Sezione I civile; sentenza 14 aprile 1982, n. 2222; Pres. Sandulli, Est. Scanzano, P. M. Leo (concl.conf.); Istituto mobiliare italiano (Avv. Zito, Scialuga) c. Fall. soc. D. C. Servos (Avv. Cersosimo,Marinetti). Conferma Trib. Asti, decr. 5 marzo 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 5 (MAGGIO 1983), pp. 1385/1386-1389/1390Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175526 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
l'imposta risparmiata conseguentemente allo decisione », con ap plicazione di diverse percentuali (di minimo e di massimo) de crescenti per scaglioni di valori crescenti.
In relazione, certamente non è censurabile, sotto il profilo che
qui interessa, l'operato riferimento al valore, in denaro o tradot to in denaro, della pratica, o controversia, alla cui stregua è ad evidenza apprezzata la « importanza dell'opera prestata » cui, enunciando i criteri per la determinazione del compenso del
professionista, fa riguardo l'art. 2233, 2° comma, c. c.: perché
eguale riferimento è fatto dal legislatore per la tariffa dei pro fessionisti legali (art. 3, 5 e 9 1. 13 giugno 1942 n. 794, e
richiami, ivi, delle norme del codice di procedura civile in tema di determinazione del valore della causa).
E parimenti non è censurabile l'adottato criterio di calcolo
dell'onorario mediante variabili percentuali espressamente indica
te, perché ad evidenza analogo rapporto di proporzionalità può essere istituito, con facile calcolo successivo, per ogni compenso in denaro ragguagliato a un valore espresso egualmente in dena
ro, variabile in relazione al variare del valore di riferimento,
quale è appunto il compenso legislativamente previsto per la
categoria dei professionisti legali (art. 19 1. n. 794 del 1942; note ai § III, IV e V della tabella A § li, nn. 37 e 38, della
tabella B, allegate alla medesima legge).
L'assunzione, poi, a valore della controversia, per la deter
minazione dell'onorario del ragioniere, del valore del risultato
utile per il cliente della controversia medesima, anzi che di
quello (peraltro, di norma, maggiore) della pretesa tributaria
contestata — la « domanda » alla quale secondo la previsione dell'art. 9 1. n. 794 del 1942 è fondamentalmente ragguagliato l'onorario dovuto dal cliente al professionista legale — non
comporta, ad evidenza, l'attribuzione in un caso, e non invece
nell'altro, di una quota del bene che forma oggetto della contro
versia, perché comunque sempre a un medesimo bene, per una
sua parte o per la totalità, si ragguaglia la misura dell'onorario.
E del resto, con previsione di indiscussa legittimità, variandosi
rispetto a quella originaria ricordata, le tariffe per i professioni sti legali successivamente emanate (da ultimo quella approvata con d. m. 26 settembre 1979, all'art. 6) fanno anch'esse riferi
mento, per la determinazione dell'onorario dovuto dal cliente al
professionista, al valore del concreto risultato della causa, piut tosto che a quello della domanda, in conformità a quanto è
previsto per la liquidazione dell'onorario a carico della parte soccombente.
Né, infine, può opinarsi che, in base alla tariffa per i ragio
nieri, il diritto del professionista a conseguire compenso di ono
rario per le prestazioni in controversia tributaria sia condizionato
e subordinato all'esito utile per il cliente della controversia me
desima, e che, pertanto, possa restare priva di quel compenso
l'opera prestata in controversia definita sfavorevolmente, senza
quell'utile esito: e invece deve aversi per certo che in tali casi al
ragioniere competano gli « onorari per prestazioni varie di con
cetto » previste dall'art. 15 della medesima tariffa per attività
di seguito non specificamente contemplate, tra le quali appunto
deve indubbiamente ritenersi compreso il patrocinio in contro
versia tributaria sfavorevolmente definita, non contemplato dal
l'art. 38 della tariffa in quanto in esso si ha riguardo all'imposta
risparmiata.
Si che il più elevato onorario in questa norma previsto si
giustifica considerando che per essa si attribuisce al professioni sta una integrazione di compenso per apprezzamento concreto
del vantaggio conseguito dal cliente mercé la sua prestazione, con criterio analogo a quello legislativamente accolto nei riguar di dei professionisti legali (art. 5 1. n. 794 del 1942): e per ciò
sembra più pertinente al caso il riferimento al tradizionale istitu
to del palmario, che ha certo legittima cittadinanza nell'ordina
mento, restando comunque esclusa l'ipotizzata assimilazione al
non consentito patto di quota lite.
Merita appena, in ultimo, rilevare che le concorrenti conside
razioni esposte fanno apparire priva affatto di fondamento la
ravvisata disparità di trattamento tra professionisti legali e ra
gionieri, e non configurabile l'illegittimità della norma di tariffa
in esame per contrasto con il principio di eguaglianza sancito
dall'art. 3 Cost.
In accoglimento quindi, nei termini risultanti dalla premessa
motivazione, che dà sufficiente fondamento alla decisione adotta
ta, consentendo di prescindere da ulteriori deduzioni del primo
mezzo del ricorso sin qui esaminato, la sentenza impugnata, che
dalla disciplina del caso sottoposto ha avuto errata comprensione
pervenendo a ingiusta decisione, deve essere integralmente cassa
ta, con statuizione per cui resta assorbito l'esame del secondo
mezzo, con il quale si censurano sotto diversi profili i criteri
adottati dal giudice del merito per la liquidazione del discusso
onorario, a seguito della affermata inapplicabilità della particola re previsione di tariffa; e la causa va rinviata, per rinnovato
giudizio conforme ai principi identificati ed enunciati, alla Corte
d'appello di Torino.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione 1 civile; sentenza 14 aprile 1982, n. 2222; Pres. Sandulli, Est. Scanzano, P. M. Leo
(conci, conf.); Istituto mobiliare italiano (Avv. Zito, Scia
luca) c. Fall. soc. D. C. Servos (Avv. Cersosimo, Mari
netti). Conferma Trib. Asti, decr. 5 marzo 1981.
Ipoteca — Terzo acquirente del bene ipotecato — Interessi —
Responsabilità — Limiti (Cod. civ., art. 1193, 1194, 2855).
Il terzo acquirente del bene ipotecato non risponde degli interessi
che, ai sensi dell'art. 2855 c. c., devono ritenersi sottratti alla
prelazione perché relativi ad annualità non assistite dalla ga ranzia (nella specie, è stato escluso che il creditore, avendo già realizzato nell'ambito della procedura fallimentare a carico del
debitore quanto era ricompreso nella garanzia ipotecaria, potesse pretendere dal terzo le ulteriori somme relative agli interessi di
annualità non garantite, imputando, ex art. 1193 e 1194 c.c., il pagamento coattivo già conseguito agli interessi esclusivi della
garanzia). (1)
Svolgimento del processo. — La IBI s.p.a., a garanzia di un
finanziamento di lire 730.879.000 accordato alla IB Mei s.p.a. dall'Istituto mobiliare italiano, concesse a quest'ultimo ipoteca su
vari immobili agricoli civili ed industriali siti in comune di Asti.
Una parte di tali immobili venne poi trasferita dalla IB Mei
(che intanto ne era divenuta proprietaria per avere incorporato la IBI) alla s.p.a. D.C. Servos.
Dichiaratosi dal Tribunale di Asti, con distinte sentenze del 6
ottobre 1977, il fallimento della IB Mei e della D.C. Servos,
l'I.M.I, oltre ad insinuare il proprio credito nel fallimento IB
Mei, presentò domanda di ammissione al passivo anche nel
fallimento della s.p.a. D.C. Servos per l'identico credito di lire
952.858.949, per residuo capitale ed interessi dal 1° gennaio 1977, oltre agli ulteriori interessi dalla data del fallimento in
poi, ai sensi degli art. 54 e 55 1. fall, e 2855 c. c., facendo
valore la garanzia cui la detta ultima società era tenuta quale terza acquirente di beni ipotecati. Il giudice delegato ammise il
credito in via di prelazione ipotecaria in conformità della ri
chiesta.
(1) Non constano precedenti specifici in termini. La corte, tuttavia, non ha avuto la benché minima difficoltà ad adattare la soluzione già prescelta da Cass. 30 marzo 1981, n. 1815, Foro it., Rep. 1981, voce
Ipoteca, n. 10 e 3 dicembre 1979, n. 6282, id., Rep. 1980, voce
Fallimento, n. 255, relativamente alla responsabilità del terzo datore
d'ipoteca, alla fattispecie del terzo acquirente. Se si ammette dunque l'operatività dei limiti di cui all'art. 2855
c. c. nei confronti del terzo datore, a fortiori — afferma il collegio — tale limite varrà per l'acquirente dei beni ipotecati, in quanto la sua responsabilità è ancor meno autonoma rispetto a quella del terzo datore, avendo titolo esclusivamente nell'iscrizione del vincolo ipoteca rio (sui limiti della responsabilità del terzo acquirente nel caso di
espropriazione promossa nei suoi confronti, cfr. anche Cass. 9 no vembre 1959, n. 3312, id., Rep. 1961, voce Ipoteca, n. 14; e per il caso di pagamento volontario, Cass. 5 gennaio 1967, n. 47, id., 1967, I, 994).
Sull'applicabilità dei criteri di imputazione ex art. 1193 e 1194 c.c. soltanto ai pagamenti volontari, valendo, per quelli coattivi, le regole legali della graduazione, v., oltre le sentenze già citate, Cass. 2 marzo
1976, n. 688, id., Rep. 1976, voce Obbligazioni in genere, n. 34, nonché 24 agosto 1962, n. 2646, id., Rep. 1962, voce Pagamento nelle
obbligazioni, n. 7. In dottrina, nel senso della limitazione della responsabilità del terzo
alla sola somma iscritta (più gli accessori ex art. 2855), anche se
mipore del credito, v. Rubino, L'ipoteca immobiliare e mobiliare, in
Trattato, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1956, sia nel caso di
espropriazione (p. 427), sia in quello di pagamento integrale (p. 446);
analogamente Gorla, Pegno. Ipoteca, in Commentario, a cura di
Scialoja e Branca, 1963, 391; Tamburrino, Delle ipoteche, in Com
mentario Utet, 1976, libro VI, tomo III, 271; Maiorca, Ipoteca (dir.
civ.), voce del Novissimo digesto, 1963, IX, 100; Degni, Tutela dei
diritti, in Commentario D'Amelio e Finzi, 1943, 763. Non v'è invece unanimità di consensi sull'operatività della limita
zione di responsabilità nel caso assimilabile del terzo datore: favore
vole alla soluzione accolta in giurisprudenza (v. le sentenze sopra
cit.) è Rubino, op. cit., 476; contrario è invece Gorla, op. cit., 391.
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1387 PARTE PRIMA 1388
11 29 aprile 1980 il fallimento IB Mei vendette all'incanto
quegli immobili ipotecati di cui la fallita era rimasta proprieta
ria, con autorizzazione all'aggiudicatario (che ne aveva fatto
richiesta) ad assumere il debito ipotecario verso l'I.M.I ed a
versare a titolo di prezzo la differenza tra il prezzo di aggiudi cazione e l'ammontare del capitale e degli interessi assistiti dal
l'ipoteca, calcolati gli interessi secondo i criteri di cui all'art. 54,
3° comma, 1. fall, e 2855, 2° comma, c.c. Con lettera del 25
giugno 1980 l'I.M.I. espresse il suo consenso al riguardo, dichia
rando di liberare il fallimento per un importo di lire
1.292.430.064.
Effettuatasi il 14 maggio 1980 dal fallimento D.C. Servos
anche la vendita dei residui beni ipotecati (cioè quelli che la
D.C. Servos aveva come sopra acquistato), il curatore presentò il
progetto di ripartizione dell'attivo, che non prevedeva alcuna
attribuzione di somma all'I.M.I. in dipendenza del suo credito
ipotecario: ciò, in quanto era stato estinto nell'ambito del falli
mento della debitrice diretta (la IB Mei), secondo una colloca
zione ed imputazione non modificabile nei confronti della D.C.
Servos, che non era condebitrice solidale ma solo responsabile nei limiti dell'art. 2858 c. c.
Contro il progetto di riparto l'I.M.I. presentò osservazioni, e,
premesso che nell'ambito del fallimento IB Mei esso aveva rice
vuto, ai soli effetti del concorso, soltanto una parte del suo
credito, mentre rimaneva fermo il suo residuo credito (nell'im
porto risultante dopo l'imputazione ai sensi dell'art. 1194 c.c.
delle somme come sopra recevute) chiese che venisse collocato il
proprio credito ipotecario di lire 299.000.000 circa: somma ap
punto risultante dalla sostituzione del criterio d'imputazione di
cui agli art. 54-55 1. fall, e 2855 c.c. (adottato nell'ambito del
fallimento IB Mei, ma secondo l'I.M.I. non vincolante al di
fuori di esso) con il criterio d'imputazione di cui all'art. 1194
(che esso pretendeva di adottare sia nei confronti del debitore
principale dopo il suo ritorno in bonis, sia nei confronti del
terzo acquirente dei beni ipotecati, quale responsabile di tutto il
debito cui il principale obbligato era tenuto secondo il contratto
di finanziamento).
Con decreto del 30 gennaio 1981 il giudice delegato respinse tale assunto e, dopo avere riconosciuto a favore deH'I.M.I. la somma di lire 2.000.000 a titolo di ulteriori interessi maturati tra
la data della vendita dei beni liquidati dal fallimento IB Mei e la data della vendita dei beni acquistati dalla D.C. Servos (e
liquidati dal fallimento di questa), dichiarò esecutivo il progetto di riporto.
Su reclamo proposto dall'I.M.I. ai sensi dell'art. 26 1. fall., il Tribunale di Asti, con decreto del 5 marzo 1981, ha confermato la decisione del giudice delegato.
Quel collegio, premesso che il creditore non può presentare un credito maggiore ed una prelazione più ampia di quelli riconosciutigli in sede di approvazione dello stato passivo, ha osservato che l'acquirente del bene ipotecato è responsaible nei
limiti entro cui l'iscrizione — secondo l'art. 2855 — può essere
effettuata: limiti che, per quanto concerne gli interessi, sono determinati con riferimento a quelli dovuti nella misura conven zionale per le due annate anteriori e per quella in corso alla
data del pignoramento, nonché nella misura legale, a quelli maturati dopo il compimento dell'annata stessa e fino alla data della vendita del bene ipotecato. Ha aggiunto che, siccome il fallimento IB Mei aveva estinto il debito ipotecario verso l'I.M.I.
per capitale e per gli interessi ai quali, secondo le disposizioni citate, si estende la prelazione, la pretesa dell'I.M.I. di ottenere la collocazione di ulteriori interessi in via ipotecaria nel falli
mento D.G. Servos incontrava i limiti inderogabili che quelle disposizioni pongono anche a tutela del terzo acquirente (limiti oltre i quali il credito di ulteriori interessi ha natura chirografa ria). Ha infine osservato che l'imputazione stabilita dal fallimen to IB Mei secondo i criteri di cui agli art. 54 1. fall, e 2855 c. c. era vincolante e non poteva l'I.M.I. modificarla unilateralmente
per pretendere — imputando i pagamenti ricevuti anzitutto agli interessi meno garantiti — ancora interessi collocabili in via
ipotecaria, verso il terzo acquirente.
L'I.M.I. ha impugnato per cassazione sia il decreto del giudice
delegato sia il decreto del tribunale deducendo in ciascuno dei
rispettivi ricorsi un unico motivo illustrato con memoria. Ad
entrambi i ricorsi resiste con controricorso il curatore del falli
mento D.C. Servos.
Motivi della decisione. — I due ricorsi vanno riuniti, attese
l'identità sostanziale di contenuto dei due provvedimenti impu
gnati e la loro eguale riferibilità alla medesima controversia ed
allo stesso processo.
Col ricorso — primo in ordine di tempo — proposto contro il
decreto reso dal giudice delegato sul riparto, l'I.M.I. denuncia
violazione e falsa applicazione degli art. 12 preleggi, 1194, 2808.
2855, 2858-2867 c. c„ 54, 55, 61, 62 e 120 1. fall., nonché
insufficienza e contraddittorietà di motivazione, e sostiene che la
D.C. Servos, quale acquirente di un bene ipotecato, risponde di
tutto il debito dell'obbligata principale IB Mei secondo il contenu
to del contratto di finanziamento da questa concluso e non nei
soli limiti cui è tenuto il fallimento della medesima. Soggiunge che il pagamento ricevuto da esso ricorrente nell'ambito di tale
fallimento copre quella sola parte di credito che ivi, ai fini del
concorso, poteva godere di collocazione ipotecaria; ma il fatto
che quel pagamento sia stato effettuato dagli organi del fallimen
to, anziché dal debitore in bonis, non può avere rilevanza verso
il terzo acquirente, nei cui confronti pertanto il creditore —
eseguita l'imputazione, delle somme percepite, secondo i criteri
dell'art. 1194 c. c. — può pretendere un ulteriore credito (nella
specie, per circa lire 299.000.000) in via ipotecaria.
Nella memoria, poi, chiarisce che i diritti del creditore, benché
compressi, o limitati quanto a possibilità di collocazione nel
l'ambito del fallimento del debitore o soggetti ivi ad un certo
criterio di estinzione conservano, al di fuori di quel fallimento o
verso altri coobbligati, tutta l'ampiezza originaria che deriva dal
relativo titolo, con conseguente possibilità di autonoma imputa zione dei pagamenti ricevuti.
Il ricorso è ammissibile, ma infondato. Va premesso che se
condo la giurisprudenza prevalente (all'epoca della pronunzia
impugnata) il decreto con cui il giudice delegato al fallimento
approva e rende esecutivo il progetto di riparto dell'attivo era
soggetto al reclamo previsto dall'art. 26 1. fall. Alla stregua di
tale giurisprudenza, pertanto, il ricorso per cassazione proposto direttamente contro il decreto del giudice delegato sarebbe i
nammissibile. La questione però va esaminata secondo la norma
tiva che risulta dalla sentenza 23 marzo 1981, n. 42 della Corte
costituzionale (Foro it., 1981, I, 1228), che ha dichiarato illegit timo il citato art. 26 nella parte in cui assoggetta al reclamo,
disciplinato nel modo ivi previsto, i provvedimenti decisori e
messi dal giudice delegato in tema di riparto. Eliminato dall'or
dinamento il reclamo quale rimedio esperibile contro tali prov vedimenti, questi — secondo quanto questa corte ha affermato e chiarito con sentenza 5784 del 3 novembre 1981, (id., 1982, I, 426) — diventano direttamente impugnabili col ricorso per cas
sazione, ai sensi dell'art. Ill Cost. E in tali sensi l'attuale ricorso risulta ammissibile.
Il problema di diritto che il ricorso propone è stato già esaminato da questa corte — ed è stato risolto in senso contra rio alla tesi del ricorrente — con riferimento alla responsabilità del terzo datore d'ipoteca. In proposito essa con sentenza 3 dicembre 1979, n. 6282 (id., Rep. 1980, voce Fallimento, n. 255) ha affermato che quando il medesimo credito sia assistito da
ipoteche concesse dal debitore e da un terzo, il soddisfacimento dell'intero credito garantito, nei limiti di cui all'art. 2855 c. c., attraverso la espropriazione forzata — individuale o concorsuale — in danno del debitore estingue anche l'ipoteca del terzo
datore, alla quale egualmente si applica la disposizione suddetta. Pertanto il creditore non può agire nei confronti del terzo datore di ipoteca per conseguire il pagamento di interessi esclusi dalla prelazione, in quanto relativi ad annualità non assistite dalla
garanzia ipotecaria concessa dal debitore, e ciò neppure attraver so una diversa imputazione del pagamento coattivo, che non è consentita né nei confronti del debitore, né nei confronti del terzo datore d'ipoteca, poiché i criteri d'imputazione di cui agli art. 1193 e 1194 c. c. si aplicano solo ai pagamenti eseguiti volontariamente.
Tale principio è applicabile a fortiori quando venga in discus sione la responsabilità dell'acquirente di una parte dei beni
ipotecati, in quanto la sua posizione, essendo correlata alla me desima unica iscrizione, ha una autonomia certamente minore
rispetto a quella del terzo datore.
Le ragioni che lo presidiano sono condivise dal collegio e non sono scalfite dalle contrarie argomentazioni dell'istituto ricorren te.
È bensì vero che, essendo il fallimento un sistema chiuso, le
operazioni di riparto dell'attivo ad esso relative producono effetti satisfattivi definitisi all'interno del fallimento stesso, lasciando inalterati i residui diritti dei creditori all'esterno di esso: sia nei confronti del fallito tornato in bonis (che per l'art. 120 1. fall, continua ad esser tenuto per la parte non soddisfatta in sede
concorsuale), sia nei confronti dei terzi coobbligati del fallito
(che rimangono perseguibili malgrado la procedura concorsuale
aperta contro quest'ultimo).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
come quella che viene a smentire lo stesso presupposto che nel
primo fallimento ha reso possibile quel pagamento. Pretendere, cioè, di operare unilateralmente una diversa imputazione (preci samente, a crediti cui la garanzia ipotecaria non si estende) significa disconoscere quelle regole (di graduazione), la cui ap plicazione soltanto ha potuto giustificare il pagamento stesso.
Altro è, evidentemente, che nei confronti della IB Mei tornata in bonis l'I.M.I. possa pretendere l'intero credito di interessi, compresi quelli chirografari, cui secondo il titolo contrattuale ha diritto. Ciò infatti gli è consentito (indipendentemente dalla pos sibilità di operare una diversa imputazione delle somme percepite nel fallimento) perché, appunto, nel rapporto tra creditore e de
bitore, isolato dall'ipotesi del concorso, il diritto al soddisfaci mento integrale non incontra limiti.
Il rigetto del ricorso proposto contro il decreto del giudice delegato fa venir meno l'interesse dell'I.M.I. al ricorso contro il decreto del tribunale, proposto solo per denunciare che, alla
stregua della citala sentenza della Corte costituzionale, quel de creto risulta reso nell'ambito di un procedimento illegittimo. Tale secondo ricorso deve pertanto dichiararsi assorbito.
È altrettanto vero che, nel caso di fallimenti distinti di pivi
coobbligati, ciascuna procedura conserva la propria autonomia, con possibilità del creditore di concorrere in ciascuna di esse
sino al totale pagamento del suo credito. Tutto ciò però non
autorizza le conclusioni cui il ricorso perviene.
Conviene anzitutto chiarire — per dissipare l'equivoco che è a
base del ragionamento dell'I.M.l. — che il terzo acquirente del
bene ipotecato non è un coobbligato del debitore che ha conces
so l'ipoteca, ma è solo responsabile dell'obbligazione di questi, nel senso che (v. art. 2858 c. c.), se non preferisce pagare o
rilasciare il bene o liberarlo, è tenuto a subire l'espropriazione del bene medesimo in dipendenza del vincolo reale da cui esso
è affetto. 11 limite entro cui è tenuto a subirla è segnato non già dal titolo contrattuale da cui deriva l'obbligazione del debitore
(titolo che riguarda solo i rapporti tra quest'ultimo ed il credito
re, e non il terzo acquirente, com'è chiaro anche dall'inciso « se
non è personalmente obbligato », contenuto nell'articolo citato), ma dall'iscrizione. È appunto l'iscrizione — nella estensione as
segnatate dalle parti con l'atto costitutivo e nell'espansione pre vista, riguardo agli accessori, dall'art. 2855 c. c. — a determinare
la misura del diritto che in forza dell'ipoteca e con la relativa
prelazione può essere preteso dal creditore, contro chiunque:
cioè, sia verso il debitore che verso il terzo acquirente in
quanto tale. E poiché il limite cosi determinato è inderogabile
(esso derivando dalla natura costitutiva dell'iscrizione e dalla
funzione di questa di esteriorizzare il vincolo reale, a fini di
tutela di terzi che possano acquistare diritti sul bene ipotecato) è ovvia la conclusione che — siccome solo entro quel limite
sussiste la responsabilità del terzo acquirente — allorquando il
creditore abbia conseguito nei confronti del suo obbligato, attra
verso l'esecuzione individuale o collettiva su altri beni rimasti di
sua proprietà ed oggetto della medesima ipoteca, tutto ciò che
per capitale ed interessi ha diritto di ottenere in via ipotecaria in base all'iscrizione, gli effetti di questa rimangono totalmente
esauriti, con conseguente estinzione della garanzia ipotecaria e
liberazione del terzo acquirente dalla relativa responsabilità.
Venendo ora a circoscrivere il discorso alla materia — che è
quella controversa — degli interessi, la corte osserva essere del
tutto privo di rilevanza, per il terzo acquirente, il fatto che il
creditore possa pretenderne, dal suo debitore, altri al di là di
quelli indicati dall'art. 2855 c.c. Ed invero, secondo le considera
zioni svolte, quelli dei quali il terzo acquirente è tenuto a
rispondere, sono soltanto gli interessi che, a tenore della norma
ora indicata, sono collocabili con la prelazione ipotecaria; ed
una volta che essi sono stati soddisfatti attraverso la collocazio
ne sul prezzo dei beni, parimenti ipotecati, espropriati in danno
del debitore, il relativo credito è obiettivamente estinto. E non
vale a rendere possibile una sua reviviscenza l'esercizio della
facoltà attribuita al creditore dall'art. 1194 c.c.
Vorrebbe, appunto, l'I.M.I. realizzare la reviviscenza del credi
to concernente le tre annualità di interessi considerate dalla
norma (e soddisfatte nell'ambito del fallimento del debitore),
imputando le somme correlativamente riscosse ad annualità di
interessi cui non si estende la prelazione ipotecaria per poi fare
valere questa nuovamente nel fallimento del terzo acquirente. Ma il problema dell'imputazione, che in tali sensi potrebbe sembrare fondamentale ai fini dell'esame della tesi del ricorrente,
è, a ben vedere, un falso problema. L'applicabilità delle norme
sull'imputazione dettate dagli art. 1193 e 1194 c.c., presuppone
la possibilità che un dato pagamento possa andare ad estinguere
alternativamente due (o più) entità debitorie. Orbene, nel falli
mento della debitrice IB Mei (ed in genere in ogni esecuzione
in cui la distribuzione del ricavato avviene secondo i principi della graduazione) è proprio questa possibilità che mancava. La
collocazione del credito d'interessi in via ipotecaria importava di
necessità che la somma attribuita, nel riparto, a quel titolo
all'I.M.I. andasse ad estinguere proprio e solo quelle annualità
di interessi cui, secondo l'art. 2855 c. c., si estendano gli effetti
dell'iscrizione ipotecaria, essendo chiaro che sol facendosi valere
tali effetti (e la conseguente prelazione) è stato possibile che
l'I.M.I. ricevesse quell'attribuzione. Ritorna cosi dimostrato che
le norme di cui agli art. 1193 e 1194 c.c. riguardano i pagamen
ti volontari (come già questa corte ha affermato con sentenza
24 agosto 1962, n. 2646, id., Rep. 1962, voce Pagamento
nelle obbligazioni, n. 7), sostituendosi, riguardo ai pagamen
ti ricevuti in sede di esecuzione (tanto più se concorsuale),
le regole della graduazione alle regole dell'imputazione. La pre
tesa dell'I.M.l. che, dopo avere ricevuto nel fallimento del debi
tore IB Mei il pagamento, di cui si tratta, ad un certo titolo,
afferma di non essere più vincolata da questo titolo nell'ambito
del fallimento del terzo acquirente D.C. Servos, è inaccettabile,
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 2 aprile 1982, n. 2022; Pres. U. Miele, Est. Sensale, P. M. Iannelli (conci, conf.); Min. finanze e tesoro (Avv. dello Stato Azzarita) c. Banca commerciale italiana e Soc. Unione zuccheri Italia; Soc. Unione zuccheri Italia (Aw. Clarizia, P. Barile) c. Min. finanze e altri; Banca commerciale italiana (Avv. Ciccotti, Rocchi, Jommi) c. Min. finanze e altri. Dichiara inammissibile ricorso avverso App. Firenze 1" luglio 1980.
Impugnazioni civili in genere — Cause scindibili e inscindibili —
Condebitori solidali vittoriosi — Notifica della sentenza da un condebitore ai creditori soccombenti — Impugnazione propo sta oltre il termine breve nei confronti di altro debitore — Inam missibilità (Cod. civ., art. 1306: cod. proc. civ., art. 326, 331, 332).
La notificazione della sentenza ad istanza del debitore principale vittorioso ai creditori fa decorrere, per questi ultimi, il termine breve d'impugnazione anche nei confronti del fideiussore coob
bligato in solido. (1)
(1) Nel senso che il principio dell'unitarietà del termine d'impugna zione, per il quale la notifica della sentenza, ad istanza di una delle più parti, fa decorrere il termine breve d'impugnazione non solo per chi ha chiesto la notificazione e per il destinatario, ma anche per costoro nei confronti delle altri parti, opera nelle cause inscindibili ed in quelle tra loro dipendenti considerate dall'art. 331 c.p.c. e non anche in quelle scindibili di cui all'art. 332 c. p. c., v. Cass. 20 gennaio 1982, n. 388, Foro it., Mass., 80; 6 aprile 1981, n. 1940, id., Rep. 1981, voce Impugnazioni civili, n. 56; 29 gennaio 1981, n. 700, ibid., n. 54; 29 maggio 1980, n. 3550, id., Rep. 1980. voce cit., n. 33; 14 febbraio 1980, n. 1096, ibid., n. 32; 28 aprile 1979, n. 2490, id., Rep. 1979, voce cit., n. 42; 4 giugno 1979, n. 3158, ibid., n. 43; 9 ottobre 1978, n. 4483, id., Rep. 1978, voce cit., n. 42; 14 dicembre 1978, n. 5970, ibid., n. 46; 19 ottobre 1978, n. 4727, ibid., n. 47; 6 aprile 1978, n. 1589, ibid., n. 48; 20 aprile 1978, n. 1895, ibid., n. 49; 18 dicembre 1978, nn. 6053, 6054, ibid. nn. 51, 52; 13 marzo 1978, n. 1233, ibid., n. 53; 6 luglio 1977, n. 2973, ibid., n. 45; 29
giugno 1977, n. 2797, id., Rep. 1977, voce cit., n. 25; 2 aprile 1977, n. 1255, ibid., n. 29, che ha precisato che il principio non si applica all'ipotesi prevista dall'art. 2055 c.c., di condanna solidale del proprie tario e del conducente del veicolo danneggiante; 20 luglio 1976, n. 2879, id., 1977, I, 1209, con nota di richiami, che ha dichiarato inammissi bile l'appello proposto dal creditore procedente nei confronti dell'ag giudicatario dopo la scadenza del termine breve decorrente dalla notificazione della sentenza ad istanza del debitore esecutato; 9 mag gio 1975, n. 1788, id., Rep. 1975, voce cit., n. 41; 19 ottobre 1974, n. 2950, id., Rep. 1974, voce cit., n. 28; 5 marzo 1973, n. 586, id., Rep. 1973, voce cit., n. 36; 8 luglio 1971, n. 2157, id., Rep. 1972, voce
cit., n. 31; 26 ottobre 1970, n. 2153, id., Rep. 1971, voce cit., n. 49; 4 dicembre 1969, n. 3873, id., Rep. 1970, voce cit., n. 20 bis; 23 dicembre 1968, n. 3812, id., 1969, I, 1232, con nota di G. Salme, Sulla decorrenza dei termini per impugnare nei giudizi con pluralità di parti.
Nel senso che il principio dell'unitarietà del termine d'impugnazione nei giudizi con pluralità di parti opera anche nel caso in cui più
coobbligati siano stati assolti, la sentenza sia notificata ad istanza di
uno solo di essi al comune creditore e questi impugni nei confronti dell'altro condebitore, con la conseguenza che l'impugnazione proposta oltre la decorrenza del termine breve d'impugnazione è inammissibile, v. Cass. 1° giugno 1976, n. 1974, id., Rep. 1976, voce cit., n. 29, la
cui massima giustifica l'estensione del principio in base all'art. 1306
Il Foro Italiano — 1983 — Parte I-89.
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