sezione I civile; sentenza 15 febbraio 1999, n. 1240; Pres. Graziadei, Est. Macioce, P.M. Ceniccola(concl. conf.); Fall. soc. Silea (Avv. Cannizzaro) c. Soc. Europa 2050. Regolamento di competenzaavverso Trib. Palermo 10 marzo 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1183/1184-1191/1192Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195378 .
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1183 PARTE PRIMA 1184
quest'ultima ammessa al gratuito patrocinio in un giudizio di
separazione giudiziale dal coniuge Giuseppe Urbano, ai sensi
del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3282; che l'anzidetto giudizio di
separazione giudiziale si era trasformato in separazione consen
suale omologata con decreto del tribunale del 29 settembre 1998;
considerato che la normativa richiamata dalla ricorrente (1. n. 217 del 1990) non è applicabile all'assistenza giudiziaria in
esame, perché si riferisce solo al patrocinio prestato in un pro cedimento penale ed alle azioni civili risarcitone derivanti da
illeciti penali; che il patrocinio in esame è regolato dal r.d. 30
dicembre 1923 n. 3282, il quale, all'art. 1, considera un ufficio
onorifico dell'avvocatura la difesa giudiziaria dei poveri ed at
tribuisce al difensore della parte ammessa al beneficio solo il
diritto di ripetere gli onorari, in caso di condanna della con
troparte; considerato altresì che la 1. n. 217 del 1990 non può essere
applicata neppure analogicamente all'assistenza giudiziaria in esa
me proprio perché questa è disciplinata direttamente dalla nor
mativa specifica dianzi richiamata, che, come accennato, consi
dera onorifico il patrocinio a favore dei poveri; che l'eccezione di illegittimità costituzionale degli art. 1 e 12
1. n. 217 del 1990 sollevata dalla ricorrente in relazione agli art. 3 e 36 Cost, non è rilevante proprio perché tale normativa, come già detto, non è applicabile alla fattispecie;
considerato, invece, che deve essere sollevata d'ufficio la que stione della legittimità costituzionale dell'art. 1 d.p.r. 30 dicem
bre 1923 n. 3282 nella parte in cui considera onorifico il patro cinio a favore dei poveri;
che tale questione è rilevante, perché si riferisce proprio alla
norma applicabile alla fattispecie: infatti, qualora dovesse esse
re eliminato l'aggettivo onorifico, potrebbe trovare applicazio ne analogica la stessa 1. n. 217 del 1990, o altra che regola il patrocinio a favore dei poveri in controversie civili;
rilevato che l'art. 1 r.d. cit., nella parte in cui pone a carico
della classe forense l'onere della difesa dei non abbienti, si pone in contrasto con gli art. 2, 3, 10 e 35 Cost, per le ragioni che
seguono:
A) per la violazione dell'art. 2, parte seconda, Cost, in quan to il peso della difesa dei non abbienti non dovrebbe essere so
stenuto da una classe professionale, ma assunto dallo Stato che
è tenuto all'adempimento dei doveri di solidarietà sociale ed
economica;
B) per la violazione dell'art. 3, 1° comma, per disparità di
trattamento in quanto vengono disciplinate in maniera diversa
situazioni sostanzialmente omogenee, senza alcuna ragionevole
giustificazione: infatti, mentre gli avvocati che difendono i po veri nei procedimenti penali sono sempre retribuiti dallo Stato,
quelli che assumono la difesa dei non abbienti nel settore civile
sono retribuiti a carico dello Stato solo in alcune controversie
e più precisamente nelle controversie relative a domande di ri
sarcimento danno da fatti illeciti penali (art. 1 1. n. 217 del
1990), nelle controversie di lavoro (art. 111. 533/73), nei proce dimenti per l'adozione di minori (art. 75 1. n. 184 del 1983), nei procedimenti civili contro lo Stato per il risarcimento dei
danni derivanti dall'operato dei magistrati (art. 15, 2° comma, 1. n. 117 del 1988), ma non anche in tutte le altre controversie
civili, comprese le domande di separazione e divorzio, che sono
assoggettate alla normativa del r.d. n. 3282 del 1923: siffatta
diversità di trattamento non ha alcuna ragionevole spiegazione,
per quanto concerne la posizione dell'avvocato, posto che l'im
pegno è identico e, d'altra parte, non può considerarsi elimina
ta dal fatto che il difensore, in base al regio decreto citato,
può contare sui cosiddetti onorari della vittoria, sia perché su
tali onorari si può fare affidamento solo in caso di condanna
della controparte, sia perché la maggior parte delle cause per le quali viene ora richiesto il gratuito patrocinio, ai sensi del
regio decreto più volte citato, riguarda i procedimenti di sepa razione e divorzio che spesso si concludono con la compensa zione delle spese;
C) per la violazione dell'art. 10, 1° comma, in quanto l'art.
I r.d. cit., nella parte contestata, è in contrasto con la risoluzio
ne del comitato dei ministri del Consiglio d'Europa sull'assi
stenza giudiziaria adottata a Strasburgo il 2 marzo 1978, la quale risoluzione all'art. 5, lett. b), ultima parte, raccomanda una
«remunerazione adeguata al difensore ufficioso»: anche in que sto caso la possibilità di ripetere gli onorari dalla parte avversa
II Foro Italiano — 1999.
non attenua l'iniquità dell'obbligo di fornire una prestazione
professionale tendenzialmente gratuita;
D) per la violazione dell'art. 35, 1° comma, Cost, il quale, secondo la dottrina prevalente e secondo la stessa Corte costitu
zionale, tutela non solo il lavoro subordinato ma anche quello autonomo (Corte cost. n. 42 del 1980, Foro it., 1980, I, 1567;
n. 180 del 1984, id., 1984, I, 2418; n. 880 del 1988, id., 1988, I, 2785), giacché l'art. 1 r.d. cit. impone agli avvocati una pre stazione lavorativa tendenzialmente gratuita, come sopra preci sato e come verificatosi nella fattispecie.
Per questi motivi, il presidente, letto l'art. 23 1. n. 87 del
1953, solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art.
1 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3282, nella parte in cui considera
onorifico il patrocinio a favore dei poveri, per i motivi indicati
nella premessa.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 feb
braio 1999, n. 1240; Pres. Graziadei, Est. Macioce, P.M.
Ceniccola (conci, conf.); Fall. soc. Silea (Aw. Cannizzaro) c. Soc. Europa 2050. Regolamento di competenza avverso Trib.
Palermo 10 marzo 1997.
Fallimento — Credito del fallito — Opposizione a decreto in
giuntivo — Competenza del tribunale fallimentare — Esclu
sione (Cod. proc. civ., art. 645; r.d. 16 marzo 1942 n. 267,
disciplina del fallimento, art. 24, 52, 93).
Il giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto
dal curatore fallimentare per far valere un credito del fallito, in quanto avente ad oggetto diritti di credito che già si trova
vano nel patrimonio del fallito, non appartiene alla compe tenza del tribunale fallimentare ma è soggetto alle normali
regole di attribuzione della competenza. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 21 no
vembre 1998, n. 11787; Pres. Vessia, Est. Vitrone, P.M. Ce
niccola (conci, conf.); Fall. soc. Naj Oleari (Avv. Giacobbe,
Perrone) c. Zerba (Avv. Civitelli). Regolamento di compe tenza avverso Pret. Milano 12 novembre 1996.
Fallimento — Impugnazione di licenziamento — Richieste eco
nomiche — Competenza del tribunale fallimentare (Cod. proc. civ., art. 409, 413; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 24, 52, 93).
La controversia relativa all'impugnativa del licenziamento inti
mato da un imprenditore poi fallito, spetta alla competenza del tribunale fallimentare in virtù del principio della vis at
trattiva, ogni qualvolta il lavoratore chieda oltre che la rein
tegrazione nel posto di lavoro anche il soddisfacimento dei
propri crediti derivanti dall'accertamento dell'illegittimità del
recesso. (2)
(1-3) Gli strumenti informatici attuali consentono all'attento lettore della giurisprudenza di operare una serie di raccordi dai quali sortisco no talora, come nell'esempio rappresentato dalla seconda e dalla terza delle decisioni in rassegna, situazioni grottesche. Lo stesso presidente e lo stesso giudice relatore ed estensore sono autori del clamoroso con trasto giurisprudenziale di cui sono espressione Cass. 5477/98 e 11787/98. Prima di analizzare il contenuto delle decisioni non si può omettere di osservare che le due pronunce si ignorano reciprocamente, posto che
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ill
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 4 giugno
1998, n. 5477; Pres. Vessia, Est. Vitrone, P.M. Ceniccola
(conci, diff.); Epifani c. Fall. soc. 5 Elle (Avv. Sassani, Ro
mano). Regolamento di competenza d'ufficio.
Fallimento — Accertamento del rapporto di lavoro con l'impre sa fallita — Credito conseguente — Competenza del pretore del lavoro (Cod. proc. civ., art. 409, 413; r.d. 16 marzo 1942
n. 267, art. 24, 52, 93).
L'accertamento del rapporto di lavoro con conseguente condanna
del datore di lavoro, fallito nelle more del giudizio, al paga mento delle retribuzioni è di competenza del pretore del lavo
ro e non del tribunale fallimentare in quanto trattasi di con
troversia relativa a diritti soggettivi preesistenti che si trovano
in rapporto di mera occasionalità con il fallimento. (3)
nelle motivazioni si fa richiamo ad altri precedenti, ma non a quelli di cui sono stati partecipi il presidente e l'estensore. Infatti nessun ri chiamo viene fatto neppure ad un'ulteriore decisione sull'argomento, Cass. 8 gennaio 1998, n. 99, Foro it., Mass., 10, nella quale si era
affermato, in linea con Cass. 11787/98, che la vis attractiva del foro fallimentare opera non solo nei confronti di tutte quelle questioni che
comunque investono il fallimento o che da esso restano influenzate, ma anche nei confronti delle domande di mero accertamento, ove diret te a porre in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna.
Premessa la sostanziale incomprensibilità di questo pendolo giurispru denziale (salvo volerlo ascrivere agli altri componenti del collegio), è
opportuno fare chiarezza in tema di limiti della competenza del giudice ordinario e di forza espansiva della vis attractiva del foro fallimentare.
L'art. 52 1. fall, sancisce che «ogni credito deve essere accertato se condo le norme stabilite dagli art. 93 ss.». Pertanto chi assume di esse re creditore del fallito e vuole trasformarsi da creditore concorsuale in creditore concorrente deve presentare domanda di ammissione al pas sivo (Inzitari, Effetti del fallimento per i creditori, in Commentario
Sciaioja-Branca. Legge fallimentare, Bologna-Roma, 1988, 54). È quin di importante sottolineare che la ragione dell'attrazione al foro falli mentare non deriva tanto dal disposto di cui all'art. 24 1. fall, quanto
piuttosto dal fatto che il percorso (rito) giudiziale è a rime obbligate e presuppone la presentazione di una domanda di ammissione al passivo.
Fatte queste premesse, è ovvio che le domande di ammissione al pas sivo siano presentate da coloro che sono divenuti creditori del fallito
prima del fallimento; così se fosse esatta l'affermazione di Cass. 5477/98 la conseguenza sarebbe a dir poco paradossale: poiché l'art. 24 1. fall, non opera per le azioni che già si trovavano nel patrimonio del fallito, la sede dell'accertamento del passivo sarebbe praticamente svuotata di
ogni controversia. Si può forse immaginare che di tanta novità possano essere entusiasti i giudici delegati (che verrebbero privati del contenzio
so che appesantisce il decorso delle procedure), ma certo non il lettore che con fatica aveva sino ad ora cercato di ricostruire un sistema nel
quale uno dei pochi punti fermi era rappresentato da quanto i giudici di legittimità , con peculiare secchezza argomentativa, hanno smentito.
Della piena consapevolezza del decisum è lecito dubitare, visto che i
precedenti richiami in motivazione attengono tutti al problema indicato
nella presente nota sub E). Gli è che il principio per cui la vis attractiva concursus di cui all'art.
24 1. fall, non opera in relazione a diritti preesistenti al fallimento, si
applica quando il titolare del credito è il fallito, come ha affermato Cass. 1240/99, non quando il creditore è il soggetto in bonis, posto che in questo caso la devoluzione della controversia al foro fallimentare
discende direttamente ed inequivocabilmente dal combinato disposto di
cui all'art. 52 e 93 1. fall. Sulla distinzione fra rito e competenza, Vel
lani, Competenza per attrazione' e fallimento, Padova, 1996, 16; Aba
te, Organi, in AA.VV., Diritto fallimentare, Milano, 1996, 368; Bozza
Schiavon, L'accertamento dei crediti nel fallimento e le cause di prela zione, Milano, 1992, 159; Fabiani, L'esclusività deI rito dell'accerta
mento del passivo, in Fallimento, 1990, 899; Pajardi, Manuale di dirit
to fallimentare, Milano, 1986, 204. In giurisprudenza, si trova traccia
della distinzione quando si afferma che, qualora una pretesa creditoria
venga fatta valere davanti al tribunale in sede ordinaria nei confronti
del curatore del fallimento dell'obbligato e il tribunale dichiari impro cedibile la domanda in quanto da introdursi in sede concorsuale nelle
forme dell'accertamento del passivo, la relativa pronuncia, ancorché
formalmente espressa in termini di declinatoria di competenza del giu dice adito in favore del giudice fallimentare, non integra nella sua so
stanza una statuizione sulla competenza, ma soltanto una statuizione
sul rito che la parte deve seguire, ed è pertanto impugnabile con l'ap
pello, quale strumento per la deducibilità dell'eventuale error in proce dendo e non con il regolamento di competenza (Cass. 1° agosto 1997, n. 7154, Foro it., Rep. 1997, voce Competenza civile, n. 189; 25 marzo
1997, n. 2619, ibid., n. 190; 23 gennaio 1997, n. 702, ibid., n. 191;
Il Foro Italiano — 1999.
I
Svolgimento del processo. — Il presidente del Tribunale di
Palermo, con decreto 12 giugno 1995 ingiungeva alla soc. Euro
pa 2050 di pagare all'istante curatela del fallimento della soc.
Silea la somma di lire 118.632.800 pari all'importo di un finan
ziamento erogato in forza del contratto 1° aprile 1994 ed a quello
degli interessi convenzionali maturati. Si opponeva la soc. Eu
ropa 2050, con citazione del 28 luglio 1995, eccependo prelimi narmente la nullità del decreto per la incompetenza territoriale
del giudice palermitano posto che l'art. 10 del contratto indica
va nel Tribunale di Roma il giudice competente a conoscere
delle controversie nascenti dal contratto e dal rapporto. Si co
stituiva l'opposta curatela deducendo, al proposito, l'inderoga bilità della vis attractiva esercitata dal foro fallimentare in base
all'art. 24 1. fall., tale da invalidare e rendere inefficaci le dif
formi pattuizioni contrattuali. Rimessa dal giudice istruttore la
6 dicembre 1989, n. 5401, id., Rep. 1990, voce cit., n. 153; 8 agosto 1989, n. 3634, id., Rep. 1989, voce cit., n. 117).
Si tratta allora di rimettere ordine nelle questioni. A) Tutti i crediti vantati nei confronti del fallito debbono essere esa
minati in sede concorsuale a meno che il creditore non intenda ottenere un titolo da far valere in epoca postconcorsuale (Cass. 1° ottobre 1994, n. 7993, id., Rep. 1995, voce Fallimento, n. 367; 30 agosto 1994, n.
7583, id., Rep. 1994, voce cit., n. 376; 23 novembre 1990, n. 11319, id., Rep. 1991, voce cit., n. 306; 18 gennaio 1988, n. 317, id., Rep. 1988, voce cit., n. 269). In dottrina, sul principio di esclusività dell'ac certamento del passivo, Giorgetti, Gli accertamenti incidentali nella decisione sul passivo fallimentare, id., 1998, I, 1268; De Ferra, Ma nuale di diritto fallimentare, Milano, 1998, 128; Fabiani, Decreto di esecutorietà dello stato passivo e accertamento negativo del credito, in
Fallimento, 1997, 1087; Vassalli, Diritto fallimentare, Torino, 1994, I, 314; Pellegrino, L'accertamento del passivo nelle procedure concor
suali, Padova, 1992, 59; Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1990, 108; Fabiani, L'esclusività del rito dell'accertamento del passivo, cit., 899;
Russo, L'accertamento del passivo nel fallimento, Milano, 1988, 95; Bozza-Schiavon, L'accertamento dei crediti nel fallimento e le cause di prelazione, cit., 164. Per una ricostruzione unitaria del procedimento ordinario e di quello necessario concorsuale, Montanari, Fallimento e giudizi pendenti sui crediti, Padova, 1991, 268 ss.
B) Le azioni di mero accertamento se strumentali e prodromiche al l'ammissione al passivo debbono, esse pure, venire radicate in sede con corsuale (oltre a Cass. 99/98, cit., cfr. Cass. 24 gennaio 1996, n. 532, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 290; 18 ottobre 1991, n. 11038, id.,
Rep. 1992, voce cit., n. 356; 4 giugno 1986, n. 3740, id., 1986, I, 2466; Trib. Monza 7 novembre 1995, id., Rep. 1996, voce cit., n. 299; Trib.
Bologna 16 gennaio 1995, id., Rep. 1997, voce cit., n. 389; App. Lecce
30 dicembre 1992, ibid., n. 331; Trib. Verona 26 febbraio 1987, id.,
1989, I, 1990, con nota di richiami). In dottrina, Russo, L'accertamen to del passivo nel fallimento, cit., 138; Bozza-Schiavon, L'accertamen to dei crediti nel fallimento e le cause di prelazione, cit., 186; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, cit., 329; contra, Pellegrino, L'accer
tamento del passivo, cit., 144). C) Le controversie di lavoro non si sottraggono a questa regola (Cass.
28 novembre 1994, n. 10114, Foro it., Rep. 1995, voce Liquidazione coatta amministrativa, n. 27; 4 luglio 1991, n. 7361, id., Rep. 1992, voce Fallimento, n. 290; in senso difforme, però, Corte cost. 7 luglio 1988, n. 778, id., 1989, I, 367, secondo la quale è ammissibile un giudi zio di accertamento al di fuori del procedimento concorsuale). In dot
trina, in questo senso, Lo Cascio, Ancora sull'accertamento dei crediti
di lavoro subordinato nel fallimento: mutamenti interpretativi della Corte
suprema, in Giust. civ., 1998, I, 2800; Melladò, Fallimento e rapporto di lavoro subordinato, in Le procedure concorsuali. Il fallimento, trat
tato diretto da G. Ragusa Maggiore e C. Costa, Torino, 1997, II,
381; Bonfatti, L'accertamento del passivo e dei diritti mobiliari, ibid.,
Ili, 170; Caiafa, I rapporti di lavoro e le procedure concorsuali, Pado
va, 1994, 94; Manferoce, Tribunale fallimentare e giudice del lavoro:
suddivisione di competenze in pericolo, soprattutto in relazione alle do
mande di accertamento del rapporto di lavoro, in Fallimento, 1990,
213; Macchia, Azione di mero accertamento sul rapporto di lavoro
e competenza del tribunale fallimentare, id., 1988, 747; Garbagnati, Accertamento del passivo fallimentare e crediti di lavoro, in Riv. dir.
proc., 1986, 20; Pellegrino, L'accertamento del passivo, cit., 156; De
Ferra, Manuale di diritto fallimentare, cit., 77; Russo, L'accertamento
del passivo nel fallimento, cit., 108; Bozza-Schiavon, L'accertamento
dei crediti nel fallimento e le cause di prelazione, cit., 187; Vellani,
Competenza per attrazione e fallimento, cit., 94; Vassalli, Diritto falli mentare, cit., I, 174; Maisano, Procedure concorsuali e controversie
di lavoro, in Giur. comm., 1981, I, 19; contra, Cavalaglio, In tema
di rapporti fra rito speciale di lavoro ed accertamento dei crediti in
sede fallimentare, in Riv. dir. proc., 1976, 214.
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PARTE PRIMA
causa in decisione ai sensi dell'art. 187 c.p.c. in data 10 marzo
1997 era dal giudice unico presso l'adito Tribunale di Palermo
pronunziata sentenza che, in accoglimento dell'opposizione, di
chiarava la propria incompetenza territoriale e per l'effetto pro nunciava la nullità del decreto opposto. La sentenza era comu
nicata alla curatela il 28 marzo 1997. Avverso tale statuizione
proponeva quindi regolamento ai sensi degli art. 42 e 47 c.p.c. il fallimento Silea notificando l'atto alla soc. Europa 2050, nel
domicilio eletto, il 17 aprile 1997. L'intimata società non si co
stituiva. Nel ricorso, l'istante curatela deduceva: che il Tribuna
le di Palermo, sull'assunto che la clausola afferente la deroga alla competenza territoriale fosse valida, non l'aveva ritenuta
derogata dall'art. 24 1. fall., sul rilievo dell'inesistenza di ragio ni di tutela della par condicio credito rum; che il rilievo era erra
to, essendo giurisprudenza ferma della Suprema corte quella per
D) Più complessa è invece la situazione con riferimento ai diritti che nascono dalle impugnative di licenziamento; secondo la giurisprudenza più vicina alle esigenze delle procedure (e di solito tali pronunce sono state rese dalla prima sezione civile, le altre dalla sezione lavoro) la soluzione più coerente sarebbe quella di attrarre alla cognizione del fo ro concorsuale ogni controversia nella quale il dipendente fa valere, anche se solo in via subordinata, una propria pretesa creditoria contro il datore di lavoro fallito (oltre a Cass. 11787/98, in epigrafe, cfr. Cass. 24 ottobre 1996, n. 9306, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 327; 15
luglio 1992, n. 8577, id., Rep. 1992, voce cit., n. 334; Pret. Roma 24 febbraio 1997, id., Rep. 1997, voce cit., n. 543; in dottrina, Bonfat
ti, L'accertamento del passivo e dei diritti mobiliari, cit., 172; Bozza, Illegittimità del licenziamento collettivo e competenza del giudice falli mentare, in Rass. giur. lav. Veneto, 1996, 25; Caiafa, Fallimento, ces sazione dell'attività e dell'azienda, licenziamento del personale dipen dente: quale procedura?, in Mass. giur. lav., 1995, 126; Vellani, Com
petenza per attrazione e fallimento, cit., 104). Secondo questa interpretazione, le impugnative di licenziamento restano di competenza del pretore del lavoro se il lavoratore subordinato chieda esclusivamen te la reintegrazione nel posto di lavoro e questa sia materialmente possi bile o perché è in corso l'esercizio provvisorio o (forse) perché l'azienda è stata affittata ed i dipendenti sono stati assunti dall'affittuario. Se condo altre pronunce residua uno spazio per la competenza esclusiva del pretore del lavoro quando, pur non essendo la reintegrazione più possibile per cessazione dell'attività dell'impresa, sicché l'unica tutela
apprezzabile resti quella risarcitoria, permane l'interesse del lavoratore ad ottenere una pronuncia limitata all'accertamento dell'illegittimità del
licenziamento, al fine di identificare esattamente il momento al quale va riferito l'effetto estintivo del rapporto, e, quindi, la durata comples siva di questo, utile per la determinazione dei conseguenti crediti, di natura retributiva e risarcitoria, da far valere in sede concorsuale (Cass. 5 giugno 1998, n. 5567, Foro it., Mass., 624; 4 aprile 1998, n. 3522, ibid., 373); contiguo a tale indirizzo è quello per il quale un'ulteriore soluzione è stata ravvisata nella normale distribuzione della competenza fra il pretore, in funzione di giudice del lavoro e il giudice fallimentare a seconda che il petitum sia la declaratoria o meno della legittimità del licenziamento e l'ordine di reintegrazione di cui all'art. 18 1. 20
maggio 1970 n. 300, ovvero la richiesta di contenuto patrimoniale pro posta in correlazione alla declaratoria di illegittimità del licenziamento (Cass. 20 ottobre 1998, n. 10387, non massimata; 16 luglio 1998, n.
6987, non massimata; 12 maggio 1997, n. 4146, id., 1997, I, 2490, con nota di richiami, cui adde, Pret. Milano 24 settembre 1996, id., Rep. 1997, voce Lavoro (rapporto), n. 1549). In dottrina, Pellegrino, L'ac certamento del passivo, cit., 162; Meliadò, Fallimento e rapporto di lavoro subordinato, cit., 381; Abate, Organi, cit., 369.
E) Le azioni aventi ad oggetto crediti vantati dall'imprenditore fallito nei confronti di terzi, in quanto non dipendenti dal fallimento, sono
soggette alle normali regole di attribuzione della competenza (oltre a Cass. 1240/99, in epigrafe, cfr. Cass. 15 settembre 1997, n. 9156, Foro it., Rep. 1997, voce Fallimento, n. 323; 1° settembre 1995, n. 9221, id., Rep. 1996, voce cit., n. 297; 12 novembre 1993, n. 11189, id., Rep. 1994, voce cit., n. 279; 19 agosto 1992, n. 9659, id., Rep. 1993, voce cit., n. 221; 10 luglio 1992, n. 8396, ibid., n. 224; 27 giugno 1990, n. 6560, id.. Rep. 1991, voce cit., n. 267; 13 aprile 1981, n. 2185, id., 1982, I, 491, con nota di Borre). In dottrina, E.F. Ricci, Lezioni sul
fallimento, Milano, 1998, II, 230; Ferrara, Il fallimento, Milano, 1989, 261; Satta, Diritto fallimentare, cit., 103; De Ferra, Manuale di dirit to fallimentare, cit., 75; Abate, Organi, cit., 374. In tale panorama, anomala risulta Cass. 1° agosto 1997, n. 7136, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 324, secondo la quale l'art. 24 1. fall, attribuisce alla com petenza del tribunale fallimentare non soltanto le controversie che trag gono origine dallo stato di dissesto, ma anche tutte quelle che, comun
que, incidano sulla procedura concorsuale, intesa nella sua sostanziale ratio di realizzare, in modo unitario, l'esecuzione sul patrimonio del fallito al fine di assicurare la par condicio creditorum, con la conse guenza che anche le cause concernenti gli eventuali crediti vantati dal fallito rientrano nella competenza dell'organo fallimentare. [M. Fabiani]
Il Foro Italiano — 1999.
la quale restano influenzate dal fallimento anche le domande
di accertamento dirette a fondare pronunzia di condanna; che
in tal senso militavano recenti pronunziati di cassazione; che
pertanto la natura della controversia esonerava il curatore dal
l'osservanza della stipulata clausola vessatoria. Nelle richieste
23 marzo 1998, infine, il procuratore generale ha concluso per l'infondatezza del ricorso, trattandosi di azione preesistente nel
patrimonio del fallito e conoscibile in base a principi non im
mutati dalle esigenze concorsuali. Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione. — Il ricorso della curatela del falli
mento Silea è privo di fondamento, avendo correttamente il Tri
bunale di Palermo declinato la propria competenza a conoscere
dell'opposizione al decreto ingiuntivo 12 giugno 1995 in favore
del foro convenzionale di Roma, ed altrettanto correttamente
escluso l'applicazione alla controversia della vis attractiva del
foro fallimentare di Palermo.
Ed invero, la vis attractiva concursus, disciplinata dall'art.
24 1. fall, e costituente una sorta di derivazione dell'art. 23, attribuisce al tribunale che abbia dichiarato il fallimento una
competenza speciale — avocativa di tutte le controversie che
nascano dal fallimento — all'evidente scopo di assicurare il mas
simo di coerenza ed unità ad una procedura — quale quella concorsuale — destinata ad intrecciarsi con molteplici vicende
giudiziarie. «Azioni che derivano dal fallimento», secondo l'art. 24 1. fall.,
è però formula inequivoca che coinvolge le sole azioni corri
spondenti a diritti sorti in forza del fallimento ovvero che con
il fallimento hanno assunto una particolare configurazione, da
esse esulando quelle azioni che già si trovavano nel patrimonio del fallito all'atto dell'accertamento dell'insolvenza e relative a
diritti preesistenti e che, con la dichiarazione di fallimento, non
assumono altra configurazione che non sia la mera assunzione
di legittimazione processuale da parte del curatore (art. 43 1. fall.). Non sono, pertanto, attratte nella sfera di competenza del
tribunale fallimentare tutte le preesistenti azioni che, con il fal
limento, stiano in relazione di mera occasionalità , e che, con
la sola sostituzione del curatore al precedente legittimato, resta
no soggette a tutte le regole processuali ad esse applicabili ove
fossero state promosse dal fallito: e tali sono le azioni che ten dono a tutelare i diritti di credito vantati dal fallito nei riguardi dei terzi, aventi ad oggetto tanto l'accertamento quanto la con
danna alla prestazione. Del resto questa corte ha ripetutamente affermato che vi è
deroga alla vis attractiva dell'art. 24 1. fall, per tutte le azioni
già presenti in nuce nel patrimonio del fallito anteriormente al
l'apertura della procedura concorsuale, senza che in contrario rilevi il virtuale recupero di mezzi alla massa (attraverso l'ado
zione di pronunzie di condanna) e salvo che le controversie ven
gano a subire una deviazione dal proprio schema legale tipico per effetto della disciplina del fallimento sui rapporti giuridici
preesistenti (Cass. 5477/98, in questo fascicolo, I, 1185; 99/98, Foro it., Mass., 10; 9156/97, id., Rep. 1997, voce Fallimento, n. 323; 6968/96, ibid., n. 330; 9221/95, id., Rep. 1996, voce
cit., n. 297; 11189/93, id., Rep. 1994, voce cit., n. 279; 6560/90, id., Rep. 1991, voce cit., n. 267).
Nel novero delle azioni «non attratte», perché preesistente nel patrimonio del fallito e perché nessuna deviazione dalla di
sciplina tipica deriva dal mero «accidente» del sopravvenuto fal limento del suo titolare, va certamente ricondotta — alla luce delle esposte premesse — l'azione monitoria proposta dal cura
tore della soc. Silea in relazione ad un credito da finanziamento
erogato dalla società in bonis alla soc. Europa 2050, trattando
si, come dianzi detto, di diritti preesistenti in capo alla Silea e la cui cognizione non viene immutata, se non per la legittima zione attiva, dal sopravvenuto fallimento della titolare.
Da tanto discende che ben poteva esplicare la sua efficacia ex art. 28 c.p.c. la clausola sub art. 10 del contratto 1° aprile 1994 di deroga alla competenza per territorio e radicante in Ro
ma la competenza a conoscere delle controversie di interpreta zione ed esecuzione del contratto inter partes.
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 20 no vembre 1995 Zerba Maria Cristina esponeva che nel luglio del 1982 aveva iniziato una collaborazione coordinata e continuati
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
va con la Naj Oleari s.r.l. come addetta alle vendite presso un
negozio della convenuta e che era stata poi assunta nel novem
bre del 1984 con mansioni di responsabile agli acquisti e del
franchising, ma che, all'esito di una procedura di riduzione di
personale, era stata licenziata con lettera del 31 ottobre 1995
a causa della ristrutturazione dell'organizzazione aziendale e del
l'area laboratorio-stile, con conseguente soppressione del suo
posto di lavoro. Ciò premesso chiedeva al Pretore di Milano, in qualità di giudice del lavoro, la dichiarazione di inefficacia e/o di nullità del licenziamento con immediata reintegrazione nel posto di lavoro o in altro equivalente e la condanna della
società convenuta al risarcimento del danno nella misura della
retribuzione globale maturata dalla data del licenziamento fino
all'effettiva reintegrazione nel posto di lavoro, da determinarsi
in misura non inferiore a lire 21.194.139, nonché al versamento
dei contributi previdenziali e assistenziali per lo stesso periodo. Il processo veniva interrotto a seguito della dichiarazione di
fallimento della società convenuta, dichiarato dal Tribunale di
Milano con sentenza del 27 marzo 1996.
La ricorrente riassumeva il giudizio nei confronti del falli
mento della società , il quale eccepiva preliminarmente l'incom
petenza del giudice adito indicando, quale giudice competente, il tribunale fallimentare.
Con sentenza in data 11 ottobre-12 novembre 1996 il pretore, ribadita la propria competenza, dichiarava l'illegittimità del li
cenziamento e ordinava la reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro, condannando il fallimento al risarcimento del danno
nella misura della retribuzione globale maturata in favore della
Zerba e a tutte le ulteriori previsioni dell'art. 18 statuto lavoratori.
Osservava il pretore, limitatamente alla questione di compe tenza investita dal ricorso in esame, che nella specie non poteva dubitarsi della competenza del giudice adito poiché la ricorrente
aveva dedotto in giudizio diritti a contenuto non meramente
patrimoniale, ma reintegratori, cui erano del tutto estranee le
pretese creditorie di natura patrimoniale a garanzia delle quali
operava la competenza funzionale del tribunale fallimentare ai
sensi dell'art. 24 1. fall.: le pretese patrimoniali accessorie alla
richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro avevano infatti
carattere sanzionatorio con previsione invincibile di danno nella
misura minima di cinque mensilità . Restava salva, in ogni caso,
la necessità per il lavoratore di presentare istanza di ammissione
al passivo per la realizzazione del proprio credito, ma tale mo
dalità di soddisfacimento delle pretese creditorie conseguenti al
l'accertata illegittimità del licenziamento non incideva sul rap
porto di accessorietà della pronuncia di condanna rispetto alla
declaratoria di nullità del recesso del datore di lavoro.
Contro la sentenza ricorre per regolamento facoltativo di com
petenza il fallimento della s.r.l. Naj Oleari con tre motivi.
Ha presentato memoria Zerba Maria Cristina.
Il pubblico ministero ha depositato le sue conclusioni in data
24 novembre 1997.
Motivi della decisione. — Con i tre motivi di ricorso, che
per la loro stretta connessione logica appaiono suscettibili di
trattazione unitaria, il ricorrente denuncia rispettivamente la vio
lazione degli art. 409-413 c.p.c. e degli art. 24, 52 e 93 1. fall,
per aver la sentenza impugnata erroneamente escluso la vis at
trattiva della competenza del tribunale fallimentare nell'ipotesi in cui, come nella specie, l'accertamento dell'illegittimità del li
cenziamento sia stata richiesta in via meramente strumentale per il riconoscimento di specifici diritti di contenuto patrimoniale da valere nei confronti del fallimento del datore di lavoro (pri
mo motivo); il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta
competenza funzionale del pretore quale giudice del lavoro a
causa dell'apodittica affermazione che nella specie sarebbero stati
dedotti in giudizio diritti a contenuto non meramente patrimo
niale ma reintegratori (secondo motivo); la violazione degli art.
409-413 c.p.c., dell'art. 18 1. 20 maggio 1970 n. 300 e degli
art. 24, 52 e 93 1. fall., per aver la sentenza impugnata afferma
to l'ammissibilità della tutela reintegratoria del lavoratore an
che in mancanza di autorizzazione all'esercizio provvisorio del
l'impresa fallita (terzo motivo).
Il ricorso merita accoglimento poiché la sentenza impugnata
si fonda su un sostanziale fraintendimento del costante orienta
mento giurisprudenziale in tema di competenza del tribunale fal
limentare, pur correttamente menzionato nella motivazione del
la pronuncia del giudice del lavoro.
Il Foro Italiano — 1999.
Sostiene infatti il pretore che le statuizioni di carattere patri moniale a carico del datore di lavoro illegittimamente receduto, avendo natura sanzionatoria, si sottrarrebbero perciò stesso ad
ogni accertamento in sede di formazione dello stato passivo del
fallimento sopraggiunto del datore di lavoro, e che la domanda
di insinuazione al passivo costituirebbe per il lavoratore una
mera modalità di riscossione del proprio credito imposta dalla
liquidazione concorsuale dell'attivo fallimentare.
Tale interpretazione non merita consenso poiché la deroga alla speciale competenza attribuita dall'art. 24 1. fall, al giudice del fallimento opera solo per la domanda di mero accertamento
dell'illegittimità del licenziamento la quale, se proposta nei con
fronti del datore di lavoro, può essere proseguita, senza alcuna
interruzione del processo, anche dopo la sua dichiarazione di
fallimento, qualora l'attore manifesti chiaramente la propria in
tenzione di volersi avvalere della pronuncia dichiarativa dopo la chiusura del fallimento nelle ipotesi di continuazione dell'im
presa tornata in bonis.
Quando, invece, come nella specie, il lavoratore abbia chiesto
al giudice del lavoro anche il soddisfacimento delle proprie ra
gioni creditorie dipendenti dall'illegittimo recesso del datore di
lavoro, l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento costi
tuisce solo la premessa logico-giuridica della decisione relativa
al pagamento delle somme spettanti al lavoratore, sicché la do
manda non si sottrae alla competenza funzionale del tribunale
fallimentare e alla sua necessaria sottoposizione al procedimen to di verifica dei crediti, senza che da ciò possa costituire osta
colo la natura meramente accessoria e conseguenziale dei crediti
dedotti in giudizio, i quali non potranno sottrarsi al regime con
corsuale della procedura fallimentare.
Va solo specificato che, contrariamente a quanto dedotto con
il terzo motivo di ricorso per contestare la ritenuta persistenza del diritto alla tutela reale del lavoratore, la cessazione dell'atti
vità aziendale non esclude di per sé la tutela reintegratoria del
lavoratore illegittimamente licenziato, poiché, a norma dell'art.
2119, cpv., c.c., il fallimento del datore di lavoro non costitui
sce giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro, il quale
potrebbe in astratto continuare nei casi in cui venga autorizzato
l'esercizio provvisorio dell'impresa, che può aver luogo anche
successivamente al decreto di esecutività dello stato passivo, poi
ché, secondo le previsioni dell'art. 90 1. fall., il tribunale può
disporre anche la ripresa dell'esercizio dell'impresa del fallito
(oltre che la continuazione dell'esercizio provvisorio autorizzato
dopo la dichiarazione di fallimento) con il consenso del comita
to dei creditori e sentito il curatore.
Tale interpretazione, che è conforme al costante orientamen
to della giurisprudenza di legittimità , non trova smentita nella
pronuncia citata in memoria dalla convenuta (Cass. 15 maggio
1990, n. 4162, Foro it., Rep. 1990, voce Lavoro e previdenza
(controversie), n. 55) la quale, nell'affermare la permanenza della
competenza funzionale del pretore quale giudice del lavoro in
ordine alla prosecuzione o alla continuità del rapporto di lavo
ro, si riferisce ad un lavoratore assunto da un'impresa fallita
autorizzata all'esercizio provvisorio, ed ha cura di giustificare il proprio assunto con la considerazione che le prestazioni in
contestazione vanno riferite all'impresa, operante nonostante il
fallimento, e non hanno alcun diretto e immediato collegamen to con l'attività di liquidazione del processo fallimentare.
In conclusione, perciò, il ricorso merita accoglimento e, con
seguentemente, dev'essere dichiarata la competenza del Tribu
nale di Milano.
Ili
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 15 settembre
1986 Epifani Maria Abbondanza chiedeva al Tribunale di Lecce
l'ammissione in via privilegiata al passivo del fallimento della
s.r.l. «5 Elle» del credito di lire 18.332.014, da essa vantato
per prestazioni di lavoro subordinato alle dipendenze della
società .
Contro il provvedimento negativo del giudice delegato la Epi
fani, con ricorso del 16 novembre 1987, proponeva opposizione
allo stato passivo e il tribunale, con sentenza del 9 novembre
1993-15 marzo 1994, accoglieva in parte l'opposizione, ammet
tendo al passivo in via privilegiata la Epifani per la minor som
ma di lire 3.522.178.
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1191 PARTE PRIMA 1192
Su gravame dell'opponente, la Corte d'appello di Lecce, con
sentenza del 12-29 dicembre 1994, dichiarava la propria incom
petenza per materia, indicando quale giudice competente il pre
tore, in funzione di giudice del lavoro.
Osservava la corte che la Epifani aveva già proposto la pro
pria domanda dinanzi al Pretore di Lecce-sezione distaccata di
Casarano in funzione di giudice del lavoro, il quale aveva di
chiarato l'interruzione del processo a seguito del fallimento del
la società convenuta; ciò comportava che non potesse operare
la vis attractiva del tribunale fallimentare, poiché esso non po
teva conoscere delle azioni esercitate prima della dichiarazione
di fallimento, nelle quali il curatore poteva solo subentrare al
fallito in relazione ai riflessi del giudizio sulla situazione attiva
o passiva della procedura fallimentare a seguito della prosecu
zione o riassunzione del processo interrotto.
Il giudizio veniva riassunto dinanzi al Pretore di Lecce-sezione
distaccata di Casarano, in funzione di giudice del lavoro il qua
le, con ordinanza del 18 giugno 1986, richiedeva d'ufficio il
regolamento di competenza in base alla considerazione che la
competenza del foro fallimentare si estendeva a tutte le pretese
creditorie di natura patrimoniale, comprese quelle relative la do
manda del lavoratore volta all'accertamento del rapporto di la
voro subordinato nei confronti del datore di lavoro fallito, quan do la domanda di accertamento fosse diretta in via strumentale
al riconoscimento di specifici diritti di credito da far valere con
l'ammissione al passivo fallimentare.
Il pubblico ministero ha depositato le sue conclusioni in data
9 ottobre 1997.
Il curatore del fallimento della s.r.l. «5 Elle» ha depositato memoria.
Motivi della decisione. — L'individuazione del giudice com petente a conoscere della controversia promossa dalla Epifani dev'essere effettuata alla luce della costante affermazione della
giurisprudenza secondo cui la vis attractiva prevista dall'art. 24
1. fall. — il quale afferma che il tribunale che ha dichiarato
il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che
ne derivano, anche se relative a rapporti di lavoro, eccettuate
le azioni reali immobiliari — non opera per le azioni che sono
già nel patrimonio del fallito e corrispondano a diritti soggettivi
preesistenti e che sono in rapporto di mera occasionalità col
fallimento, a meno che non si tratti di azioni le quali, per effet
to del fallimento, abbiano subito deviazioni dal loro schema
legale tipico, ivi comprese quelle derivanti dalla disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti e che in
cidono sulla procedura fallimentare per effetto della particolare
disciplina dettata dagli art. 72 ss. 1. fall. (Cass. 27 giugno 1990, n. 6560, Foro it., Rep. 1991, voce Fallimento, n. 267; 12 no
vembre 1993, n. 11189, id., Rep. 1994, voce cit., n. 279; 1°
settembre 1995, n. 9221, id., Rep. 1996, voce cit., n. 297). La delimitazione dell'ambito della competenza del tribunale
fallimentare risultante dalla giurisprudenza di questa corte, po sta a fondamento della decisione dei giudici di appello che ad
essa si sono richiamati, merita conferma e, conseguentemente, dev'essere dichiarata la competenza del Pretore di Lecce-sezione
distaccata di Casarano in funzione di giudice del lavoro, dinan
zi al quale il giudizio deve essere riassunto nel termine di sei
mesi dalla comunicazione della presente sentenza.
Il Foro Italiano — 1999.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 9 feb
braio 1999, n. 1094; Pres. R. Sgroi, Est. Forte, P.M. Apice
(conci, conf.); Verrando (Avv. Jachia) c. Min. finanze. Cas
sa Comm. trib. reg. Lombardia 17 aprile 1997.
Tributi in genere — Ricorso per cassazione — Notifica — De
stinatario — Ufficio finanziario (Cod. proc. civ., art. 144;
r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, approvazione del testo unico
delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e di
fesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'avvocatu
ra dello Stato, art. 11; d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, dispo
sizioni sul processo tributario in attuazione della delega al
governo contenuta nell'art. 30 1. 30 dicembre 1991 n. 413,
art. 62).
Qualora l'amministrazione finanziaria non si sia avvalsa del pa trocinio dell'avvocatura dello Stato, il ricorso per cassazione
proposto dal contribuente avverso la decisione della commis
sione tributaria regionale deve essere notificato direttamente
all'ufficio finanziario che è stato parte nel relativo giudizio. (1)
Motivi della decisione. — 1. - Preliminarmente di ufficio de
ve rilevarsi l'ammissibilità dell'impugnativa perché relativa a de
cisione di commissione tributaria regionale pubblicata successi
vamente al 1° aprile 1996, data di entrata in vigore delia rifor
ma del contenzioso tributario di cui al d.leg. 31 dicembre 1992
n. 546 (Cass. 1° aprile 1998, n. 3366, Foro it., 1998, I, 1042); inoltre sul piano procedurale, il ricorso deve ritenersi corretta
mente notificato.
La notifica è stata eseguita al ministero delle finanze - primo ufficio distrettuale delle imposte dirette di Milano, a mezzo di
ufficiale giudiziario, a mani di un'impiegata incaricata e cioè ai sensi del 2° comma dell'art. 16 d.leg. 546/92, che rinvia agli art. 137 ss. c.p.c. Occorre verificare se debba applicarsi l'art.
144 c.p.c. sulle notifiche alle amministrazioni dello Stato che, in linea di principio, stabilisce al 1° comma che si osservano
le disposizioni delle leggi speciali che prescrivono la notificazio
ne presso gli uffici dell'avvocatura dello Stato e, in particolare, l'art. 11 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 alla stregua del quale
(come era pacifico, vigente il contenzioso tributario di cui al
d.p.r. 636/72) la notificazione del ricorso per cassazione va ef
fettuata presso l'avvocatura generale dello Stato in Roma. Que sta conclusione non può essere confermata alla stregua del nuo
vo contenzioso tributario.
Invero, l'art. 11 si collega organicamente all'art. 1 del men
zionato r.d. secondo il quale la rappresentanza, il patrocinio
(1) Non conforme ai canoni legali — ad avviso della Suprema corte — tanto la notifica effettuata all'avvocatura dello Stato, quanto quella indirizzata al ministero delle finanze.
Non si rinvengono precedenti editi in termini. Sulla questione del soggetto destinatario della notifica — utile ai fini
della decorrenza del termine breve per ricorrere per cassazione — della decisione della commissione tributaria regionale (nel giudizio innanzi alla quale la parte pubblica non si sia avvalsa del patrocinio dell'avvo catura dello Stato), v., in contrasto tra loro, Cass. 21 ottobre 1998, n. 10420, Foro it., 1999, I, 917, che l'individua nell'ufficio finanziario, e 17 giugno 1998, n. 6034, ibid., che riscontra la validità della sola notifica effettuata all'avvocatura dello Stato.
In dottrina, in senso contrario al principio di cui in massima (e cioè nel senso che il ricorso per cassazione va notificato all'avvocatura gene rale dello Stato), v. T. Baglione-S. Menchini-M. Miccinesi, Il nuovo
processo tributario. Commentario, Milano, 1997, 548.
Vigente il d.p.r. 633/72 — che peraltro non lo disciplinava espressa mente — non si dubitava che il ricorso per cassazione avverso le deci sioni del giudice tributario notificato al locale ufficio finanziario, anzi ché al ministero delle finanze presso l'avvocatura generale dello Stato come previsto dall'art. 11 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, fosse inammis sibile: così Cass. 10 novembre 1997, n. 11047, Foro it., Rep. 1997, voce Tributi in genere, n. 1775; 25 luglio 1996, n. 6709, ibid., n. 1776; 18 luglio 1996, n. 6475, id., Rep. 1996, voce Amministrazione dello Stato (rappresentanza), n. 8; 27 marzo 1996, n. 2757, ibid., n. 6; la necessità che il ricorso avverso la decisione della Commissione tributa ria centrale sia notificato al ministro delle finanze presso l'avvocatura dello Stato è stata di recente ribadita anche da Cass. 4 febbraio 1998, n. 1107, Fisco, 1998, 12401.
In tema di notifica all'avvocatura dello Stato degli atti di impugna zione di decisioni del giudice tributario, v., per altri profili, Cass. 29 novembre 1996, n. 10667, Foro it., 1997, I, 2204, con nota di De Santis.
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