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sezione I civile; sentenza 15 febbraio 1999, n. 1259; Pres. Senofonte, Est. Verucci, P.M. Raimondi...

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sezione I civile; sentenza 15 febbraio 1999, n. 1259; Pres. Senofonte, Est. Verucci, P.M. Raimondi (concl. conf.); Soc. R.C.S. editori (Avv. Giorgianni, Franco, Fusi, Sena, Tarchini) c. Soc. Il Giornale di Sicilia editoriale poligrafica (Avv. Algozini, Bongiorno, Equizzi). Cassa App. Palermo 27 novembre 1996 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 9 (SETTEMBRE 1999), pp. 2571/2572-2577/2578 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193629 . Accessed: 28/06/2014 12:20 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.11 on Sat, 28 Jun 2014 12:20:09 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 15 febbraio 1999, n. 1259; Pres. Senofonte, Est. Verucci, P.M.Raimondi (concl. conf.); Soc. R.C.S. editori (Avv. Giorgianni, Franco, Fusi, Sena, Tarchini) c.Soc. Il Giornale di Sicilia editoriale poligrafica (Avv. Algozini, Bongiorno, Equizzi). Cassa App.Palermo 27 novembre 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 9 (SETTEMBRE 1999), pp. 2571/2572-2577/2578Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193629 .

Accessed: 28/06/2014 12:20

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2571 PARTE PRIMA 2572

rebbe inspiegabile se non a fronte dell'avvenuto ingresso della

somma nel patrimonio dell'avente diritto all'indennizzo stesso.

2a. - Osserva la corte che il contratto di mutuo, al cui schema

viene pacificamente assimilato quello di cui è causa, benché non

manchino opinioni che ne ripropongono una collocazione al

l'interno dei contratti consensuali mantiene nella dottrina domi

nante e nella giurisprudenza, anche risalente, di questa Corte

suprema, il tradizionale connotato di contratto reale, che il col

legio condivide. Esso, dunque, si perfeziona al momento della

consegna del bene mutuato, ancorché questa avvenga in forma

giuridicamente equipollente ad una traditio che realizzi la di

sponibilità possessoria del bene stesso da parte del mutuatario.

Ciò, secondo la predetta giurisprudenza, avviene anche nell'i

potesi di accredito della somma su conto corrente del mutuata

rio da parte della banca contraente il mutuo (Cass. n. 1422 del

1978, Foro it., Rep. 1978, voce Mutuo, n. 3), quale che sia

10 scopo eventuale del mutuo stesso.

Tali principi richiamati dalle ricorrenti non sono stati ignora ti dalla corte di merito la quale, muovendo anch'essa dalla loro

considerazione ha rilevato nel caso di specie una diversa situa

zione di fatto.

2b. - La sentenza impugnata ha esaminato il contratto ed

ha rilevato che ad una certa data la somma in questione venne

da parte dell'Istituto S. Paolo annotata nei registri della sezione

mutuante. Tale annotazione tuttavia, nella logica della corte di

Lecce, pur costituendo un essenziale momento del procedimen to di concessione del mutuo, propedeutico all'effettiva eroga

zione, non mise la somma nella disponibilità giuridica del

comune.

La sentenza ha rilevato all'uopo che solo successivamente la

somma, secondo la norma contrattuale, doveva essere versata

in apposita contabilità presso la tesoreria dello Stato, cioè dopo

l'espletamento da parte del comune di altre formalità. Tutto

questo, ancora, con la previsione che ove mai tali adempimenti non fossero stati completati entro il termine di novanta giorni, 11 contratto si sarebbe risolto.

Da tale complessiva regolamentazione la corte di merito ha

tratto la conclusione che l'attribuzione definitiva della somma

al comune non sarebbe comunque avvenuta prima del venir me

no della possibilità di risolvere il contratto da parte della banca.

L'annotazione su partita nominativa non ebbe un tale effetto,

e, conclude la sentenza impugnata, non costituì erogazione del

la somma.

2c. - Osserva ancora il collegio che l'accertamento di siffatto

contenuto della volontà contrattuale non appare contradditto

rio, come ritengono le ricorrenti, con la ribadita natura reale

del contratto in questione. Tale natura, infatti, presuppone co

me si è detto, per il perfezionamento del negozio e, dunque,

per determinare il momento nel quale i suoi effetti giuridici tipi ci si realizzano, una traditio, sia pure per equipollente che, nel

la specie, è stata esclusa in fatto. 2d. - Non coglie nel segno la considerazione della previsione

contrattuale per la quale la giacenza della somma presso l'Isti

tuto San Paolo, dopo di tale annotazione, avrebbe dato diritto

al comune di percepire un indennizzo, rapportato al tasso di

sconto del tempo diminuito di una certa percentuale. Come esattamente nota la corte di merito, la previsione di

una sorta di interessi si spiega solo con l'impossibilità di dispor re, per mancanza del possesso, della somma in questione.

le. - Parimenti, non si può dire che la previsione della possi bilità di risoluzione del contratto per l'ipotesi di mancato com

pletamento da parte del comune di talune formalità, presuppo ne, oltre alla avvenuta conclusione di un contratto, anche il

perfezionamento del rapporto reale in questione. La corte di merito, in proposito, ha affermato che tale clau

sola dimostra che ad onta dell'esistenza tra le parti, sin dalla

conclusione dal contratto, di un rapporto giuridico, non era

tuttavia sussistente la piena disponibilità della somma dal cui

realizzarsi dovevano derivare altri effetti contrattuali. E tale con

clusione non è in alcun modo contraddittoria. Perché è ben pos sibile che la piena efficacia di un negozio, ovvero il limitarsi di taluni dei suoi previsti effetti, muova da un certo momento in avanti, ma all'interno di un rapporto giuridico preesistente e funzionante.

Nella specie, dunque, la ricostruzione dei fatti compiuta dal

giudice del merito fa concludere che sulla base di un contratto di mutuo il comune acquistò il diritto ad ottenere la disponibili

II Foro Italiano — 1999.

tà di una certa somma, ma successivamente al momento in cui

avesse completato gli adempimenti previsti dall'istruttoria.

Il che non contrasta affatto con l'affermazione, derivata an

ch'essa dall'interpretazione del contratto, che il diritto di di

sporre della somma da parte del mutuatario decorresse dalla

traditio, ancorché effettuata in forme giuridicamente equipollenti. Circostanza questa che, giova ripetere, è stata esclusa in fat

to, con motivazione che non merita censure in questa sede di

legittimità. I due motivi sono pertanto infondati.

3. - Vanno esaminati insieme anche i due residui motivi delle

ricorrenti, che al di là di una diversa articolazione e dell'esplici to carattere subordinato di quello avanzato da Ecomed, pro

pongono doglianze analoghe contro il medesimo punto della de

cisione della corte di merito. Le ricorrenti, infatti, lamentano

la violazione dei principi sull'onere della prova e di quelli pro cessuali che disciplinano la corrispondenza tra chiesto e pro nunciato e l'obbligo del giudice di decidere su tutta la domanda.

Rilevano anche che il comune ha esplicitamente ammesso che

a fine agosto del 1990 ottenne la disponibilità della somma.

Conseguentemente, sarebbe stato erroneo negare il diritto agli interessi quanto meno dal momento della predetta disponibilità atteso che la predetta ammissione costituiva confessione e libe

rava il richiedente dall'onere della prova. 3a. - Osserva il collegio che la sentenza impugnata sul punto

afferma che nessuna prova è stata offerta circa il momento in

cui l'erogazione, e quindi la piena disponibilità della somma

mutuata da parte del comune, si verificò.

Tale affermazione non è contraddetta dall'ammissione da parte del comune appellante del fatto che l'erogazione stessa avvenne

verso la fine di agosto o ai primi di settembre, non essendo

essa indicativa del «momento», come scrive la sentenza, di tale

acquisita, materiale disponibilità. È appena il caso di rilevare peraltro che il punto non riguar

dava il «se» la somma fosse stata messa a disposizione effetti

vamente del comune, fatto questo pacifico, che a sua volta ha

dato luogo al pagamento da parte del comune medesimo alle

odierne ricorrenti in corso di causa. Riguardava invece il mo

mento, cioè la data esatta di tale fatto giuridico, la cui prova

spettava al richiedente il pagamento. Le due doglianze sono, pertanto, infondate perché la corte

di merito ha pronunciato su tutta la domanda sottoposta al suo

esame, senza trascurare i principi che le ricorrenti invocano.

4. - I due ricorsi debbono essere respinti.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 feb

braio 1999, n. 1259; Pres. Senofonte, Est. Verucci, P.M. Raimondi (conci, conf.); Soc. R.C.S. editori (Aw. Giorgianni, Franco, Fusi, Sena, Tarchini) c. Soc. Il Giornale di Sicilia

editoriale poligrafica (Aw. Algozini, Bongiorno, Equizzi). Cassa App. Palermo 27 novembre 1996.

Concorrenza (disciplina della) — Concorrenza sleale — Corret

tezza professionale — Codice di autodisciplina pubblicitaria — Fattispecie (Cod. civ., art. 2598).

Nell'apprezzamento delle situazioni concrete rientranti nel di

vieto di atti di concorrenza sleale, le regole contenute nel co

dice di autodisciplina pubblicitaria costituiscono parametri di

valutazione della correttezza professionale (nella specie, il Su

premo collegio ha cassato la decisione con cui la corte di me

rito aveva ritenuto che l'imitazione pedissequa, da parte di un quotidiano, dell'iniziativa promozionale realizzata da al

tro quotidiano non integrasse gli estremi della concorrenza

sleale). (1)

(1) Non constano precedenti sul punto. Intervenendo in una vicenda giudiziaria che ha conosciuto un anda

mento altalenante — l'iniziale provvedimento cautelare (Trib. Palermo,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con atto notificato I'll gen naio 1990, la R.C.S. editoriale quotidiani s.p.a., editrice del

quotidiano Corriere della Sera, conveniva in giudizio, dinanzi

al Tribunale di Palermo, la s.p.a. Il Giornale di Sicilia editoria

le poligrafica, editrice del quotidiano Giornale di Sicilia, espo nendo che nel gennaio 1989 il Corriere aveva lanciato un con

corso a premi, denominato «Replay-il gioco che ti rimette in

gioco», che consentiva ai possessori di biglietti non vincenti di

lotterie nazionali (in particolare, della lotteria Italia) di parteci

pare a successive estrazioni dei biglietti medesimi, effettuate dal

quotidiano con il controllo dell'amministrazione finanziaria. La

società attrice faceva, altresì, presente che il concorso aveva avuto

un rilevante effetto favorevole per l'incremento delle vendite

del Corriere proprio in regioni, quale la Sicilia, in cui aveva

minore diffusione: nel Giornale di Sicilia del 9 gennaio 1990

era stato pubblicato un annuncio reclamizzante, con lo slogan «Provaci ancora», un'iniziativa promozionale del tutto identica

a quella del gioco «Replay», sia nell'idea che nelle modalità

di attuazione. Sostenendo che l'iniziativa del Giornale di Sicilia

costituiva imitazione della campagna promozionale realizzata dal

Corriere della Sera e, quindi, una forma di concorrenza paras

sitaria, la R.C.S. chiedeva che, dichiarata l'illiceità di tale con

dotta, ne venisse inibita la prosecuzione e che la società conve

nuta fosse condannata al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio.

ord. 19 gennaio 1990, Foro it., Rep. 1990, voce Concorrenza (discipli

na), n. 133, e Temi siciliana, 1990, 51) e la pronuncia di primo grado

(Trib. Palermo 18 febbraio 1991, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 141, e Temi siciliana, 1991, 71) avevano ravvisato la sussistenza di una fatti

specie di concorrenza sleale, mentre la decisione d'appello era stata di

contrario avviso —, la Suprema corte sancisce la rilevanza delle norme

contenute nel codice di autodisciplina pubblicitaria, ai fini dell'indivi

duazione del contenuto dei principi di correttezza professionale, la cui

violazione dà luogo ad atti di concorrenza sleale ex art. 2598, n. 3, c.c.

Nel senso che il comportamento di chi non ottemperi alle decisioni

del Giurì di autodisciplina può essere qualificato come contrario alla

correttezza professionale, v. Trib. Torino, ord. 27 novembre 1998, e

29 ottobre 1998, Riv. dir. ind., 1999, II, 61, con nota di S. Giudici,

Autodisciplina pubblicitaria e concorrenza sleale (entrambe sono state

emesse nell'ambito del medesimo procedimento cautelare; la prima ha

confermato, in sede di reclamo, la seconda, che può leggersi — assieme

al decreto reso inaudita altera parte dal giudice istruttore del tribunale

piemontese in data 16 ottobre 1998 e alla pronuncia del Giurì del 22

settembre 1998, n. 281 — anche in Dir. ind., 1998, 342, con nota di

M. Lamandini, Il giudice in soccorso del Giurì); sulle interferenze tra

provvedimenti del Giurì e tutela cautelare in materia di concorrenza

sleale, v. Pret. Milano, ord. 5 dicembre 1989, e 18 novembre 1989, Foro it., Rep. 1991, voce Provvedimenti di urgenza, nn. 121, 122 (e Giur. it., 1991, I, 2, 722, con nota di A. Casadonte, Ordinamento

statuale e sistema di autodisciplina (sui provvedimenti cautelari atipici ex art. 700 c.p.c.)); in argomento, cfr., altresì, M. Barbuto, Codice

di autodisciplina pubblicitaria e concorrenza sleale, in Impresa, 1991, 616.

Per quanto attiene ai rapporti tra pubblicità ingannevole e concor

renza sleale, Trib. Roma, ord. 25 febbraio 1998, Giur. it., 1999, 335

(commentata da V. Franceschelli, Il messaggio pubblicitario come ipo tesi di pubblicità ingannevole e come elemento della fattispecie «con

correnza sleale», in Riv. dir. ind., 1998, II, 221) ha ritenuto che l'accer tamento del carattere ingannevole di un messaggio pubblicitario, rile

vante ai fini della connotazione in termini di slealtà della condotta posta in essere da un concorrente, può essere effettuato alla luce dei parame tri e dei criteri indicati dal d.leg. 25 gennaio 1992 n. 74.

Per l'affermazione che l'imitazione di uno slogan pubblicitario può essere riguardata come atto di concorrenza sleale in quanto si dimostri

di per sé capace di ingenerare una dannosa confusione tra i prodotti delle aziende concorrenti, v. App. Roma 21 gennaio 1980, Foro it., Rep.

1983, voce Concorrenza (disciplina), n. 99 (e Giur. dir. ind., 1981, 214). In tema di imitazione pubblicitaria servile, v. Giurì codice autodisci

plina pubblicitaria 5 luglio 1994, n. 79, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 504 (e Dir. ind., 1995, 959, con nota di A.M. Gambino, Originalità e protezione di un'idea pubblicitaria)-, 13 dicembre 1991, n. 180, Foro

it., Rep. 1992, voce cit., n. 164 (e Giur. it., 1992, I, 2, 473); 10 dicem

bre 1986, n. 105, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 183 (e Riv. dir.

ind., 1987, II, 396); 10 dicembre 1986, n. 104, Foro it., Rep. 1987,

voce cit., n. 116 (e Rass. dir. farmaceutico, 1987, 577); 30 marzo 1982,

Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 290 (e Riv. dir. ind., 1983, II, 68). Circa l'ambito di tutela dell'idea pubblicitaria, v., da ultimo, Giurì

codice autodisciplina pubblicitaria 27 gennaio 1998, n. 3, Foro it., 1998,

I, 2033 (secondo cui la protezione va limitata all'idea che costituisca

il centro della comunicazione e contribuisca in modo determinante a

fornire il contenuto del messaggio), nonché R. Rossotto, Sulla proteg

gibilità dell'idea pubblicitaria, in Dir. ind., 1999, 74.

Il Foro Italiano — 1999.

Su ricorso della stessa R.C.S., il giudice istruttore, con prov vedimento ex art. 700 c.p.c. in data 19 gennaio 1990 (Foro it.,

Rep. 1990, voce Concorrenza (disciplina), n. 133), ordinava la

sospensione del concorso promosso dal Giornale di Sicilia e del

la relativa pubblicità.

Costituitasi, la convenuta chiedeva il rigetto delle domande

e, in via riconvenzionale, che la R.C.S. venisse condannata al

risarcimento dei danni subiti a causa dell'azione temeraria e del

provvedimento cautelare ottenuto.

Il tribunale adito, con sentenza del 18 febbraio 1991 (id., Rep.

1991, voce cit., n. 141), accoglieva le domande avanzate dalla

R.C.S., ritenendo che l'iniziativa promozionale del Giornale di

Sicilia avesse integrato un atto di concorrenza sleale, ai sensi

dell'art. 2598, n. 3, c.c.

L'impugnazione proposta dalla soc. Il Giornale di Sicilia edi

toriale poligrafica veniva accolta dalla Corte d'appello di Paler

mo con sentenza non definitiva del 27 novembre 1996, rigettan do le domande avanzate dalla R.C.S. editoriale quotidiani (poi

incorporata dalla R.C.S. editori s.p.a.) e condannandola al ri

sarcimento dei danni, per la cui liquidazione rimetteva la causa

in istruttoria con separata ordinanza.

Premesso che era in discussione soltanto la configurabilità di un atto di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598, n. 3,

c.c. e che, a tal fine, si deve tener conto del principio posto dall'art. 41 Cost., la corte osservava che, quanto all'addebito

di scorrettezza professionale mosso al Giornale di Sicilia, non

si vedeva come un'analoga o quasi identica attività promozio nale di vendita potesse integrare la disposizione dell'art. 2598, n. 3, c.c., essendo uso normale, per le società editrici dei mag

giori quotidiani nazionali, quello di promuovere le vendite con

iniziative del tutto identiche a quelle dei concorrenti, quali l'of

ferta di supplementi, audio e videocassette, ecc. La corte terri

toriale precisava che tra i due quotidiani in questione non era

ipotizzabile una vera ed effettiva concorrenza, con riferimento

sia alla consistenza finanziaria, al livello professionale ed alla

diffusione, certamente maggiori e più elevati per il Corriere del

la Sera, che allo stesso contenuto: il Corriere, infatti, manca

quasi completamente di cronaca siciliana, mentre il Giornale

di Sicilia è in gran parte dedicato ai fatti locali, con la conse

guenza che l'analoga iniziativa promozionale non può mai rite

nersi idonea a sviare scorrettamente la clientela del Corriere della

Sera-, d'altro canto, un danno per quest'ultimo non era confi

gurabile anche sotto un diverso profilo, perché i possessori di

biglietti non estratti della lotteria nazionale, acquistando entrambi

i quotidiani, potevano partecipare alle estrazioni effettuate dal

l'uno e dall'altro e soltanto l'estrazione, statisticamente impos

sibile, dello stesso numero nei due concorsi avrebbe determina

to l'imbarazzo di una scelta.

La corte, infine, affermava che la R.C.S. andava condannata

al risarcimento dei danni, a causa del suo colposo ed illecito

comportamento ed avendo impedito l'iniziativa promozionale del Giornale di Sicilia.

Per la cassazione di tale sentenza la R.C.S. editori s.p.a. ha

proposto ricorso con tre motivi. Resiste la soc. Il Giornale di

Sicilia editoriale poligrafica con controricorso. Le parti hanno

presentato memoria.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunciando

violazione e falsa applicazione dell'art. 2598 c.c., nonché vizio

di motivazione, la società ricorrente censura la sentenza impu

gnata per aver escluso che la condotta del Giornale di Sicilia

costituisse concorrenza sleale, senza considerare che ci si era

lamentati non del fatto che fosse stato organizzato un gioco 0 concorso a premi, ma dell'imitazione pedissequa e contestuale

di quello indetto dal Corriere della Sera, ossia dell'applicazione

pratica di un'idea che, in via generale, poteva essere lecitamente

utilizzata in altro modo. Secondo la ricorrente, inoltre, la corte

di merito ha omesso del tutto la valutazione di un punto decisi

vo della controversia, che pur era stato prospettato in entrambi

1 gradi del giudizio ed ampiamente illustrato negli scritti difensi vi, vale a dire la relazione esistente tra l'ipotesi prevista dal

n. 3 dell'art. 2598 c.c. e l'art. 13 del codice di autodisciplina

pubblicitaria, il quale vieta espressamente l'imitazione pubblici

taria servile: sebbene le regole di detto codice non siano state

recepite dall'ordinamento statuale, tuttavia fondano principi di

correttezza professionale, la cui violazione ricade sotto la previ

sione dell'art. 2598, n. 3, c.c.

Con il secondo motivo, la stessa ricorrente denuncia violazio

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2575 PARTE PRIMA 2576

ne e falsa applicazione dell'art. 2598 c.c., nonché vizio di moti

vazione, sotto un diverso profilo: rileva, infatti, l'erroneità del

la valutazione data dalla corte territoriale circa l'inesistenza di

un'effettiva situazione concorrenziale tra i due quotidiani, per ché essa — a differenza di quanto ritenuto dalla sentenza impu

gnata — si verifica quando vi sia, da parte di più imprenditori, il coevo esercizio di attività industriale o commerciale in ambito

territoriale anche solo potenzialmente comune, indipendentemente dalla coincidenza di clientela.

Secondo un ordine logico e giuridico, riveste carattere preli minare l'esame della seconda censura, essendo evidente l'incon

figurabilità di un atto di concorrenza sleale ove non sussista

una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori. Al riguardo, va precisato — con riferimento a specifico rilievo

della società resistente — che la critica della ricorrente è volta

ad ottenere non già un'inammissibile rivalutazione di fatti ac

certati dal giudice di merito, ma la verifica della congruità e

logicità della relativa motivazione e, più ancora, della confor

mità a diritto dei principi applicati. In relazione agli argomenti esposti nella sentenza impugnata

a sostegno della ritenuta inesistenza di correnzialità tra i due

quotidiani e, quindi, dell'inidoneità del gioco a premi indetto

dal Giornale di Sicilia a produrre un danno al Corriere della

Sera, si deve osservare: — la differente «qualità» (rilevabile, secondo la corte paler

mitana, dalla consistenza societaria e finanziaria e dal livello

del corpo redazionale, oltre che dei collaboratori), nonché la

maggiore diffusione del Corriere della Sera rispetto al Giornale

di Sicilia non sono, all'evidenza, elementi tali da escludere, alla

radice, una situazione di concorrenza, dovendosi, al contrario, rilevare che proprio una «tiratura» diversa rappresenta la ragio ne per la quale, da un lato, il quotidiano a maggior diffusione

nazionale è indotto a penetrare di più e meglio in ambito regio nale e, dall'altro, quello diffuso a livello quasi esclusivamente

regionale tenta di contrastare siffatta espansione e, al medesimo

tempo, di aumentare la sua presenza tra i lettori di tutte le pro vince siciliane;

— anche la parziale diversità di contenuti, riferibile al mag

gior rilievo dato dal Giornale di Sicilia alla cronaca locale, non

vale ad escludere la concorrenza con il Corriere della Sera, so

prattutto perché non può negarsi un'identità, almeno potenzia

le, della platea dei lettori sulla base dell'astratta possibilità di

acquisto di entrambi i quotidiani; — questa corte, infatti, ha avuto modo di affermare che ad

integrare il presupposto della concorrenza sleale è sufficiente

il contemporaneo esercizio, da parte di più imprenditori, di una

medesima attività industriale o commerciale in un ambito terri

toriale anche solo potenzialmente comune, non dovendo neces

sariamente sussistere, in concreto, l'identità di clientela (tra le

altre, Cass. 5716/88, id., 1989, I, 764, e 1990/74, id., Rep.

1974, voce cit., n. 21); — avuto riguardo alla scarsa diffusione che, complessivamente,

la stampa quotidiana ha nella popolazione, l'acquisto di due

quotidiani costituisce ipotesi sicuramente infrequente, sulla quale non è legittimo fondare un giudizio di insussistenza di situazio

ne concorrenziale, tanto più che (come ha osservato esattamen

te la difesa della società ricorrente) la possibilità di acquistare

più prodotti finirebbe per escludere sempre una situazione di

concorrenza; — risulta incongrua ed illogica, quindi, l'affermazione della

corte territoriale secondo cui, acquistando entrambi i giornali, i lettori possessori dei biglietti del gioco a premi avrebbero po tuto partecipare alle estrazioni effettuate da un quotidiano e

dall'altro, senza dover scegliere tra i due premi: dovendosi os

servare, anzi, che l'adozione, da parte del Giornale di Sicilia, di un gioco del tutto identico a quello già organizzato dal Cor

riere della Sera e tuttora in svolgimento ben avrebbe potuto indurre il lettore ad acquistare il primo anziché il secondo, ov

vero ad abbandonare quest'ultimo a favore dell'altro (la R.C.S.,

infatti, aveva sostenuto che l'incremento delle vendite costituiva

effetto proprio del gioco «Replay»); — ne deriva che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudi

ce di merito, non poteva radicalmente escludersi che il gioco a premi indetto dal quotidiano siciliano fosse idoneo a produrre danni al Corriere della Sera, con valutazione che, prescindendo dalla produzione di un pregiudizio attuale al patrimonio del con

corrente, va fatta in esclusivo riferimento alla potenzialità dan

II Foro Italiano — 1999.

nosa dell'atto (ex plurimis, Cass. 12103/95, id., 1996, I, 1765;

1413/83, id., Rep. 1985, voce cit., n. 23; 2020/82, ibid., n. 24). Alla stregua delle considerazioni svolte, il secondo motivo del

ricorso risulta fondato: si tratta di verificare, allora, la confor

mità a diritto della valutazione della corte di merito circa la

non riconducibilità dell'attività (di concorrenza) alla previsione dell'art. 2598, n. 3, c.c., che forma oggetto del primo motivo

di ricorso.

La premessa di fatto, risultante dalla sentenza impugnata, è

che il gioco a premi «Provaci ancora», indetto dal Giornale

di Sicilia, era del tutto identico, nell'idea e nelle modalità di

attuazione, a quello organizzato sin dall'anno precedente dal

Corriere della Sera e denominato «Replay-il gioco che ti rimette

in gioco»: il primo, infatti, si basava sull'estrazione di biglietti non vincenti delle stesse lotterie nazionali, in particolare della

lotteria Italia, in una situazione in cui il concorso indetto dal

Corriere era in svolgimento. La corte palermitana è partita da considerazioni che, in via

di principio, possono essere condivise, pur necessitando di alcu

ne puntualizzazioni. Non è revocabile in dubbio che l'art. 2598, n. 3, c.c. sia norma «di chiusura»: più volte, infatti, questa corte ha affermato che rientrano in detta previsione, a carattere

aperto, tutte le condotte, ancorché non tipizzate dall'esperien

za, comportanti violazione delle regole di correttezza professio

nale, e che i mezzi previsti dalla stessa norma sono diversi e

distinti da quelli indicati nei nn. 1 e 2, onde la concorrenza

sleale è configurabile indipendentemente dalla confondibilità dei

prodotti, potendo consistere in qualunque condotta contraria

ai principi di correttezza ed idonea a cagionare danni al concor

rente (tra le più recenti, cfr. Cass. 5671/98, id., Mass., 636;

3787/96, id., 1996, I, 2808; 1392/94, id., 1995, I, 2237). Va precisato, tuttavia, che proprio in ragione di ciò e della necessi

tà di adeguare la portata della norma alla continua evoluzione

dell'attività imprenditoriale e, soprattutto, dei correlativi mezzi

di espansione nel mercato, il principio di correttezza professio nale non può essere inteso, ai fini della riconducibilità di situa

zioni concrete al divieto posto dall'art. 2598, n. 3, c.c., in senso

restrittivo, riducendone l'applicazione ai casi di violazione di

norme giuridiche, ma in senso ampio, ricomprendente ogni com

portamento, anche indiretto, che si riveli contrario, in partico

lare, a regole deontologiche.

Quanto all'incidenza del principio costituzionale di libertà del

l'iniziativa economica (art. 41 Cost.) nell'interpretazione ed ap

plicazione dell'art. 2598, n. 3 e, più in generale, in tema di

concorrenza sleale, non può che convenirsi con la sentenza im

pugnata, nel senso della necessità di un'interpretazione che ten

ga conto di tale principio: ma, anche qui, avendo ben presente che la libertà di iniziativa economica — soggetta, peraltro, ai

limiti indicati nello stesso art. 41, 2° comma, Cost. — non può

comunque escludere l'adozione di criteri ermeneutici riferiti al

costume ed a regole del mercato, anche di natura deontologica. Ciò premesso, va rilevato che l'affermazione della corte terri

toriale, secondo cui un analogo o identico mezzo promozionale di vendita di giornali non può integrare un atto di scorrettezza

professionale, essendo uso normale delle società editrici di pro muovere la diffusione con iniziative del tutto identiche a quelle dei concorrenti, poggia sull'espressa considerazione che si deve

far riferimento al concreto comportamento medio degli impren ditori appartenenti ad una medesima categoria: questa premes

sa, tuttavia, non può essere accettata.

Ed invero, nell'apprezzamento delle situazioni concrete rien

tranti nel divieto posto dall'art. 2598, n. 3, c.c. occorre aver

riguardo non già alla mera prassi commerciale, ad una consue

tudine accettata dagli imprenditori di una determinata catego

ria, ma piuttosto ai principi etici che governano l'attività degli

appartenenti; in altri termini, non a condotte normalmente te

nute e che, per ciò stesso, possano ritenersi lecite, sibbene ad

un costume professionale e commerciale eticamente qualificato ed i cui parametri di valutazione non sono rinvenibili tanto in

un generico concetto di onestà, quanto — e soprattutto — in

regole deontologiche che gli stessi operatori economici abbiano

riconosciuto valide e vincolanti. Si potrebbe dire, in sintesi, che

occorre far riferimento al «dover essere» e non all'«essere», atteso che alla frequenza o tolleranza di una condotta non cor

risponde necessariamente la sua moralità: con la precisazione, fatta anche in dottrina, che non si tratta di un dover essere

«puro», ma di quello etico professionale e commerciale, alla

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

cui tutela è finalizzata la disposizione contenuta nel n. 3 del

l'art. 2598 c.c.

In questa prospettiva va considerata la decisività, nell'ambito

della controversia insorta tra il Corriere della Sera ed il Giorna

le di Sicilia, della questione se l'imitazione pedissequa dell'ini

ziativa promozionale confligga o meno con l'art. 13 del codice

di autodisciplina pubblicitaria: questione che — come risulta

dalla sentenza ora impugnata — il Corriere aveva dedotto sin

nel primo grado del giudizio ed il cui esame è stato totalmente

pretermesso dalla corte d'appello, sebbene avesse costituito og

getto di argomentazione difensiva.

Non risultano, nella giurisprudenza di questa corte, prece denti in tema di rilevanza, ai fini dell'individuazione degli atti di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598, n. 3, c.c., delle

regole del codice di autodisciplina pubblicitaria, cui si è dato vita sin dal 1966 (con vari aggiornamenti successivi): profilo,

questo, esaminato da alcune decisioni dei giudici di merito e

da pur non copiosa dottrina, che ha posto in evidenza come

a tali regole non possa negarsi una funzione integrativa del prin

cipio di correttezza professionale, rilevante agli effetti dell'ap

plicazione dell'art. 2598, n. 3, c.c. In questa sede, non interessa

particolarmente verificare se il codice di autodisciplina pubblici taria abbia o meno natura negoziale, se ponga norme meramen

te deontologiche o giuridiche in senso stretto (per questa secon

da soluzione si sono espressi taluni giudici di merito e lo stesso

Giurì), sì da costituire un vero e proprio ordinamento giuridico, frutto della libertà di autonormazione riconosciuta dall'ordina

mento statuale: il problema non consiste, infatti, nello stabilire

se il codice di autodisciplina pubblicitaria sia stato recepito dal

l'ordinamento generale, con sua immediata applicabilità da parte del giudice, ma nell'utilizzazione delle norme (o regole) quali

parametri di riferimento del principio di correttezza professionale.

Quand'anche si ritenesse che il codice di autodisciplina pub blicitaria contenga mere regole deontologiche, non se ne po trebbe comunque escludere l'incidenza nell'interpretazione ed

applicazione dell'art. 2598, n. 3, c.c.: se per un verso, infatti, la stessa norma, facendo riferimento ai principi di correttezza

professionale, opera sostanzialmente un rinvio anche a parame tri extralegislativi, per altro verso le regole del codice di autodi

sciplina pubblicitaria esprimono, per loro stessa natura e for

mazione, quel «dover essere» dei comportamenti che forma og

getto — come si è visto — della tutela stabilita dal n. 3 dell'art.

2598 c.c. Non solo, ma esse consentono di adeguare il principio di correttezza professionale all'evoluzione delle esigenze dell'at

tività imprenditoriale ed alle sue forme di manifestazione: in

definitiva, al costume eticamente inteso.

Ne deriva che, allo scopo di valutare se l'atto posto in essere

dal Giornale di Sicilia integrasse o meno un'ipotesi di scorret

tezza professionale, la corte palermitana avrebbe dovuto verifi

care l'eventuale violazione dell'art. 13, 1° comma, del codice

di autodisciplina pubblicitaria, a tenore del quale «deve essere

evitata qualsiasi imitazione pubblicitaria servile anche se relati

va a prodotti non concorrenti, specie se idonea a creare confu

sione con altra pubblicità»: trattasi di questione che, espressa mente prospettata dal Corriere della Sera, rivestiva carattere es

senziale per la decisione della controversia.

La società resistente ha sostenuto, al riguardo, che la norma

disciplina soltanto l'attività pubblicitaria e non anche gli incen

tivi promozionali utilizzati dalle imprese editoriali, con la con

seguenza che l'eventuale violazione di essa potrebbe comportare l'inibizione della propaganda pubblicitaria del concorso a pre

mi, non certo della diffusione ed offerta dello stesso gioco. La tesi non può essere condivisa: in via generale, perché la

pubblicità è uno strumento della politica concorrenziale dell'im

presa, che si esprime attraverso messaggi diretti al consumatore

(nel nostro caso, al lettore), onde l'idea promozionale dell'of

ferta di un prodotto omaggio in aggiunta o connessione a quel

lo principale (ai fini che qui interessano, del premio in denaro,

previa estrazione dei biglietti non vincenti della lotteria nazio

nale) può essere un incentivo all'acquisto dello stesso prodotto

principale (nella specie, di un quotidiano) e costituire, quindi,

una forma di pubblicità; in particolare, perché tra le norme

preliminari e generali del codice di autodisciplina v'è quella se

condo cui il termine pubblicità «comprende ogni comunicazio

ne, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni

o servizi quali che siano i mezzi utilizzati».

È fondato, allora, anche il primo motivo del ricorso e la sen

II Foro Italiano — 1999.

tenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice: resta

assorbito, logicamente, il terzo motivo, con il quale si denun

ciano violazione dell'art. 96 c.p.c. e vizio di motivazione, con

riferimento alla condanna al risarcimento dei danni in favore

della soc. Il Giornale di Sicilia editoriale poligrafica. Il giudice di rinvio, designato in diversa sezione della Corte

d'appello di Palermo, procederà a nuovo esame della contro

versia, attenendosi — in particolare — al principio di diritto

secondo cui, nell'apprezzamento delle situazioni concrete rien

tranti nel divieto degli atti di concorrenza posto dall'art. 2598, n. 3, c.c., costituiscono parametri di valutazione della correttez

za professionale le regole contenute nel codice di autodisciplina

pubblicitaria, quali espressione dell'etica professionale e com

merciale, alla cui tutela la norma civilistica è finalizzata.

Con riferimento al caso di specie, quindi, il giudice di rinvio dovrà verificare se, in presenza di una situazione di concorren

zialità ed indipendentemente dalla legittimità dell'utilizzazione

della stessa idea promozionale attuata dal Corriere della Sera, costituisca o meno atto non conforme a correttezza professio nale — perché eventualmente vietato dall'art. 13 del codice di

autodisciplina pubblicitaria — l'applicazione concreta che di ta

le idea ne ha fatto il Giornale di Sicilia, mediante l'imitazione pedissequa delle relative modalità.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 feb

braio 1999, n. 1231; Pres. Senofonte, Est. Luccioli, P.M.

Frazzini (conci, conf.); Bentivoglio (Avv. Ledda) c. Cera

(Avv. Scarnati) e Inps (Avv. De Ritis, Nardi). Cassa App. Roma 22 maggio 1996 e decide nel merito.

Opposizione di terzo — Sentenza — Condebitore solidale —

Improduttività di effetti — Opposizione del coobbligato —

Mancanza di pregiudizio — Inammissibilità (Cod. civ., art.

1306, 2266, 2291, 2293, 2909; cod. proc. civ., art. 384, 404).

Poiché la sentenza resa contro un coobbligato non produce ef

fetto contro gli altri debitori solidali, essa non comporta, in

capo a questi ultimi, pregiudizio idoneo a legittimare la pro

posizione dell'opposizione di terzo (nella specie, è stata di

chiarata inammissibile, per mancanza di pregiudizio idoneo

a legittimare l'impugnazione, l'opposizione di terzo proposta dal socio di società in nome collettivo contro la sentenza di

condanna nei confronti della società, considerata quale cen

tro autonomo di riferimento di situazioni giuridiche sog

gettive). (1)

(1) Non constano precedenti editi sullo specifico tema del rapporto fra società in nome collettivo e socio, in ordine all'ammissibilità del

l'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. In senso parzialmente difforme, ma in tema di società di capitali,

App. Roma 7 gennaio 1994, Foro it., 1994, I, 1186, ha ritenuto che

non ricorrano i presupposti per la proposizione del rimedio ex art. 404

c.p.c. in capo al socio, poiché quest'ultimo non può essere considerato

terzo rispetto alle attività esterne poste in essere dalla società e poiché non (nel caso di specie) è titolare di un diritto autonomo la cui tutela

è incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza pro nunciata tra le stesse parti.

Sui presupposti, richiamati anche nella sentenza che si riporta, neces

sari ai fini dell'esperibilità del rimedio in esame, cfr. Cass. 8 marzo

1995, n. 2722, id., 1996, I, 209. Per un'analisi sulla casistica circa l'applicazione dell'art. 404 c.p.c.,

cfr. Vaccarella-Verde-Di Nanni (a cura di), Commento al codice di

procedura civile, Torino, 1997, sub art. 404.

In dottrina, da ultimo, Trimarchi-Banfi, Considerazioni sull'opposi zione alla sentenza di annullamento proposta dal terzo titolare di posi zione «autonoma ed incompatibile», in Dir. proc. ammin., 1998, 780.

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