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sezione I civile; sentenza 14 febbraio 1986, n. 877; Pres. Scanzano, Est. Di Salvo, P. M. Di Renzo...

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sezione I civile; sentenza 14 febbraio 1986, n. 877; Pres. Scanzano, Est. Di Salvo, P. M. Di Renzo (concl. diff.); Soc. Anti e Casolo (Avv. Mancuso, Carinelli) c. Min. finanze (Avv. dello Stato La Porta). Cassa Comm. trib. centrale 14 aprile 1982, n. 2150 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 6 (GIUGNO 1986), pp. 1561/1562-1563/1564 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180399 . Accessed: 28/06/2014 09:21 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.53 on Sat, 28 Jun 2014 09:21:37 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 14 febbraio 1986, n. 877; Pres. Scanzano, Est. Di Salvo, P. M. Di Renzo(concl. diff.); Soc. Anti e Casolo (Avv. Mancuso, Carinelli) c. Min. finanze (Avv. dello Stato LaPorta). Cassa Comm. trib. centrale 14 aprile 1982, n. 2150Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 6 (GIUGNO 1986), pp. 1561/1562-1563/1564Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180399 .

Accessed: 28/06/2014 09:21

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

può limitarsi all'esame delle clausole relative all'orario di lavoro ed alle prestazioni straordinarie prescindendo da quella che descri ve l'ipotesi di « qualsiasi controversia derivante dall'applicazione e

dall'interpretazione del rapporto di lavoro » e del « contratto » (in ordine al distacco all'estero): controversia espressamente devoluta « alla giurisdizione delle autorità italiane e sottoposta alle leggi italiane in materia».

D'altra parte, il dire, come fa incidentalmente il tribunale, che il regime del lavoro straordinario sarebbe stato affidato dalle parti all'ordinamento straniero, mentre la disciplina delle controversie derivanti dall'applicazione della convenzione sarebbe stata devolu ta alla legge italiana, significa introdurre nell'ambito di un unico

rapporto di lavoro un elemento novativo che contrasta con l'unicità del rapporto medesimo (riconosciuta dallo stesso tribuna

le), nel quale il diritto del lavoratore al compenso per le ore di

lavoro strordinario assume normalmente il carattere di diritto

inderogabile (art. 2108 c.c.). Significa, altresì, attribuire al «di stacco » del lavoratore presso terzi un significato diverso da

quello che gli è proprio; il quale, se, da un lato, è compatibile con la discrezionalità del terzo circa la prestazione del lavoro strordinario e la necessaria modalità di esecuzione, quale mezzo

per far fronte alle esigenze tecnico-organizzative dell'impresa, dall'altro, implica che la prestazione di lavoro presso il terzo

costituisce solo una modificazione del contenuto oggettivo del

rapporto organizzativo, ossia del modo di essere dell'obbligazione fondamentale di prestare la propria nello schema del rapporto di

lavoro che lega il dipendente al proprio datore di lavoro, cioè al

distaccamento (Alitalia). Pertanto, le correlative conseguenze in

ordine alla restribuzione ed al compenso per il lavoro straordina rio vanno, di regola, valutate in relazione all'unico rapporto sinallagmatico in base al quale è stata convenuta la prestazione a favore del terzo, il quale è rimasto estraneo al rapporto tra datore di lavoro e lavoratore.

D'altra parte, l'indagine compiuta dal tribunale per delimitare la volontà delle parti contraenti ha pretermesso il comportamento di queste ultime posteriormente alla conclusione dell'accordo circa il distacco del Baracchini presso la società estera.

Comportamento che, invece, involge, la portata soggettiva del

contratto, ai sensi del 2° comma dell'art. 1362 c.c., e che, nel caso concreto, era stato dedotto; nel senso che, inizialmente il lavoro straordinario sarebbe stato convalidato e pagato dall'Alita

lia sia al Baracchini che ai funzionari di grado più elevato, an

ch'essi distaccati presso la società di navigazione sambiata.

Ne consegue che l'interpretazione data dal tribunale alla con

venzione 1° marzo 1968 non è immune da vizi logici e da errori

giuridici nell'applicazione delle regole di ermeneutica, di cui

agli art. 1362 ss. c.c. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata, rinvian

do ad altro tribunale per il nuovo esame della controversia, la

quale sarà decisa applicando i principi sopra enunciati in tema di

interpretazione dei contratti e dei criteri di collegamento per individuare la legge applicabile alle obbligazioni nascenti dal rap

porto di lavoro.

Qualora sia operante la norma pattizia a favore della legge straniera, quella zambiota, il giudice di rinvio dovrà porsi il

quesito, nello schema dell'art. 31 preleggi e dei precetti costitu zionali nonché in relazione al principio del trattamento più favorevole, se possa avere effetto, nell'opera di un rapporto di

lavoro disciplinato dalla legge italiana, l'ordinamento dello Stato estero (della cui esistenza la parte che su invoca l'applicazione abbia fornito adeguata prova) il quale ritiene non retribuibili le ore di straordinario compiute dal lavoratore (distaccato) presso

un'impresa operante all'estero.

Compenso che, invece, lo stesso lavoratore avrebbe percepito se le prestazioni straordinarie fossero state compiute in Italia presso l'impresa distaccante.

Le argomentazioni esposte sono assorbenti rispetto ai motivi del ricorso incidentale. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 feb

braio 1986, n. 877; Pres. Scanzano, Est. Di Salvo, P. M. Di

Renzo (conci, diff.); Soc. Anti e Casolo (Avv. Mancuso,

Carinelli) c. Min. finanze (Avv. dello Stato La Porta). Cassa

Comm. trib. centrale 14 aprile 1982, n. 2150.

Società e obbligazioni (imposta sulle) — Reddito imponibile —

Partecipazione di società di capitali in società di persone —

Utili ncn percepiti e non iscritti in bilancio — Esclusione —

Il Foro Italiano — 1986.

Prova contraria (D.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, t.u. sulle

imposte dirette, art. 135, 148, 150).

Ai fini dell'imposta sulle società, i redditi derivanti dalla parteci pazione di società di capitali in una società di persone, sono tassabili solo se ed in quanto effettivamente percepiti dalla società partecipante, sicché non possono concorrere a formare il reddito imponibile di quest'ultima gli utili non risultanti nel bilancio della società di capitali, salvo che l'amministrazione

finanziaria non deduca e dimostri (anche con presunzioni) l'inattendibilità delle singole partite. (1)

Svolgimento del processo. — Il II ufficio distrettuale delle

imposte dirette di Milano, a seguito di definizione per concordato di un reddito mobiliare di lire 45.000.000, nei confronti della s.n.c. ing. Lelio Anti e ing. Giuseppe Casolo, elevava a lire

45.000.000, ai fini dell'imposta sulle società, il reddito da parteci pazione, dichiarato in lire 5.700.000 della s.p.a. FINAC (poi ing. Anti e Casolo) quale socia al 95 % della predetta società.

La s.p.a. ing. Anti e Casolo ricorreva alla commissione distret tuale contestando la legittimità dell'accertamento, e sostenendo che dalla partecipazione aveva percepito soltanto la somma di lire 5.700.000 iscritta in bilancio; eccepiva, in particolare, con riferimento all'art. 148 d.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, che, ai fini della percezione degli utili, si doveva fare riferimento solo alla parte effettivamente incassata e non all'intero, potendo la residua parte essere stata destinata a fini diversi.

La commissione tributaria di I grado di Milano accoglieva il 1

(1) I. - La decisione si uniforma all'orientamento costante espresso dalla Cassazione (v., oltre alle sentenze richiamate in motivazione, fra cui sent. 6 aprile 1982, n. 2108, Foro it., 1982, I, 2248, con nota di richiami, le più recenti sent. 21 giugno 1984, n. 3657, id., Rep. 1984, voce Società e obbligazioni (imposta sulle), n. 13, e 21 giugno 1984, n. 3668, ibid., n. 14).

La presente controversia trae origine dalla interpretazione che la Commissione centrale, distaccandosi peraltro dall'orientamento anche per essa consolidato (Comm. trib. centrale 15 febbraio 1985, n. 1506, Comm. trib. centr., 1985, I, 143; 7 giugno 1984, n. 6074, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 15; 24 marzo 1984, n. 2805, ibid., n. 16; 24 febbraio 1984, n. 1826, ibid., n. 17; 13 gennaio 1984, n. 141, ibid., n. 18; 3 ottobre 1983, n. 2603, ibid., n. 20), ed al quale si e di recente conformata la stessa amministrazione finanziaria (v. circ. dir. II.DD. 2/41356 del 19 maggio 1983, in Corriere trib., 1983, 1552), ha dato dell'art. 148 d.p.r. n. 645/58, in materia di determinazione del reddito ai fini dell'imposta sulle società, sostenendo che, per gli utili provenienti dalla partecipazione ad una società di persone, si debba prescindere dalla effettiva percezione, avendo rilevanza, in mancanza di prova contraria fornita dal contribuente, la prescrizione iuris tantum di avvenuta distribuzione pro quota tra i soci degli utili realizzati dalla società partecipata. Tale assunto viene fondato sulla asserita possibilità di applicazione analogica del disposto dell'art. 135 d.p.r. n. 645/58, in materia di imposta complementare. La Cassazione, nel ribadire la necessità di considerare il solo dato materiale dell'effettiva percezione degli utili, conferma e fa proprie le considerazioni già più volte espresse circa la natura di norma speciale dell'art. 135.

In dottrina, in senso contrario, Palatiello, I redditi da partecipa zione di società di capitali in società personale, in Rass. avv. Stato, 1982, I, 385.

II. - È interessante notare che il problema della tassabilità degli utili di partecipazione di società di capitali in società di persone, ormai pacificamente risolto con riferimento al cessato t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 ai fini della imposta sulla società, è stato sollevato in analoghi ter mini con riferimento all'attuale disciplina dell'i.r.p.e.g., contenuta nel d.p.r. 598/73. La norma che viene, in particolare, presa in considera zione è quella dell'art. 5 d.p.r. cit., in relazione all'art. 52, ult. comma, d.p.r. 597/73 sull'i.r.p.e.f.

Non risultano pronunce sull'argomento, ma, per riferimenti, v. Comm. trib. centrale 4 agosto 1982, n. 3908, Comm. trib. centr., 1982, 1, 848; 26 marzo 1983, n. 325, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 16. Traspare da tali decisioni il chiaro avviso della commissione di considerare inapplicabili in materia di i.r.p.e.g. ed alla luce della normativa di cui ai decreti nn. 597 e 598 del 1973, i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza in materia di imposta sulle società.

In dottrina, nel senso che la tassazione degli utili di società di persone, in base alla quota di partecipazione, prevista dalle norme i.r.p.e.f., non si renda applicabile qualora il socio sia una società di capitali, soggetta alla normativa i.r.p.e.g., v. Sacconi, Tassabili ai fini i.r.p.e.g. solo se percepiti gli utili di partecipazione di società di capitali in società di persone, in Bollettino trib., 1983, 1845. In senso contrario, Bonavitacola, Gli utili di partecipazione di società di capitali in società di persone sono tassabili ai fini i.r.p.e.g. se percepiti o se imputati, in Informatore Pirola, 1984, 563; nonché De Salvo, La tassazione degli utili derivanti da partecipazione di società di capitali in società di persone, in Corriere trib., 1984, 103. [L. Mantineo]

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1563 PARTE PRIMA 1564

ricorso della società. La commissione di II grado riformava la

decisione dei primi giudici, osservando che doveva considerarsi

sempre salva per l'amministrazione la facoltà di controllare le

voci di bilancio e le registrazioni effettuando anche induttivamen

te l'integrazione e la correzione delle impostazioni mancanti e

inesatte; riteneva che, poiché dalle scritture della partecipata società in nome collettivo non risultavano accantonamenti o

riserve legali o facoltative, fondatamente l'ufficio aveva dedotto

che il reddito accertato e definito nei confronti della s.n.c. fosse

stato ripartito tra i soci e da questi percepito. Riduceva, peraltro al 95 % di 45.000.000, l'ammontare del reddito nei confronti della

s.p.a., in ragione dell'ammontare della partecipazione alla s.n.c.

La Commissione tributaria centrale, su ricorso della s.p.a. Anti

e Casolo, con decisione del 3 marzo-14 aprile 1982: a) riteneva

infondata la tesi secondo cui, ai sensi dell'art. 148 citato, l'ammi

nistrazione delle finanze non avrebbe alcuna facoltà di rettificare

le impostazioni di bilancio della società partecipante; al contrario

affermava l'esistenza di una presunzione iuris tantum di avvenuta

distribuzione pro-quota ai soci degli utili realizzati dalla società

che poteva essere esclusa solo ove il contribuente avesse dato la

prova della non avvenuta percezione degli utili; b) in fatto

affermava che le prove offerte per superare la presunzione non

erano sufficienti.

Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo, illustrato con memoria, la soc. Anti e Casolo. Resiste con controricorso l'amministrazione delle finanze dello Stato.

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo del ricorso la società Anti e Casolo denunzia violazione degli art. 148, lett. d), 150, 119 d.p.r. n. 645/58 e difetto di motivazione, rilevando che

l'affermazione dell'esistenza di una presunzione di percezione pro quota degli utili della società partecipata, da parte dei soci, contrasta con l'art. 150 del predetto testo unico, per cui incombeva

all'ufficio l'onere di provare l'omessa o inesatta indicazione delle

voci del bilancio e di contestare espressamente tali elementi di

prova nell'atto di accertamento del preteso maggior reddito.

La questione sottoposta all'esame di questa corte di legittimità è stata già risolta in senso favorevole alla tesi della società

ricorrente con varie precedenti pronunce (Cass. 2448/82, Foro it.,

Rep. 1982, voce Società e obbligazioni (imposta), n. 16; 2018/82,

id., 1982, I, 2248; 1836/82, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 10, 20) dalle quali, nonostante le argomentazioni addotte dalla decisione

della Commissione tributaria centrale, non vi è ragione di disco

starsi.

L'art. 148, lett. a), t.u. 645 del 1958 stabilisce che concorrono a

formare reddito soggetto all'imposta sulle società « le somme

percepite a titolo di distribuzione e ripartizione degli utili di

società ed associazioni di ogni tipo » ed il successivo art. 150, 1"

comma, sancisce che il reddito imponibile dei soggetti tassabili in

base al bilancio sono determinati sulla base delle risultanze dei

bilanci. L'art. 135 dello stesso t.u., invece, stabilisce che, ai fini

dell'imposta complementare, i redditi derivanti da partecipazioni in società semplici, in nome collettivo ed in accomandita semplice sono valutati « in misura pari all'ammontare dei redditi netti della società proporzionalmente alla quota per la quale il contri

buente ha diritto di partecipare agli utili della società stessa « mentre i redditi derivanti dalla partecipazione in società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e

cooperative si valutano « in misura pari all'ammontare degli utili a

qualunque titolo e in qualsiasi forma percepiti dal contribuente ». Questa disposizione non ha natura di norma generale alla quale debba ispirarsi l'interpretazione dell'art. 148, perché essa è conte nuta nella disciplina che concerne soltanto l'imposta complemen tare sul reddito delle persone fisiche; ha, quindi, un suo oggetto ben definito che è diverso da quello di cui all'art. 148, sul quale deve essere fondata la decisione della controversia che ha per

oggetto l'imposta sulle società la quale colpisce i redditi delle

persone giuridiche e degli enti tassabili in base a bilancio.

La natura di norma di carattere generale avrebbe potuto essere

riconosciuta dall'art. 135 soltanto se esso fosse stato l'unica norma

regolatrice della definizione di reddito imponibile per entrambe le

imposte, mentre, come si è visto, esiste altra norma (art. 148)

che, in modo specifico, disciplina i redditi assoggettabili alla

imposta sulle società, ignorando la differenza tra redditi prove nienti dalla partecipazione a società di persone e redditi prove nienti dalla partecipazione a società di capitali che è prevista dall'art. 135; l'art. 148, infatti, alla lett. d) prevede congiuntamen te i redditi derivanti da partecipazioni agli utili o associazioni « di ogni tipo », dimostrando in tal modo che, ai fini dell'applica

li, Foro Italiano — 1986.

zione dell'imposta sulle società, è indifferente la natura della so

cietà (di capitali o di persone) dalla quale i redditi derivano.

Pertanto, mentre l'art. 135 attribuisce rilievo al tipo di società

da cui i redditi derivano, l'art. 148 pone l'accento sulla natura

del soggetto percipiente; tale diversità di trattamento trova la

propria giustificazione ove si consideri che all'imposta sulle socie

tà sono soggetti esclusivamente i soggetti tassabili in base al

bilancio (art. 145), cioè i soggetti i cui redditi si determinano

sulla base dei risultati dei bilanci (art. 119 e 150), ed in quanto

siano stati effettivamente percepiti ed iscritti in bilancio.

Pertanto, le diverse espressioni testuali dell'art. 135 e dell'art.

148 sono espressive della volontà del legislatore di dare una

diversa disciplina giuridica alle due distinte fattispecie per cui

l'una non può essere utilizzata per l'interpretazione dell'altra.

Pertanto, poiché l'art. 148 considera tassabili i redditi solo in

quanto « percepiti », cioè in base al principio della « cassa » e

non a quello della « competenza », non può ammettersi, come

ritenuto dalla decisione impugnata, che l'esistenza della presun zione iuris tantum di una effettiva distribuzione pro-quota ai soci

dalla società, sia da escludersi solo nell'ipotesi che il contribuente

dia la prova della non avvenuta percezione degli utili.

11 sistema della legge comporta invece, che mancata l'iscrizione

nel bilancio della società partecipante degli utili derivanti dalla

partecipazione, debba l'amministrazione dimostrare l'effettiva per cezione. Essa amministrazione può invero contestare le singole

partite del bilancio perché esso non costituisce una prova legale assoluta (Cass. 4889/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 35); tale

contestazione, tuttavia, non produce l'effetto di invertire l'onere

della prova, essendo necessario che la contestazione sia fondata

sulla deduzione e sulla dimostrazione di validi elementi circa la

inattendibilità delle singole partite. Tale inattendibilità nel caso in esame avrebbe potuto essere

dimostrata anche sulla base di presunzioni, quali il fatto che gli utili della società partecipata non siano stati da questa portati a

riserva o comunque accantonati e non risultino destinati ad altre

particolari esigenze. Ma sul punto sarebbe stata necessaria ade

guata indagine, sulla base di elementi da fornirsi dall'amministra

zione. Tale indagine è invece del tutto mancata, avendo la

Commissione centrale basato la sua decisione sulla erronea affer

mazione di un'autentica presunzione di percezione degli utili in

parola. La decisione va pertanto cassata, e la controversia va

rinviata alla stessa commissione per nuovo esame sulla base dei

principi su menzionati. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 gennaio 1986, n. 552; Pres. Santosuosso, Est. Lipari, P. M. Nicita

(conci, conf.); Consorzio bonifica Pedemontano Brenta (Avv.

Compagno, Paiusco) c. Roberti ed altri (Aw. Roberto) e

Cavalli ed altri (Avv. Buccisano). Regolamento di competenza avverso Trib. Bassano del Grappa 19 maggio 1984.

Competenza civile — Competenza territoriale nei rapporti di

obbligazione — Contestazione limitata ad alcuni profili — Re

golamento — Inammissibilità — Fattispecie di contributi di bo

nifica (Cod. proc. civ., art. 19, 20, 38, 43).

Deve essere respinto il regolamento di competenza proposto per contestare la competenza territoriale del giudice adito dall'atto

re, ex art. 38, 3" comma, c.p.c., allorché nel primo atto

difensivo di primo grado il ricorrente non abbia assolto all'onere

di contestare sotto tutti i possibili profili la competenza stessa,

limitandosi, nel caso di rapporti di obbligazione, ad eccepire

l'applicabilità del criterio del foro generale e non anche quello dei fori concorrenti ex art. 20 c.p.c. (nella specie, in applica zione di tale principio, è stata riconosciuta regolarmente radica ta la competenza del tribunale adito dagli attori, ai sensi

dell'art. 20 c.p.c., sul presupposto che la controversia fra un

consorzio di bonifica ed i proprietari di immobili, circa la

legittimità delle pretese contributive o la ripetizione dei contri

buti versati, riguardi rapporti di natura obbligatoria). (1)

(1) Trattasi di principio pacifico: v., fra le tante, Cass. 26 ago sto 1985, n. 4538, Foro it., Mass., 842; 19 aprile 1983, n. 2686, id., 1983, I, 1888 (in motivazione); 15 febbraio 1983, n. 1164, id., Rep. 1983, voce Competenza civile, n. 142; 7 febbraio 1983, n. 1018, ibid., n. 143; 1° settembre 1982, n. 4781, id., Rep. 1982, voce cit., n. 132; 8 marzo 1982, n. 1467, id., 1983, I, 172 (in motivazione); 12 dicembre

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