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sezione I civile; sentenza 13 novembre 1987, n. 8344; Pres. Granata, Est. Favara, P.M. Amirante...

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sezione I civile; sentenza 13 novembre 1987, n. 8344; Pres. Granata, Est. Favara, P.M. Amirante (concl. diff.); A.n.a.s. (Avv. dello Stato La Porta) c. De Goyzueta (Avv. Gualtieri). Cassa App. Napoli 30 aprile 1985 Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 12 (DICEMBRE 1987), pp. 3235/3236-3239/3240 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179473 . Accessed: 28/06/2014 10:23 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.163 on Sat, 28 Jun 2014 10:23:27 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 13 novembre 1987, n. 8344; Pres. Granata, Est. Favara, P.M. Amirante(concl. diff.); A.n.a.s. (Avv. dello Stato La Porta) c. De Goyzueta (Avv. Gualtieri). Cassa App.Napoli 30 aprile 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 12 (DICEMBRE 1987), pp. 3235/3236-3239/3240Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179473 .

Accessed: 28/06/2014 10:23

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3235 PARTE PRIMA 3236

prosecuzione della malattia per il lavoratore assicurato all'istituto

previdenziale, onere che non ammette equipollenti o deroghe e

che si pone come condizione indefettibile per il sorgere, giorno

per giorno, del diritto del lavoratore all'indennità di malattia,

pone serie perplessità sulla razionalità di una simile scelta del le

gislatore in relazione alla successiva disciplina dell'art. 5, 14° com

ma, d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito, con modificazioni, in 1. 11 novembre 1983 n. 638, che, per quanto riguarda il con

trollo sullo stato di malattia del lavoratore da parte del medico

della struttura pubblica nell'ambito delle fasce orarie, pone un

obbligo al lavoratore di farsi trovare alla visita di controllo, ob

bligo sancito a pena di decadenza (peraltro graduale e non illimi

tata) dal diritto già sorto all'indennità di malattia — diritto sulla

cui insorgenza l'onere dell'invio del certificato medico si pone evidentemente come un prius logico-giuridico — e che, comun

que, ammette il correttivo del giustificato motivo e non è operati vo in alcune ipotesi predeterminate (es. : in caso di ricovero ospe daliero e in caso di malattia accertata in precedenza). Una cosi

diversa disciplina delle due situazioni non appare sufficientemen

te giustificata, stante l'identità della ratio (che è quella di rendere

possibili i controlli sullo stato di malattia del lavoratore assicura

to, assente dal lavoro); né il maggior rigore della norma sull'one

re di invio del certificato medico rispetto a quella sull'obbligo del lavoratore di reperimento alla visita di controllo nelle fasce

orarie si giustifica con il rilievo (v. sent. nn. 2869 e 5392/85 e

2494/86 della sezione lavoro) — tutt'altro che decisivo anche per la sua genericità — di una maggior gravità dell'inosservanza della

prima norma, giacché si danno casi in cui il lavoratore è effetti

vamente impedito all'inoltro del certificato di malattia (es.: per

gravi fatti traumatici e simili). Altro motivo di perplessità sulla razionalità della norma in esa

me deriva dell'irreparabilità delle conseguenze dell'inosservanza

dell'onere di invio della documentazione medica all'istituto previ denziale nell'ambito del rapporto assicurativo previdenziale rispetto alla non irreparabilità dell'analoga omessa comunicazione della

malattia al datore di lavoro nell'ambito del rapporto di lavoro

subordinato.

Ne deriva la non manifesta infondatezza della questione di le

gittimità costituzionale, che questa corte ritiene di sollevare d'uf

ficio, previa sospensione del giudizio, dell'art. 2 d.l. 30 dicembre

1979 n. 663, convertito, con modificazioni, in 1. 29 febbraio 1980

n. 33, nel testo sostituito dall'art. 15 1. 23 aprile 1981 n. 155,

per contrasto con l'art. 3 Cost., e, nel contempo, per contrasto

con l'art. 38, 2° comma, Cost., nella parte in cui la suddetta

norma, nello stabilire a carico del lavoratore assicurato l'onere di recapitare o trasmettere, a mezzo di raccomandata con avviso

di ricevimento, entro il termine perentorio di due giorni dal rila

scio, il certificato di malattia (con la diagnosi) dell'I.n.p.s. oppu re alla struttura pubblica dello stesso istituto, d'intesa con la re

gione, non consente al lavoratore stesso di dedurre e di compro vare il giustificato motivo dell'omissione o del ritardo nell'invio del suddetto certificato e determina il mancato conseguimento di una prestazione previdenziale costituzionalmente garantita (inden nità di malattia) nel caso in cui il lavoratore sarebbe in grado di comprovare il suddetto giustificato motivo.

Nessun dubbio sussiste, peraltro, sulla rilevanza della questio ne come sopra prospettata: il Cianci ha sempre dedotto il giustifi cato motivo del ritardato inoltro di alcuni certificati di prosegui mento della malattia, adducendo la stessa malattia documental mente comprovata («forma acuta di sindrome cerebrale con epi sodi di assenza intellettiva» e chiedendo invano, nei gradi di me rito del giudizio, l'ammissione, ove ritenute necessarie, di prova testimoniale e consulenza tecnica. Egli ha posto in rilievo l'inesi

gibilità nei suoi confronti di un comportamento (tempestivo inol tro dei certificati medici nel brevissimo termine di due giorni, prescritto dalla legge) non compatibile con la sindrome cerebrale,

accompagnata da episodi di assenza intellettiva, da cui egli rima se colpito nel suindicato periodo di assenza dal lavoro; e ciò a

prescindere dalle condizioni di solitudine e di carente assistenza in cui egli fu costretto a vivere all'epoca dei fatti, condizioni che, del pari, egli ha chiesto di provare in sede di merito. E, comun

que, poiché il giustificato motivo è stato dedotto, ricorre la pre giudizialità della questione di costituzionalità, come sopra pro spettata, in funzione della decisione della causa.

I provvedimenti conseguenziali vanno dati in dispositivo.

Il Foro Italiano — 1987.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 13 novem

bre 1987, n. 8344; Pres. Granata, Est. Favara, P.M. Ami

rante (conci, diff.); A.n.a.s. (Avv. dello Stato La Porta) c.

De Goyzueta (Avv. Gualtieri). Cassa App. Napoli 30 aprile 1985.

Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione d'urgenza — Illegittimità — Realizzazione dell'opera pubblica — Pro

prietà del terreno — Acquisto — Decreto di esproprio — Suc

cessiva emanazione — Irrilevanza — Fattispecie (Cod. civ., art.

934, 2043; 1. 25 giugno 1865 n. 2359, espropriazioni per causa

di pubblica utilità, art. 50).

Il trasferimento della proprietà del terreno privato alla pubblica amministrazione occupante, che l'abbia irreversibilmente tras

formato eseguendo t'opera pubblica prima della scadenza dei

termini di occupazione legittima, si realizza (determinando l'in

sorgere de! diritto dell'ex proprietario al risarcimento dei dan

ni) nel momento in cui questa diviene illegittima, a nulla rile

vando che il decreto di esproprio successivamente emanato in

tervenga in pendenza della efficacia della dichiarazione di pub blica utilità. (1)

(1) Senza tener conto di Cass. 18 aprile 1987, n. 3877, Foro it., 1987, I, 1727, con osservazioni di A. Romano, che ha contestato ab imis le enunciazioni di sez. un. 26 febbraio 1983, n. 1464, id., 1983, I, 626, con nota di R. Oriani, la riportata sentenza ne segue l'impostazione in

parte qua, giungendo alla conclusione riassunta nella massima, della qua le sottolinea la conformità al prevalente orientamento sul punto della corte. Fatta eccezione per la sent. 26 gennaio 1985, n. 383, id., Rep. 1985, voce Espropriazione per p.i., n. 294, richiamata e considerata in motiva zione [per la quale, avvenuta l'irreversibile trasformazione del bene priva to entro il biennio di occupazione legittima, ove il decreto di espropria zione risulti emesso dopo trascorsi i termini di efficacia della dichiarazio ne di pubblica utilità lo stesso è emesso in carenza di potere, con la con

seguenza che la proprietà del terreno deve ritenersi acquisita dall'ente

espropriante alla scadenza del biennio di occupazione legittima e che il ristoro al proprietario deve essere liquidato in termini di risarcimento del danno inteso come debito di valore; diversamente, ove il decreto di espro prio risulti emesso entro i termini di efficacia della dichiarazione di pub blica utilità, al privato dovranno essere liquidate le indennità di espro priazione secondo legge e, in particolare, ove il terreno risulti agricolo, in base alla 1. 27 giugno 1974 n. 247 (che ha esteso a ogni espropriazione i criteri fissati dalla 1. 22 ottobre 1971 n. 865), ove il terreno sia edificato rio, alla luce della norma ritenuta, dal giudice, regolatrice, della fattispe cie], le altre pronunzie riguardanti l'argomento in discussione (del quale si occupano anche C. Murgia e F. Satta, in Rass. giur. sarda, 1986, 511 e ss.) appaiono, infatti, orientate nel senso della decisione in rassegna (fra le più perspicue, Cass. 23 settembre 1986, n. 5708, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 318; 10 gennaio 1986, n. 80, ibid, n. 322; 4 dicembre

1985, n. 6070, id., Rep. 1985 voce cit., n. 296; 8 novembre 1984, n. 5644, id., Rep. 1984, voce cit., n. 298; 5 aprile 1984, n. 2203, id., 1984, 1, 1530, con nota di richiami).

Per qualche riferimento, a proposito di possibili implicazioni della que stione decisa dalla riportata sentenza, si possono, comunque, consultare: a) Cass. 5 giugno 1987, n. 4916, id., Mass., 829, per la quale, qualora l'occupazione temporanea del fondo privato si protragga oltre il termine

all'uopo previsto, senza che sia stato adottato il decreto di espropriazio ne, ed il fondo medesimo venga irreversibilmente acquisito con la realiz zazione dell'opera pubblica, la responsabilità risarcitoria grava sull'ente che ha proseguito nella occupazione stessa, quale autore del relativo fatto illecito, non sull'amministrazione che abbia omesso di promuovere il per fezionamento della procedura ablativa; b) Cass. 11 giugno 1987, n. 5070, ibid., 859, secondo cui, ai fini del risarcimento del danno nel caso di

occupazione illegittima di un fondo di proprietà privata da parte della

p.a. e di conseguente irreversibile destinazione del fondo stesso alla co struzione di opera pubblica, il valore del fondo deve determinarsi con riferimento al momento della detta trasformazione del bene che compor ta l'acquisto (originario) di esso ad opera della p.a. e la correlativa perdi ta della proprietà dello stesso da parte del privato con il contestuale dirit to al risarcimento dell'equivalente; tale momento non sempre e non ne cessariamente coincide con la scadenza del termine di occupazione legitti ma e può individuarsi anche attraverso il ricorso a presunzioni, gravi, precise e concordanti; c) Cass. 12 giugno 1987, n. 5127, ibid., 871, secon do la quale con riguardo all'occupazione di un suolo privato dalla p.a. la costruzione dell'opera pubblica determina l'acquisto della proprietà da parte della p.a. medesima, con la conseguenza che all'ex proprietario del suolo, a partire da tale acquisto, spetta soltanto il risarcimento del danno per la perdita dell'immobile, pari al valore venale dello stesso, ma non anche l'indennità di occupazione temporanea, che, stante la perdita della proprietà, non gli è più dovuta.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 31 gen naio 1978 Sergio De Goyzueta conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Napoli l'A.n.a.s. che, autorizzata da un decreto del

prefetto di Napoli in data 22 maggio 1971, aveva proceduto al

l'occupazione d'urgenza di un suolo sito in Napoli - Barra di

circa 4.500 mq. di sua proprietà sul quale aveva eseguito, previa demolizione di un fabbricato, la costruzione di un tratto di sede

viaria destinato a collegamento tra due autostrade. Il De Goyzue ta deduceva che il decreto di occupazione era illegittimo (per ille

gittimità derivata, per essere illegittimo il decreto ministeriale che

aveva approvato l'opera pubblica) e doveva essere disapplicato e che l'A.n.a.s. era conseguentamente tenuta alla restituzione del

suolo ovvero, se la riduzione non fosse stata possibile per l'avve

nuta completa trasformazione del bene, all'integrale indennizzo

del valore di esso e al risarcimento di tutti i danni prodotti. L'A.n.a.s. si opponeva deducendo la legittimità del decreto 22

maggio 1971 di occupazione, per essere stata la sua efficacia pro

rogata con successivi provvedimenti, l'ultimo dei quali datato 17

maggio 1975. Deducendo altresì' che nel corso del giudizio, in

data 25 luglio 1978, era intervenuto decreto di espropriazione. L'attore chiedeva la disapplicazione anche del decreto di espro

priazione (per vizio di notifica, per tardività rispetto alla dichia

razione di p.u., per incompetenza del prefetto dopo il trasferi

mento dei poteri alle regioni, perché emanato sulla base di una

determinazione solo provvisoria dell'indennità, per mancata cor

rispondenza tra superficie occupata e superficie indicata nel pro

getto approvato). Con sentenza non definitiva del 20 dicembre

1980 il tribunale dichiarava il proprio difetto di giurisdizione in ordine alla domanda di disapplicazione del decreto di espropriazio ne. Sospendeva, per quando concerneva ulteriori doglianze, il giu dizio fino all'esito di quello proposto dal De Goyzueta davanti

al T.A.R. Campania per l'annullamento del decreto di esproprio.

Proponeva appello il De Goyzueta chiedendo, previa disappli cazione del decreto di espropriazione e declaratoria dell'illecito

comportamento della p.a., la condanna dell'A.n.a.s. — per ef

fetto dell'avvenuta trasformazione del bene in opera pubblica —

al risarcimento del danno nonché al pagamento di tutto quanto dovuto a causa dell'occupazione legittima e di quella illegittima, lamentando al riguardo l'omessa pronunzia del tribunale.

L'A.n.a.s. proponeva appello incidentale chiedendo la sospensio ne della pronuncia anche sul decreto di espropriazione per la pen denza del giudizio amministrativo, rigettarsi la domanda di di

sapplicazione e ritenersi inammissibile la domanda ai danni, (con vertitasi in opposizione alla stima del decreto di espropriazione, divenuta definitiva per mancata impugnazione e dichiararsi co

munque l'incompetenza quale giudice di secondo grado a cono

scere dell'impugnativa. La Corte d'appello di Napoli con sentenza del 30 aprile 1985

accoglieva il gravame rilevando che già con l'atto introduttivo

il De Goyzueta aveva fondato la domanda di risarcimento sul

presupposto, espressamente dedotto, della «completa trasforma

zione» del bene da parte dell'occupante che, alla sopravvenienza del decreto di espropriazione in corso di causa, ne aveva dedotto

la illegittimità, proponendo solo in via subordinata opposizione alla stima previa conversione dell'originaria sua domanda — che

non aveva perciò rinunciato o limitato — trattandosi in realtà

di «stima inesistente». Rilevava ancora la corte che anche con

l'atto di appello l'attore aveva chiesto in linea principale il risar

cimento del danno; che il richiamo fatto dall'appellante alla di

versa causa di inefficacia del decreto di espropriazione — alla

stregua della nuova giurisprudenza di questa corte iniziata con

la sentenza 1464/83 (Foro it., 1983, I, 626) delle sezioni unite — perché cioè emesso dopo l'intervenuto acquisto della proprietà del bene occupato per effetto della sua irreversibile trasformazio

ne e destinazione all'opera pubblica, doveva ritenersi elemento

che il giudice di appello poteva liberamente prendere in esame

e porre a base della decisione, perché non implicante modifica

né del petitum né della causa petendi costituita dalla deduzione

di un comportamento illecito della p.a. che incide con effetto

sostanzialmente ablativo sulla proprietà privata, restando irrile

vanti le diverse conseguenze giuridiche che il giudice, interpretan

do la legge, desume dalla soppravvenienza del decreto di espro

priazione, ferma restando la predetta situazione giuridica dedotta

in giudizio come causa petendi. Riteneva pertanto la corte di me

rito che, essendo la destinazione irreversibile del suolo all'opera

pubblica avvenuta nel marzo 1975 ed essendo il decreto di espro

prio intervenuto tardivamente solo nel luglio 1978, poteva proce

II Foro Italiano — 1987.

dersi alla liquidazione del danno, respingendosi l'eccezione di pre scrizione quinquennale perché la domanda 31 gennaio 1978 risul

tava tempestiva rispetto all'occupazione appropriativa avvenuta

nel marzo 1975; liquidazione che effettuava in relazione alla na

tura industriale del suolo, determinando altresì l'indennità di oc

cupazione legittima dovuta per una parte di esso durante il bien

nio iniziale, oltre interessi ed oltre danno da deprezzamento del

fondo residuo.

Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione

l'A.n.a.s. sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso

il De Goyzueta. Motivi della decisione. — (Omissis). C) Con il secondo motivo

di ricorso l'A.n.a.s. richiama la decisione n. 383/85 (id., Rep.

1985, voce Espropriazione per p.i., n. 294) di questa corte (che ritenne inapplicabile il principio, enunciato dalla sentenza n.

1464/83 delle sezioni unite, della irrilevanza del decreto di espro

priazione intervenuto dopo l'acquisto della proprietà da parte della

p.a. occupante per effetto dell'irreversibile destinazione all'opera

pubblica del bene occupato, quando il decreto predetto interven

ga entro i limiti all'uopo fissati con la dichiarazione di pubblica

utilità) per proporre nuovamente la questione, già altre volte de

cisa da questa corte in senso opposto (cfr. la sentenza n. 80/86,

id., Rep. 1986, voce cit., n. 321) della compatibilità della fatti

specie dell'occupazione appropriativa con quella della pronunzia del decreto di espropriazione, tardivo (rispetto al momento di

detta occupazione) ma entro i termini della dichiarazione di p.u. In effetti la decisione n. 383/85 di questa corte, rimasta isolata, ritenne di poter distinguere l'ipotesi in cui l'esecuzione dell'opera

pubblica (determinante l'irreversibile destinazione ad essa del be

ne occupato) si sia verificata quando la p.a. occupante versi an

cora in stato di illiceità da quella in cui invece siano ancora aperti i termini di efficacia della dichiarazione di p.u., sotto il profilo che in tale seconda ipotesi essendo legittima l'occupazione non

vi sarebbe ragione per ritenere che l'esecuzione dell'opera pubbli ca faccia acquisire all'occupante la proprietà del bene quando

può ancora legittimamente intervenire il decreto di espropriazio ne. Il fatto che il procedimento espropriativo sia, per effetto del

la concessione di un lungo termine di efficacia della dichiarazione

di pubblica utilità o in forza di proroghe di tale termine, ancora

aperto cosi da permettere legittimamente l'emissione di un decre

to di espropriazione perché l'opera pubblica prevista è tutt'ora

considerata di utilità pubblica, non significa che non possano ma

turare, nel tempo stesso, altre situazioni di illiceità (e non di me

ra illegittimità) in danno del privato, derivanti non dall'astratta

assoggettabilità ad esproprio del bene di sua proprietà, bensì da

un fatto concreto, quale l'occupazione del bene stesso che, se

protratta oltre il termine di legge, diviene priva di titolo e se se

guita dall'esecuzione dell'opera pubblica (oltre la scadenza del

periodo legittimo di occupazione o comunque a decorrere da tale

momento se legittimamente eseguita prima, quando però il decre

to di esproprio non intervenga nello stesso predetto termine di

legge), con irreversibile destinazione ad essa del bene privato (che a questi non potrà più ormai essere restituito), concreta già in

sé la fattispecie dell'occupazione appropriativa. La tempestività del

decreto di espropriazione deve essere quindi rapportato non a quella del termine di efficacia della dichiarazione del p.u., ma alla vicen

da dell'occupazione, versando la p.a. in situazioni di carenza di

potere espropriativo sia quando manchi (o sia scaduta) la dichiara

zione del p.u., sia quando, pur essendovi tale dichiarazione, sia

stata in concreto violata l'altra regola secondo la quale l'occupa zione d'urgenza non può protrarsi oltre i termini di legge, in quan to preordinata all'espropriazione che deve intervenire al più presto entro la data di scadenza dell'occupazione predetta. Non è possibi le quindi stabilire un'equiparazione tra la situazione per cui l'opera

pubblica venga eseguita entro il termine previsto per l'occupazione

temporanea e d'urgenza e quella in cui invece essa, decorso tale ter

mine, sia eseguita quando sono ancora aperti i termini per la dichia

razione di p.u., necessaria per la legittima pronuncia del decreto di

esproprio: nel primo caso, infatti, l'acquisto (per accessione inver

tita) da parte della p.a. ocupante non avviene in conseguenza del

l'esecuzione (perché ancora legittima) dell'opera pubblica ma al mo

mento in cui la fattispecie diviene illecita, allo scadere dell'occupa zione temporanea senza l'emissione del decreto ablativo; nel secondo

caso, invece, passato il detto momento che segna il passaggio dalla

fase della legittimità a quella dell'illiceità del fatto occupazione, la

fattispecie che ne risulta è per il privato (la cui posizione soggettiva

è all'esame, nei vari momenti in cui essa è esposta all'attività

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3239 PARTE PRIMA 3240

della p.a. espropriarne) quella della perdita definitiva del bene

occupato, non più restituibile a causa dell'esecuzione dell'opera

pubblica con conseguente suo diritto al risarcimento del danno

per equivalente. E l'eventuale perdurare del potere espropriativo in base agli atti del procedimento che era stato regolato secondo

tempi di completamento che non tenevano conto del diverso fat

to acquisitivo della proprietà maturato in precedenza resta evi

dentemente svuotato di ogni significato, per essere privo di causa

(l'acquisizione in proprietà pubblica del bene privato tempora neamente occupato in via d'urgenza) e addirittura di oggetto (il bene da espropriare, già acquistato ex lege a titolo originario, senza necessità del provvedimento amministrativo d'imperio). Ve

rificatosi perciò il trasferimento di proprietà alla p.a. occupante

per effetto della totale trasformazione del fondo con l'esecuzione

dell'opera pubblica, tutti gli atti del procedimento espropriativo in corso, fino al decreto di esproprio, divengono irrilevanti ai

fini dell'assetto proprietario, perché non funzionali allo scopo che

l'atto terminativo del procedimento in questione mira a consegui re, cosicché la (astratta) legittimità di detti atti perché intervenuti in costanza di efficacia della dichiarazione di p.u. resta del tutto

priva di incidenza sulla situazione denunciata dal proprietario del bene occupato, associata nell'illecito, riparabile ormai solo con il risarcimento del danno.

Nel caso in esame, divenuta l'occupazione illegittima (secondo l'accertamento della corte di merito) nel maggio 1975, ed essendo

stata l'opera pubblica eseguita con carattere di irreversibilità, nel

marzo di quello stesso anno, si verificò allo scadere del periodo

legittimo di occupazione il trasferimento dei terreni occupati in

favore dell'A.n.a.s. e nessuna rilevanza potè avere il decreto di

espropriazione del 25 luglio 1978 anche se i termini della dichia

razione di p.u. erano a quella data ancora aperti. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 5 no

vembre 1987, n. 8189; Pres. Granata, Est. Amirante P.M.

Virgilio (conci, conf.); Crestani (Avv. Cossu) c. Brazzale (Aw. De Gasperis). Conferma Trib. Bassano del Grappa 8 luglio 1985.

Lavoro (rapporto) — Licenziamento «ad nutum» — Irrilevanza dei motivi ai fini della qualificazione disciplinare del licenzia mento e della applicazione delle garanzie procedimentali relati ve (Cod. civ., art. 2118, 2119; 1. 15 luglio 1966 n. 604, norme sui licenziamenti disciplinari, art. 1, 3, 4, 8, 10, 11; 1. 20 mag gio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità di

lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei

luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 7, 18, 35).

La recedibilità ad nutum deI datore di lavoro, in dipendenza del livello occupazionale dell'impresa, ne rende irrilevante il moti vo lecito agli effetti della validità del licenziamento e, quindi, anche ai fini della sua qualificazione come disciplinare e della

soggezione alle garanzie procedimentali relative ( di cui all'art. 7 I. n. 300/70, quale si legge dopo la sentenza n. 204/82 della Corte costituzionale). (1)

(1) I. - Chiamate a comporre il contrasto di giurisprudenza — in ordi ne alla nozione («ontologica» o «formalistica») del licenziamento disci plinare soggetto (a seguito di Corte cost. n. 204/82, Foro it., 1982, I, 2981, con osservazioni di G. Silvestri) alle garanzie procedimentali pre viste dall'art. 7 1. n. 300/70 — le sezioni unite (con sentenza n. 4823/87, id., 1987, I, 2032, con nota di M. De Luca) hanno aderito alla tesi «on tologica» e, con altra sentenza resa alla stessa udienza (riportata in epi grafe), hanno negato rilevanza giuridica alla stessa qualificazione come disciplinare — al pari di qualsiasi motivo lecito — del licenziamento, ove questo sia stato intimato da datore di lavoro che, in dipendenza del livello occupazionale dell'impresa, possa recedere ad nutum dal rapporto.

Senonché la questione specifica, che è stata decisa dalla sentenza in epigrafe, aveva occupato, bensì, giurisprudenza di merito e dibattito dot trinario (vedine riferimenti nella nota di richiami a Cass. n. 4823/87, cit.), ma non aveva dato luogo, tuttavia, a contrasti nella giurisprudenza di legittimità, né, peraltro, sembra integrare l'altra ipotesi («questione di massima di particolare importanza») di assegnazione del ricorso alle sezioni unite (ai sensi dell'art. 374, 2° comma, c.p.c.).

Sembra, anzi, supporre l'astratta applicabilità — che viene, invece, ne gata dalla sentenza in epigrafe — di garanzie procedimentali (previste dall'art. 7 1. n. 300/70) a licenziamenti «disciplinari» intimati nell'area

Il Foro Italiano — 1987.

Motivi della decisione. — Con l'unico, complesso motivo del

ricorso, la Crestani, denunciando violazione dell'art. 7 1. 20 mag

gio 1970 n. 300, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., si duole

che il tribunale abbia ritenuto inapplicabili alla fattispecie le nor

me della disposizione suindicata.

La ricorrente sostiene che, allorquando il licenziamento sia sta

to disposto e motivato come reazione al colpevole inadempimen to del lavoratore, esso costituisce la massima espressione del po tere disciplinare, in via generale attribuito al datore dagli art.

2086, 2094, 2104, 2105 e 2106 c.c., e che la Corte costituzionale

ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei primi tre commi del

citato art. 7 «nella parte in cui erano interpretati nel senso che

siano inapplicabili ai licenziamenti disciplinari per i quali detti commi non siano espressamente richiamati dalla normativa legis lativa, collettivamente o validamente posta dal datore di lavoro».

Argomenta la ricorrente che l'essere la pronuncia della corte

intervenuta in procedimenti nei quali era pacifico che nessuna

norma includeva espressamente il licenziamento tra le sanzioni

disciplinari dimostra che la sua efficacia concerne tutti i licenzia

menti i quali, trovando motivo nel comportamento del lavorato

re, hanno di per sé natura disciplinare. Dalla inderogabilità della norma dell'art. 7 cit., consegue, ad

avviso della ricorrente, la nullità del recesso attuato senza le ga ranzie procedimentali prescritte. Né ciò comporta che si sia ri

«residuale» della recedibilità ad nutum (di cui all'art. 2118 c.c.), quella giurisprudenza di legittimità che — solo in difetto del carattere disciplina re — nega l'applicazione di quelle garanzie al recesso ad nutum del dato re di lavoro (vedi Cass. n. 21/86, id., 1986, I, 1352, con nota di richiami, alla quale si rinvia per riferimenti ulteriori, anche, di precedenti conformi sul punto).

Pare, invece, sorretta dalla stessa ratio decidendi della sentenza in epi grafe, altra pronuncia della sezione lavoro (n. 7169/87, inedita) che —

con riferimento però alla diversa (anche se analoga) ipotesi del licenzia mento del dirigente (anch'esso estraneo al campo di applicazione della

disciplina legale limitativa) — nega, appunto, che siano ad esso estensibili le garanzie procedimentali ricordate.

Affatto diversa, infine, è l'impostazione proposta da altre sentenze del la sezione lavoro che — con riferimento al rapporto di lavoro nautico od aeronautico, anch'esso estraneo al campo di «diretta» applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti (sul punto vedi, tuttavia, Cor te cost. n. 96/87, id., 1987, I, 2619, con nota di C. Brusco, proprio in tema di licenziamento) — hanno ritenuto che la preventiva contesta zione dell'addebito e l'audizione a difesa del lavoratore incolpato costi tuisca principio generale dell'ordinamento e, come tale, vada applicato anche al licenziamento disciplinare, intimato nell'ambito di quel rapporto (vedi Cass. n. 5732/86, ibid.; 7320/87, inedita), oppure che dia luogo soltanto a responsabilità contrattuale (ex art. 1218 c.c.) l'inosservanza di analoghe garanzie procedurali imposte dalla contrattazione collettiva (vedi Cass. 3846/87, id., Mass., 646).

II. - La singolare circostanza che la sentenza in epigrafe sia stata pro nunciata al di fuori delle ipotesi di assegnazione del ricorso alle sezioni unite (ai sensi dell'art. 374, 2° comma, c.p.c.), ne rende problematica la «efficacia vincolante», (anche) nei confronti delle sezioni semplici, nel la prospettiva della funzione «nomofilattica» assegnata alla Corte di cas sazione (sulla quale, vedi riferimenti nella nota di M. De Luca a Cass. n. 4823/87, cit., spec. § 1).

Soccorrono, a tale proposito, le osservazioni di A. Vela: «Resta da aggiungere solo che, ferma comunque la libertà del giudizio, la sezione è diversamente astretta dal precedente delle sezioni unite, a seconda che queste si siano pronunciate in una delle due ipotesi sopra formulate (con trasto o questione di particolare importanza) oppure sulla terza (questio ne priva di precedenti o viceversa decisa in senso contrario a precedenti conformi).

«Mi sembra chiaro, infatti, che nelle prime due ipotesi un'eventuale 'ribellione' possa essere giustificata soltanto da una constatata inevitabili tà, posto che, altrimenti, resterebbe vanificata la ratio sottesa all'art. 374, 2° comma, c.p.c.; mentre nell'altra basti un meditato dissenso, in quanto la sentenza delle sezioni unite non si presenta come una funzione tipica di quel collegio, ma ne ripete solo la effettiva autorevolezza» (relazione al seminario in materia di lavoro riservato ai magistrati della Corte di cassazione, Castelgandolfo, 16-17 novembre 1984, in Quaderni de! Consi glio superiore della magistratura, n. 2, giugno 1986).

Lo stesso ed altri temi sono stati discussi nel recente convegno sul tema «Problemi della Cassazione civile ed esperienza della sezione lavoro» (Ro ma, 13-14 novembre 1987), organizzato dal Centro nazionale studi di di ritto del lavoro D. Napoletano e dalla sezione della Corte di cassazione dell'Associazione nazionale magistrati, con relazioni di A. Brancaccio, D. Maltese, V. Denti, V. Sgroi, M. Caristo, A. Proto Pisani, F. Zucconi Galli Fonseca, O. Fanelli, M. Dell'Olio, alcune delle quali saranno pub blicate nel prossimo fascicolo. [ M. De Luca]

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