Sezione I civile; sentenza 15 luglio 1980, n. 4537; Pres. La Farina, Est. R. Sgroi, P. M. Grossi(concl. conf.); Soc. S.i.p. (Avv. Sartorelli) c. Mazza (Avv. Mazza). Conferma Trib. Napoli 22ottobre 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 1 (GENNAIO 1981), pp. 121/122-125/126Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171224 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
mento come atti estintivi (tramite compensazione e pagamenti successivi all'amministrazione controllata) di debiti maturati e
cioè sorti in epoca anteriore.
Occorre, cioè, valutare l'esattezza del principio sostenuto dal
ricorrente, secondo cui si trattò, comunque, di atti autorizzati
(almeno in parte: da qui l'invocata rimessione al giudice di rin
vio per accertare quali fossero autorizzati e quali non) e per tanto — non essendo stato esperito il reclamo di cui all'art. 26
1. fall. — di atti « coperti » da quelle autorizzazioni giudiziali mai revocate, annullate o comunque dichiarate inefficaci. Anche
questa censura è infondata.
Le autorizzazioni previste dall'art. 167 (richiamato dall'art.
188 1. fall.) sono atti di volontaria giurisdizione che attengono alle funzioni tutorie esercitate dal giudice delegato, per inte
grare i poteri negoziali del debitore che, pur conservando l'am
ministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, è sotto
posto alla vigilanza del commissario giudiziale ed alla direzione
del giudice delegato. Come provvedimenti di volontaria giurisdi
zione, non aventi natura contenziosa e decisoria, tali provvedi menti costituiscono requisiti autonomi di legittimità dell'atto
(negoziale o no: l'art. 167 parlando di «atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione » si riferisce evidentemente anche ad atti che
non sono negozi) soggetto ad autorizzazione, ma non toglie af
fatto che l'atto stesso sia sottoposto agli altri requisiti di vali
dità ed efficacia che gli sono propri, in virtù di altre norme di
legge, a tutela delle parti o di terzi. Le parti ed i terzi, quindi,
possono impugnare (o comunque chiederne la dichiarazione di
inefficacia) gli atti, anche se autorizzati, ed anche se non hanno
proposto i reclami che siano previsti dalla legge (per le parti: art. 739 cod. proc. civ.; per gli interessati: art. 26 1. fall.) ovvero
non li abbiano potuti proporre, in quanto terzi estranei. Nella
specie, il curatore del fallimento, nella sua qualità di titolare
di un ufficio pubblico, a tutela obiettiva della massa dei creditori,
è un terzo che — ovviamente — non avrebbe potuto proporre il
reclamo di cui all'art. 26, richiamato dall'art. 164 e dall'art. 188
1. fall., perché all'epoca delle autorizzazioni non era ancora stato
nominato, ma il problema non è risolto da tale rilievo. Non è,
infatti, l'impossibilità di fatto di proporre il reclamo, che rende
le autorizzazioni non opponibili ai terzi, tanto che non sarebbe
rilevante l'obiezione che, all'epoca, esistevano gli altri creditori
che avrebbero potuto proporre il reclamo ex art. 26 1. fall. La
vera ragione sta nell'efficacia propria dei decreti di volontaria
giurisdizione, che non possono ledere i diritti soggettivi dei terzi, tutelati dalle norme giuridiche applicabili agli atti autorizzati, norme che ovviamente non possono essere violate, con efficacia
di giudicato, dalle autorizzazioni (cfr. in motivazione, Cass., Sez.
un., 9 maggio 1973, n. 1247, Foro it., 1973, I, 2784). La parte od il terzo leso dall'atto potrà, con azione contenziosa, tutelare
quei diritti, e cioè, per esempio, esercitare l'azione di nullità o
di annullamento dei contratti autorizzati, secondo le norme ge nerali del codice civile. Nella specie, trattandosi di atti qualificati come estinzioni di debiti anteriori all'ammissione all'amministra
zione controllata (compensazioni e pagamenti), il curatore poteva farli dichiarare inefficaci verso la massa e chiedere la restituzione
di quanto ricevuto dal terzo creditore, secondo i principi già illustrati supra a nulla rilevando l'esistenza dell'autorizzazione
giudiziale (cfr. Cass. n. 3421 del 1977, id., Rep. 1977, voce
Fallimento, n. 328). Pertanto, giustamente il giudice di merito
non ha neppure individuato con esattezza quali atti fossero stati
autorizzati e quali non, essendo in ogni caso irrilevanti le auto
rizzazioni e la questione della loro mancata impugnazione in
camera di consiglio o con altri mezzi diversi, nonché la man
canza di un'espressa dichiarazione di illegittimità delle autorizza
zioni stesse, ma essendo sufficiente l'incidentale giudizio sulla
loro inefficacia, dato espressamente dal giudice di merito in sen
tenza.
In tale giudizio — che è esatto — non ha alcuna influenza
l'errore giuridico commesso dalla corte d'appello, secondo cui
la sottrazione alla procedura dei reclami ex art. 26 1. fall,
delle questioni relative ai diritti soggettivi (salve le ipotesi espres
samente previste, come quelle degli art. 25, n. 7, 110, 151, 3° com
ma, ult. parte) era l'argomento decisivo per ritenere tale inef
ficacia.
Tale motivazione, infatti, è errata, perché, se si dovesse
ritenere che l'ambito del potere del giudice delegato, ai sensi
dell'art. 167 1. fall., coincide con l'ambito di applicabilità del re
clamo suddetto (cosi, testualmente, la sentenza impugnata), do
vrebbe concludersi che il giudice delegato avrebbe avuto il po
tere di autorizzare i pagamenti, perché tali autorizzazioni, senza
dubbio, avrebbero potuto essere oggetto di reclamo ex art. 26
1. fall., da parte di qualsiasi interessato. Il vero argomento è,
invece, che le autorizzazioni date restavano atti di volontaria
giurisdizione, reclamate o meno che fossero, e cioè senza effi
cacia preclusiva (cfr. Cass. 25 luglio 1977, n. 3291, id., Rep. 1977, voce cit., n. 264), non avendo natura contenziosa e deci
soria, e non essendo suscettibili di passare in giudicato, nel suc
cessivo giudizio contenzioso, inerente alla inopponibilità al terzo
curatore degli atti privati autorizzati.
Tale giudizio, infatti, ha per oggetto direttamente l'atto auto
rizzato, che deve essere esaminato indipendentemente dall'auto
rizzazione, secondo le norme generali che lo riguardano. Nei sensi suesposti, come già premesso, resta corretta la mo
tivazione della sentenza impugnata, ma il ricorso deve essere
respinto. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 15 lu
glio 1980, n. 4537; Pres. La Farina, Est. R. Sgroi, P. M. Gros
si (conci, conf.); Soc. S.i.p. (Avv. Sartorelli) c. Mazza (Avv.
Mazza). Conferma Trib. Napoli 22 ottobre 1977.
Telefono — Elenco telefonico — Nome dell'abbonato — Manca
ta inserzione — Responsabilità della società concessionaria del
servizio telefonico (D. pres. 29 marzo 1973 n. 156, t. u. delle
disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di
telecomunicazioni, art. 6, 283).
L'art. 25, 3° comma, del regolamento per il servizio telefonico,
approvato con d.m. 11 novembre 1930, che esclude la respon sabilità della società concessionaria in caso di omissioni o di
errori di numeri, diciture, qualifiche, titoli, indirizzi, ecc. nella
pubblicazione dell'elenco ufficiale degli abbonati al telefono, non esonera la società da responsabilità per il caso di omessa
inserzione dell'utente nell'elenco. (1)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con citazione
notificata il 21 novembre 1974 l'avvocato Elio Mazza conveniva
dinanzi al Pretore di Napoli la Società italiana per l'esercizio
telefonico (S.i.p.) esponendo che nell'elenco degli abbonati del
1974-75 non era stato riportato né il numero 324059, per la uten
za di Napoli, né il n. 8784700, per la utenza di S. Angelo di
Sorrento, intestate al suo nome, e chiedeva pertanto il risarci
mento del danno.
La S.i.p. si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della do
manda, invocando l'art. 25 delle condizioni di abbonamento ap
provate con d.m. 11 novembre 1930 e l'art. 7 cod. postale. Il Pretore di Napoli rigettava la domanda del Mazza, com
pensando le spese del giudizio, con sentenza 17 marzo 1976. Il
Mazza proponeva appello, deducendo che l'art. 25 d.m. 11 no
vembre 1930, sulla cui base il pretore aveva escluso il suo di
ritto al risarcimento del danno, non comprendeva l'ipotesi di
mancata inserzione dell'utente nell'elenco telefonico. La S.i.p., costituitasi in giudizio, chiedeva il rigetto dell'appello e la rifor
ma della decisione impugnata, per quanto concerneva la com
pensazione delle spese.
(1) In termini v. Cass. 25 gennaio 1979, n. 564, Foro it., Rep. 1979, voce Telefono, n. 6, e, successivamente, Cass. 5 gennaio 1981, n. 20, ined.; nel senso, invece, che la mancata o erronea riprodu zione del numero di un abbonato nell'elenco non produce alcuna
responsabilità della società telefonica, cfr. App. Milano 20 novem bre 1953, id.. Rep. 1954, voce cit., n. 8. Nella diversa ipotesi di errata indicazione, in corrispondenza delle generalità di un abbona
to, di numeri, diciture, indirizzi, ecc., Cass. 23 aprile 1975, n. 1582
(id., 1976, I, 779, con nota di richiami), ha escluso la responsabilità extracontrattuale della società appaltatrice della stampa e distribuzio ne degli elenchi ufficiali degli abbonati al telefono, mentre Cass. 27 feb braio 1979, n. 1269 (id., 1979, I, 2912, con nota di richiami), ne ha affermato la responsabilità contrattuale, ove abbia stipulato con l'uten te un contratto per prestazioni pubblicitarie distinto dal rapporto di
utenza fra l'abbonato e la S.i.p. Per l'affermazione di carattere generale (non smentita nella sen
tenza riportata, che si adopera tuttavia a dimostrare la conciliabilità
della disciplina codicistica con la previsione dell'ultimo comma del
l'art. 25 del d.m. 11 novembre 1930), secondo cui la sanzione di
nullità prevista dall'art. 1229 cod. civ. non trova applicazione allor
quando, come nel caso di specie, l'esclusione o la limitazione della
responsabilità del debitore sia prevista da una espressa norma di
legge, v., da ultimo, Cass. 26 novembre 1979, n. 6197, id., Rep. 1979, voce Posta e telecomunicazioni, n. 7.
Sull'art. 25, 3° comma, d.m. 11 novembre 1930, cfr. pure Cass.
23 maggio 1955, n. 1522, id., 1955, I, 1649, secondo cui la clausola
che esonera da responsabilità la società telefonica in caso di omis
sione od errori di numeri o diciture nell'elenco telefonico non è
soggetta, in quanto conforme ad una disposizione di legge, alla spe cifica approvazione per iscritto.
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PARTE PRIMA
Il Tribunale di Napoli con sentenza non definitiva depositata il 22 ottobre 1977, notificata il 1° febbraio 1978, dichiarava la
responsabilità della S.i.p. per l'inadempimento contrattuale e la
condannava al risarcimento dei danni nei confronti dell'attore, da liquidarsi in prosieguo di causa.
Il tribunale riteneva che la tesi della S.i.p., secondo cui l'art.
25 del regolamento di servizio esclude qualsiasi responsabilità
nell'ipotesi di omissione delle generalità di un utente nell'elenco
degli abbonati, è priva di fondamento giuridico. Il tribunale rilevava infatti che la limitazione di responsabilità,
stabilita dall'ultimo comma dell'art. 25, ha carattere eccezionale; che gli abbonati hanno il diritto soggettivo di vedere inserito
nell'elenco ufficiale tutte le indicazioni strettamente necessarie
alla loro individuazione; che gli errori e le omissioni di numeri,
diciture ed indirizzo contenuti nell'elenco non determina respon sabilità.
Pertanto, la totale omissione del nome e cognome dell'utente
nell'elenco abbonati costituisce atto illecito, fonte di responsa
bilità, non potendo comprendersi nelle ipotesi di cui all'art. 25
citato. Aderendo alla contraria tesi della S.i.p., la prima parte della disposizione, nella quale si riconosce all'abbonato il di
ritto a vedere inserito nell'elenco tutte le indicazioni strettamen
te necessarie per la sua individuazione, sarebbe non solo super
flua, ma svuotata di ogni contenuto. Il tribunale qualificava, poi, la responsabilità della S.i.p. come contrattuale, dato che il con
tratto posto in essere tra concessionario del servizio ed utente è
di natura privata, anche se stipulato mediante adesione ad uno
schema fissato dalla legge.
Avverso detta sentenza la S.i.p. ha proposto ricorso per cas
sazione. Il Mazza resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — Col primo motivo la S.i.p. deduce
contraddittoria motivazione e violazione dell'art. 25, 3° comma,
d. m. 11 novembre 1930 e dell'art. 12 delle preleggi, in relazione
al n. 3 ed al n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civile.
Il 3° comma dell'art. 25 d. m. 11 novembre 1930 stabilisce: «la
società non assume alcuna responsabilità in caso di omissione o
di errori di numeri, diciture, qualifiche, titoli, indirizzi, ecc. nella
pubblicazione suddetta » (e cioè nell'elenco abbonati). L'inter
pretazione data alla citata disposizione dal Tribunale di Napoli, secondo cui in essa non sono compresi i casi di omissione to
tale delle generalità dell'utente nell'elenco, secondo la ricorrente
è errata, perché l'art. 25 non indica i numeri, le diciture, le qua
lifiche, ecc., in senso alternativo, ma pone delle virgole fra una
parola e l'altra, facendo intendere che l'omissione o l'errore
possono interessare anche due o più elementi contemporanea
mente, fino a ricomprenderli tutti, per cui l'omissione di ciascu
no dei dati riportati nell'art. 25 si traduce necessariamente nel
l'omissione dell'intera generalità dell'utente. Inoltre non ha fon
damento l'argomentazione del tribunale, secondo cui solo l'omis
sione totale ha conseguenze irreparabili, perché queste possono derivare anche da errori od omissioni parziali (come l'errore nella
lettera iniziale del cognome, che è tale da rendere inutile l'av
venuta inserzione). Non si può pertanto distinguere fra omis
sioni totali e parziali, mentre i principi che regolano la materia
si fondano sull'esigenza di sottrarre l'esercente del servizio ad
oneri di difficile accertamento. Comunque si consideri la posi zione soggettiva dell'utente, di fronte all'obbligo della società
concessionaria di pubblicare il nominativo nell'elenco, deve esclu
dersi la responsabilità del concessionario per il danno che possa essere derivato da qualsiasi errore od omissione, ivi inclusa la
omissione totale di tutte le generalità dell'abbonato.
Il motivo è infondato. Si premette che, in relazione alla na
tura ed efficacia del d. m. 11 novembre 1930 (di cui si parlerà in sede di esame del secondo motivo del ricorso), non è ammis sibile una censura di contraddittorietà di motivazione, ma solo
quella di violazione di norme. In proposito, in mancanza di pre cise argomentazioni contrarie, questa corte conferma quanto già deciso con sentenza 25 gennaio 1979, n. 564 (Foro it., Rep. 1979, voce Telefono, n. 6) secondo cui i casi di esclusione da respon sabilità previsti dall'art. 25 citato non riguardano l'ipotesi in
cui, a fronte del diritto dell'utente di ottenere l'inserzione del
proprio nome nell'elenco telefonico, la società concessionaria sia rimasta totalmente inadempiente, omettendo ogni indicazione.
Dal punto di vista letterale, è evidente che, se si fosse voluto
estendere l'esonero dalla responsabilità anche al caso di omis sione totale, sarebbe stato del tutto superfluo specificare che le
omissioni e gli errori possono riguardare i « numeri, diciture,
qualifiche, titoli, indirizzi ». Tale specificazione è da porre in
rapporto con il precedente comma dell'art. 25, che dispone che l'abbonato ha diritto di inserire nell'elenco tutte le indicazioni strettamente necessarie alla propria individuazione (e cioè, co me specificato dalla società concessionaria, il nominativo, con
l'eventuale titolo personale abbreviato, l'indirizzo ed il numero
del telefono). È assai significativo che il « nominativo » non
sia compreso espressamente fra le indicazioni che possono essere
oggetto di omissioni ed errori, senza far incorrere la concessio
naria in responsabilità, essendosi preferito elencare indicazioni
che non riguardano il nome (numeri, qualifiche, titoli, indirizzi) ed usare inoltre una parola (« diciture ») che comprende qual siasi modo di dire e cioè qualsiasi espressione grafica, ma appun to per la sua genericità non si può ritenere equivalente del
« nome ».
La norma è congegnata in modo da far presupporre che il
nome non sia omesso, tanto è vero che tace su questa ipotesi fondamentale (e più grave) che avrebbe reso inutile l'elencazio
ne analitica delle ipotesi meno gravi. La ragione di ciò consiste
nel fatto che la norma presuppone l'esercizio del diritto all'in
serzione delle « indicazioni necessarie per la individuazione »
dell'abbonato, sicché è estraneo alla stessa logica della limitazio
ne di responsabilità che nessuna di tali indicazioni esista, per ché un'esclusione assoluta di responsabilità farebbe escludere la
sussistenza di un obbligo in corrispondenza del diritto, il quale
pertanto non potrebbe considerarsi più tale, contrariamente al
l'espressa qualifica contenuta nella stessa norma.
La difesa della società ricorrente invoca a proprio favore Cass.
23 aprile 1975, n. 1582 (id., 1976, I, 779), ma la corte osserva in
primo luogo che quella sentenza si è occupata esplicitamente solo della insussistenza, come posizione di diritto soggettivo, del
l'interesse dell'abbonato a che i dati pubblicati nell'elenco siano
esattamente conformi a quelli richiesti, in corrispondenza delle
generalità dell'abbonato, e cioè è partita proprio dall'ipotesi che
le generalità dell'abbonato fossero state esattamente pubblicate. Non è pertanto conseguenziale l'estendere la negazione della qua lifica di diritto soggettivo alla pretesa a veder pubblicare almeno
il nomfe, che costituisce il problema della presente causa.
In secondo luogo, quella sentenza ha, incidentalmente, operato un inquadramento sistematico della norma, rispetto a quella del
l'art. 1229 cod. civ. (che esprime l'esigenza di assicurare co
munque un minimo ed inderogabile impegno diligente da parte
del debitore), nel senso che la sanzione di nullità prevista dal
l'art. 1229, 1° comma, cod. civ. non trova applicazione nei casi
nei quali, come in quello di specie, l'esclusione o la limitazione
di responsabilità deriva da un'espressa norma di legge (cfr. — per il principio generale — Cass. 26 novembre 1979, n. 6197, id., Rep.
1979, voce Posta e telecomunicazioni, n. 7). Tale inquadramento deve essere corretto, in aderenza alla già citata Cass. n. 564 del
1979. Fermo restando (come sarà meglio esposto nella tratta
zione del secondo motivo) che si tratta di un caso esplicitamente e compiutamente regolato in virtù di un'espressa norma di legge, il che esclude l'applicabilità dell'art. 1229 in modo diretto, tutta
via si tratta di una disciplina che, nella materia specifica della
pubblicazione degli elenchi telefonici, si armonizza con quella
generale civilistica e non si pone in contrasto con essa (il con
trasto, tra l'altro, sarebbe di dubbia costituzionalità). La previ sione dell'ultimo comma dell'art. 25 cit. d. m. riguarda il risul
tato della prestazione in modo non conforme al dovuto. Le diffor
mità ipotizzate prevedono l'esecuzione inesatta della prestazione, ma non riguardano l'assoluta non esecuzione della prestazione. Questa esegesi sul piano letterale è giustificata dall'argomento che la previsione di singole omissioni od oneri esclude che nella
stessa previsione rientri la totale omissione, la quale sarebbe
stata un'ipotesi onnicomprensiva, senza necessità di inutili spe cificazioni. Sul piano logico, poi, l'inadempimento totale (senza
sanzione) toglierebbe ogni tutela ai diritto riconosciuto nella
prima parte della stessa norma. Sul piano sistematico, infine,
trattandosi di responsabilità contrattuale, dovrebbe applicarsi l'art. 1218 cod. civ., che individua l'inadempimento (ed il corre
lativo obbligo di risarcimento del danno) nel fatto del debitore « che non esegue esattamente la prestazione dovuta ». La nozione
comprende sia l'ipotesi di mancanza totale della prestazione che
quella della sua inesattezza. La distinzione è assai rilevante, per ché la prestazione inesatta può essere talvolta equiparata ad un
esatto adempimento (a parte il caso in cui vale come adempi mento parziale). L'inesattezza postula un confronto con tutti gli elementi che indicano il contenuto dell'obbligazione. Fra questi è da considerare la diligenza, per cui, se la stessa legge, in par ticolari rapporti, prevede una misura della diligenza inferiore a
quella normale, come quando limita la responsabilità alla colpa grave, con ciò incide sulla configurazione del comportamento dovuto dal debitore, nel senso che il creditore dovrà ritenere
esatto adempimento una prestazione non perfetta dal punto di
vista tecnico e cioè ridotta dal punto di vista quantitativo e qua litativo.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Nella specie, tramite l'irrilevanza data agli errori ed alle omis
sioni nella stampa delle indicazioni che servono per identificare
gli abbonati al servizio telefonico, la norma gradua appunto la misura della diligenza, mentre l'esclusione completa di questa escluderebbe ogni tutela al diritto di credito. Si tratta della stessa
ratio che presiede alla disciplina dell'art. 1229 cod. civile. Si
supera cosi' l'obiezione secondo cui anche errori parziali pos sono condurre a conseguenze irreparabili, pari a quelle che pos sono derivare dalla totale omissione del nominativo, come nel
caso di un errore nella lettera iniziale del cognome, che renderebbe
praticamente inutile l'inserzione. Infatti, anche in questo caso
l'esecuzione della prestazione non manca, anche se essa è ine
satta e se la norma non fa derivare alcuna responsabilità dalla
sua inesattezza, per cui la distinzione con l'ipotesi del totale
inadempimento permane. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 3 luglio
1980, n. 4218; Pres. Mirabelli, Est. Scanzano, P.M. Antoci
(conci, conf.); Banca privata italiana (Avv. Dalmartello, Ti
no) c. Sindona; Sindona (Avv. Guzzi, Strina) c. Banca pri vata italiana. Cassa App. Milano 11 luglio 197S.
Procedimento civile — Sospensione per pregiudizialità penale —
Prova della pregiudizialità — Capo d'imputazione — Interpre tazione — Poteri del giudice (Cod. proc. civ., art. 295; cod.
proc. pen., art. 3). Procedimento civile — Espressioni sconvenienti ed offensive —
Cancellazione — Condizioni (Cod. proc. civ., art. 89).
Il giudice che, al fine di stabilire se sospendere o no un pro cesso civile ai sensi degli art. 295 cod. proc. civ. e 3 cod.
proc. pen., debba decidere dell'esistenza di un processo penale
pregiudiziale, non è vincolato dal tenore letterale del capo
d'imputazione, ma può desumere la materia dell'oggetto del
l'indagine penale attraverso l'interpretazione anche logica di'
esso e dal suo coordinamento con gli altri documenti acqui siti alla causa, e può anche chiedere informazioni al giudice
penale. (1) L'istanza di cancellazione ex art. 89 cod. proc. civ. non può
essere accolta quando non si rilevano frasi od espressioni che
non siano giustificate dalla necessità della dialettica proces
suale, o che non siano l'enunciazione conclusiva delle rela
tive argomentazioni (nella specie, la cancellazione di frasi of
fensive è stata chiesta da Michele Sindona nei confronti del
liquidatore della Banca privata italiana, Giorgio Ambrosoli). (2)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso del
22 gennaio 1976 al presidente del Tribunale di Milano, Michele
Sindona propose, ai sensi degli art. 103 e 209 1. fall, e nei con
fronti della Banca privata italiana in liquidazione coatta animi
ti) Non constano precedenti specifici. In particolare, è nuova l'af
fermazione che faculta il giudice civile a chiedere informazioni al
giudice penale circa i fatti per i quali si procede penalmente, al
fine di stabilire se sussiste la pregiudizialità (è appena il caso di
precisare che il giudice penale non è una pubblica amministrazione
cui il giudice civile possa rivolgersi ex art. 213 cod. proc. civile). Peraltro, nel senso che la parte, che chiede la sospensione di un
processo civile ex art. 295 cod. proc. civ., ha -l'onere di provare la
pendenza del processo penale (che assume essere) pregiudiziale e gli estremi della pregiudizialità: Cass. 29 maggio 1978, n. 2705, Foro it.,
Rep. 1978, voce Procedimento civile, m. 209; 6 luglio 1976, n. 2520,
id., Rep. 1976, voce cit., n. 163; 10 ottobre 1973, n. 2537, id.,
Rep. 1973, voce cit., n. 226; 26 giugno 1972, n. 2066, id., Rep.
1972, voce cit., n. 252; 6 giugno 1972, n. 1761, ibid., n. 247; 25 marzo
1972, n. 950, ibid., n. 243; 9 novembre 1970, n. 2288, id., Rep. 1971,
voce cit., n. 345; 10 ottobre 1970, n. 1923, ibid., n. 339; 8 settem
bre 1970, n. 1300, id., Rep. 1970, voce cit., n. 221; 18 aprile 1961,
n. 847, id., Rep. 1961, voce Giudizio (rapporto), n. 390. Tra la giu
risprudenza di merito, nello stesso senso, Trib. Roma 13 marzo
1973, id., Rep. 1973, voce Procedimento civile, n. 231.
Nel senso che il giudice civile, in mancanza di idonea documen
tazione circa la pregiudizialità di un processo penale, non può pro
cedere, in base a meri fatti, ad una definizione di reato, che non
rientra nella sua competenza, Cass. 29 maggio 1978, n. 2705, cit.
Nel senso che, ai fini della sospensione di un processo civile, non
sia necessaria la prova documentale della pendenza del processo pe
nale pregiudiziale e che sia invece sufficiente la indicazione, non
contestata dalle altre parti, del numero del processo penale, dell'og
getto, degli imputati e della parte offesa, Cass. 11 gennaio 1978,
ri. 98, id., Rep. 1978, voce cit., n. 206.
(2) Giurisprudenza costante: v., da ultimo, Cass. 21 marzo 1977,
n. 1099, Foro it., 1977, I, 1434, con nota di richiami.
nistrativa, domanda di revindica di 4.000 azioni della Fasco A.G., avente sede in Eschen (Liechtenstein), assumendo di averle ac
quistate il 12 luglio 1972 al prezzo di 500.000 dollari U.S.A.
Precisò che dopo avere ottenuto la prescritta autorizzazione dal
ministero per il commercio con l'estero incaricò dell'acquisto la
Banca privata finanziaria, che vi provvide a mezzo della Fina bank di Ginevra e trasferì' poi formalmente ad esso istante le azioni stesse con fissato bollato del 12 luglio 1972, tenendole
in deposito presso la detta banca svizzera.
Il commissario liquidatore della Banca privata italiana (so cietà risultata dalla fusione della Banca privata finanziaria e della Banca Unione) si costituì' avanti il giudice istruttore e dopo avere premesso che, ai sensi dell'art. 2704 cod. civ., non era a lui opponibile la data dei documenti prodotti ex adverso, de dusse che la vendita di cui al fissato bollato del 12 luglio 1972 doveva considerarsi simulata e/o nulla ex art. 1418 cod. civ., e che la decisione della causa dipendeva dall'esito di un pro cesso penale per bancarotta fraudolenta pendente a carico del Sindona. Chiese pertanto in via pregiudiziale la sospensione del
processo a norma degli art. 295 cod. proc. civ. e 3 cod. proc. pen., e nel merito il rigetto della domanda.
Con sentenza del 27 giugno 1977 il tribunale rigettò la do manda di revindica sul rilievo che i documenti prodotti a fonda
mento di essa erano privi di data certa.
Con la sentenza ora impugnata la Corte d'appello di Milano — su gravame del Sindona — ha riformato la decisione del
primo giudice, dichiarando che le azioni controverse sono di
proprietà del Sindona e che a questi vanno consegnate dal
commissario liquidatore della Banca privata italiana.
In proposito essa ha considerato: a) non risultava che tra
i fatti di distrazione e sottrazione imputati al Sindona dal giu dice penale fosse compreso quello concernente le azioni in ar
gomento, ciò non potendosi desumere neppure dal sequestro che
in ordine ad esse era stato disposto dal detto giudice; non sus
sistevano, quindi, i presupposti della sospensione del processo;
b) i documenti prodotti dal Sindona, e cioè il provvedimento di
autorizzazione del ministero per il commercio con l'estero, la comunicazione dell'acquisto fatta da Finabank alla Banca pri vata finanziaria, il fissato bollato con cui quest'ultima aveva venduto al Sindona le azioni, l'addebito del controvalore di
queste —- da parte della stessa banca — nel conto corrente del
medesimo e vari altri atti concernenti la situazione e la disposi zione dei titoli, dimostrano che questi erano stati realmente ac
quistati dal Sindona; c) che la data dei documenti prodotti da
questi doveva ritenersi certa ed opponibile al commissario liqui datore quanto meno dal 1° agosto 1974, allorché la Banca privata finanziaria — a cui si riferiscono i rapporti, relativi all'acquisto controverso, tra essa ed il Sindona — aveva cessato di esistere per fusione nella Banca privata italiana, con conseguente cessazione dell'influenza personale del Sindona su di essa e sul nuovo isti tuto.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il com
missario liquidatore della Banca privata italiana con atto del 4 agosto 1978, sulla base di tre motivi, illustrati con memoria.
Resiste il Sindona con controricorso, proponendo ricorso inci dentale condizionato sulla base di un unico motivo.
Motivi della decisione. — I due ricorsi vanno riuniti a norma
dell'art. 335 cod. proc. civile.
Col primo motivo del proprio ricorso il commissario liquida tore denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 295 cod.
proc. civ. e 3 cod. proc. pen. nonché insufficienza e contraddit
torietà di motivazione su punto decisivo, e lamenta che sia stata
respinta l'istanza di sospensione del processo in attesa della de
finizione del processo pendente contro il Sindona.
Secondo il ricorrente, il fatto che in tale processo il Sindona
sia imputato di vari episodi di distrazione in danno della banca
e che nell'ambito di esso sia stato disposto il sequestro delle
azioni controverse, come cose pertinenti al reato o come corpo del reato, dimostra che nella materia oggetto di quel processo è
compresa anche la distrazione delle azioni stesse, di guisa che
la decisione del giudice penale costituisce una pregiudiziale ne
cessaria. La motivazione adottata dalla corte di merito a sostegno
della contraria opinione sarebbe gravemente carente ed erronea
sul piano logico-giuridico, sia perché non dà il giusto rilievo alla
detta risultanza e valorizza a torto il fatto che nel mandato di
cattura manchi una specifica menzione della distrazione delle
azioni in argomento (trascurando peraltro — si aggiunge nel
secondo motivo — che nello stesso atto si fa riferimento all'as
soluto dominio del Sindona sugli organi esecutivi delle due ban
che fuse nella Banca privata italiana), sia perché trae argomento
dall'asserita appartenenza di queste al Sindona e dal fatto che
esse fossero nella materiale disponibilità della banca, in tal mo.
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