sezione I civile; sentenza 15 febbraio 1999, n. 1231; Pres. Senofonte, Est. Luccioli, P.M. Frazzini(concl. conf.); Bentivoglio (Avv. Ledda) c. Cera (Avv. Scarnati) e Inps (Avv. De Ritis, Nardi).Cassa App. Roma 22 maggio 1996 e decide nel meritoSource: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 9 (SETTEMBRE 1999), pp. 2577/2578-2581/2582Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193630 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cui tutela è finalizzata la disposizione contenuta nel n. 3 del
l'art. 2598 c.c.
In questa prospettiva va considerata la decisività, nell'ambito
della controversia insorta tra il Corriere della Sera ed il Giorna
le di Sicilia, della questione se l'imitazione pedissequa dell'ini
ziativa promozionale confligga o meno con l'art. 13 del codice
di autodisciplina pubblicitaria: questione che — come risulta
dalla sentenza ora impugnata — il Corriere aveva dedotto sin
nel primo grado del giudizio ed il cui esame è stato totalmente
pretermesso dalla corte d'appello, sebbene avesse costituito og
getto di argomentazione difensiva.
Non risultano, nella giurisprudenza di questa corte, prece denti in tema di rilevanza, ai fini dell'individuazione degli atti di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598, n. 3, c.c., delle
regole del codice di autodisciplina pubblicitaria, cui si è dato vita sin dal 1966 (con vari aggiornamenti successivi): profilo,
questo, esaminato da alcune decisioni dei giudici di merito e
da pur non copiosa dottrina, che ha posto in evidenza come
a tali regole non possa negarsi una funzione integrativa del prin
cipio di correttezza professionale, rilevante agli effetti dell'ap
plicazione dell'art. 2598, n. 3, c.c. In questa sede, non interessa
particolarmente verificare se il codice di autodisciplina pubblici taria abbia o meno natura negoziale, se ponga norme meramen
te deontologiche o giuridiche in senso stretto (per questa secon
da soluzione si sono espressi taluni giudici di merito e lo stesso
Giurì), sì da costituire un vero e proprio ordinamento giuridico, frutto della libertà di autonormazione riconosciuta dall'ordina
mento statuale: il problema non consiste, infatti, nello stabilire
se il codice di autodisciplina pubblicitaria sia stato recepito dal
l'ordinamento generale, con sua immediata applicabilità da parte del giudice, ma nell'utilizzazione delle norme (o regole) quali
parametri di riferimento del principio di correttezza professionale.
Quand'anche si ritenesse che il codice di autodisciplina pub blicitaria contenga mere regole deontologiche, non se ne po trebbe comunque escludere l'incidenza nell'interpretazione ed
applicazione dell'art. 2598, n. 3, c.c.: se per un verso, infatti, la stessa norma, facendo riferimento ai principi di correttezza
professionale, opera sostanzialmente un rinvio anche a parame tri extralegislativi, per altro verso le regole del codice di autodi
sciplina pubblicitaria esprimono, per loro stessa natura e for
mazione, quel «dover essere» dei comportamenti che forma og
getto — come si è visto — della tutela stabilita dal n. 3 dell'art.
2598 c.c. Non solo, ma esse consentono di adeguare il principio di correttezza professionale all'evoluzione delle esigenze dell'at
tività imprenditoriale ed alle sue forme di manifestazione: in
definitiva, al costume eticamente inteso.
Ne deriva che, allo scopo di valutare se l'atto posto in essere
dal Giornale di Sicilia integrasse o meno un'ipotesi di scorret
tezza professionale, la corte palermitana avrebbe dovuto verifi
care l'eventuale violazione dell'art. 13, 1° comma, del codice
di autodisciplina pubblicitaria, a tenore del quale «deve essere
evitata qualsiasi imitazione pubblicitaria servile anche se relati
va a prodotti non concorrenti, specie se idonea a creare confu
sione con altra pubblicità»: trattasi di questione che, espressa mente prospettata dal Corriere della Sera, rivestiva carattere es
senziale per la decisione della controversia.
La società resistente ha sostenuto, al riguardo, che la norma
disciplina soltanto l'attività pubblicitaria e non anche gli incen
tivi promozionali utilizzati dalle imprese editoriali, con la con
seguenza che l'eventuale violazione di essa potrebbe comportare l'inibizione della propaganda pubblicitaria del concorso a pre
mi, non certo della diffusione ed offerta dello stesso gioco. La tesi non può essere condivisa: in via generale, perché la
pubblicità è uno strumento della politica concorrenziale dell'im
presa, che si esprime attraverso messaggi diretti al consumatore
(nel nostro caso, al lettore), onde l'idea promozionale dell'of
ferta di un prodotto omaggio in aggiunta o connessione a quel
lo principale (ai fini che qui interessano, del premio in denaro,
previa estrazione dei biglietti non vincenti della lotteria nazio
nale) può essere un incentivo all'acquisto dello stesso prodotto
principale (nella specie, di un quotidiano) e costituire, quindi,
una forma di pubblicità; in particolare, perché tra le norme
preliminari e generali del codice di autodisciplina v'è quella se
condo cui il termine pubblicità «comprende ogni comunicazio
ne, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni
o servizi quali che siano i mezzi utilizzati».
È fondato, allora, anche il primo motivo del ricorso e la sen
II Foro Italiano — 1999.
tenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice: resta
assorbito, logicamente, il terzo motivo, con il quale si denun
ciano violazione dell'art. 96 c.p.c. e vizio di motivazione, con
riferimento alla condanna al risarcimento dei danni in favore
della soc. Il Giornale di Sicilia editoriale poligrafica. Il giudice di rinvio, designato in diversa sezione della Corte
d'appello di Palermo, procederà a nuovo esame della contro
versia, attenendosi — in particolare — al principio di diritto
secondo cui, nell'apprezzamento delle situazioni concrete rien
tranti nel divieto degli atti di concorrenza posto dall'art. 2598, n. 3, c.c., costituiscono parametri di valutazione della correttez
za professionale le regole contenute nel codice di autodisciplina
pubblicitaria, quali espressione dell'etica professionale e com
merciale, alla cui tutela la norma civilistica è finalizzata.
Con riferimento al caso di specie, quindi, il giudice di rinvio dovrà verificare se, in presenza di una situazione di concorren
zialità ed indipendentemente dalla legittimità dell'utilizzazione
della stessa idea promozionale attuata dal Corriere della Sera, costituisca o meno atto non conforme a correttezza professio nale — perché eventualmente vietato dall'art. 13 del codice di
autodisciplina pubblicitaria — l'applicazione concreta che di ta
le idea ne ha fatto il Giornale di Sicilia, mediante l'imitazione pedissequa delle relative modalità.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 feb
braio 1999, n. 1231; Pres. Senofonte, Est. Luccioli, P.M.
Frazzini (conci, conf.); Bentivoglio (Avv. Ledda) c. Cera
(Avv. Scarnati) e Inps (Avv. De Ritis, Nardi). Cassa App. Roma 22 maggio 1996 e decide nel merito.
Opposizione di terzo — Sentenza — Condebitore solidale —
Improduttività di effetti — Opposizione del coobbligato —
Mancanza di pregiudizio — Inammissibilità (Cod. civ., art.
1306, 2266, 2291, 2293, 2909; cod. proc. civ., art. 384, 404).
Poiché la sentenza resa contro un coobbligato non produce ef
fetto contro gli altri debitori solidali, essa non comporta, in
capo a questi ultimi, pregiudizio idoneo a legittimare la pro
posizione dell'opposizione di terzo (nella specie, è stata di
chiarata inammissibile, per mancanza di pregiudizio idoneo
a legittimare l'impugnazione, l'opposizione di terzo proposta dal socio di società in nome collettivo contro la sentenza di
condanna nei confronti della società, considerata quale cen
tro autonomo di riferimento di situazioni giuridiche sog
gettive). (1)
(1) Non constano precedenti editi sullo specifico tema del rapporto fra società in nome collettivo e socio, in ordine all'ammissibilità del
l'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. In senso parzialmente difforme, ma in tema di società di capitali,
App. Roma 7 gennaio 1994, Foro it., 1994, I, 1186, ha ritenuto che
non ricorrano i presupposti per la proposizione del rimedio ex art. 404
c.p.c. in capo al socio, poiché quest'ultimo non può essere considerato
terzo rispetto alle attività esterne poste in essere dalla società e poiché non (nel caso di specie) è titolare di un diritto autonomo la cui tutela
è incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza pro nunciata tra le stesse parti.
Sui presupposti, richiamati anche nella sentenza che si riporta, neces
sari ai fini dell'esperibilità del rimedio in esame, cfr. Cass. 8 marzo
1995, n. 2722, id., 1996, I, 209. Per un'analisi sulla casistica circa l'applicazione dell'art. 404 c.p.c.,
cfr. Vaccarella-Verde-Di Nanni (a cura di), Commento al codice di
procedura civile, Torino, 1997, sub art. 404.
In dottrina, da ultimo, Trimarchi-Banfi, Considerazioni sull'opposi zione alla sentenza di annullamento proposta dal terzo titolare di posi zione «autonoma ed incompatibile», in Dir. proc. ammin., 1998, 780.
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2579 PARTE PRIMA 2580
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 14 giugno -
25 luglio 1990 la Corte di appello di Roma, in riforma della
sentenza in data 30 dicembre 1987 - 27 gennaio 1988 del Tribu
nale di Roma, condannava la s.n.c. Teknogas di Greco Rosario
& C. a pagare a Giorgio Bentivoglio, a titolo risarcitorio, la
somma di lire 65.192.393, con gli interessi legali, e all'Inps, a
titolo di surrogazione, quella di lire 5.797.027, con gli interessi
legali. Avverso tale sentenza proponeva opposizione di terzo Franco
Cera, già socio della Teknogas s.n.c., sostenendo tra l'altro che
all'epoca dell'illecito aquiliano che aveva dato luogo alla con
danna la società non si era ancora costituita e che la stessa
era poi cessata il 31 luglio 1989, onde la sentenza doveva essere
dichiarata inefficace nei suoi confronti.
Con sentenza del 16 aprile - 22 maggio 1996 la corte d'appel lo dichiarava l'inefficacia della pronuncia opposta nei confronti
del Cera. La corte territoriale riteneva ammissibile l'opposizio ne sul rilievo che il Cera, pur essendo socio e coamministratore
in via disgiunta con il Greco della società, doveva considerarsi
terzo rispetto alla pronuncia in oggetto, atteso che le società
in nome collettivo sono fornite di soggettività piena e possono essere titolari di situazioni giuridiche attive e passive; che non
vi era alcuna prova che il predetto Cera avesse avuto conoscen
za della lite, in quanto la società era stata in giudizio «in perso na del legale rappresentante Rosario Greco», né il predetto ave
va partecipato in alcuna veste ai due gradi del giudizio; che
non era stato neppure dimostrato che la Teknogas s.n.c. fosse
succeduta nei rapporti di cui era titolare l'impresa individuale
Teknogas appartenente al Greco e, in particolare, che vi fosse
stata cessione di azienda; che tuttavia l'opponente era esposto
agli effetti della sentenza, stante la sua responsabilità solidale
ai sensi dell'art. 2291 c.c., ciò che valeva ad integrare il suo
interesse ad opporsi alla decisione.
Quanto al merito, riteneva fondata l'opposizione, essendo
emerso che il fatto illecito lamentato dal Bentivoglio si era veri
ficato in epoca anteriore alla costituzione della società ed era
ascrivibile a titolo di responsabilità extracontrattuale esclusiva
mente al Greco, quale titolare all'epoca della ditta individuale
Teknogas. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
Bentivoglio deducendo tre motivi. Resiste con controricorso il
lustrato con memoria il Cera.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli art. 404 c.p.c., 1306 e 2291 c.c.,
omissione, insufficienza e contraddittorietà di motivazione, si
deduce che avrebbe dovuto rilevarsi l'inammissibilità dell'oppo sizione perché il Cera non poteva considerarsi terzo, in quanto coamministratore in via disgiuntiva della società in nome collet
tivo che si era costituita in giudizio, e quindi oggettivamente
responsabile della gestione della società e della sua condotta
processuale; perché la sentenza in oggetto non era opponibile al debitore solidale, ai sensi del richiamato art. 1306 c.c.; per ché l'uso di una maggiore diligenza da parte del Cera — come
peraltro contraddittoriamente rilevato in altro passaggio della
stessa sentenza — gli avrebbe consentito di far valere le sue
ragioni nel giudizio di primo grado o anche in quello di gravame. Il motivo è fondato, nei limiti che saranno di seguito precisati. Come è noto, condizione primaria per l'ammissibilità dell'op
posizione di terzo è che l'opponente non sia stato parte nel giu dizio definito con la sentenza opposta. La corte d'appello ha
correttamente ravvisato una posizione di terzietà del socio op
ponente, sulla base dell'ormai consolidato indirizzo giurispru denziale che considera le società di persone come soggetti di
diritto, dotati di una pur limitata autonomia patrimoniale, e
quindi di una titolarità di posizioni attive e passive non riferibili
ai soci (Cass. n. 3773 del 1994, Foro it., 1995, I, 233; n. 11956 del 1993, id., Rep. 1993, voce Obbligazioni in genere, n. 58; n. 8191 del 1993, id., 1994, I, 1848; n. 1027 del 1993, id., Rep. 1993, voce Società, nn. 435, 773, 794; n. 3011 del 1992, id.,
Rep. 1992, voce cit., n. 354; n. 3498 del 1989, id., 1990, I,
1617; n. 3797 del 1988, id., Rep. 1988, voce cit., n. 316). Tale
orientamento è peraltro conforme ad una linea evolutiva da tem
po segnata dalla dottrina, che superando l'equazione «persona lità giuridica = soggettività» tende ad estendere a gruppi orga nizzati non personificati la capacità di costituire centri di impu tazione di situazioni negoziali e processuali distinte dalla posizione
Il Foro Italiano — 1999.
delle persone fisiche componenti la compagine sociale, sia nei
confronti dei terzi che degli stessi soci.
È pertanto possibile individuare nella società in nome colletti
vo un soggetto distinto dalla personalità dei soci, quale centro
autonomo di riferimento di situazioni giuridiche ad esso imme
diatamente riconducibili, anche in virtù della capacità negoziale e processuale che l'art. 2266 c.c., applicabile per il richiamo
dell'art. 2293 c.c., attribuisce alla società.
È noto peraltro che la qualità di terzo nel giudizio nel quale è stata emessa la sentenza costituisce presupposto necessario, ma non sufficiente per l'esperibilità del rimedio di cui all'art.
404, 1° comma, c.p.c. Questa Suprema corte ha invero ripetu tamente affermato che il terzo deve essere titolare di un diritto
autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuri dica risultante dalla sentenza emessa inter alios-, ciò vale a dire
che detto diritto non deve dipendere dalla situazione sostanziale
oggetto della pronuncia (v., per tutte, Cass. n. 2722 del 1995,
id., 1996, I, 209; n. 336 del 1990, id., Rep. 1990, voce Opposi zione di terzo, n. 4; n. 1273 del 1989, id., Rep. 1989, voce
Appello civile, n. 14; n. 1026 del 1984, id., Rep. 1984, voce
Opposizione di terzo, n. 4), e che la situazione di diritto accer
tata o costituita dalla sentenza deve importare, nonostante i li
miti del giudicato, un pregiudizio tale da risolversi nella effetti
va soppressione o compressione o limitazione del diritto del quale il terzo stesso si afferma titolare.
È sulla definizione del pregiudizio idoneo ad integrare lo spe cifico interesse dell'opponente che si profilano — anche a causa
della genericità dell'indicazione contenuta nell'art. 404, 1° com
ma, c.p.c. — le maggiori difficoltà all'interprete: nella delicata
opera di composizione dell'apparente antinomia tra l'art. 2909
c.c. — che fissando i limiti soggettivi dell'efficacia del giudicato sembra sanzionare la normale irrilevanza della sentenza per i
terzi estranei al giudizio — e l'art. 404, 1° comma, c.p.c. —
il quale fa espresso riferimento alla sentenza passata in giudica to o comunque esecutiva che «pregiudica» i diritti del terzo —
si tende ad individuare la fonte della legittimazione del terzo
nel pregiudizio di ordine pratico o sostanziale — in quanto tale
concretizzabile in molteplici forme e gradi di intensità —, che
anche in via eventuale egli possa risentire nella propria sfera
giuridica in relazione alla portata effettuale del giudicato o an
che all'efficacia esecutiva della sentenza, così che detta pronun cia si risolva in un ostacolo concreto da rimuovere perché egli
possa esercitare il proprio diritto.
In tal senso si sono espresse le sezioni unite con la sentenza
n. 9674 del 1993 (id., Rep. 1994, voce cit., n. 2), affermando
che l'opposizione di terzo deve considerarsi consentita in ogni
ipotesi in cui la sentenza resa inter alios sia fonte di un pregiu dizio sostanziale per il terzo, il cui diritto, pur distinto ed auto
nomo da quello oggetto della pronuncia passata in giudicato, sia da questa inciso negativamente nella sua consistenza o nel
suo esercizio, e conseguentemente ritenendo che la domanda in
opposizione può anche tendere all'accertamento della posizione
giuridica del terzo a fronte di quella riconosciuta in sentenza
ed essere funzionale allo scopo di elidere gli effetti pregiudizie voli che il giudicato, eventualmente per l'incertezza a cui in con creto dia luogo, determina quanto al contenuto o all'esercizio
di tale diritto.
È evidente il coinvolgimento nell'impostazione della comples sa problematica dei principi da tempo elaborati in dottrina ed in giurisprudenza in ordine alla distinzione tra efficacia diretta
ed efficacia riflessa del giudicato ed all'individuazione dei nessi
esistenti tra rapporti giuridici sostanziali.
Tanto osservato in diritto, ritiene la corte che un pregiudizio nei termini sopra precisati non possa invocare il condebitore
solidale in relazione a sentenza emessa in danno di altro debito
re solidale, atteso che ai sensi dell'art. 1306 c.c. la sentenza
pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori solidali non pro duce alcun effetto contro gli altri coobbligati.
Tale principio, già affermato nella remota sentenza di questa
Suprema corte n. 1879 del 1965 (id., 1966, I, 316), e recepito nella successiva pronuncia n. 1415 del 1972 (id., Rep. 1972, voce cit., n. 3), deve essere in questa sede confermato, per la validità delle ragioni che lo sostengono. Va ricordato al riguar do che l'obbligazione solidale è caratterizzata dalla coesistenza
di rapporti giuridici di debito-credito, tra loro distinti ed auto
nomi, ciascuno intercorrente tra il creditore ed ogni singolo de
bitore solidale, aventi in comune un unico oggetto, così che
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ciascuno può essere chiamato per la totalità e che l'adempimen to da parte di uno degli obbligati libera gli altri. È altresì da
considerare che la sentenza pronunciata nei confronti di uno
dei debitori in solido non legittima di per sé il regresso nei con
fronti di altro debitore solidale, derivando questo, ai sensi del
l'art. 1299 c.c., solo dal pagamento dell'intero debito, e che
d'altro canto il debitore convenuto in sede di regresso può sem
pre opporre tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al
creditore, ossia non solo quelle comuni a tutti i consorti circa
l'esistenza e l'entità del debito, ma anche quelle a lui personali. Come è evidente, la stessa natura e struttura delle obbligazio
ni solidali ed il regime dell'efficacia della sentenza secundum
eventum litis tra debitori e creditori solidali dettato dall'art. 1306
c.c. postulano la possibilità del formarsi di più giudicati contra
stanti in ordine alla medesima obbligazione. La richiamata pronuncia n. 1769 del 1965 (id., Rep. 1966,
voce Tassa sulle successioni e sulle donazioni, n. 102) ha altresì
opportunamente chiarito che non è tale da integrare un pregiu
dizio, nel senso innanzi precisato, il peso di «precedente» che
la pronuncia inter alios potrebbe rivestire nel giudizio di regres
so, attenendo l'eventuale influenza negativa di detta decisione
nel successivo giudizio non ad un diritto, ma ad un mero inte
resse del terzo, privo di un valido collegamento con il giudicato. Tanto rilevato in diritto, e ritenuto che in forza del principio
di incomunicabilità degli effetti sfavorevoli la sentenza emessa
nei confronti della Tecknogas s.n.c. è priva di ogni effetto nei
confronti del Cera, quale socio solidalmente responsabile ai sensi
dell'art. 2291 c.c., deve escludersi la sussistenza in capo al pre detto di un pregiudizio idoneo a legittimare la proposta opposi
zione di terzo.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso restano logicamente
assorbiti.
Sussistendo i presupposti per la decisione nel merito, ai sensi
dell'art. 384 c.p.c., l'opposizione di terzo proposta dal Cera
va dichiarata inammissibile.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 5 feb
braio 1999, n. 26/SU; Pres. Favara, Est. Olla, P.M. Det
tori (conci, conf.); Comune di Avella (Avv. de Beaumont)
c. Ercolino (Avv. Barra). Conferma App. Napoli 12 dicem
bre 1995.
Impugnazioni civili in genere — Sentenza non definitiva — Ap
pello con la definitiva — Parte contumace — Decorrenza del
termine lungo per impugnare — Inammissibilità del gravame
(Cod. proc. civ., art. 292, 326, 327, 340).
Espropriazione per pubblico interesse — Ricostruzione nelle zo
ne terremotate — Occupazione d'urgenza — Aree destinate
all'installazione di insediamenti provvisori — Indennità — Oc
cupazione dopo la scadenza — Risarcimento — Criteri appli
cabili (D.l. 26 novembre 1980 n. 776, interventi urgenti in
favore delle popolazioni colpite dal terremoto del novembre
1980, art. 3; 1. 22 dicembre 1980 n. 874, conversione in legge,
con modificazioni, del d.l. 26 novembre 1980 n. 776, art. 1;
d.l. 28 febbraio 1984 n. 19, proroga dei termini ed accelera
zione delle procedure per l'applicazione della 1. 14 maggio
1981 n. 219, e successive modificazioni, art. 6; 1. 18 aprile
1984 n. 80, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.
28 febbraio 1984 n. 19, art. 1; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, art.
5 bis; 1. 8 agosto 1992 n. 359, conversione in legge, con mo
dificazioni, del d.l. 11 luglio 1992 n. 333; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, misure di razionalizzazione della finanza pubblica, art.
3, comma 65).
Il Foro Italiano — 1999.
È inammissibile l'impugnazione proposta dalla parte rimasta vo
lontariamente contumace nel corso del giudizio di primo gra do nei confronti di sentenza non definitiva contestualmente
all'impugnazione della sentenza definitiva oltre la scadenza
del termine annuale decorrente dalla data di pubblicazione della stessa sentenza non definitiva. (1)
(1) Solo per il contumace c.d. involontario il termine lungo d'impu gnazione inizia a decorrere non già dalla data di pubblicazione della
sentenza, bensì dal giorno della presa di conoscenza del processo (se
successiva): v. Cass. 15 maggio 1990, n. 4196, Foro it., Rep. 1990, voce Impugnazioni civili, n. 42, nonché 18 aprile 1985, n. 2581, id.,
1985, I, 2934, con nota di G. Scarselli. In dottrina, Andrioli, Diritto
processuale civile, Napoli, 1979, 781-784, il quale rileva che l'art. 327, 2° comma, c.p.c. fa parte di un sistema di disposizioni intese ad esime
re da preclusioni e da decadenze parti «incolpevoli», e che solo per il contumace c.d. involontario «la conoscenza del processo definito si sostituisce alla pubblicazione della sentenza nel porre in moto il termine
annuale di decadenza»; G. Verde, Profili del processo civile, Napoli, 1996, 2, 216, e, da ultimo, C. Perago, in G.P. Calif ano-C. Perago, Le impugnazioni civili, in Giurisprudenza sist. dir. proc. civ. diretta da A. Proto Pisani, Torino, 1999, 167. Sull'applicabilità «pur con i
necessari adattamenti» anche al contenzioso tributario della disciplina in questione, v. Cass. 7 agosto 1997, n. 7289, Foro it., Rep. 1997, voce Tributi in genere, n. 1442.
Da ciò la — inevitabile — declaratoria di rigetto del gravame, non
avendo il ricorrente neppure prospettato la sussistenza delle situazioni
legittimanti l'impugnazione tardiva, e da ciò anche la (cospicua) ridu
zione in sede di legittimità dell'ambito della controversia (su cui v. la
nota che segue), in conseguenza del formarsi del giudicato interno.
Da segnalare l'affermazione — sia pure in obiter — della sentenza
in epigrafe in punto di ripartizione dell'onere della prova della mancata
conoscenza del processo e nel senso di addossare la relativa prova (con
traria) all'appellato, soluzione già espressa da Cass. 2 ottobre 1991, n. 10248, id., Rep. 1991, voce Impugnazioni civili, n. 37, ed invece
anche da ultimo disattesa da Cass. 23 dicembre 1997, n. 13012, id.,
Rep. 1997, voce cit., n. 50 (sul punto, v., da ultimo, C. Perago, op. cit., 167 ss., cui adde per ulteriori riferimenti di dottrina la citata nota
di Scarselli a Cass. 2581/85). Le sezioni unite, nel disattendere la tesi sostenuta dal ricorrente della
necessità di notifica alla parte contumace delle sentenze non definitive
eventualmente emesse nel corso del procedimento, ribadiscono — impli citamente — la tesi della tassatività dell'elencazione degli atti i quali, ai sensi dell'art. 292 c.p.c., devono essere notificati al contumace. Per
esaurienti indicazioni, anche di carattere generale, di giurisprudenza e
di dottrina, v. E. Fabiani in nota a Corte cost., ord. 3 giugno 1998, n. 202, Foro it., 1998, I, 2334, la quale ha ritenuto manifestamente in
fondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 183, 1° com
ma, e 292 c.p.c., in riferimento all'art. 24 Cost., nella parte in cui non
prevedono la notificazione al contumace del verbale con il quale il giu dice fissa la prima udienza di trattazione per interrogare liberamente
le parti sui fatti di causa. Sempre a proposito di questioni di costituzio
nalità, Cass. 25 settembre 1997, n. 9402, id., Rep. 1997, voce Contuma
cia civile, n. 1, aveva ritenuto manifestamente infondata analoga ecce
zione con riferimento all'art. 292 c.p.c., nella parte in cui non prevede la notifica al contumace dell'ordinanza ammissiva di prova testimonia
le, «perché dall'espletamento di essa — assunta e valutata dal giudice — non gli deriva nessuna automatica conseguenza negativa, a differen
za invece del tacito riconoscimento della scrittura privata disposto dal
l'art. 215, n. 1, c.p.c., che ha costituito il fondamento della declaratoria di incostituzionalità dell'art. 292 c.p.c. nella parte in cui non prevedeva la notifica al contumace degli atti in cui la scrittura privata veniva indi
cata, ovvero del verbale di udienza attestante la produzione di essa».
Cass. 13 maggio 1998, n. 4814, id., Rep. 1998, voce cit., n. 3, ha
ritenuto che al contumace non debba essere notificato il ricorso ex art.
700 e 669 quater c.p.c., in quanto lo stesso «essendo diretto ad ottenere
un provvedimento strumentale e temporaneo, volto ad assicurare con
funzione cautelare gli effetti della successiva decisione di merito, non
integra una domanda nuova rispetto a quella contenuta nell'atto di ci
tazione». Viceversa, la disposizione di cui all'art. 292 c.p.c. è stata da
ultimo ritenuta applicabile alle comparse contenenti l'appello incidenta
le (Cass. 23 marzo 1998, n. 3078, ibid., n. 5), ed a quelle contenenti
domande riconvenzionali, qualora siano state dirette contro la parte contumace o in qualche modo la coinvolgano (v. Cass. 28 agosto 1997, n. 8160, id., Rep. 1997, voce Procedimento civile, n. 211). V. altresì
Cass. 10 agosto 1996, n. 7436, id., 1997, I, 1917.
In dottrina, nel senso che «per gli eventi che rientrano nell'ordinario
sviluppo del processo non v'è ragione di una particolare tutela del con
tumace (in quanto) la regola fondamentale è che gli atti del processo, siano essi atti di parte o provvedimenti del giudice, non sono soggetti a comunicazione», v. Satta, Commento al codice di procedura civile,
Milano, 1959, II, 1, 376 s., il quale aggiunge che la regola in questione «subisce due eccezioni, oltre quella relativa alla notificazione delle sen
tenze, che non è vera eccezione»; conforme Andrioli, op. cit., 650.
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