sezione I civile; sentenza 15 febbraio 1999, n. 1259; Pres. Senofonte, Est. Verucci, P.M.Raimondi (concl. conf.); Soc. R.C.S. editori (Avv. Giorgianni, Franco, Fusi, Sena, Tarchini) c.Soc. Il Giornale di Sicilia editoriale poligrafica (Avv. Algozini, Bongiorno, Equizzi). Cassa App.Palermo 27 novembre 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 9 (SETTEMBRE 1999), pp. 2571/2572-2577/2578Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193629 .
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2571 PARTE PRIMA 2572
rebbe inspiegabile se non a fronte dell'avvenuto ingresso della
somma nel patrimonio dell'avente diritto all'indennizzo stesso.
2a. - Osserva la corte che il contratto di mutuo, al cui schema
viene pacificamente assimilato quello di cui è causa, benché non
manchino opinioni che ne ripropongono una collocazione al
l'interno dei contratti consensuali mantiene nella dottrina domi
nante e nella giurisprudenza, anche risalente, di questa Corte
suprema, il tradizionale connotato di contratto reale, che il col
legio condivide. Esso, dunque, si perfeziona al momento della
consegna del bene mutuato, ancorché questa avvenga in forma
giuridicamente equipollente ad una traditio che realizzi la di
sponibilità possessoria del bene stesso da parte del mutuatario.
Ciò, secondo la predetta giurisprudenza, avviene anche nell'i
potesi di accredito della somma su conto corrente del mutuata
rio da parte della banca contraente il mutuo (Cass. n. 1422 del
1978, Foro it., Rep. 1978, voce Mutuo, n. 3), quale che sia
10 scopo eventuale del mutuo stesso.
Tali principi richiamati dalle ricorrenti non sono stati ignora ti dalla corte di merito la quale, muovendo anch'essa dalla loro
considerazione ha rilevato nel caso di specie una diversa situa
zione di fatto.
2b. - La sentenza impugnata ha esaminato il contratto ed
ha rilevato che ad una certa data la somma in questione venne
da parte dell'Istituto S. Paolo annotata nei registri della sezione
mutuante. Tale annotazione tuttavia, nella logica della corte di
Lecce, pur costituendo un essenziale momento del procedimen to di concessione del mutuo, propedeutico all'effettiva eroga
zione, non mise la somma nella disponibilità giuridica del
comune.
La sentenza ha rilevato all'uopo che solo successivamente la
somma, secondo la norma contrattuale, doveva essere versata
in apposita contabilità presso la tesoreria dello Stato, cioè dopo
l'espletamento da parte del comune di altre formalità. Tutto
questo, ancora, con la previsione che ove mai tali adempimenti non fossero stati completati entro il termine di novanta giorni, 11 contratto si sarebbe risolto.
Da tale complessiva regolamentazione la corte di merito ha
tratto la conclusione che l'attribuzione definitiva della somma
al comune non sarebbe comunque avvenuta prima del venir me
no della possibilità di risolvere il contratto da parte della banca.
L'annotazione su partita nominativa non ebbe un tale effetto,
e, conclude la sentenza impugnata, non costituì erogazione del
la somma.
2c. - Osserva ancora il collegio che l'accertamento di siffatto
contenuto della volontà contrattuale non appare contradditto
rio, come ritengono le ricorrenti, con la ribadita natura reale
del contratto in questione. Tale natura, infatti, presuppone co
me si è detto, per il perfezionamento del negozio e, dunque,
per determinare il momento nel quale i suoi effetti giuridici tipi ci si realizzano, una traditio, sia pure per equipollente che, nel
la specie, è stata esclusa in fatto. 2d. - Non coglie nel segno la considerazione della previsione
contrattuale per la quale la giacenza della somma presso l'Isti
tuto San Paolo, dopo di tale annotazione, avrebbe dato diritto
al comune di percepire un indennizzo, rapportato al tasso di
sconto del tempo diminuito di una certa percentuale. Come esattamente nota la corte di merito, la previsione di
una sorta di interessi si spiega solo con l'impossibilità di dispor re, per mancanza del possesso, della somma in questione.
le. - Parimenti, non si può dire che la previsione della possi bilità di risoluzione del contratto per l'ipotesi di mancato com
pletamento da parte del comune di talune formalità, presuppo ne, oltre alla avvenuta conclusione di un contratto, anche il
perfezionamento del rapporto reale in questione. La corte di merito, in proposito, ha affermato che tale clau
sola dimostra che ad onta dell'esistenza tra le parti, sin dalla
conclusione dal contratto, di un rapporto giuridico, non era
tuttavia sussistente la piena disponibilità della somma dal cui
realizzarsi dovevano derivare altri effetti contrattuali. E tale con
clusione non è in alcun modo contraddittoria. Perché è ben pos sibile che la piena efficacia di un negozio, ovvero il limitarsi di taluni dei suoi previsti effetti, muova da un certo momento in avanti, ma all'interno di un rapporto giuridico preesistente e funzionante.
Nella specie, dunque, la ricostruzione dei fatti compiuta dal
giudice del merito fa concludere che sulla base di un contratto di mutuo il comune acquistò il diritto ad ottenere la disponibili
II Foro Italiano — 1999.
tà di una certa somma, ma successivamente al momento in cui
avesse completato gli adempimenti previsti dall'istruttoria.
Il che non contrasta affatto con l'affermazione, derivata an
ch'essa dall'interpretazione del contratto, che il diritto di di
sporre della somma da parte del mutuatario decorresse dalla
traditio, ancorché effettuata in forme giuridicamente equipollenti. Circostanza questa che, giova ripetere, è stata esclusa in fat
to, con motivazione che non merita censure in questa sede di
legittimità. I due motivi sono pertanto infondati.
3. - Vanno esaminati insieme anche i due residui motivi delle
ricorrenti, che al di là di una diversa articolazione e dell'esplici to carattere subordinato di quello avanzato da Ecomed, pro
pongono doglianze analoghe contro il medesimo punto della de
cisione della corte di merito. Le ricorrenti, infatti, lamentano
la violazione dei principi sull'onere della prova e di quelli pro cessuali che disciplinano la corrispondenza tra chiesto e pro nunciato e l'obbligo del giudice di decidere su tutta la domanda.
Rilevano anche che il comune ha esplicitamente ammesso che
a fine agosto del 1990 ottenne la disponibilità della somma.
Conseguentemente, sarebbe stato erroneo negare il diritto agli interessi quanto meno dal momento della predetta disponibilità atteso che la predetta ammissione costituiva confessione e libe
rava il richiedente dall'onere della prova. 3a. - Osserva il collegio che la sentenza impugnata sul punto
afferma che nessuna prova è stata offerta circa il momento in
cui l'erogazione, e quindi la piena disponibilità della somma
mutuata da parte del comune, si verificò.
Tale affermazione non è contraddetta dall'ammissione da parte del comune appellante del fatto che l'erogazione stessa avvenne
verso la fine di agosto o ai primi di settembre, non essendo
essa indicativa del «momento», come scrive la sentenza, di tale
acquisita, materiale disponibilità. È appena il caso di rilevare peraltro che il punto non riguar
dava il «se» la somma fosse stata messa a disposizione effetti
vamente del comune, fatto questo pacifico, che a sua volta ha
dato luogo al pagamento da parte del comune medesimo alle
odierne ricorrenti in corso di causa. Riguardava invece il mo
mento, cioè la data esatta di tale fatto giuridico, la cui prova
spettava al richiedente il pagamento. Le due doglianze sono, pertanto, infondate perché la corte
di merito ha pronunciato su tutta la domanda sottoposta al suo
esame, senza trascurare i principi che le ricorrenti invocano.
4. - I due ricorsi debbono essere respinti.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 feb
braio 1999, n. 1259; Pres. Senofonte, Est. Verucci, P.M. Raimondi (conci, conf.); Soc. R.C.S. editori (Aw. Giorgianni, Franco, Fusi, Sena, Tarchini) c. Soc. Il Giornale di Sicilia
editoriale poligrafica (Aw. Algozini, Bongiorno, Equizzi). Cassa App. Palermo 27 novembre 1996.
Concorrenza (disciplina della) — Concorrenza sleale — Corret
tezza professionale — Codice di autodisciplina pubblicitaria — Fattispecie (Cod. civ., art. 2598).
Nell'apprezzamento delle situazioni concrete rientranti nel di
vieto di atti di concorrenza sleale, le regole contenute nel co
dice di autodisciplina pubblicitaria costituiscono parametri di
valutazione della correttezza professionale (nella specie, il Su
premo collegio ha cassato la decisione con cui la corte di me
rito aveva ritenuto che l'imitazione pedissequa, da parte di un quotidiano, dell'iniziativa promozionale realizzata da al
tro quotidiano non integrasse gli estremi della concorrenza
sleale). (1)
(1) Non constano precedenti sul punto. Intervenendo in una vicenda giudiziaria che ha conosciuto un anda
mento altalenante — l'iniziale provvedimento cautelare (Trib. Palermo,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con atto notificato I'll gen naio 1990, la R.C.S. editoriale quotidiani s.p.a., editrice del
quotidiano Corriere della Sera, conveniva in giudizio, dinanzi
al Tribunale di Palermo, la s.p.a. Il Giornale di Sicilia editoria
le poligrafica, editrice del quotidiano Giornale di Sicilia, espo nendo che nel gennaio 1989 il Corriere aveva lanciato un con
corso a premi, denominato «Replay-il gioco che ti rimette in
gioco», che consentiva ai possessori di biglietti non vincenti di
lotterie nazionali (in particolare, della lotteria Italia) di parteci
pare a successive estrazioni dei biglietti medesimi, effettuate dal
quotidiano con il controllo dell'amministrazione finanziaria. La
società attrice faceva, altresì, presente che il concorso aveva avuto
un rilevante effetto favorevole per l'incremento delle vendite
del Corriere proprio in regioni, quale la Sicilia, in cui aveva
minore diffusione: nel Giornale di Sicilia del 9 gennaio 1990
era stato pubblicato un annuncio reclamizzante, con lo slogan «Provaci ancora», un'iniziativa promozionale del tutto identica
a quella del gioco «Replay», sia nell'idea che nelle modalità
di attuazione. Sostenendo che l'iniziativa del Giornale di Sicilia
costituiva imitazione della campagna promozionale realizzata dal
Corriere della Sera e, quindi, una forma di concorrenza paras
sitaria, la R.C.S. chiedeva che, dichiarata l'illiceità di tale con
dotta, ne venisse inibita la prosecuzione e che la società conve
nuta fosse condannata al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio.
ord. 19 gennaio 1990, Foro it., Rep. 1990, voce Concorrenza (discipli
na), n. 133, e Temi siciliana, 1990, 51) e la pronuncia di primo grado
(Trib. Palermo 18 febbraio 1991, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 141, e Temi siciliana, 1991, 71) avevano ravvisato la sussistenza di una fatti
specie di concorrenza sleale, mentre la decisione d'appello era stata di
contrario avviso —, la Suprema corte sancisce la rilevanza delle norme
contenute nel codice di autodisciplina pubblicitaria, ai fini dell'indivi
duazione del contenuto dei principi di correttezza professionale, la cui
violazione dà luogo ad atti di concorrenza sleale ex art. 2598, n. 3, c.c.
Nel senso che il comportamento di chi non ottemperi alle decisioni
del Giurì di autodisciplina può essere qualificato come contrario alla
correttezza professionale, v. Trib. Torino, ord. 27 novembre 1998, e
29 ottobre 1998, Riv. dir. ind., 1999, II, 61, con nota di S. Giudici,
Autodisciplina pubblicitaria e concorrenza sleale (entrambe sono state
emesse nell'ambito del medesimo procedimento cautelare; la prima ha
confermato, in sede di reclamo, la seconda, che può leggersi — assieme
al decreto reso inaudita altera parte dal giudice istruttore del tribunale
piemontese in data 16 ottobre 1998 e alla pronuncia del Giurì del 22
settembre 1998, n. 281 — anche in Dir. ind., 1998, 342, con nota di
M. Lamandini, Il giudice in soccorso del Giurì); sulle interferenze tra
provvedimenti del Giurì e tutela cautelare in materia di concorrenza
sleale, v. Pret. Milano, ord. 5 dicembre 1989, e 18 novembre 1989, Foro it., Rep. 1991, voce Provvedimenti di urgenza, nn. 121, 122 (e Giur. it., 1991, I, 2, 722, con nota di A. Casadonte, Ordinamento
statuale e sistema di autodisciplina (sui provvedimenti cautelari atipici ex art. 700 c.p.c.)); in argomento, cfr., altresì, M. Barbuto, Codice
di autodisciplina pubblicitaria e concorrenza sleale, in Impresa, 1991, 616.
Per quanto attiene ai rapporti tra pubblicità ingannevole e concor
renza sleale, Trib. Roma, ord. 25 febbraio 1998, Giur. it., 1999, 335
(commentata da V. Franceschelli, Il messaggio pubblicitario come ipo tesi di pubblicità ingannevole e come elemento della fattispecie «con
correnza sleale», in Riv. dir. ind., 1998, II, 221) ha ritenuto che l'accer tamento del carattere ingannevole di un messaggio pubblicitario, rile
vante ai fini della connotazione in termini di slealtà della condotta posta in essere da un concorrente, può essere effettuato alla luce dei parame tri e dei criteri indicati dal d.leg. 25 gennaio 1992 n. 74.
Per l'affermazione che l'imitazione di uno slogan pubblicitario può essere riguardata come atto di concorrenza sleale in quanto si dimostri
di per sé capace di ingenerare una dannosa confusione tra i prodotti delle aziende concorrenti, v. App. Roma 21 gennaio 1980, Foro it., Rep.
1983, voce Concorrenza (disciplina), n. 99 (e Giur. dir. ind., 1981, 214). In tema di imitazione pubblicitaria servile, v. Giurì codice autodisci
plina pubblicitaria 5 luglio 1994, n. 79, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 504 (e Dir. ind., 1995, 959, con nota di A.M. Gambino, Originalità e protezione di un'idea pubblicitaria)-, 13 dicembre 1991, n. 180, Foro
it., Rep. 1992, voce cit., n. 164 (e Giur. it., 1992, I, 2, 473); 10 dicem
bre 1986, n. 105, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 183 (e Riv. dir.
ind., 1987, II, 396); 10 dicembre 1986, n. 104, Foro it., Rep. 1987,
voce cit., n. 116 (e Rass. dir. farmaceutico, 1987, 577); 30 marzo 1982,
Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 290 (e Riv. dir. ind., 1983, II, 68). Circa l'ambito di tutela dell'idea pubblicitaria, v., da ultimo, Giurì
codice autodisciplina pubblicitaria 27 gennaio 1998, n. 3, Foro it., 1998,
I, 2033 (secondo cui la protezione va limitata all'idea che costituisca
il centro della comunicazione e contribuisca in modo determinante a
fornire il contenuto del messaggio), nonché R. Rossotto, Sulla proteg
gibilità dell'idea pubblicitaria, in Dir. ind., 1999, 74.
Il Foro Italiano — 1999.
Su ricorso della stessa R.C.S., il giudice istruttore, con prov vedimento ex art. 700 c.p.c. in data 19 gennaio 1990 (Foro it.,
Rep. 1990, voce Concorrenza (disciplina), n. 133), ordinava la
sospensione del concorso promosso dal Giornale di Sicilia e del
la relativa pubblicità.
Costituitasi, la convenuta chiedeva il rigetto delle domande
e, in via riconvenzionale, che la R.C.S. venisse condannata al
risarcimento dei danni subiti a causa dell'azione temeraria e del
provvedimento cautelare ottenuto.
Il tribunale adito, con sentenza del 18 febbraio 1991 (id., Rep.
1991, voce cit., n. 141), accoglieva le domande avanzate dalla
R.C.S., ritenendo che l'iniziativa promozionale del Giornale di
Sicilia avesse integrato un atto di concorrenza sleale, ai sensi
dell'art. 2598, n. 3, c.c.
L'impugnazione proposta dalla soc. Il Giornale di Sicilia edi
toriale poligrafica veniva accolta dalla Corte d'appello di Paler
mo con sentenza non definitiva del 27 novembre 1996, rigettan do le domande avanzate dalla R.C.S. editoriale quotidiani (poi
incorporata dalla R.C.S. editori s.p.a.) e condannandola al ri
sarcimento dei danni, per la cui liquidazione rimetteva la causa
in istruttoria con separata ordinanza.
Premesso che era in discussione soltanto la configurabilità di un atto di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598, n. 3,
c.c. e che, a tal fine, si deve tener conto del principio posto dall'art. 41 Cost., la corte osservava che, quanto all'addebito
di scorrettezza professionale mosso al Giornale di Sicilia, non
si vedeva come un'analoga o quasi identica attività promozio nale di vendita potesse integrare la disposizione dell'art. 2598, n. 3, c.c., essendo uso normale, per le società editrici dei mag
giori quotidiani nazionali, quello di promuovere le vendite con
iniziative del tutto identiche a quelle dei concorrenti, quali l'of
ferta di supplementi, audio e videocassette, ecc. La corte terri
toriale precisava che tra i due quotidiani in questione non era
ipotizzabile una vera ed effettiva concorrenza, con riferimento
sia alla consistenza finanziaria, al livello professionale ed alla
diffusione, certamente maggiori e più elevati per il Corriere del
la Sera, che allo stesso contenuto: il Corriere, infatti, manca
quasi completamente di cronaca siciliana, mentre il Giornale
di Sicilia è in gran parte dedicato ai fatti locali, con la conse
guenza che l'analoga iniziativa promozionale non può mai rite
nersi idonea a sviare scorrettamente la clientela del Corriere della
Sera-, d'altro canto, un danno per quest'ultimo non era confi
gurabile anche sotto un diverso profilo, perché i possessori di
biglietti non estratti della lotteria nazionale, acquistando entrambi
i quotidiani, potevano partecipare alle estrazioni effettuate dal
l'uno e dall'altro e soltanto l'estrazione, statisticamente impos
sibile, dello stesso numero nei due concorsi avrebbe determina
to l'imbarazzo di una scelta.
La corte, infine, affermava che la R.C.S. andava condannata
al risarcimento dei danni, a causa del suo colposo ed illecito
comportamento ed avendo impedito l'iniziativa promozionale del Giornale di Sicilia.
Per la cassazione di tale sentenza la R.C.S. editori s.p.a. ha
proposto ricorso con tre motivi. Resiste la soc. Il Giornale di
Sicilia editoriale poligrafica con controricorso. Le parti hanno
presentato memoria.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunciando
violazione e falsa applicazione dell'art. 2598 c.c., nonché vizio
di motivazione, la società ricorrente censura la sentenza impu
gnata per aver escluso che la condotta del Giornale di Sicilia
costituisse concorrenza sleale, senza considerare che ci si era
lamentati non del fatto che fosse stato organizzato un gioco 0 concorso a premi, ma dell'imitazione pedissequa e contestuale
di quello indetto dal Corriere della Sera, ossia dell'applicazione
pratica di un'idea che, in via generale, poteva essere lecitamente
utilizzata in altro modo. Secondo la ricorrente, inoltre, la corte
di merito ha omesso del tutto la valutazione di un punto decisi
vo della controversia, che pur era stato prospettato in entrambi
1 gradi del giudizio ed ampiamente illustrato negli scritti difensi vi, vale a dire la relazione esistente tra l'ipotesi prevista dal
n. 3 dell'art. 2598 c.c. e l'art. 13 del codice di autodisciplina
pubblicitaria, il quale vieta espressamente l'imitazione pubblici
taria servile: sebbene le regole di detto codice non siano state
recepite dall'ordinamento statuale, tuttavia fondano principi di
correttezza professionale, la cui violazione ricade sotto la previ
sione dell'art. 2598, n. 3, c.c.
Con il secondo motivo, la stessa ricorrente denuncia violazio
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2575 PARTE PRIMA 2576
ne e falsa applicazione dell'art. 2598 c.c., nonché vizio di moti
vazione, sotto un diverso profilo: rileva, infatti, l'erroneità del
la valutazione data dalla corte territoriale circa l'inesistenza di
un'effettiva situazione concorrenziale tra i due quotidiani, per ché essa — a differenza di quanto ritenuto dalla sentenza impu
gnata — si verifica quando vi sia, da parte di più imprenditori, il coevo esercizio di attività industriale o commerciale in ambito
territoriale anche solo potenzialmente comune, indipendentemente dalla coincidenza di clientela.
Secondo un ordine logico e giuridico, riveste carattere preli minare l'esame della seconda censura, essendo evidente l'incon
figurabilità di un atto di concorrenza sleale ove non sussista
una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori. Al riguardo, va precisato — con riferimento a specifico rilievo
della società resistente — che la critica della ricorrente è volta
ad ottenere non già un'inammissibile rivalutazione di fatti ac
certati dal giudice di merito, ma la verifica della congruità e
logicità della relativa motivazione e, più ancora, della confor
mità a diritto dei principi applicati. In relazione agli argomenti esposti nella sentenza impugnata
a sostegno della ritenuta inesistenza di correnzialità tra i due
quotidiani e, quindi, dell'inidoneità del gioco a premi indetto
dal Giornale di Sicilia a produrre un danno al Corriere della
Sera, si deve osservare: — la differente «qualità» (rilevabile, secondo la corte paler
mitana, dalla consistenza societaria e finanziaria e dal livello
del corpo redazionale, oltre che dei collaboratori), nonché la
maggiore diffusione del Corriere della Sera rispetto al Giornale
di Sicilia non sono, all'evidenza, elementi tali da escludere, alla
radice, una situazione di concorrenza, dovendosi, al contrario, rilevare che proprio una «tiratura» diversa rappresenta la ragio ne per la quale, da un lato, il quotidiano a maggior diffusione
nazionale è indotto a penetrare di più e meglio in ambito regio nale e, dall'altro, quello diffuso a livello quasi esclusivamente
regionale tenta di contrastare siffatta espansione e, al medesimo
tempo, di aumentare la sua presenza tra i lettori di tutte le pro vince siciliane;
— anche la parziale diversità di contenuti, riferibile al mag
gior rilievo dato dal Giornale di Sicilia alla cronaca locale, non
vale ad escludere la concorrenza con il Corriere della Sera, so
prattutto perché non può negarsi un'identità, almeno potenzia
le, della platea dei lettori sulla base dell'astratta possibilità di
acquisto di entrambi i quotidiani; — questa corte, infatti, ha avuto modo di affermare che ad
integrare il presupposto della concorrenza sleale è sufficiente
il contemporaneo esercizio, da parte di più imprenditori, di una
medesima attività industriale o commerciale in un ambito terri
toriale anche solo potenzialmente comune, non dovendo neces
sariamente sussistere, in concreto, l'identità di clientela (tra le
altre, Cass. 5716/88, id., 1989, I, 764, e 1990/74, id., Rep.
1974, voce cit., n. 21); — avuto riguardo alla scarsa diffusione che, complessivamente,
la stampa quotidiana ha nella popolazione, l'acquisto di due
quotidiani costituisce ipotesi sicuramente infrequente, sulla quale non è legittimo fondare un giudizio di insussistenza di situazio
ne concorrenziale, tanto più che (come ha osservato esattamen
te la difesa della società ricorrente) la possibilità di acquistare
più prodotti finirebbe per escludere sempre una situazione di
concorrenza; — risulta incongrua ed illogica, quindi, l'affermazione della
corte territoriale secondo cui, acquistando entrambi i giornali, i lettori possessori dei biglietti del gioco a premi avrebbero po tuto partecipare alle estrazioni effettuate da un quotidiano e
dall'altro, senza dover scegliere tra i due premi: dovendosi os
servare, anzi, che l'adozione, da parte del Giornale di Sicilia, di un gioco del tutto identico a quello già organizzato dal Cor
riere della Sera e tuttora in svolgimento ben avrebbe potuto indurre il lettore ad acquistare il primo anziché il secondo, ov
vero ad abbandonare quest'ultimo a favore dell'altro (la R.C.S.,
infatti, aveva sostenuto che l'incremento delle vendite costituiva
effetto proprio del gioco «Replay»); — ne deriva che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudi
ce di merito, non poteva radicalmente escludersi che il gioco a premi indetto dal quotidiano siciliano fosse idoneo a produrre danni al Corriere della Sera, con valutazione che, prescindendo dalla produzione di un pregiudizio attuale al patrimonio del con
corrente, va fatta in esclusivo riferimento alla potenzialità dan
II Foro Italiano — 1999.
nosa dell'atto (ex plurimis, Cass. 12103/95, id., 1996, I, 1765;
1413/83, id., Rep. 1985, voce cit., n. 23; 2020/82, ibid., n. 24). Alla stregua delle considerazioni svolte, il secondo motivo del
ricorso risulta fondato: si tratta di verificare, allora, la confor
mità a diritto della valutazione della corte di merito circa la
non riconducibilità dell'attività (di concorrenza) alla previsione dell'art. 2598, n. 3, c.c., che forma oggetto del primo motivo
di ricorso.
La premessa di fatto, risultante dalla sentenza impugnata, è
che il gioco a premi «Provaci ancora», indetto dal Giornale
di Sicilia, era del tutto identico, nell'idea e nelle modalità di
attuazione, a quello organizzato sin dall'anno precedente dal
Corriere della Sera e denominato «Replay-il gioco che ti rimette
in gioco»: il primo, infatti, si basava sull'estrazione di biglietti non vincenti delle stesse lotterie nazionali, in particolare della
lotteria Italia, in una situazione in cui il concorso indetto dal
Corriere era in svolgimento. La corte palermitana è partita da considerazioni che, in via
di principio, possono essere condivise, pur necessitando di alcu
ne puntualizzazioni. Non è revocabile in dubbio che l'art. 2598, n. 3, c.c. sia norma «di chiusura»: più volte, infatti, questa corte ha affermato che rientrano in detta previsione, a carattere
aperto, tutte le condotte, ancorché non tipizzate dall'esperien
za, comportanti violazione delle regole di correttezza professio
nale, e che i mezzi previsti dalla stessa norma sono diversi e
distinti da quelli indicati nei nn. 1 e 2, onde la concorrenza
sleale è configurabile indipendentemente dalla confondibilità dei
prodotti, potendo consistere in qualunque condotta contraria
ai principi di correttezza ed idonea a cagionare danni al concor
rente (tra le più recenti, cfr. Cass. 5671/98, id., Mass., 636;
3787/96, id., 1996, I, 2808; 1392/94, id., 1995, I, 2237). Va precisato, tuttavia, che proprio in ragione di ciò e della necessi
tà di adeguare la portata della norma alla continua evoluzione
dell'attività imprenditoriale e, soprattutto, dei correlativi mezzi
di espansione nel mercato, il principio di correttezza professio nale non può essere inteso, ai fini della riconducibilità di situa
zioni concrete al divieto posto dall'art. 2598, n. 3, c.c., in senso
restrittivo, riducendone l'applicazione ai casi di violazione di
norme giuridiche, ma in senso ampio, ricomprendente ogni com
portamento, anche indiretto, che si riveli contrario, in partico
lare, a regole deontologiche.
Quanto all'incidenza del principio costituzionale di libertà del
l'iniziativa economica (art. 41 Cost.) nell'interpretazione ed ap
plicazione dell'art. 2598, n. 3 e, più in generale, in tema di
concorrenza sleale, non può che convenirsi con la sentenza im
pugnata, nel senso della necessità di un'interpretazione che ten
ga conto di tale principio: ma, anche qui, avendo ben presente che la libertà di iniziativa economica — soggetta, peraltro, ai
limiti indicati nello stesso art. 41, 2° comma, Cost. — non può
comunque escludere l'adozione di criteri ermeneutici riferiti al
costume ed a regole del mercato, anche di natura deontologica. Ciò premesso, va rilevato che l'affermazione della corte terri
toriale, secondo cui un analogo o identico mezzo promozionale di vendita di giornali non può integrare un atto di scorrettezza
professionale, essendo uso normale delle società editrici di pro muovere la diffusione con iniziative del tutto identiche a quelle dei concorrenti, poggia sull'espressa considerazione che si deve
far riferimento al concreto comportamento medio degli impren ditori appartenenti ad una medesima categoria: questa premes
sa, tuttavia, non può essere accettata.
Ed invero, nell'apprezzamento delle situazioni concrete rien
tranti nel divieto posto dall'art. 2598, n. 3, c.c. occorre aver
riguardo non già alla mera prassi commerciale, ad una consue
tudine accettata dagli imprenditori di una determinata catego
ria, ma piuttosto ai principi etici che governano l'attività degli
appartenenti; in altri termini, non a condotte normalmente te
nute e che, per ciò stesso, possano ritenersi lecite, sibbene ad
un costume professionale e commerciale eticamente qualificato ed i cui parametri di valutazione non sono rinvenibili tanto in
un generico concetto di onestà, quanto — e soprattutto — in
regole deontologiche che gli stessi operatori economici abbiano
riconosciuto valide e vincolanti. Si potrebbe dire, in sintesi, che
occorre far riferimento al «dover essere» e non all'«essere», atteso che alla frequenza o tolleranza di una condotta non cor
risponde necessariamente la sua moralità: con la precisazione, fatta anche in dottrina, che non si tratta di un dover essere
«puro», ma di quello etico professionale e commerciale, alla
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cui tutela è finalizzata la disposizione contenuta nel n. 3 del
l'art. 2598 c.c.
In questa prospettiva va considerata la decisività, nell'ambito
della controversia insorta tra il Corriere della Sera ed il Giorna
le di Sicilia, della questione se l'imitazione pedissequa dell'ini
ziativa promozionale confligga o meno con l'art. 13 del codice
di autodisciplina pubblicitaria: questione che — come risulta
dalla sentenza ora impugnata — il Corriere aveva dedotto sin
nel primo grado del giudizio ed il cui esame è stato totalmente
pretermesso dalla corte d'appello, sebbene avesse costituito og
getto di argomentazione difensiva.
Non risultano, nella giurisprudenza di questa corte, prece denti in tema di rilevanza, ai fini dell'individuazione degli atti di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598, n. 3, c.c., delle
regole del codice di autodisciplina pubblicitaria, cui si è dato vita sin dal 1966 (con vari aggiornamenti successivi): profilo,
questo, esaminato da alcune decisioni dei giudici di merito e
da pur non copiosa dottrina, che ha posto in evidenza come
a tali regole non possa negarsi una funzione integrativa del prin
cipio di correttezza professionale, rilevante agli effetti dell'ap
plicazione dell'art. 2598, n. 3, c.c. In questa sede, non interessa
particolarmente verificare se il codice di autodisciplina pubblici taria abbia o meno natura negoziale, se ponga norme meramen
te deontologiche o giuridiche in senso stretto (per questa secon
da soluzione si sono espressi taluni giudici di merito e lo stesso
Giurì), sì da costituire un vero e proprio ordinamento giuridico, frutto della libertà di autonormazione riconosciuta dall'ordina
mento statuale: il problema non consiste, infatti, nello stabilire
se il codice di autodisciplina pubblicitaria sia stato recepito dal
l'ordinamento generale, con sua immediata applicabilità da parte del giudice, ma nell'utilizzazione delle norme (o regole) quali
parametri di riferimento del principio di correttezza professionale.
Quand'anche si ritenesse che il codice di autodisciplina pub blicitaria contenga mere regole deontologiche, non se ne po trebbe comunque escludere l'incidenza nell'interpretazione ed
applicazione dell'art. 2598, n. 3, c.c.: se per un verso, infatti, la stessa norma, facendo riferimento ai principi di correttezza
professionale, opera sostanzialmente un rinvio anche a parame tri extralegislativi, per altro verso le regole del codice di autodi
sciplina pubblicitaria esprimono, per loro stessa natura e for
mazione, quel «dover essere» dei comportamenti che forma og
getto — come si è visto — della tutela stabilita dal n. 3 dell'art.
2598 c.c. Non solo, ma esse consentono di adeguare il principio di correttezza professionale all'evoluzione delle esigenze dell'at
tività imprenditoriale ed alle sue forme di manifestazione: in
definitiva, al costume eticamente inteso.
Ne deriva che, allo scopo di valutare se l'atto posto in essere
dal Giornale di Sicilia integrasse o meno un'ipotesi di scorret
tezza professionale, la corte palermitana avrebbe dovuto verifi
care l'eventuale violazione dell'art. 13, 1° comma, del codice
di autodisciplina pubblicitaria, a tenore del quale «deve essere
evitata qualsiasi imitazione pubblicitaria servile anche se relati
va a prodotti non concorrenti, specie se idonea a creare confu
sione con altra pubblicità»: trattasi di questione che, espressa mente prospettata dal Corriere della Sera, rivestiva carattere es
senziale per la decisione della controversia.
La società resistente ha sostenuto, al riguardo, che la norma
disciplina soltanto l'attività pubblicitaria e non anche gli incen
tivi promozionali utilizzati dalle imprese editoriali, con la con
seguenza che l'eventuale violazione di essa potrebbe comportare l'inibizione della propaganda pubblicitaria del concorso a pre
mi, non certo della diffusione ed offerta dello stesso gioco. La tesi non può essere condivisa: in via generale, perché la
pubblicità è uno strumento della politica concorrenziale dell'im
presa, che si esprime attraverso messaggi diretti al consumatore
(nel nostro caso, al lettore), onde l'idea promozionale dell'of
ferta di un prodotto omaggio in aggiunta o connessione a quel
lo principale (ai fini che qui interessano, del premio in denaro,
previa estrazione dei biglietti non vincenti della lotteria nazio
nale) può essere un incentivo all'acquisto dello stesso prodotto
principale (nella specie, di un quotidiano) e costituire, quindi,
una forma di pubblicità; in particolare, perché tra le norme
preliminari e generali del codice di autodisciplina v'è quella se
condo cui il termine pubblicità «comprende ogni comunicazio
ne, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni
o servizi quali che siano i mezzi utilizzati».
È fondato, allora, anche il primo motivo del ricorso e la sen
II Foro Italiano — 1999.
tenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice: resta
assorbito, logicamente, il terzo motivo, con il quale si denun
ciano violazione dell'art. 96 c.p.c. e vizio di motivazione, con
riferimento alla condanna al risarcimento dei danni in favore
della soc. Il Giornale di Sicilia editoriale poligrafica. Il giudice di rinvio, designato in diversa sezione della Corte
d'appello di Palermo, procederà a nuovo esame della contro
versia, attenendosi — in particolare — al principio di diritto
secondo cui, nell'apprezzamento delle situazioni concrete rien
tranti nel divieto degli atti di concorrenza posto dall'art. 2598, n. 3, c.c., costituiscono parametri di valutazione della correttez
za professionale le regole contenute nel codice di autodisciplina
pubblicitaria, quali espressione dell'etica professionale e com
merciale, alla cui tutela la norma civilistica è finalizzata.
Con riferimento al caso di specie, quindi, il giudice di rinvio dovrà verificare se, in presenza di una situazione di concorren
zialità ed indipendentemente dalla legittimità dell'utilizzazione
della stessa idea promozionale attuata dal Corriere della Sera, costituisca o meno atto non conforme a correttezza professio nale — perché eventualmente vietato dall'art. 13 del codice di
autodisciplina pubblicitaria — l'applicazione concreta che di ta
le idea ne ha fatto il Giornale di Sicilia, mediante l'imitazione pedissequa delle relative modalità.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 feb
braio 1999, n. 1231; Pres. Senofonte, Est. Luccioli, P.M.
Frazzini (conci, conf.); Bentivoglio (Avv. Ledda) c. Cera
(Avv. Scarnati) e Inps (Avv. De Ritis, Nardi). Cassa App. Roma 22 maggio 1996 e decide nel merito.
Opposizione di terzo — Sentenza — Condebitore solidale —
Improduttività di effetti — Opposizione del coobbligato —
Mancanza di pregiudizio — Inammissibilità (Cod. civ., art.
1306, 2266, 2291, 2293, 2909; cod. proc. civ., art. 384, 404).
Poiché la sentenza resa contro un coobbligato non produce ef
fetto contro gli altri debitori solidali, essa non comporta, in
capo a questi ultimi, pregiudizio idoneo a legittimare la pro
posizione dell'opposizione di terzo (nella specie, è stata di
chiarata inammissibile, per mancanza di pregiudizio idoneo
a legittimare l'impugnazione, l'opposizione di terzo proposta dal socio di società in nome collettivo contro la sentenza di
condanna nei confronti della società, considerata quale cen
tro autonomo di riferimento di situazioni giuridiche sog
gettive). (1)
(1) Non constano precedenti editi sullo specifico tema del rapporto fra società in nome collettivo e socio, in ordine all'ammissibilità del
l'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. In senso parzialmente difforme, ma in tema di società di capitali,
App. Roma 7 gennaio 1994, Foro it., 1994, I, 1186, ha ritenuto che
non ricorrano i presupposti per la proposizione del rimedio ex art. 404
c.p.c. in capo al socio, poiché quest'ultimo non può essere considerato
terzo rispetto alle attività esterne poste in essere dalla società e poiché non (nel caso di specie) è titolare di un diritto autonomo la cui tutela
è incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza pro nunciata tra le stesse parti.
Sui presupposti, richiamati anche nella sentenza che si riporta, neces
sari ai fini dell'esperibilità del rimedio in esame, cfr. Cass. 8 marzo
1995, n. 2722, id., 1996, I, 209. Per un'analisi sulla casistica circa l'applicazione dell'art. 404 c.p.c.,
cfr. Vaccarella-Verde-Di Nanni (a cura di), Commento al codice di
procedura civile, Torino, 1997, sub art. 404.
In dottrina, da ultimo, Trimarchi-Banfi, Considerazioni sull'opposi zione alla sentenza di annullamento proposta dal terzo titolare di posi zione «autonoma ed incompatibile», in Dir. proc. ammin., 1998, 780.
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