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sezione I civile; sentenza 14 febbraio 1986, n. 876; Pres. La Torre, Est. Borrè, P. M. Benanti(concl. diff.); Melotti (Avv. Recca) c. Provincia autonoma di Trento (Avv. Lorenzoni). ConfermaPret. Cavalese 22 gennaio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 2827/2828-2829/2830Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180939 .
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2827 PARTE PRIMA 2828
Svolgimento del processo. — Con contratto del 15 dicembre
1971, la s.a.s. Plurinvest diede in locazione alla s.p.a. Drop (successivamente incorporata dalla s.p.a. Standa) un proprio im
mobile sito in Milano adibito ad esercizio commerciale.
Nel febbraio 1973, la Drop cedette alla s.p.a. Zingone con
fezioni l'azienda e, conseguentemente, il contratto di locazione, ai
sensi della 1. 27 gennaio 1963 n. 19.
A sua volta, nell'aprile 1975, la società Zingone cedette
azienda e contratto di locazione alla s.p.a. S.a.t.i.
Insorta controversia tra la locatrice e le due ultime conduttrici
sulla misura del canone, la Plurinvest convenne in giudizio davanti al Pretore di Milano la Standa, la Zingone e la S.a.t.i.
chiedendo la condanna della Standa e della Zingone, in solido, al
pagamento delle differenze di canone dovute per il periodo dal
29 dicembre 1974 al 14 aprile 1975, e la condanna in solido della
Standa, della Zingone e della S.a.t.i. al pagamento delle differen
ze di canone per il periodo successivo al 15 aprile 1975. Il pretore, in relazione a quest'ultima parte della domanda,
rimetteva la causa al Tribunale di Milano perché decidesse sulla
eccezione pregiudiziale della Standa circa l'esistenza di una soli darietà passiva tra la Standa medesima e la S.a.t.i.
Riassunta dalla Plurinvest la causa, il tribunale rigettava la
domanda, diretta ad ottenere il pagamento dei canoni dovuti direttamente dalla Standa, osservando che la cessione del contrat to dalla Zingone alla S.a.t.i. aveva determinato l'estinzione del
l'obbligazione solidale di pagamento facente carico alla Standa in
conseguenza della cessione del contratto operata da quest'ultima a favore della Zingone.
Su impugnazione della Plurinvest, la Corte d'appello di Milano, con sentenza depositata il 9 ottobre 1981, accoglieva il gravame e
condannava la Standa a pagare all'appellante il residuo importo dei canoni per il periodo controverso. I giudici d'appello disat
tendevano l'opinione del tribunale, secondo cui la responsabilità del primo conduttore sussiste, solidalmente col primo cessionario, soltanto in ordine alla prima cessione e non anche in relazione
alle successive cessioni, e ritenevano, invece, che, ai sensi dell'art.
5 1. n. 19 del 1963, la responsabilità solidale del primo conduttore
cedente permane per tutta la durata del rapporto, chiunque sia il
conduttore.
Avverso questa decisione, la Standa ha proposto ricorso per
cassazione, fondato su di un unico motivo. La Plurinvest resiste
con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo del ricorso, la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 5 1. n. 19 del 1963 e sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in tale vizio di legittimità, considerando la
Standa solidalmente tenuta, ai sensi della citata norma, non solo
per le obbligazioni della società Zingone, ma anche per quelle della società S.a.t.i.
A dimostrazione del suo assunto, la ricorrente svolge la
seguente argomentazione. in caso di cessione, il mutamento dei soggetti del rapporto
sinallagmatico (al cedente subentra il cessionario) comporta che
l'obbligazione del primo rispetto ali originaria controparte abbia un titolo nuovo e differente. Si tratta ai obbligazione che nasce
dalla legge la quale pone a carico del cedente un'obbligazione succedanea di adempimento, se e in quanto l'obbligato principale (cessionario) non adempia: infatti, questa è la disciplina dell art.
1408 c.c. e dell'art. 36 1. n. 392 del 1978.
Da questa costruzione, che configura come obbligazione di
garanzia quella che rimane in capo al cedente nei confronti
dell'originario contraente, la ricorrente fa discendere la conse
guenza che l'estinzione dell'obbligazione principale (del cessiona rio verso l'altra parte) determina, in forza delle regole esistenti in
materia di fideiussione, il venir meno di questa obbligazione di
garanzia. Sicché, in relazione al caso di specie, dovrebbe conclu
dersi che, venuta meno, a seguito della seconda cessione (tra
Zingone e S.a.t.i.), la veste di obbligato principale della Zingone verso la Plurinvest, si estinguerebbe l'oobligazione di garanzia
(per le obbligazioni della Zingone) della Standa. A tutto voler
concedere — aggiunge la ricorrente — il suo obbligo, essendo di
garanzia, presuppone l'inutile escussione del debitore principale
(S.a.t.i.) e la sentenza impugnata ila omesso ogni indagine al
riguardo. Il ricorso non è fondato. L'argomentazione della ricorrente si
risolve in una petizione di principio e non in una dimostrazione
perché dà per scontata una premessa cne costituisce, invece, il
demonstrandum.
Infatti, la Standa, prendendo le mosse dalla struttura legislativa della cessione del contratto (art. 1408 c.c.) e dai trattamento che
Il Foro Italiano — 1986.
il codice civile riserva al cedente, afferma, senza dimostrazione, che pari trattamento la 1. n. 19 del 1963 attribuisce a colui che
ceda, insieme all'azienda, il contratto di locazione.
La questione è, invece, proprio quella di valutare la portata di
quest'ultima norma; e la ricorrente sembra finalmente accorgerse ne quando, nella memoria, si riporta a criteri di ragionevolezza
per giustificare le proprie conclusioni.
Orbene l'art. 5 1. n. 19 del 1963 stabilisce che « il conduttore
cedente rimane obbligato in solido con il cessionario dell'azienda
per il pagamento del fitto o per l'osservanza di tutte le
condizioni del contratto ».
Si tratta, dunque, di una norma speciale che disciplina una
particolare fattispecie, per cui il richiamo alle norme generali non
è decisivo. Va puntualizzato, inoltre, che non può applicarsi la
regolamentazione dettata dall'art. 36 1. n. 392/78 perché la
fattispecie si è realizzata prima dell'entrata in vigore di questa
legge. Ciò posto, reputa la corte che il legislatore abbia voluto —
come correttamente ha ritenuto la corte d'appello — dare al
locatore, per bilanciare la sottrazione della facoltà di scegliere la
controparte ovvero di dare, e il che è lo stesso, il suo assenso
alla cessione, una tutela più ampia stabilendo che il conduttore
cedente — cioè il soggetto con il quale egli ha trattato intuitu
personae — è solidalmente tenuto per obbligazioni del cessiona
rio.
Rimane da considerare il caso in cui non vi sia una sola
cessione ma, come nella fattispecie in esame, alla prima ne segua una successiva. L'ipotesi non è disciplinata espressamente dal
legislatore, il quale ha tenuto conto della situazione più semplice,
ma questa corte ritiene che, anche nel caso di più cessioni
successive, il conduttore originario (e primo cedente) sia solidal
mente tenuto con l'ultimo cessionario per le obbligazioni di
costui.
Questa conclusione si basa proprio sulla constatazione, a torto
definita « semplicistica » dalla ricorrente, che mentre il locatore
non può porre in essere alcun rimedio, quando il conduttore cede
il contratto ad un terzo insieme all'azienda; invece, il primo
cedente non può ignorare gli sviluppi della situazione e può
evitare che il suo comportamento metta in moto il meccanismo
dei subentri automatici; sicché appare corretta la conclusione che
costui deve assumere tutte le conseguenti responsabilità. Del
resto, il legislatore prevede espressamente un vincolo solidale, tra
i soggetti coinvolti nella operazione giuridica, mentre la Standa è
costretta, per negare i tipici effetti della solidarietà passiva, a fare
un ragionamento che, come si è visto, non può essere condiviso.
È il caso di rilevare, poi, che la ricorrente invoca, a sostegno
della tesi ad essa favorevole, una situazione di mancanza di
collegamento giuridico tra originario conduttore e ulteriore ces
sionario che, ben più a ragione, può essere richiamata per
giustificare l'esistenza di un obbligo solidale tra i predetti, inteso
come misura di maggior tutela per il locatore. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 feb
braio 1986, n. 876; Pres. La Torre, Est. Borrè, P. M. Benanti
(conci, diff.); Melotti <Avv. Recca) c. Provincia autonoma di
Trento (Aw. Lorenzoni). Conferma Pret. Cavalese 22 gennaio
1982.
Trentino-Alto Adige — Caccia — Riserve istituite nel territorio
della provincia di Trento — Autorizzazione all'esercizio della
caccia — Competenza — Fattispecie (L. reg. Trentino-Alto
Adige 7 settembre 1964 n. 14, norma per la costituzione e la
gestione delle riserve di caccia, art. 2; 1. 27 dicembre 1977
n. 968, principi generali e disposizioni per la protezione e la
tutela della fauna e la disciplina della caccia, art. 1, 7).
Nel territorio della provincia autonoma di Trento la competenza a
concedere l'autorizzazione all'esercizio della caccia spetta alla
Federazione italiana della caccia in quanto concessionaria ex
lege della riserva in cui di diritto è costituito il territorio
regionale; va, pertanto, confermato il rigetto da parte del pretore
dell'opposizione contro l'ingiunzione di pagamento emessa dalla
provincia autonoma di Trento per esercizio della caccia senza
permesso, pur in presenza di provvedimento favorevole emanato
dal presidente della giunta provinciale. (1)
(1) In termini per quanto riguarda la posizione di concessionaria, ex
lege delle situazioni giuridiche soggettive spettanti ai comuni titolari
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — (Omissis). 3. - Con il quarto motivo (sempre senza indicazione specifica delle norme violate) il ricorrente deduce che l'art. 2 1. reg. Trentino-Alto Adige n. 34 del
1964, stabilendo la costituzione del territorio in riserva di diritto, la cui gestione è affidata alle sezioni locali della Federcaccia « nell'interesse dei cacciatori », contrasta con il principio generale dell'ordinamento contenuto nell'art. 1 1. statale 27 dicembre 1977 n. 968, secondo cui « la fauna selvatica italiana costituisce
patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ». Soggiunge comunque il ricorrente che le riserve in questione non si atteggiano come le riserve in
concessione ai sensi dell'art. 43 t.u. n. 1016/39, né, quindi, il
potere del concessionario, nell'accordare i permessi di caccia, si
atteggia come libera facoltà, ma integra, quando ne ricorrano i
presupposti, un atto dovuto (soggetto al controllo del presidente dell'ente provincia, cui, in definitiva, compete realmente il potere autorizzativo), che deve corrispondere all'interesse generale e non
all'interesse settoriale di una organizzazione di cacciatori (Feder
caccia), per giunta privata della personalità giuridica di diritto
pubblico con il d.p.r. 23 dicembre 1978 relativo ai c.d. « enti
inutili ». Insomma, il potere di ammettere o escludere dalla riserva
spetterebbe all'ente pubblico territoriale (nella specie provincia di
Trento), sicché il diniego di permesso da parte della Federcaccia, avutosi nel caso in esame, non esprimerebbe una manifestazione
di pubblica potestà, ma costituirebbe un semplice illecito, come
tale irrilevante ai fini della configurazione dell'infrazione e co
munque superato dal (sovraordinato) provvedimento dell'organo realmente legittimato all'autorizzazione (presdidente della giunta
provinciale). La complessa censura è infondata. In primo luogo va rilevato
che la citata norma della 1. reg. del 1964, pur riferendosi alla
gestione delle riserve « nell'interesse dei cacciatori », non contrasta
con il principio, affermato dall'art. 1 1. statale del 1977, della
tutela della fauna « nell'interesse della comunità nazionale »: né
dal punto di vista formale, perché alle province autonome è
conferita competenza legislativa primaria in materia di caccia e le
connesse attribuzioni amministrative legittimamente implicano la
scelta fra gestione diretta e gestione mediante concessione; né dal
punto di vista sostanziale, in quanto l'interesse generale alla tutela
della fauna ben può essere soddisfatto mediante l'investitura di
categorie settoriali, specialmente quando ciò corrisponda, come
nella specie, ad antica tradizione. Al qual proposito va richiamato
delle concessioni di riserve di caccia della regione Trentino-Alto Adige,
v. Cass. 26 giugno 1972, n. 2188, Foro it., 1972, I, 2803, con nota di
richiami. La disciplina, confermata dalla sentenza in epigrafe,
è ora oggetto di giudizio di costituzionalità, instaurato con sei
ordinanze di Pret. Mezzolombardo 11 luglio 1983, id., Rep. 1984,
voce Trentino-Alto Adige, n. 22, per presunto contrasto con l'art. 18
statuto speciale (in quanto la delega da questo accordata alle sezioni
provinciali della Federcaccia riguardava solo le funzioni amministrative
e non la gestione di un servizio) e con l'art. 15 1. n. 968/77 in
relazione all'art. 18 Cost, (intendendo con questo lo Stato garantire la
presenza di più strutture associative in campo venatorio). Analoga
questione, in riferimento però soltanto all'art. 18 Cost., era stata
dichiarata infondata da Corte cost. 6 luglio 1965, n. 59, id., 1965, I,
1326; mentre con precedente sentenza (anteriore anche all'entrata in
vigore della legge) la corte aveva escluso l'obbligo di iscrizione alla
Federcaccia come presupposto per l'ottenimento della licenza: sent.
26 giugno 1962, n. 69, id., 1962, I, 1226 e 1843, con nota di
Cheli. Circa l'esercizio della caccia nel territorio della provincia di Trento,
v., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 1985, n. 29, id., 1985,
III, 196, con nota di richiami, che ha negato al presidente del
comitato provinciale della caccia di Trento il potere di approvare il
calendario venatorio della provincia consentendo la caccia di alcune
specie di animali protette in base alla legislazione nazionale.
Diversamente invece T.AjR. Friuli-Venezia Giulia 22 marzo 1984, n.
91, ibid., 197, che ha dichiarato la legittimità dei decreti con i quali il
presidente della giunta della regione Friuli-Venezia Giulia determina il
numero degli uccelli catturabili.
La competenza della provincia autonoma di Trento a far rivivere, in
materia di caccia e all'interno del territorio provinciale, mediante
rinvio materiale, disposizioni di leggi nazionali non più in vigore, è
stata da ultimo affermata da Pret. Trento 29 ottobre 1983, id., Rep.
1985, voce Trentino-Alto Adige, n. 123, motivando sulla base della
competenza legislativa esclusiva in materia spettante alla provincia. L'ammissibilità del ricorso contro il calendario venatorio di una
regione, proposto da associazione che ha come fine l'abolizione della
caccia (nella specie trattasi della Lega per l'abolizione della caccia) è
stata da ultimo affermata da T.A.R. Sicilia, sede di Catania, 7 giugno
1985, n. 573, id., 1986, I!II, 312, con nota di R. Ferrara.
Sull'esercizio della caccia v., in dottrina, Hinna Danesi, Sulla natura
giuridica della attività venatoria illecita, in Giur. merito, 1985, 647.
Il Foro Italiano — 1986.
l'art. 7 della legge statale, che, relativamente alla « zona del le Alpi », autorizza norme regionali particolari per « disciplina re la caccia, tenute presenti le consuetudini e le tradizioni locali ».
Va aggiunto che questa corte, con la sentenza n. 2188 del 1972
(Foro it., 1972, I, 2803), ha espressamente stabilito che la
Federcaccia, cui è affidata la gestione delle riserve in questione, non si colloca (come qualsiasi concessionario di riserva) nella
posizione di un mero titolare di diritto di godimento, ma assume
la figura di concessionario ex lege della medesima situazione
spettante al titolare della riserva, cioè all'ente pubblico territoriale.
Il che, se per un verso implica che la Federcaccia, in tale sua
veste di concessionario ex lege, non possa, come il concessionario
di riserva privata, accordare o negare permessi ad libitum,
esprimendo, nel far ciò, una funzione pubblica, appunto per
questo esposta al controllo del presidente della giunta provinciale,
comporta però anche che tale soggetto, proprio per questi caratte
ri pubblicistici, sia titolare del potere autorizzatorio, non surroga bile dal provvedimento, nella specie intervenuto, del rappresentan te dell'ente territoriale, affermativo del diritto di ottenere il
permesso, ma non sostitutivo (specialmente per gli anni successivi
a quello considerato) dell'atto tipico di autorizzazione. A ben
vedere, il tentativo del ricorrente di ridurre a « mero illecito »
(privato) la non conformazione della Federcaccia all'esito del
ricorso proposto dal Melotti si risolve nell'attribuire a tale ente
proprio quella portata meramente privatistica, che invece il Melot
ti stesso, in via di principio, giustamente gli nega, dicendolo
portatore di un munus publicum. Quanto poi all'affermata perdita della personalità giuridica di diritto pubblico da parte della
Federcaccia, si tratta di circostanza che di per sé non esclude la
qualità di concessionario ex lege, con tutte le implicazioni sopra
rilevate, e che comunque, ratione temporis, è irrilevante ai fini del
presente giudizio, essendo posteriore non solo al diniego del
permesso ma anche alla commissione dell'infrazione. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3
febbraio 1986, n. 669; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. O.
Fanelli, P. M. Caristo (conci, conf.); Ditta I.l.o. (Aw.
Ruccia, Picchi) c. Cohn (Avv. Arcieri, Gilioli). Regolamento
preventivo di giurisdizione.
Giurisdizione civile — Convenuto italiano — Giurisdizione italia
na (Disp. sulla legge in generale, art. 16; cod. proc. civ., art. 4).
// cittadino italiano può incondizionatamente essere convenuto
davanti ai giudici del proprio paese, quale che sia la nazionali
tà dell'attore, né può farsi riferimento alla condizione di
reciprocità di cui all'art. 16 disp. sulla legge in generale, in
quanto questa è destinata ad incidere sull'attribuzione o meno
allo straniero dei diritti civili e, quindi, sulla decisione nel
merito del giudice italiano, ma non sulla possibilità per questi di esercitare la propria giurisdizione sullo straniero. (1)
(1) Giurisprudenza costante: Cass. 6 dicembre 1982, n. 6654 (an che se in obiter dictum), Foro it., Rep. 1982, voce Giurisdizio
ne civile, n. 31; 11 aprile 1981, n. 2112, id., Rep. 1983, vo ce cit., n. 20; 12 marzo 1973, n. 669, id., Rep. 1973, voce cit., n.
30, e in Foro pad., 1973, I, 194, con nota critica di A. Pesce, Note minime in tema di giurisdizione; 14 febbraio 1973, n. 455, Foro it.,
Rep. 1973, voce cit., n. 29; Trib. Lodi 30 maggio 1972, id., Rep. 1975, voce cit., n. 44; Cass. 28 marzo 1972, n. 992, id., Rep. 1972, voce cit., n. 20; 13 dicembre 1971, n. 3620, id., 1972, I, 615, con nota di C.M. Barone (trattasi però di fattispecie diversa); Trib. Milano 31
maggio 1971, id., Rep. 1972, voce cit., n. 34; Trib. Bari 29 aprile 1970, id., Rep. 1971, voce cit., n. 14; Cass. 21 marzo 1967, n. 625, id., Rep. 1967, voce Competenza civile, n. 46, e in Riv. dir. internaz., 1968, 573, con nota critica di Citarella; 28 giugno 1966, n. 1680, Foro it., 1967, I,
1629, con nota di richiami.
Rispetto all'interpretazione giurisprudenziale assolutamente costante, va evidenziata in dottrina la posizione critica di A. Pesce, cit. L'a. osserva che, nell'ambito della CEE, la convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, ratificata con 1. 21
giugno 1971 n. 804, ed entrata invigore il 1° febbraio 1973, esclude
quale criterio generale di competenza giurisdizionale la cittadinanza, accogliendo quale criterio generale il domicilio del convenuto (art. 2, 1° comma, convenzione cit.), con il limite di competenze speciali ed esclusive (art. 5 e 16 convenzione), talché potranno verificarsi liti, per le quali il principio della cittadinanza italiana del convenuto sarà inefficace. Segni, Giurisdizione civile, voce del Novissimo digesto, 1965, VII, 1024, nega altresì' la giurisdizione italiana verso il cittadino non
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