Sezione I civile; sentenza 14 marzo 1961, n. 564; Pres. Lonardo P., Est. Caporaso, P. M.Colonnese (concl. conf.); Società Lloyd adriatico di assicurazioni e riassicurazioni (Avv.Andrioli, De Villa, Tommasini) c. Simoncelli (Avv. Fornario, Pedò)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 4 (1961), pp. 599/600-601/602Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151028 .
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PARTE PRIMA
ma), o trascorso inutilmente il termine concesso per l'espe rimento (art. 193, 2° comma), contro la sentenza dichiara
tiva di fallimento (che consegue alla constatazione sul
l'inutilità di proseguire l'amministrazione controllata, così
come nella ipotesi dell'art. 137 consegue alla risoluzione
del concordato preventivo) può certamente essere pro
posta l'opposizione di cui all'art. 18 ; e da tale constata
zione potrà trarsi conferma della volontà della legge, di predisporre identico sistema per l'ipotesi, strettamente
analoga, di dichiarazione di fallimento conseguente alla
risoluzione del concordato preventivo. Contro la sentenza di cui all'art. 186, quindi, è da rite
nersi proponibile l'opposizione, gravame concesso in via
generale dall'art. 18 contro ogni sentenza che, in camera
di consiglio, dichiari il fallimento. A tale interpretazione si oppone, che, nel caso di cui all'art. 186, un nuovo giu dizio, con le forme ordinarie, sarebbe superfluo, essendo
oggetto del giudizio di opposizione di cui all'art. 18 l'accer
tare se ricorrano i presupposti per la dichiarazione di
fallimento : e cioè la qualità di imprenditore commerciale, e lo stato di insolvenza, ed essendo stati, nel caso con
creto, tali presupposti (che sono necessari, per l'art. 160, anche per l'ammissione al concordato preventivo), accertati
attraverso un giudizio contenzioso, concluso con la sen
tenza di omologazione de] concordato (art. 181), a sua volta
soggetta ai normali mezzi di impugnazione (art. 183). La considerazione è però tutt'altro che decisiva per
ritenere esclusa la facoltà di proporre opposizione. È chiaro,
infatti, che, perchè si dichiari il fallimento del debitore, cui è stato concesso il beneficio del concordato preven
tivo, devono ricorrere (oltre i requisiti personali e lo stato
di insolvenza, che possono ritenersi irrevocabilmente
accertati col passaggio in giudicato della sentenza di
omologazione del concordato) gli estremi perchè la riso
luzione del concordato possa essere pronunziata (e cioè
l'adempimento degli obblighi derivanti dal concordato, o la mancata costituzione delle garanzie promesse, il non
essere trascorso oltre un anno dalla scadenza dell'ultimo
pagamento, ed il non rivestire il concordato preventivo la forma della cessio honorum) ; onde il debitore concor
datario ha il diritto soggettivo di tener fermo il concor
dato, e di evitare la dichiarazione di fallimento, nel caso
che una o più delle suddette condizioni non si siano veri
ficate. Perciò è chiaro che, nel corso del giudicato di oppo sizione, egli avrà interesse a dimostrare, ad esempio, che
non è inadempiente, o che si tratta di concordato me
diante cessione di beni, e non di concordato per garanzia
(è questo appunto l'oggetto della contestazione fra le
parti nell'attuale controversia), e così via : cioè che non
ricorrono gli estremi perchè sia dichiarato il fallimento.
Nè potrebbe opporsi che un identico diritto del debitore a tener fermo il concordato, se non si sono verificati quei fatti che giustificano la risoluzione, sussiste anche nel caso di concordato fallimentare, e pure in tal caso indubbia
mente la legge (art. 137) sottrae a qualsiasi impugnazione la sentenza, pronunziata con giudizio sommario di risolu
zione, troppo differente essendo la situazione nelle due
ipotesi, perchè la disciplina dell'una possa estendersi, senza espressa volontà della legge, all'altra.
La disposizione dell'art. 137 (peraltro criticata sul
piano della opportunità) ha di mira interessi pubblicistici, e cioè la tutela dell'economia generale del Paese, ed a tale
fine vuole costituire una sanzione a carico del concor
datario inadempiente (ed il carattere sanzionatorio, di
natura pubblicistica, si rivela anche per il fatto, che, accer
tata l'inadempienza, il tribunale deve pronunziare la riso
luzione del concordato, anche se i creditori non lo chie
dano, e preferiscano venire ad un accordo con il debitore). Sanzione di per sè certamente grave, perchè sottrae al
debitore la garanzia di un accertamento dell'inadem
pienza in un giudizio a cognizione piena, ma in una
ipotesi, in cui in definitiva il debitore è già stato dichia rato fallito, ed in tale qualità si trova già in uno stato di
minorata capacità ; onde la risoluzione del concordato ha
per effetto solo il chiudere una parentesi aperta nella pro
cedura di fallimento, e far riprender© il corso di quest'ul tima.
Ma infinitamente più grave sarebbe una identica « san zione » applicata all'ipotesi del concordato preventivo, la
cui risoluzione, come si è detto, provoca, per la prima volta, la dichiarazione di fallimento, con le già ricordate conse
guenze di incapacità personale, e penali, per il debitore. Onde non appare affatto strano che quella piena difesa, che
nell'ipotesi di risoluzione del concordato fallimentare la
legge del 1942 ha sottratto al debitore, gli sia invece rico nosciuta nell'ipotesi di risoluzione del concordato preven tivo, e di conseguente dichiarazione di fallimento, con la
facoltà di contestare, attraverso il giudizio di opposizione, la
sussistenza di quegli estremi, di fatto e di diritto, che auto
rizzano la risoluzione del concordato e la dichiarazione di
fallimento. Il generico ed impreciso richiamo all'art. 137, contenuto nell'art. 186 non basta a far ritenere che la legge abbia voluto escludere la possibilità del rimedio dell'oppo sizione, che è concessa al debitore contro ogni sentenza che dichiara il fallimento.
L'art. 186 va, quindi, interpretato nel senso che contro la sentenza che, risolvendo il concordato preventivo, di
chiara il fallimento è ammessa l'opposizione allo stesso
tribunale, nelle forme di cui all'art. 18. Di conseguenza, contro una sentenza del genere, soggetta ad uno speciale mezzo di impugnazione, è inammissibile il ricorso per cassa
zione ; dal momento che (com'è ormai iws receptum) l'art. Ill Cost, ha inteso garantire alle parti quest'ultimo gra vame quale extrema ratio, soltanto nell'ipotesi che una
sentenza non sia in altro modo impugnabile. Poiché l'inammissibilità del ricorso dipende dalla solu
zione di una questione di diritto che in precedenza non si
era mai presentata all'esame di questa Corte suprema, con
corrono giusti motivi per dichiarare totalmente compen sate tra le parti le spese di questo giudizio.
Per questi motivi, dichiara inammissibile, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 14 marzo 1961, n. 564 ; Pres
Lonardo P., Est. Caporaso, P. M. Colonnese (conci,
conf.) ; Società Lloyd adriatico di assicurazioni e rias
sicurazioni (Avv. Andrioli, De Villa, Tommasini) c.
Simoncelli (Avv. Fornario, Pedò).
(Gassa App. Trieste 28 luglio 1959)
Assicurazione (contralto) — Responsabilità civile — '— Pagamento dell'indennità all'assicurato dan«
neggiato — Legittimità — Assunzione di obbligo dell'assicuratore verso il danneggiato — Rileva bilità d'ufficio — Insussistenza — Fattispecie (Cod. civ., art. 1917, 2043, 2767 ; cod. proo. civ., art. 112).
Negata la sussistenza di responsabilità aquiliana, verso il
danneggiato, dell'assicuratore che abbia pagato l'indennità all'assicurato per la, responsabilità civile, prima che questi abbia risarcito il terzo danneggiato, incorre nel vizio di
extrapetizione il giudice che accolga la domanda, rilevando
d'ufficio l'esistenza d'un atto d'assunzione dell'obbligo di risarcimento da parte dell'assicuratore. (1)
L'assicuratore della responsabilità civile può legittimamente
pagare l'indennità all'assicurato danneggiante senza bi
sogno di accertarsi preventivamente che questi abbia ri
sarcito il terzo. (2)
(1-2) La sentenza impugnata, App. Trieste 28 luglio 1959
(Foro it., 1959, I, 1545, con ampia nota di richiami, cui adde, A. Donati, L'assicuratore r. c. che ha pagato all'assicurato e il terzo danneggiato, in Assicurazioni, 1960, II, 56), è stata con fermata sul punto riassunto nella seconda massima mentre è stata cassata, per vizio di extrapetita, laddove aveva affermato l'assunzione di obbligo verso il danneggiato dell'assicuratore che abbia concordato l'ammontare del danno.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La Corte, ecc. — Eiconosce lo stesso resistente e del resto si evince in maniera inequivocabile dall'atto di cita zione in giudizio nonché da quello d'appello, che la domanda
proposta in giudizio era di responsabilità aquiliana del
Lloyd adriatico, per avere pagato l'indennità di cui trat tasi al proprio assicurato, prima che questi avesse risar cito il danno al terzo danneggiato.
La Corte del merito, respinta tale proposizione di causa, ha invece accolto la domanda, avendo di ufficio rilevato la esistenza di un atto di assunzione della obbligazione di
risarcimento del danno da parte dell'Istituto assicuratore.
Del pari di sua iniziativa la Corte ha posto a base della an
zidetta sua tesi il così detto « accordo conservativo sul
danno », interpretandolo e ricostruendone il contenuto, in
dipendentemente da ogni deduzione e richiesta delle parti. L'azione ex art. 2043 cod. civ., di risarcimento del danno
dipendente da illegittimo od imprudente pagamento fatto
dall'Istituto assicuratore al danneggiante assicurato, si è
così trasformata, ope iudicis, in azione di adempimento di
un contratto di espromissione, azione da nessuno mai pro
posta e contratto da nessuno mai dedotto in causa.
Pertanto, nel caso concreto, non vi è stata da parte del
Giudice una semplice sostituzione del titolo giuridico posto a fondamento della domanda, nè soltanto una diversa con
figurazione di diritto del controverso rapporto giuridico, sibbene una vera e propria esorbitanza del giudice dai fatti
e dalle pretese fatte valere in giudizio. Nel che si concreta il vizio di extrapetizione, giusta
mente denunciato dal ricorrente Lloyd adriatico col primo motivo del ricorso principale.
L'accoglimento del quale determina l'assorbimento degli altri, perchè subordinati alla eventuale soluzione negativa della cennata questione di extrapetizione.
Va quindi esaminato il ricorso incidentale del Simon
celli, il quale ripropone la tesi della responsabilità dell'assi
curatore verso il terzo danneggiato, ove egli paghi l'in
dennità all'assicurato-danneggiato, senza preventivamente accertarsi che questi abbia risarcito il danneggiato.
È una tesi codesta che contrasta con la giurisprudenza del Supremo collegio, con la quale è stato ripetutamente af
fermato che, nel contratto di assicurazione per la responsa bilità civile, la obbligazione dell'istituto assicuratore, consi
stente nel pagamento dell'indennizzo, è del tutto autonoma e
distinta da quella del risarcimento del danno dovuto dal
responsabile civile (Cass. 12 marzo 1960, n. 476, Foro it.,
Mass., 108 ; 3 luglio 1957, n. 2585, id., Rep. 1957, voce
Assicurazione (contr.), nn. 73, 74). Nè per l'art. 1917 nè per l'art. 2767 cod. civ. è fatto
obbligo all'assicuratore di pagare, quando non ne sia ri
chiesto dal proprio assicurato, l'indennizzo direttamente
al danneggiato o di accertarsi preventivamente dell'avve
nuto soddisfacimento del credito del danneggiato medesimo.
Pertanto, il versamento dell'indennizzo all'assicurato deve
ritenersi legittimo e non fonte di responsabilità aquiliana dell'istituto assicuratore nei confronti del terzo danneggiato.
Gli inconvenienti ed i possibili casi di frode ipotizzati dal ricorrente Simoncelli possono valere de iure condendo, ma non possono indurre l'interprete a spostarsi dal piano normativo attualmente esistente.
Devesi quindi respingere il ricorso incidentale.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 8 marzo 1961, n. 501 ; Pres.
Vebzì P., Est. Bartolomei, P. M. Colli (conci, conf.) ; Ferrovie dello Stato (Avv. dello Stato Pietrini Pal
lotta) c. Grisafi (Avv. Angelo, Natoli).
(Conferma App. Palermo 8 luglio 1958)
Procedimento in materia eivile — Morte del procu ratore costituito — Interruzione « ipso iure » del
processo — Mancata conoscenza delle parti e del giudice — Irrilevanza (Cod. proc. civ., art. 301).
La morte del procuratore costituito determina ipso iure l'in terruzione del processo, a nulla rilevando che il giudice e le parti abbiano avuto conoscenza dell'evento solo in un momento successivo alla scadenza del termine di sei mesi. (1 )
(1) Consulta, in conformità : Cass. 8 ottobre 1960, n. 2019, Foro it., Mass., 576 ; 3 luglio 1957, n. 2597, id., Rep. 1957, voce Procedimento civile, n. 393 ; 6 giugno 1957, n. 2049, ibid., n. 395 ; App. Palrmo 9 gennaio 1957, ibid., n. 399 ; Oass. 28 aprile 1956, n. 1311, id., Rep. 1956, voce cit., n. 496 ; App. Milano 5 dicembre 1950, id., Rep. 1951, voce cit., ri. 337 ; App. L'Aquila 14 settembre 1950, id., Rep. 1950, voce cit., n. 319. Su diversa fattispecie si è pronunziato Trib. Brescia 12 maggio 1954, id., Rep. 1955, voce cit., n. 456, affermando che il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre dalla data della morte del procuratore e non da quella dell'ordinanza che dichiara l'in terruzione.
In ordine alle conseguenze ohe l'automatica interruzione del procedimento per morte del procuratore ha sugli atti svoltisi successivamente all'evento e nonostante esso e sulla sentenza in cui tali atti culminano, consulta Oass. 8 ottobre 1960, n. 2619, citata sopra.
Divergono invece dalle affermazioni della sentenza che si annota : Cass. 13 giugno 1949, n. 1451 id., 1949, I, 1099 ; App. Roma 3 marzo 1948, id., 1948, I, 814 e Trib. Bergamo 15 luglio 1946, id., Rep. 1948, voce cit., n. 206, ma in base a considera zioni dettate dalle contingenze del periodo di guerra ; affermano infatti che, ove della morte del procuratore non si sia avuta o non possa aversi notizia a causa di eccezionali circostanze, il termine per la riassunzione del processo decorre dal momento in cui la morte del procuratore è dichiarata in udienza e non dal giorno dell'evento. La sentenza del Trib. Bergamo è annotata da Denti, In tema di interruzione del processo per morte del procu ratore, in Corte bresciana, 1948, I, 121.
Per riferimenti, si vedano Cass. 6 dicembre 1956, n. 4370, Foro it., Rep. 1956, voce cit., n. 497 e Cass. 12 gennaio 1954, n. 241, id., Rep. 1954, voce cit., n. 418, per cui l'ipotesi prevista dall'art. 301 cod. proc. civ. non si verifica nel caso che la parte interessata abbia volontariamente provveduto alla sostituzione del procuratore deceduto. Si veda inoltre App. L'Aquila 18 agosto 1949, id., Rep. 1950, voce cit., n. 319 bis, secondo cui l'in terruzione del processo non ha luogo se la morte del procuratore sia avvenuta dopo la rimessione della causa al collegio per la decisione.
È da ricordare la recente sentenza 11 febbraio 1961, n. 299 (retro, 423, con nota di richiami), con la quale la Cassazione ha ritenuto che la stabilità formale del provvedimento d'interru zione deve, nella necessaria fase di riassunzione, essere riesami nata d'ufficio dal giudice.
In dottrina si consultino Andbioli, Commento, IP, pag. 321 e segg. ; Mikelli, Effetti della mancata interruzione del processo a seguito degli eventi previsti dall'art. 301 cod. proc. civ., in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1958, 1039 ; Provenza, In tema di in terruzione del processo per morte del procuratore, in Arch, ri cerche giur., 1957, 987 ; Ingrassia, Le cause d'interruzione del processo riferibili al procuratore, in Riv. dir. proc., 1952, II, 207 ; Jannuzzi, Interruzione del processo per morte del procuratore ed estinzione, in Giur. it., 1951, I, 2, 355 ; Capaccioli, L'interru zione del processo per fatto relativo al procuratore costituito, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1951, 266.
* * *
Emerge dalla motivazione della sentenza riportata che l'avv. Carmelo Lo Cascio, costituitosi all'udienza del 15 gennaio 1957 in sostituzione del precedente difensore degli appellati mancato ai vivi il 24 maggio 1954, aveva eccepito l'estinzione del giudizio, per mancata riassunzione nei sei mesi dal 24 maggio 1954, in tempo successivo alla riassunzione, cui l'Amministrazione ap pellata, a seguito della ordinanza collegiale di interruzione deliberata il 29 marzo 1957, era addivenuta.
Arcades ambo. Mal fece la Corte d'appello di Palermo a disporre, con effetto retroattivo, l'interruzione del giudizio, nel quale gli appellati già si erano spontaneamente costituiti mediante il nuovo procuratore : la interruzione, quale prodromo della riassunzione, è dagli art. 302 e 303 considerata come il rimedio cui deve porsi mano sol se la costituzione per proseguire il giudizio già non fu spontaneamente effettuata.
Ma la difesa dell'appellante non le è stata da meno : ammo nendo l'art. 307, ult. comma, che la estinzione deve essere ecce
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