 1)

con atto notificato il 9 marzo 1978, il comune di Allumiere, il

ministro dei lavori pubblici e la regione Lazio deducendo essere

avvenuta ai suoi danni una espropriazione c.d. di valore e

chiedendo la loro condanna in solido al risarcimento dei danni o

al pagamento della dovuta indennità. 2) Con atto notificato I'8

maggio 1978, il comune di Tolfa e la regione Lazio, proponendo domande e svolgendo argomenti a sostegno, sostanzialmente e

pressoché testualmente analoghe a quelle proposte nell'altro giudi

zio.

Riuniti i due procedimenti e sollevata eccezione di difetto di

giurisdizione da parte dei convenuti, Adolfo Klitsche de la

Grange ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giuri

sdizione. Le sezioni unite di questa Corte di cassazione hanno

pronunciato su tale ricorso con sentenza 7 maggio 1981, n. 2951

(Foro it., Rep. 1981, voci Edilizia e urbanistica, n. 280 e

Espropriazione per p.i., n. 248). Hanno escluso la proponibilità

della domanda risarcitoria sotto il profilo dell'asserita lesione del

diritto di proprietà nelle due estrinsecazioni dello ius aedificandi e

dello ius vendendi; ciò in quanto la posizione soggettiva del

privato proprietario, di fronte al potere della p.a. circa le forme

ed i modi di utilizzazione edilizia ed urbanistica del territorio, è

ab origine di interesse legittimo onde l'eventuale illegittimità ed il

conseguente annullamento anche giurisdizionale del provvedimento

con cui quel potere venga in concreto esercitato non possono

conferire a quella posizione una diversa consistenza di diritto

soggettivo, che essa, per intrinseca ed originaria sua natura, non ha.

Ha invece affermato essere fatto lesivo di diritto soggettivo,

legittimante il suo titolare al risarcimento del danno, l'imposizio ne di un vincolo ablatorio senza indennizzo: essere dunque, sul

piano del riparto delle giurisdizioni, questione di diritto soggettivo

quella fatta valere col secondo capo della domanda principale. Precisò la sentenza che attiene alla fondatezza della domanda

Il Foro Italiano — 1986.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

verificare se veramente si sia trattato di misure sostanzialmente

ablatorie coperte dalla garanzia dell'indennizzo e se ed in quali limiti la norma positiva che ne disciplina il modo di essere e di

operare si discosti dal paradigma costituzionale.

Quanto alla domanda subordinata (indennizzo per espropriazio ne di valore), le sezioni unite hanno affermato che il sopravvenu to annullamento degli atti amministrativi che ponevano i vincoli

esclude si possa qualificare in termini di indennità per espropria zione il ristoro patrimoniale eventualmente spettante al proprieta rio; aggiungendo testualmente che « ancora e sempre si trattereb

be di risarcimento del danno sofferto per la illecita compressione in fatto interinalmente sofferta dal suo diritto, refluente come tale

nell'ambito del secondo profilo della domanda principale ».

La sentenza dichiarava dunque la giurisdizione del giudice ordinario limitatamente alla domanda di risarcimento dei danni

fondata sulla allegazione dell'avvenuta imposizione di vincoli

sostanzialmente espropriativi senza indennizzo.

Le domande dell'attore erano respinte dal Tribunale di Roma e

successivamente, con la sentenza ora oggetto di ricorso per

cassazione, dalla Corte d'appello di Roma.

La decisione impugnata è fondata su diversi argomenti, alcuni

specifici alla specifica situazione dei due casi in questione, altri

generali.

1) È premesso, per quanto riguarda il comune di Allumiere, che

già prima della 1. 30 novembre 1973 n. 756, la quale all'art. 1

assimilava le indicazioni del P.R.G. a quelle del programma di

fabbricazione, col programma di fabbricazione si potevano porre vincoli di inedificabilità, soggetti alla stessa disciplina della 1. 19

novembre 1968 n. 1187, e dunque per loro natura di natura

temporanea. Sul punto, poi, relativo alla successiva assunzione di

un P.R.G. (28 dicembre 1978) che pure imponeva il vincolo di

verde incostruibile, piano regolatore che all'epoca della precisazio ne delle conclusioni ancora non era stato approvato (fu approvato

nell'aprile 1984), la corte ha ritenuto che era inaccoglibile una

domanda di risarcimento dei danni provocati dalla obbligatoria

applicazione delle misure di salvaguardia; non essendo ancora

stato approvato il piano non vi era ancora una sicura imposizione di vincolo e dunque non vi era ancora un atto sostanzialmente

espropriativo.

2) È affermato, per quanto riguarda il comune di Tolfa, che

l'annullamento dell'atto amministrativo ha fatto rivivere la con

venzione a suo tempo stipulata tra comune e Klitsche de la

Grange.

3) In linea generale la domanda di risarcimento è stata ritenuta

inaccoglibile in quanto non si è verificata, nell'uno e nell'altro

caso, una espropriazione c.d. di valore in quanto tale situazione si

ha solo allorché dallo strumento urbanistico consegue un vincolo

di contenuto sostanzialmente espropriativo a tempo indeterminato.

Tale condizione non si sarebbe verificata, secondo i giudici

d'appello, in quanto quegli strumenti urbanistici hanno avuto vita

limitata per essere stati annullati dal giudice amministrativo;

irrilevante essendo che fossero, in astratto, indeterminati nel

tempo perché, « ai fini dell'accoglimento della domanda di risar

cimento, è influente solo la situazione che in concreto si è

verificata e non, ovviamente, quella che si sarebbe potuta altri

menti determinare ».

4) Altro argomento, sempre di linea generale, fa leva sul punto

che, a seguito dell'annullamento degli strumenti urbanistici, i diritti

che competevano all'appellante si sono ripristinati nella loro

interezza; si che non vi era più alcuna compressione o svuota

mento di essi.

La corte, su preciso motivo di impugnazione dell'appellante, si

è poi posta il problema se l'art. 2 1. 1187/68, che stabilisce la

perdita di efficacia, qualora entro cinque anni dalla data di

approvazione del P.R.G. non siano stati approvati i relativi

piani particolareggiati, dei vincoli indicati nei P.R.G., ri

guardi anche i casi, come quello di specie, di vincoli di

inedificabilità non in funzione di successivi trasferimenti coattivi.

Lo ha risolto in senso affermativo, deducendone il principio della

non indennizzabilità di vincoli transitori e precisando testualmente

che: « Il termine quinquennale o la redazione dei piani particola

reggiati non costituiscono soltanto un parametro alla cui stregua

verificare la sussistenza del vincolo ablatorio ma integrano un

presupposto per la insorgenza del diritto all'indennizzo, il quale

non scatta se non successivamente al loro verificarsi ».

6) Passando infine, alla validità ed efficacia del successivo

vincolo c.d. vegetazionale, la corte d'appello ha affermato: a) la

sentenza 56/68 (id., 1968, I, 1361) della Corte costituzionale ha

escluso il valore ablatorio e dunque la garanzia di indennizzo

nell'atto che individua i beni immobili aventi valore paesistico cui

è collegato il divieto di edificare in quanto, in casi del genere, il

diritto è già noto col corrispondente limite. Lo stesso principio

deve valere, secondo i giudici del merito, anche in ogni

altra ipotesi in cui le limitazioni sono implicate dall'indole

del bene, quando cioè la legge imprime un certo carattere

a determinate categorie di beni identificabili a priori per

caratteristiche intrinseche, salva la possibilità di accertare con atti

amministrativi di destinazione individuale l'esistenza delle situa

zioni presupposte rispetto a singoli soggetti ed a singoli beni; b)

la legge regionale laziale n. 43/74 non è stata abrogata, come

pretende l'appellante, dall'altra 1. reg. Lazio n. 46/77 la quale

riguarda parchi e riserve, cioè parchi regionali e riserve naturali,

in forza dell'art. 83 d.p.r. 24 luglio 1977, non i boschi, disciplina

ti sempre dalla 1. reg. 43/74. Contro tale decisione Klitsche de la Grange ha proposto ricorso

per cassazione articolato su dodici motivi. Resistono con controri

corso i comuni di Tolfa ed Allumiere.

Motivi della decisione. — La complessità della fattispecie

presentata al giudizio di questa corte richiede che all'esame dei

motivi del ricorso sia premessa una esposizione introduttiva che

inquadri la situazione normativa quale risulta dalla legislazione

succedutasi nel tempo e dai principi giurisprudenziali stabiliti e

dalla Corte costituzionale e da questa Corte di cassazione.

Il primo punto riguarda la posizione del cittadino proprietario

di terreni di fronte al potere della p.a. ed agli atti amministrativi

compiuti nell'esercizio di questo potere, relativamente ai modi e

alle forme di utilizzazione edilizia ed urbanistica del territorio.

Per giurisprudenza ormai costante — ed in specie per la decisione

sez. un. 7 maggio 1981, n. 2951, cit., pronunciata in questo giudizio — la posizione del cittadino è ab origine di interesse legittimo e ta

le rimane anche nella ipotesi in cui l'atto amministrativo che

concretamente ha esercitato quel potere sia stato annullato per

illegittimità, come appunto è avvenuto nel caso di specie. La

posizione del cittadino non può mai assurgere a diritto soggettivo

sotto il profilo dell'asserita lesione del diritto di proprietà dello

ius aedificandi e dello ius vendendi.

La compressione, dunque, dell'uno o dell'altro diritto, subita dal

cittadino per il fatto che la p.a. abbia esercitato tale suo potere,

negando una licenza o concessione edilizia o ponendo limiti o

divieti, non dà mai luogo a danni risarcibili. Certo, è evidente

che il proprietario subisce danni, pregiudizi patrimoniali a volte

di grande rilevanza; ma non sono danni risarcibili appunto

perché rientra nei poteri della p.a. di armonizzare lo ius aedifi

candi del singolo proprietario del terreno con l'interesse collettivo

ad un armonico, ordinato, sviluppo urbanistico del territorio.

Il secondo punto concerne lo sviluppo giurisprudenziale, essen

zialmente ad opera della Corte costituzionale, di una forma di

protezione del cittadino dinanzi alla imposizione di limiti, pur di

natura urbanistica, tali da sostanzialmente svuotare il contenuto

del diritto di proprietà perlomeno per quanto riguarda la facoltà

di costruire (ius aedificandi). Resta fermo che la p.a. ha il potere di imporre qualsivoglia

limite. Ma l'imposizione di limiti dell'intensità cui ora si è fatto

cenno viene sostanzialmente allineata alla « privazione della pro

prietà »: si tratta allora di applicare gli stessi principi costituzio

nali dettati dall'art. 42 Cost.

In estrema sintesi le regole, appunto quali delineate dalla

giurisprudenza costituzionale, possono essere cosi indicate:

1) La legge può stabilire quali beni sono suscettibili di

proprietà privata e quali no: ovviamente, per categorie di beni,

essendo proprio della legge di operare per categorie. In specie,

dunque, la legge può escludere la proprietà privata per determina

te categorie di beni (Corte cost. 56/68, cit.). Tale esclusione può avvenire senza che ai cittadini già proprietari dei beni apparte nenti alla categoria esclusa sia attribuito alcun indennizzo o

risarcimento.

2) La legge può, altresì', pur ammettendo la proprietà privata di

certe categorie di beni, porre limiti al godimento di essi, « allo

scopo di assicurarne la funzione sociale ». Cosi la legge può escludere del tutto lo ius aedificandi (dunque a maggior ragione

limitarlo) per intere categorie di fondi o limitare assai il diritto di

godimento ed anche lo ius vendendi, come è il caso delle cose

artistiche. È ovvio che, anche per queste ipotesi di generali divieti

o limiti, nessun indennizzo è previsto per il cittadino che si trovi

ad essere proprietario di un bene appartenente alla categoria interessata (Corte cost. 56/68, cit.; 202/74, id., 1974, I, 2245;

245/76, id., 1977, I, 581). 3) La legge può prevedere dei casi in cui la proprietà del

singolo bene sia tolta al privato proprietario: è dunque ammessa

la espropriazione, ma alla doppia condizione che la privazione sia

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3027 PARTE PRIMA 3028

giustificata da un motivo di interesse generale e che il proprieta rio cosi espropriato riceva un indennizzo.

L'indennizzo è costituzionalmente garantito proprio perché l'in

tera categoria dei beni nella quale rientra il bene espropriato è

suscettibile di proprietà privata: dunque il sacrificio imposto al

singolo proprietario espropriato è sacrificio singolare, imposto solo a lui e che ha per oggetto un bene che è e può essere in

astratto oggetto di proprietà.

4) Alla ipotesi di espropriazione, cioè di privazione singolare della proprietà di un bene, è allineata l'ipotesi in cui, per atto

amministrativo che investa un singolo bene e non un'intera

categoria, il bene sia lasciato alla proprietà del singolo cittadino

ma con tali limiti di godimento da ridurne il valore economico, d'uso o di scambio, pressoché a zero. Si addiviene a questo modo

alla situazione che è stata definita « epropriazione di valore ». In

tali ipotesi, è legittimo il relativo atto amministrativo solo se al

cittadino è attribuito un indennizzo: per conseguenza non è

conforme alla Costituzione la legge che preveda un tal genere di

atti amministrativi, che cioè sostanzino una vera e propria

espropriazione di valore, senza il corrispondente indennizzo; per

conseguenza ancora, ove una c.d. espropriazione di valore avvenga senza che sia corrisposto indennizzo, si ha violazione di un vero e

proprio diritto soggettivo del cittadino, analogo a quello all'inden

nizzo nel caso di vera e propria espropriazione, diritto soggettivo che può essere fatto valere dinanzi alla giurisdizione ordinaria e

che si risolve nel diritto al risarcimento dei danni.

Ma, fuori dell'ipotesi estrema cui si è accennato, cioè della c.d.

espropriazione di valore, non è questione di applicazione dell'art.

42, 3° comma, Cost.: resta fermo il principio che vincoli anche

pesanti (e si pensi ad una riduzione anche estrema della volume

tria consentita) possono essere legittimamente imposti dalla p.a. senza obbligo di indennizzo e quindi senza che vi sia una pretesa del cittadino al risarcimento del danno in mancanza di indenniz

zo. Ciò pure se il vincolo non è posto per categoria ma al

singolo fondo come tale: come logica conseguenza del potere della p.a. nell'ambito urbanistico che deve poter incidere sul

singolo terreno, posto in quella particolare situazione territoriale e

funzionale ad un certo tipo di sviluppo urbanistico, senza che ad

ogni singolo provvedimento limitativo debba corrispondere un

obbligo di risarcimento, obbligo che di fatto impedirebbe qualsiasi concreta opera di armonizzazione urbanistica.

5) La categoria della c.d. espropriazione di valore è stata

determinata, appunto dalla giurisprudenza costituzionale (ancora essenzialmente sent. 55/68, cit., ma poi 82/82, id., 1982, I, 2118,

e 92/82, ibid., 2116), facendo riferimento a due fattori che

debbono ambedue sussistere: a) l'intensità e gravità del limite, in

senso qualitativo: si esemplifica la destinazione a verde privato ed in genere l'imposizione di totale vincolo di inedificabilità (al

contrario non raggiunge tale intensità l'imposizione di indici di

fabbricabilità con valori particolarmente bassi); b) la indetermina

tezza nel tempo del limite posto o il prolungarsi di esso oltre

limiti ragionevoli. Solo se sussistono ambedue i fattori si ha davvero un atto che

incide oltre i limiti connaturali al regime di appartenenza, che

annulla o riduce notevolmente il valore di scambio del bene, atto,

dunque, che costituisce il diritto soggettivo del cittadino al

risarcimento del danno cosi provocato. Al contrario, pertanto, non vi è danno risarcibile: a) quando il

limite è di durata indeterminata ma non incide qualitativamente in modo cosi profondo; b) quando il limite, pur qualitativamente cosi intenso, è destinato a venire meno, in un tempo ragionevole.

6) Ai principi cosi indicati dalla Corte costituzionale si è

adeguata la 1. 1187/68, legge che regola ancora oggi la materia

dei vincoli urbanistici, non essendovi su tale punto alcuna

disciplina specifica nella successiva 1. 10/77 cosi come è stato

affermato dalla Corte costituzionale (sent. 82/82, cit.) con motiva

zione che questo collegio ritiene di condividere pienamente. All'al

ternativa posta dalla Corte costituzionale, essere cioè necessaria la

previsione di un indennizzo, ovvero quella di un termine di

durata del vincolo, il legislatore ha risposto scegliendo di imporre un limite massimo di durata, escludendo, invece, la previsione di

un indennizzo.

Della conformità di tale legge ordinaria (1187/68) ai principi ricordati pare non sia il caso di dubitare stando anche la netta

posizione in tale senso assunta proprio dalla Corte costituzionale

nelle decisioni da ultimo menzionate (v. in specie 92/82: « Data

quest'alternativa... il legislatore correttamente si è limitato a

fissare, per l'efficacia del vincolo, un termine massimo di du

rata »). Il sistema pare anche logico. In tanto l'imposizione di un

vincolo di inedificabilità incide davvero oltre i limiti connaturali

al regime di appartenenza e fino ad annullare o quasi il valore di

scambio del bene in quanto il limite non abbia una sua

cronologica scadenza tale da potere consentire alla proprietà di

riespandersi pienamente entro un tempo ragionevole. Non è

dunque consentito non porre alcun limite: la durata indetermina

ta, per lo stato di incertezza che crea, « incide profondamente sul

complesso di facoltà consentite dalla legge al titolare del diritto,

sottraendogli la possibilità di un'adeguata e razionale utilizzazio

ne » (Corte cost. 82/82, cit.). Ma nemmeno è consentito porre una

scadenza troppo in là nel tempo. Nuovamente, anche per il

fattore « tempo », come per il fattore « intensità qualitativa » del

vincolo, l'elemento quantitativo appare rilevante e decisivo. È

possibile senza indennizzo imporre limiti anche più gravi ma solo

se per un periodo ragionevole, cioè per una durata che lasci al

proprietario la certezza di riacquistare la pienezza delle sue

facoltà in un tempo tale per cui il sacrificio patrimoniale

(indubbio nel periodo di persistenza del limite) appaia anch'esso

quantitativamente (in quantità di tempo) ridotto, e dunque sop

portabile.

Non è possibile invece porre un limite cosi lontano nel tempo da rendere subito, con l'apposizione del vincolo, di fatto incom

merciabile il bene.

Il terreno vincolato è ancora un terreno potenziale costruibile e

dunque vendibile ad un prezzo ancora congnio se il vincolo non

è a molto lungo termine: non vi è dunque espropriazione di

valore ma diminuzione, temporanea, del valore.

Un terreno vincolato a tempi lunghissimi diventa di fatto un

terreno cosi poco appetibile da non avere, già al momento

dell'imposizione del vincolo, quasi più alcun valore. L'atto ammi

nistrativo che pone tale vincolo di inedificabilità con termine di

durata tanto lungo, concreta dunque un'autentica « espropriazione di valore », perché proprio per la prevista lunga durata del

vincolo, il valore del terreno è già oggi grandemente diminuito,

quasi valore zero.

7) Deve ritenersi conforme a tali regole la disciplina attuale che

inserisce automaticamente un termine di scadenza a qualunque vincolo di inedificabilità (come tale o in funzione di successivo

trasferimento coattivo). Si evita cosi la possibilità di vincoli a

tempo indeterminato. Si evita, altresì, la possibilità di vincoli con

scadenza eccessivamente prolungata nel tempo. 11 tempo previsto come massimo è certamente lungo.

Dall'approvazione del piano inizia a decorrere un primo periodo di cinque anni: il vincolo perde efficacia se entro quel termine

non è stato approvato il relativo piano particolareggiato o auto

rizzato il piano di lottizzazione. Se l'approvazione o autorizzazio

ne sono state tempestive, il termine per la durata dei vincoli non

va oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati stessi, vale a dire dieci. Dunque il termine insuperabile risulta di

quindici anni al massimo. Poiché, però, il termine decorre dal

l'approvazione del piano regolatore generale e questa può tardare

mentre nel frattempo il vincolo diviene attuale per l'applicazione

obbligatoria delle misure di salvaguardia, il tempo reale durante il

quale il fondo può restare vincolato senza che sussista espropriazio ne di valore si prospetta potenzialmente più lungo di quindici anni.

Ma tale lunghezza appare accettabile e come tale è stata

ritenuta ormai, seppure implicitamente, dalla Corte costituzionale

a seguito dei suoi giudizi di conformità alla Costituzione e della

1. 1187/68 e della successiva 10/77.

8) La scadenza automatica dei vincoli, ad esempio se il piano

particolareggiato non è approvato entro i cinque anni dall'appro vazione del P.R.G., comporta come è stato enunciato dalla

Corte costituzionale, con sent. 82/82, il venir meno dello

specifico onere relativo per cui il titolare del bene si tro

verà quindi nella medesima situazione di tutti gli altri aventi diritto reali sui beni, restando cosi assoggettato a tutto quanto la

legge e gli strumenti urbanistici dispongono. L'imposizione del

vincolo e la sua successiva cessazione per decorrenza del termine

automatico costituiscono dunque una sorta di legittima diminuzio

ne temporanea del valore del bene oggetto del vincolo, legittima senza alcun indennizzo.

Non è pertanto ammissibile in tal caso una domanda di

risarcimento del danno perché l'applicazione temporanea del vin colo non è misura che assurga all'ipotesi di espropriazione di

valore quale configurata dalla Corte costituzionale, come ipotesi che implica l'applicazione dell'art. 42, 3° comma, Cost.

Il risarcimento del danno potrà essere ottenuto soltanto se e

quando una nuova legge nazionale o regionale abbia prorogato

irragionevolmente il termine fissato dalla 1. 1187/68 per il succedersi di atti amministrativi che abbiano uno dopo l'altro

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

riconfermato il vincolo immotivatamente, cosi riuscendo, contra

riamente alla disciplina ora delineata, a rendere ancora tanto

lunga la durata del vincolo da costituire davvero una espropria zione di valore.

Sulla base di quanto esposto finora e tenendo conto dei principi ora ricordati, si può adesso iniziare l'esame dei singoli motivi.

(Omissis) Il terzo motivo adduce violazione e falsa applicazione dell'art. 5

1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, e degli art. 28 e 113 Cost.,

omessa motivazione su più punti decisivi accertati con giudicati esterni ed interni.

In realtà si tratta del motivo che più propriamente investe la

decisione della corte d'appello nei suoi punti più rilevanti: a) non

risarcibilità dei danni determinati dall'apposizione di un vincolo

in quanto ogni vincolo è, per sua natura, a seguito del nuovo

disposto della 1. 1187/68, a tempo determinato; b) applicabilità di

tale principio anche all'ipotesi di vincoli di inedificabilità tout

court, cioè non in funzione di successivi trasferimenti coattivi; c)

non risarcibilità dei danni inerenti all'apposizione di un vincolo

mediante atto amministrativo poi dichiarato nullo dalla giustizia amministrativa.

Da quanto sopra si è detto nella parte introduttiva anche

questo motivo appare infondato. E ciò per le seguenti ragioni. Gli iniziali atti amministrativi posti in essere dai due comuni,

Tolfa e Allumiere, non erano in sé lesivi di diritti soggettivi. Ponevano si vincoli di inedificabilità ma non a tempo indeter

minato in quanto, già essendo in vigore la legge del 1968, quei vincoli erano destinati a cessare nei termini indicati dall'art. 2 di

quella legge. Non era dunque stata posta in atto un'espropriazione di valore nei termini di cui ai punti 5 e 6 della parte introduttiva

di questa decisione.

Erano illegittimi, per mancanza di motivazione, e furono perciò annullati l'uno e l'altro prima che fossero scaduti i termini

previsti dall'art. 2 1. 1187/68. Ma la dichiarazione di illeggittimità non porta con sé la pretesa del cittadino interessato a richiedere

un risarcimento del danno a lui provocato per il fatto in sé che

nel periodo tra l'emanazione dell'atto e il suo annullamento il suo

diritto di proprietà sia apparso compresso e dunque sia venuta

meno la sua reale possibilità di vendere al prezzo pieno che egli

si era ripromesso di ottenere con la vendita del terreno nella sua

qualità di fabbricabile.

Infatti, per quanto si è detto nella prima parte dell'introduzio

ne, quando il vincolo non ha natura di espropriazione di valore

la posizione del cittadino è sempre di interesse legittimo come in

ogni caso di esercizio da parte della p.a. di un potere che le è

conferito, quello appunto di porre vincoli non ablatori (tali non

essendo quelli a tempo determinato senza indennizzo): si è al di

fuori dei casi di applicazione dell'art. 42, 3° comma, Cost.

Quell'atto non era in violazione di diritti soggettivi. La sua

eliminazione a causa di annullamento pronunciato dal giudice

amministrativo non modifica né la natura dell'atto né, per

corollario, la natura della contrapposta situazione del cittadino

sulla quale incide l'atto, situazione che è quella ancora e sempre

di interesse legittimo. Accertata la illegittimità dei due atti

amministrativi in questione la situazione del ricorrente non muta

va dal punto di vista della non esistenza di un diritto soggettivo.

Certo, egli ottenne il vantaggio di ritrovarsi, ben prima della

naturale scadenza dei termini ex art. 2 1. 1187/68, nella situazione

in cui si trovava qualsiasi proprietario di terreni sui quali non vi

fosse uno speciale vincolo di inedificabilità, restando solo assog

gettato a tutto quanto la legge o gli altri punti dello strumento

urbanistico disponevano per la generalità dei terreni posti nei due

comuni (cfr. n. 8 della parte introduttiva di questa decisione). Da

quel momento poteva costruire o vendere i terreni come fabbrica

bili. Ma non poteva ottenere un risarcimento di danni che

comunque non gli spettavano: né per il periodo precedente

perché comunque il suo era interesse legittimo e non un diritto

soggettivo a costruire come e quando gli pareva; né per il

periodo successivo, per il semplice motivo che ormai il vincolo

non esisteva più, né era stata accertata la nullità ex tunc.

Su questo punto va parzialmente modificata la motivazione

della sentenza impugnata, che pur resta corretta.

Essa, infatti, aveva sostanzialmente risolto la controversia, sul

seguente sillogismo: a) espropriazione di valore si ha solo se il

vincolo è a tempo indeterminato; b) i due P.R.G. hanno avuto

durata limitata in quanto sono stati annullati; c) dunque, e per

questo solo motivo, non vi è stata espropriazione di valore e non

v'è luogo a risarcimento del danno.

In realtà, invece, per quanto fin qui detto, la reiezione delle

domande dell'attore è fondata su quest'altra serie di proposizioni:

a) non vi è espropriazione di valore quando sussiste vincolo di

inedificabilità sottoposto ab origine al termine determinato e

ragionevole di cui all'art. 2 1. 1187/68; b) non costituivano

dunque espropriazione di valore gli atti amministrativi poi annul

lati; c) dunque il loro annullamento non può portare all'accogli mento di una richiesta di risarcimento del danno in quanto tale

richiesta non sarebbe stata accoglibile in nessun caso, ad esempio nel caso di persistenza del vincolo fino alla naturale scadenza per il termine ex art. 2 1. 1187/68 in nessun caso essendosi verificata

una violazione di diritti soggettivi del ricorrente.

Va precisato, a questo punto, che non correttamente si è

parlato di danni sotto l'aspetto della violazione dello ius vendert

eli, i vincoli della categoria di cui si parla incidono sempre e

soltanto sullo ius aedificandi.

li proprietario conserva integro ed illimitato lo ius vendendi,

può vendere a chi vuole e al prezzo che vuole.

È soltanto una conseguenza di fatto, mediata ed indiretta, della

compressione dello ius aedificandi, la circostanza che difficilmente

il proprietario di un terreno con vincolo di inedificabilità, pure a

termine, trovi attualmente chi è disposto a comprarlo al prezzo di

mercato corrente per terreni edificabili. Ne rimane confermato

quanto detto sopra. Lo ius aedificandi non si presenta come

diritto soggettivo nei confronti di limitazioni poste sotto forma di

vincoli che o per la loro qualità (non eccessiva incidenza quale ad es. il limite di cubatura) o per la loro durata contenuta in

tempo ragionevole (es. vincoli ex art. 2 1. 1187/68) non costitui

scono un caso di espropriazione di valore cui possa applicarsi l'art. 42, 3° comma, Cost. Dunque non v'è luogo a risarcimento

del danno a seguito del pregiudizio di fatto sentito dal proprieta rio per effetto di atti amministrativi che tale vincolo abbiano

posto, siano essi stati legittimi e dunque destinati a durare nel

tempo ma comunque non oltre i termini di legge, siano essi stati

dichiarati illegittimi e pertanto inefficaci ex tunc.

Resta da dire del punto del ricorso, sempre al terzo mo

tivo, che lascia intendere un'interpretazione della normativa

tale per cui solo i vincoli posti su comprensori per i quali siano

previsti futuri piani particolareggiati o futuri piani di lottizzazione

sarebbero sottoposti al termine ex art. 2 1. 1187/68. «I terreni

zonizzati tout court come incostruibili sono da escludere », sostie

ne il ricorrente; i vincoli in tal caso sono sempre a tempo indeterminato e dunque illeciti se senza indennizzo.

Tale punto va esaminato in base all'altro, secondo il quale sarebbero comunque illegittimi, in violazione diretta dell'art. 42, 3° comma, Cost., i vincoli di inedificabilità su terreni obiettiva

mente fabbricabili.

Ambedue tali punti del motivo si rivelano anch'essi infondati.

Come si è già detto nei punti 6, 7 della parte introduttiva, il

sistema introdotto con la 1. 1187/68 è coerente e logico, tenuto

conto dell'intera disciplina quale risulta anche dalla successiva 1.

10/77. I vincoli di inedificabilità, tutti i vincoli, sia quelli che

comportino inedificabilità tout court sia quelli preordinati alla

espropriazione, perdono di efficacia nei tempi previsti dalla legge: il diritto di proprietà è destinato a riespandersi qualora i vincoli

non si siano tradotti in un piano particolareggiato o in un piano di lottizzazione.

Se questi piani non sono stati approvati nel quinquennio

dall'approvazione del piano regolatore, qualunque sia la ragione nella non approvazione, la proprietà si riespande automaticamente.

Certo, venuti a mancare quei vincoli, è tutto il sistema

urbanistico quale organizzato dal P.R.G. che è posto o può essere

messo in crisi, ma si tratta appunto di un sistema che, proteggen do il proprietario, nel rispetto della linea introdotta dalla Corte

costituzionale, pone un onere assai gravoso agli enti locali che

debbono prontamente provvedere alla emanazione degli strumenti

urbanistici successivi al P.R.G.

Se non sono previsti piani particolareggiati o di lottizzazione, la

sola conseguenza è che, scaduto il termine quinquennale dall'ap

provazione del P.G.R., automaticamente i vincoli cessano subito.

Se invece tali piani sono previsti ed approvati entro il quin

quennio, il termine di durata del vincolo prosegue fino al

massimo di ulteriori dieci anni.

I vincoli, d'altra parte, possono afferire a qualunque tipo di

terreno, sia esso per natura incostruibile oppure costruibile. Tra

l'altro, ha un senso porre vincoli proprio su terreni obiettivamente

fabbricabili. Né la natura dei vincoli cambia a seconda che siano

vincoli tout court o funzionali a successiva espropriazione o,

comunque, tasferimento coattivo. In ogni caso si tratta di vincoli

a tempo determinato, come è espressamente stabilito dall'art. 2 1.

1187/68, che ambedue le categorie comprende e disciplina. Anche il terzo motivo è pertanto infondato. (Omissis)

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