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Sezione I civile; sentenza 15 luglio 1980, n. 4537; Pres. La Farina, Est. R. Sgroi, P. M. Grossi...

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Sezione I civile; sentenza 15 luglio 1980, n. 4537; Pres. La Farina, Est. R. Sgroi, P. M. Grossi (concl. conf.); Soc. S.i.p. (Avv. Sartorelli) c. Mazza (Avv. Mazza). Conferma Trib. Napoli 22 ottobre 1977 Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 1 (GENNAIO 1981), pp. 121/122-125/126 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171224 . Accessed: 28/06/2014 19:07 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.155 on Sat, 28 Jun 2014 19:07:45 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 15 luglio 1980, n. 4537; Pres. La Farina, Est. R. Sgroi, P. M. Grossi(concl. conf.); Soc. S.i.p. (Avv. Sartorelli) c. Mazza (Avv. Mazza). Conferma Trib. Napoli 22ottobre 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 1 (GENNAIO 1981), pp. 121/122-125/126Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171224 .

Accessed: 28/06/2014 19:07

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

mento come atti estintivi (tramite compensazione e pagamenti successivi all'amministrazione controllata) di debiti maturati e

cioè sorti in epoca anteriore.

Occorre, cioè, valutare l'esattezza del principio sostenuto dal

ricorrente, secondo cui si trattò, comunque, di atti autorizzati

(almeno in parte: da qui l'invocata rimessione al giudice di rin

vio per accertare quali fossero autorizzati e quali non) e per tanto — non essendo stato esperito il reclamo di cui all'art. 26

1. fall. — di atti « coperti » da quelle autorizzazioni giudiziali mai revocate, annullate o comunque dichiarate inefficaci. Anche

questa censura è infondata.

Le autorizzazioni previste dall'art. 167 (richiamato dall'art.

188 1. fall.) sono atti di volontaria giurisdizione che attengono alle funzioni tutorie esercitate dal giudice delegato, per inte

grare i poteri negoziali del debitore che, pur conservando l'am

ministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, è sotto

posto alla vigilanza del commissario giudiziale ed alla direzione

del giudice delegato. Come provvedimenti di volontaria giurisdi

zione, non aventi natura contenziosa e decisoria, tali provvedi menti costituiscono requisiti autonomi di legittimità dell'atto

(negoziale o no: l'art. 167 parlando di «atti eccedenti l'ordinaria

amministrazione » si riferisce evidentemente anche ad atti che

non sono negozi) soggetto ad autorizzazione, ma non toglie af

fatto che l'atto stesso sia sottoposto agli altri requisiti di vali

dità ed efficacia che gli sono propri, in virtù di altre norme di

legge, a tutela delle parti o di terzi. Le parti ed i terzi, quindi,

possono impugnare (o comunque chiederne la dichiarazione di

inefficacia) gli atti, anche se autorizzati, ed anche se non hanno

proposto i reclami che siano previsti dalla legge (per le parti: art. 739 cod. proc. civ.; per gli interessati: art. 26 1. fall.) ovvero

non li abbiano potuti proporre, in quanto terzi estranei. Nella

specie, il curatore del fallimento, nella sua qualità di titolare

di un ufficio pubblico, a tutela obiettiva della massa dei creditori,

è un terzo che — ovviamente — non avrebbe potuto proporre il

reclamo di cui all'art. 26, richiamato dall'art. 164 e dall'art. 188

1. fall., perché all'epoca delle autorizzazioni non era ancora stato

nominato, ma il problema non è risolto da tale rilievo. Non è,

infatti, l'impossibilità di fatto di proporre il reclamo, che rende

le autorizzazioni non opponibili ai terzi, tanto che non sarebbe

rilevante l'obiezione che, all'epoca, esistevano gli altri creditori

che avrebbero potuto proporre il reclamo ex art. 26 1. fall. La

vera ragione sta nell'efficacia propria dei decreti di volontaria

giurisdizione, che non possono ledere i diritti soggettivi dei terzi, tutelati dalle norme giuridiche applicabili agli atti autorizzati, norme che ovviamente non possono essere violate, con efficacia

di giudicato, dalle autorizzazioni (cfr. in motivazione, Cass., Sez.

un., 9 maggio 1973, n. 1247, Foro it., 1973, I, 2784). La parte od il terzo leso dall'atto potrà, con azione contenziosa, tutelare

quei diritti, e cioè, per esempio, esercitare l'azione di nullità o

di annullamento dei contratti autorizzati, secondo le norme ge nerali del codice civile. Nella specie, trattandosi di atti qualificati come estinzioni di debiti anteriori all'ammissione all'amministra

zione controllata (compensazioni e pagamenti), il curatore poteva farli dichiarare inefficaci verso la massa e chiedere la restituzione

di quanto ricevuto dal terzo creditore, secondo i principi già illustrati supra a nulla rilevando l'esistenza dell'autorizzazione

giudiziale (cfr. Cass. n. 3421 del 1977, id., Rep. 1977, voce

Fallimento, n. 328). Pertanto, giustamente il giudice di merito

non ha neppure individuato con esattezza quali atti fossero stati

autorizzati e quali non, essendo in ogni caso irrilevanti le auto

rizzazioni e la questione della loro mancata impugnazione in

camera di consiglio o con altri mezzi diversi, nonché la man

canza di un'espressa dichiarazione di illegittimità delle autorizza

zioni stesse, ma essendo sufficiente l'incidentale giudizio sulla

loro inefficacia, dato espressamente dal giudice di merito in sen

tenza.

In tale giudizio — che è esatto — non ha alcuna influenza

l'errore giuridico commesso dalla corte d'appello, secondo cui

la sottrazione alla procedura dei reclami ex art. 26 1. fall,

delle questioni relative ai diritti soggettivi (salve le ipotesi espres

samente previste, come quelle degli art. 25, n. 7, 110, 151, 3° com

ma, ult. parte) era l'argomento decisivo per ritenere tale inef

ficacia.

Tale motivazione, infatti, è errata, perché, se si dovesse

ritenere che l'ambito del potere del giudice delegato, ai sensi

dell'art. 167 1. fall., coincide con l'ambito di applicabilità del re

clamo suddetto (cosi, testualmente, la sentenza impugnata), do

vrebbe concludersi che il giudice delegato avrebbe avuto il po

tere di autorizzare i pagamenti, perché tali autorizzazioni, senza

dubbio, avrebbero potuto essere oggetto di reclamo ex art. 26

1. fall., da parte di qualsiasi interessato. Il vero argomento è,

invece, che le autorizzazioni date restavano atti di volontaria

giurisdizione, reclamate o meno che fossero, e cioè senza effi

cacia preclusiva (cfr. Cass. 25 luglio 1977, n. 3291, id., Rep. 1977, voce cit., n. 264), non avendo natura contenziosa e deci

soria, e non essendo suscettibili di passare in giudicato, nel suc

cessivo giudizio contenzioso, inerente alla inopponibilità al terzo

curatore degli atti privati autorizzati.

Tale giudizio, infatti, ha per oggetto direttamente l'atto auto

rizzato, che deve essere esaminato indipendentemente dall'auto

rizzazione, secondo le norme generali che lo riguardano. Nei sensi suesposti, come già premesso, resta corretta la mo

tivazione della sentenza impugnata, ma il ricorso deve essere

respinto. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 15 lu

glio 1980, n. 4537; Pres. La Farina, Est. R. Sgroi, P. M. Gros

si (conci, conf.); Soc. S.i.p. (Avv. Sartorelli) c. Mazza (Avv.

Mazza). Conferma Trib. Napoli 22 ottobre 1977.

Telefono — Elenco telefonico — Nome dell'abbonato — Manca

ta inserzione — Responsabilità della società concessionaria del

servizio telefonico (D. pres. 29 marzo 1973 n. 156, t. u. delle

disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di

telecomunicazioni, art. 6, 283).

L'art. 25, 3° comma, del regolamento per il servizio telefonico,

approvato con d.m. 11 novembre 1930, che esclude la respon sabilità della società concessionaria in caso di omissioni o di

errori di numeri, diciture, qualifiche, titoli, indirizzi, ecc. nella

pubblicazione dell'elenco ufficiale degli abbonati al telefono, non esonera la società da responsabilità per il caso di omessa

inserzione dell'utente nell'elenco. (1)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con citazione

notificata il 21 novembre 1974 l'avvocato Elio Mazza conveniva

dinanzi al Pretore di Napoli la Società italiana per l'esercizio

telefonico (S.i.p.) esponendo che nell'elenco degli abbonati del

1974-75 non era stato riportato né il numero 324059, per la uten

za di Napoli, né il n. 8784700, per la utenza di S. Angelo di

Sorrento, intestate al suo nome, e chiedeva pertanto il risarci

mento del danno.

La S.i.p. si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della do

manda, invocando l'art. 25 delle condizioni di abbonamento ap

provate con d.m. 11 novembre 1930 e l'art. 7 cod. postale. Il Pretore di Napoli rigettava la domanda del Mazza, com

pensando le spese del giudizio, con sentenza 17 marzo 1976. Il

Mazza proponeva appello, deducendo che l'art. 25 d.m. 11 no

vembre 1930, sulla cui base il pretore aveva escluso il suo di

ritto al risarcimento del danno, non comprendeva l'ipotesi di

mancata inserzione dell'utente nell'elenco telefonico. La S.i.p., costituitasi in giudizio, chiedeva il rigetto dell'appello e la rifor

ma della decisione impugnata, per quanto concerneva la com

pensazione delle spese.

(1) In termini v. Cass. 25 gennaio 1979, n. 564, Foro it., Rep. 1979, voce Telefono, n. 6, e, successivamente, Cass. 5 gennaio 1981, n. 20, ined.; nel senso, invece, che la mancata o erronea riprodu zione del numero di un abbonato nell'elenco non produce alcuna

responsabilità della società telefonica, cfr. App. Milano 20 novem bre 1953, id.. Rep. 1954, voce cit., n. 8. Nella diversa ipotesi di errata indicazione, in corrispondenza delle generalità di un abbona

to, di numeri, diciture, indirizzi, ecc., Cass. 23 aprile 1975, n. 1582

(id., 1976, I, 779, con nota di richiami), ha escluso la responsabilità extracontrattuale della società appaltatrice della stampa e distribuzio ne degli elenchi ufficiali degli abbonati al telefono, mentre Cass. 27 feb braio 1979, n. 1269 (id., 1979, I, 2912, con nota di richiami), ne ha affermato la responsabilità contrattuale, ove abbia stipulato con l'uten te un contratto per prestazioni pubblicitarie distinto dal rapporto di

utenza fra l'abbonato e la S.i.p. Per l'affermazione di carattere generale (non smentita nella sen

tenza riportata, che si adopera tuttavia a dimostrare la conciliabilità

della disciplina codicistica con la previsione dell'ultimo comma del

l'art. 25 del d.m. 11 novembre 1930), secondo cui la sanzione di

nullità prevista dall'art. 1229 cod. civ. non trova applicazione allor

quando, come nel caso di specie, l'esclusione o la limitazione della

responsabilità del debitore sia prevista da una espressa norma di

legge, v., da ultimo, Cass. 26 novembre 1979, n. 6197, id., Rep. 1979, voce Posta e telecomunicazioni, n. 7.

Sull'art. 25, 3° comma, d.m. 11 novembre 1930, cfr. pure Cass.

23 maggio 1955, n. 1522, id., 1955, I, 1649, secondo cui la clausola

che esonera da responsabilità la società telefonica in caso di omis

sione od errori di numeri o diciture nell'elenco telefonico non è

soggetta, in quanto conforme ad una disposizione di legge, alla spe cifica approvazione per iscritto.

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PARTE PRIMA

Il Tribunale di Napoli con sentenza non definitiva depositata il 22 ottobre 1977, notificata il 1° febbraio 1978, dichiarava la

responsabilità della S.i.p. per l'inadempimento contrattuale e la

condannava al risarcimento dei danni nei confronti dell'attore, da liquidarsi in prosieguo di causa.

Il tribunale riteneva che la tesi della S.i.p., secondo cui l'art.

25 del regolamento di servizio esclude qualsiasi responsabilità

nell'ipotesi di omissione delle generalità di un utente nell'elenco

degli abbonati, è priva di fondamento giuridico. Il tribunale rilevava infatti che la limitazione di responsabilità,

stabilita dall'ultimo comma dell'art. 25, ha carattere eccezionale; che gli abbonati hanno il diritto soggettivo di vedere inserito

nell'elenco ufficiale tutte le indicazioni strettamente necessarie

alla loro individuazione; che gli errori e le omissioni di numeri,

diciture ed indirizzo contenuti nell'elenco non determina respon sabilità.

Pertanto, la totale omissione del nome e cognome dell'utente

nell'elenco abbonati costituisce atto illecito, fonte di responsa

bilità, non potendo comprendersi nelle ipotesi di cui all'art. 25

citato. Aderendo alla contraria tesi della S.i.p., la prima parte della disposizione, nella quale si riconosce all'abbonato il di

ritto a vedere inserito nell'elenco tutte le indicazioni strettamen

te necessarie per la sua individuazione, sarebbe non solo super

flua, ma svuotata di ogni contenuto. Il tribunale qualificava, poi, la responsabilità della S.i.p. come contrattuale, dato che il con

tratto posto in essere tra concessionario del servizio ed utente è

di natura privata, anche se stipulato mediante adesione ad uno

schema fissato dalla legge.

Avverso detta sentenza la S.i.p. ha proposto ricorso per cas

sazione. Il Mazza resiste con controricorso.

Motivi della decisione. — Col primo motivo la S.i.p. deduce

contraddittoria motivazione e violazione dell'art. 25, 3° comma,

d. m. 11 novembre 1930 e dell'art. 12 delle preleggi, in relazione

al n. 3 ed al n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civile.

Il 3° comma dell'art. 25 d. m. 11 novembre 1930 stabilisce: «la

società non assume alcuna responsabilità in caso di omissione o

di errori di numeri, diciture, qualifiche, titoli, indirizzi, ecc. nella

pubblicazione suddetta » (e cioè nell'elenco abbonati). L'inter

pretazione data alla citata disposizione dal Tribunale di Napoli, secondo cui in essa non sono compresi i casi di omissione to

tale delle generalità dell'utente nell'elenco, secondo la ricorrente

è errata, perché l'art. 25 non indica i numeri, le diciture, le qua

lifiche, ecc., in senso alternativo, ma pone delle virgole fra una

parola e l'altra, facendo intendere che l'omissione o l'errore

possono interessare anche due o più elementi contemporanea

mente, fino a ricomprenderli tutti, per cui l'omissione di ciascu

no dei dati riportati nell'art. 25 si traduce necessariamente nel

l'omissione dell'intera generalità dell'utente. Inoltre non ha fon

damento l'argomentazione del tribunale, secondo cui solo l'omis

sione totale ha conseguenze irreparabili, perché queste possono derivare anche da errori od omissioni parziali (come l'errore nella

lettera iniziale del cognome, che è tale da rendere inutile l'av

venuta inserzione). Non si può pertanto distinguere fra omis

sioni totali e parziali, mentre i principi che regolano la materia

si fondano sull'esigenza di sottrarre l'esercente del servizio ad

oneri di difficile accertamento. Comunque si consideri la posi zione soggettiva dell'utente, di fronte all'obbligo della società

concessionaria di pubblicare il nominativo nell'elenco, deve esclu

dersi la responsabilità del concessionario per il danno che possa essere derivato da qualsiasi errore od omissione, ivi inclusa la

omissione totale di tutte le generalità dell'abbonato.

Il motivo è infondato. Si premette che, in relazione alla na

tura ed efficacia del d. m. 11 novembre 1930 (di cui si parlerà in sede di esame del secondo motivo del ricorso), non è ammis sibile una censura di contraddittorietà di motivazione, ma solo

quella di violazione di norme. In proposito, in mancanza di pre cise argomentazioni contrarie, questa corte conferma quanto già deciso con sentenza 25 gennaio 1979, n. 564 (Foro it., Rep. 1979, voce Telefono, n. 6) secondo cui i casi di esclusione da respon sabilità previsti dall'art. 25 citato non riguardano l'ipotesi in

cui, a fronte del diritto dell'utente di ottenere l'inserzione del

proprio nome nell'elenco telefonico, la società concessionaria sia rimasta totalmente inadempiente, omettendo ogni indicazione.

Dal punto di vista letterale, è evidente che, se si fosse voluto

estendere l'esonero dalla responsabilità anche al caso di omis sione totale, sarebbe stato del tutto superfluo specificare che le

omissioni e gli errori possono riguardare i « numeri, diciture,

qualifiche, titoli, indirizzi ». Tale specificazione è da porre in

rapporto con il precedente comma dell'art. 25, che dispone che l'abbonato ha diritto di inserire nell'elenco tutte le indicazioni strettamente necessarie alla propria individuazione (e cioè, co me specificato dalla società concessionaria, il nominativo, con

l'eventuale titolo personale abbreviato, l'indirizzo ed il numero

del telefono). È assai significativo che il « nominativo » non

sia compreso espressamente fra le indicazioni che possono essere

oggetto di omissioni ed errori, senza far incorrere la concessio

naria in responsabilità, essendosi preferito elencare indicazioni

che non riguardano il nome (numeri, qualifiche, titoli, indirizzi) ed usare inoltre una parola (« diciture ») che comprende qual siasi modo di dire e cioè qualsiasi espressione grafica, ma appun to per la sua genericità non si può ritenere equivalente del

« nome ».

La norma è congegnata in modo da far presupporre che il

nome non sia omesso, tanto è vero che tace su questa ipotesi fondamentale (e più grave) che avrebbe reso inutile l'elencazio

ne analitica delle ipotesi meno gravi. La ragione di ciò consiste

nel fatto che la norma presuppone l'esercizio del diritto all'in

serzione delle « indicazioni necessarie per la individuazione »

dell'abbonato, sicché è estraneo alla stessa logica della limitazio

ne di responsabilità che nessuna di tali indicazioni esista, per ché un'esclusione assoluta di responsabilità farebbe escludere la

sussistenza di un obbligo in corrispondenza del diritto, il quale

pertanto non potrebbe considerarsi più tale, contrariamente al

l'espressa qualifica contenuta nella stessa norma.

La difesa della società ricorrente invoca a proprio favore Cass.

23 aprile 1975, n. 1582 (id., 1976, I, 779), ma la corte osserva in

primo luogo che quella sentenza si è occupata esplicitamente solo della insussistenza, come posizione di diritto soggettivo, del

l'interesse dell'abbonato a che i dati pubblicati nell'elenco siano

esattamente conformi a quelli richiesti, in corrispondenza delle

generalità dell'abbonato, e cioè è partita proprio dall'ipotesi che

le generalità dell'abbonato fossero state esattamente pubblicate. Non è pertanto conseguenziale l'estendere la negazione della qua lifica di diritto soggettivo alla pretesa a veder pubblicare almeno

il nomfe, che costituisce il problema della presente causa.

In secondo luogo, quella sentenza ha, incidentalmente, operato un inquadramento sistematico della norma, rispetto a quella del

l'art. 1229 cod. civ. (che esprime l'esigenza di assicurare co

munque un minimo ed inderogabile impegno diligente da parte

del debitore), nel senso che la sanzione di nullità prevista dal

l'art. 1229, 1° comma, cod. civ. non trova applicazione nei casi

nei quali, come in quello di specie, l'esclusione o la limitazione

di responsabilità deriva da un'espressa norma di legge (cfr. — per il principio generale — Cass. 26 novembre 1979, n. 6197, id., Rep.

1979, voce Posta e telecomunicazioni, n. 7). Tale inquadramento deve essere corretto, in aderenza alla già citata Cass. n. 564 del

1979. Fermo restando (come sarà meglio esposto nella tratta

zione del secondo motivo) che si tratta di un caso esplicitamente e compiutamente regolato in virtù di un'espressa norma di legge, il che esclude l'applicabilità dell'art. 1229 in modo diretto, tutta

via si tratta di una disciplina che, nella materia specifica della

pubblicazione degli elenchi telefonici, si armonizza con quella

generale civilistica e non si pone in contrasto con essa (il con

trasto, tra l'altro, sarebbe di dubbia costituzionalità). La previ sione dell'ultimo comma dell'art. 25 cit. d. m. riguarda il risul

tato della prestazione in modo non conforme al dovuto. Le diffor

mità ipotizzate prevedono l'esecuzione inesatta della prestazione, ma non riguardano l'assoluta non esecuzione della prestazione. Questa esegesi sul piano letterale è giustificata dall'argomento che la previsione di singole omissioni od oneri esclude che nella

stessa previsione rientri la totale omissione, la quale sarebbe

stata un'ipotesi onnicomprensiva, senza necessità di inutili spe cificazioni. Sul piano logico, poi, l'inadempimento totale (senza

sanzione) toglierebbe ogni tutela ai diritto riconosciuto nella

prima parte della stessa norma. Sul piano sistematico, infine,

trattandosi di responsabilità contrattuale, dovrebbe applicarsi l'art. 1218 cod. civ., che individua l'inadempimento (ed il corre

lativo obbligo di risarcimento del danno) nel fatto del debitore « che non esegue esattamente la prestazione dovuta ». La nozione

comprende sia l'ipotesi di mancanza totale della prestazione che

quella della sua inesattezza. La distinzione è assai rilevante, per ché la prestazione inesatta può essere talvolta equiparata ad un

esatto adempimento (a parte il caso in cui vale come adempi mento parziale). L'inesattezza postula un confronto con tutti gli elementi che indicano il contenuto dell'obbligazione. Fra questi è da considerare la diligenza, per cui, se la stessa legge, in par ticolari rapporti, prevede una misura della diligenza inferiore a

quella normale, come quando limita la responsabilità alla colpa grave, con ciò incide sulla configurazione del comportamento dovuto dal debitore, nel senso che il creditore dovrà ritenere

esatto adempimento una prestazione non perfetta dal punto di

vista tecnico e cioè ridotta dal punto di vista quantitativo e qua litativo.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Nella specie, tramite l'irrilevanza data agli errori ed alle omis

sioni nella stampa delle indicazioni che servono per identificare

gli abbonati al servizio telefonico, la norma gradua appunto la misura della diligenza, mentre l'esclusione completa di questa escluderebbe ogni tutela al diritto di credito. Si tratta della stessa

ratio che presiede alla disciplina dell'art. 1229 cod. civile. Si

supera cosi' l'obiezione secondo cui anche errori parziali pos sono condurre a conseguenze irreparabili, pari a quelle che pos sono derivare dalla totale omissione del nominativo, come nel

caso di un errore nella lettera iniziale del cognome, che renderebbe

praticamente inutile l'inserzione. Infatti, anche in questo caso

l'esecuzione della prestazione non manca, anche se essa è ine

satta e se la norma non fa derivare alcuna responsabilità dalla

sua inesattezza, per cui la distinzione con l'ipotesi del totale

inadempimento permane. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 3 luglio

1980, n. 4218; Pres. Mirabelli, Est. Scanzano, P.M. Antoci

(conci, conf.); Banca privata italiana (Avv. Dalmartello, Ti

no) c. Sindona; Sindona (Avv. Guzzi, Strina) c. Banca pri vata italiana. Cassa App. Milano 11 luglio 197S.

Procedimento civile — Sospensione per pregiudizialità penale —

Prova della pregiudizialità — Capo d'imputazione — Interpre tazione — Poteri del giudice (Cod. proc. civ., art. 295; cod.

proc. pen., art. 3). Procedimento civile — Espressioni sconvenienti ed offensive —

Cancellazione — Condizioni (Cod. proc. civ., art. 89).

Il giudice che, al fine di stabilire se sospendere o no un pro cesso civile ai sensi degli art. 295 cod. proc. civ. e 3 cod.

proc. pen., debba decidere dell'esistenza di un processo penale

pregiudiziale, non è vincolato dal tenore letterale del capo

d'imputazione, ma può desumere la materia dell'oggetto del

l'indagine penale attraverso l'interpretazione anche logica di'

esso e dal suo coordinamento con gli altri documenti acqui siti alla causa, e può anche chiedere informazioni al giudice

penale. (1) L'istanza di cancellazione ex art. 89 cod. proc. civ. non può

essere accolta quando non si rilevano frasi od espressioni che

non siano giustificate dalla necessità della dialettica proces

suale, o che non siano l'enunciazione conclusiva delle rela

tive argomentazioni (nella specie, la cancellazione di frasi of

fensive è stata chiesta da Michele Sindona nei confronti del

liquidatore della Banca privata italiana, Giorgio Ambrosoli). (2)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso del

22 gennaio 1976 al presidente del Tribunale di Milano, Michele

Sindona propose, ai sensi degli art. 103 e 209 1. fall, e nei con

fronti della Banca privata italiana in liquidazione coatta animi

ti) Non constano precedenti specifici. In particolare, è nuova l'af

fermazione che faculta il giudice civile a chiedere informazioni al

giudice penale circa i fatti per i quali si procede penalmente, al

fine di stabilire se sussiste la pregiudizialità (è appena il caso di

precisare che il giudice penale non è una pubblica amministrazione

cui il giudice civile possa rivolgersi ex art. 213 cod. proc. civile). Peraltro, nel senso che la parte, che chiede la sospensione di un

processo civile ex art. 295 cod. proc. civ., ha -l'onere di provare la

pendenza del processo penale (che assume essere) pregiudiziale e gli estremi della pregiudizialità: Cass. 29 maggio 1978, n. 2705, Foro it.,

Rep. 1978, voce Procedimento civile, m. 209; 6 luglio 1976, n. 2520,

id., Rep. 1976, voce cit., n. 163; 10 ottobre 1973, n. 2537, id.,

Rep. 1973, voce cit., n. 226; 26 giugno 1972, n. 2066, id., Rep.

1972, voce cit., n. 252; 6 giugno 1972, n. 1761, ibid., n. 247; 25 marzo

1972, n. 950, ibid., n. 243; 9 novembre 1970, n. 2288, id., Rep. 1971,

voce cit., n. 345; 10 ottobre 1970, n. 1923, ibid., n. 339; 8 settem

bre 1970, n. 1300, id., Rep. 1970, voce cit., n. 221; 18 aprile 1961,

n. 847, id., Rep. 1961, voce Giudizio (rapporto), n. 390. Tra la giu

risprudenza di merito, nello stesso senso, Trib. Roma 13 marzo

1973, id., Rep. 1973, voce Procedimento civile, n. 231.

Nel senso che il giudice civile, in mancanza di idonea documen

tazione circa la pregiudizialità di un processo penale, non può pro

cedere, in base a meri fatti, ad una definizione di reato, che non

rientra nella sua competenza, Cass. 29 maggio 1978, n. 2705, cit.

Nel senso che, ai fini della sospensione di un processo civile, non

sia necessaria la prova documentale della pendenza del processo pe

nale pregiudiziale e che sia invece sufficiente la indicazione, non

contestata dalle altre parti, del numero del processo penale, dell'og

getto, degli imputati e della parte offesa, Cass. 11 gennaio 1978,

ri. 98, id., Rep. 1978, voce cit., n. 206.

(2) Giurisprudenza costante: v., da ultimo, Cass. 21 marzo 1977,

n. 1099, Foro it., 1977, I, 1434, con nota di richiami.

nistrativa, domanda di revindica di 4.000 azioni della Fasco A.G., avente sede in Eschen (Liechtenstein), assumendo di averle ac

quistate il 12 luglio 1972 al prezzo di 500.000 dollari U.S.A.

Precisò che dopo avere ottenuto la prescritta autorizzazione dal

ministero per il commercio con l'estero incaricò dell'acquisto la

Banca privata finanziaria, che vi provvide a mezzo della Fina bank di Ginevra e trasferì' poi formalmente ad esso istante le azioni stesse con fissato bollato del 12 luglio 1972, tenendole

in deposito presso la detta banca svizzera.

Il commissario liquidatore della Banca privata italiana (so cietà risultata dalla fusione della Banca privata finanziaria e della Banca Unione) si costituì' avanti il giudice istruttore e dopo avere premesso che, ai sensi dell'art. 2704 cod. civ., non era a lui opponibile la data dei documenti prodotti ex adverso, de dusse che la vendita di cui al fissato bollato del 12 luglio 1972 doveva considerarsi simulata e/o nulla ex art. 1418 cod. civ., e che la decisione della causa dipendeva dall'esito di un pro cesso penale per bancarotta fraudolenta pendente a carico del Sindona. Chiese pertanto in via pregiudiziale la sospensione del

processo a norma degli art. 295 cod. proc. civ. e 3 cod. proc. pen., e nel merito il rigetto della domanda.

Con sentenza del 27 giugno 1977 il tribunale rigettò la do manda di revindica sul rilievo che i documenti prodotti a fonda

mento di essa erano privi di data certa.

Con la sentenza ora impugnata la Corte d'appello di Milano — su gravame del Sindona — ha riformato la decisione del

primo giudice, dichiarando che le azioni controverse sono di

proprietà del Sindona e che a questi vanno consegnate dal

commissario liquidatore della Banca privata italiana.

In proposito essa ha considerato: a) non risultava che tra

i fatti di distrazione e sottrazione imputati al Sindona dal giu dice penale fosse compreso quello concernente le azioni in ar

gomento, ciò non potendosi desumere neppure dal sequestro che

in ordine ad esse era stato disposto dal detto giudice; non sus

sistevano, quindi, i presupposti della sospensione del processo;

b) i documenti prodotti dal Sindona, e cioè il provvedimento di

autorizzazione del ministero per il commercio con l'estero, la comunicazione dell'acquisto fatta da Finabank alla Banca pri vata finanziaria, il fissato bollato con cui quest'ultima aveva venduto al Sindona le azioni, l'addebito del controvalore di

queste —- da parte della stessa banca — nel conto corrente del

medesimo e vari altri atti concernenti la situazione e la disposi zione dei titoli, dimostrano che questi erano stati realmente ac

quistati dal Sindona; c) che la data dei documenti prodotti da

questi doveva ritenersi certa ed opponibile al commissario liqui datore quanto meno dal 1° agosto 1974, allorché la Banca privata finanziaria — a cui si riferiscono i rapporti, relativi all'acquisto controverso, tra essa ed il Sindona — aveva cessato di esistere per fusione nella Banca privata italiana, con conseguente cessazione dell'influenza personale del Sindona su di essa e sul nuovo isti tuto.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il com

missario liquidatore della Banca privata italiana con atto del 4 agosto 1978, sulla base di tre motivi, illustrati con memoria.

Resiste il Sindona con controricorso, proponendo ricorso inci dentale condizionato sulla base di un unico motivo.

Motivi della decisione. — I due ricorsi vanno riuniti a norma

dell'art. 335 cod. proc. civile.

Col primo motivo del proprio ricorso il commissario liquida tore denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 295 cod.

proc. civ. e 3 cod. proc. pen. nonché insufficienza e contraddit

torietà di motivazione su punto decisivo, e lamenta che sia stata

respinta l'istanza di sospensione del processo in attesa della de

finizione del processo pendente contro il Sindona.

Secondo il ricorrente, il fatto che in tale processo il Sindona

sia imputato di vari episodi di distrazione in danno della banca

e che nell'ambito di esso sia stato disposto il sequestro delle

azioni controverse, come cose pertinenti al reato o come corpo del reato, dimostra che nella materia oggetto di quel processo è

compresa anche la distrazione delle azioni stesse, di guisa che

la decisione del giudice penale costituisce una pregiudiziale ne

cessaria. La motivazione adottata dalla corte di merito a sostegno

della contraria opinione sarebbe gravemente carente ed erronea

sul piano logico-giuridico, sia perché non dà il giusto rilievo alla

detta risultanza e valorizza a torto il fatto che nel mandato di

cattura manchi una specifica menzione della distrazione delle

azioni in argomento (trascurando peraltro — si aggiunge nel

secondo motivo — che nello stesso atto si fa riferimento all'as

soluto dominio del Sindona sugli organi esecutivi delle due ban

che fuse nella Banca privata italiana), sia perché trae argomento

dall'asserita appartenenza di queste al Sindona e dal fatto che

esse fossero nella materiale disponibilità della banca, in tal mo.

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