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Sezione I civile; sentenza 16 dicembre 1983 n. 7447; Pres. Brancaccio, Est. Zappulli, P. M. Antoci...

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Sezione I civile; sentenza 16 dicembre 1983 n. 7447; Pres. Brancaccio, Est. Zappulli, P. M. Antoci (concl. conf.); Messana (Avv. Gentile-Mirabella) c. Fasone (Avv. Verga). Conferma App. Palermo 26 giugno 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 5 (MAGGIO 1984), pp. 1323/1324-1327/1328 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175699 . Accessed: 24/06/2014 20:47 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.248.111 on Tue, 24 Jun 2014 20:47:53 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 16 dicembre 1983 n. 7447; Pres. Brancaccio, Est. Zappulli, P. M. Antoci(concl. conf.); Messana (Avv. Gentile-Mirabella) c. Fasone (Avv. Verga). Conferma App. Palermo26 giugno 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 5 (MAGGIO 1984), pp. 1323/1324-1327/1328Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175699 .

Accessed: 24/06/2014 20:47

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1323 PARTE PRIMA 1324

in relazione alla causa iniziata dalla suddetta nei confronti della

EPCHAP.

Una clausola del contratto concluso fra le dette parti richiama

per le altre clausole e condizioni, incluso l'arbitrato, non espres samente riprodotte lo « Hamburg Feeding Stuff Contract n. Ill a

(EFAPI) », della Euromarket Federation of Animal Protein Im

porters. Questo contratto tipo contiene una clausola la quale stabilisce

che le controversie sorte o che possono sorgere fra le parti contraenti saranno regolate da arbitrato, con esclusione di rego lamento mediante tribunali ordinari, e precisa che, in mancanza

di diversa indicazione delle parti, l'organo arbitrale è il Tribunale

arbitrale della borsa di Amburgo. La validità di quella clausola compromissoria e la sua idoneità

ad escludere la giurisdizione italiana (se esistente per i criteri di

collegamento di cui all'art. 4 c.p.c.) vanno accertate in applica zione delle norme della convenzione per il riconoscimento e

l'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere adottata a New

York il 10 giugno 1958, resa esecutiva in Italia con la 1. 19

gennaio 1968 n. 62.

Tale convenzione si applica al riconoscimento ed all'esecuzione

delle sentenze arbitrali rese da arbitri nominati per casi determi

nati o da organi d'arbitrato permanenti ai quali le parti si sono

sottomesse, nel territorio di uno Stato diverso da quello dove il

riconoscimento e d'esecuzione delle sentenze sono domandati (art. I, nn. 1 e 2). Ciascuno Stato contraente si è impegnato a

riconoscere la convenzione scritta con la quale le parti si obbli

gano a sottomettere ad arbitrato tutte od alcune delle controver sie sorte e che potrebbero sorgere tra di loro circa un determina to rapporto di diritto, contrattuale o non contrattuale, vertente su una questione suscettibile di essere regolata per via di arbitrato

(art. II, n. 1); intendendosi per «convenzione scritta» una clausola compromissoria inserita in un contratto, o un compro messo, firmata dalle parti o contenuta in uno scambio di lettere o di telegrammi (art. II, n. 2). Il tribunale di uno Stato contraente, investito di una lite su una questione riguardo alla quale le parti hanno concluso una convenzione scritta come sopra precisato, rimetterà le parti medesime all'arbitrato, su domanda di una di

esse, salvo che constati che la detta convenzione è nulla, inefficace o non suscettibile di essere applicata (art. II, n. 3).

Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, deve riconoscer si che nella specie esiste una « convenzione scritta » per clausola

compromissoria ai sensi della citata convenzione.

Invero, le parti, nel pattuire il deferimento ad arbitrato delle controversie che sarebbero potute insorgere fra di loro, hanno fatto espresso riferimento alla clausola compromissoria prevista nel contratto tipo EFAPI, in uso nel commercio internazionale delle proteine animali; nel quale contratto tipo, come si è visto, è

designato quale organo arbitrale, in mancanza di diversa indica zione delle parti (che appunto non esiste nella specie), il Tribu nale arbitrale della borsa di Amburgo. Clausola compromissoria, quella pattuita nella specie, il cui contenuto è determinato per relationem perfectam, perché fa riferimento ad un uso internazio nale in quel settore commerciale, e perché il regolamento del

procedimento arbitrale è quello del Tribunale arbitrale della borsa di Amburgo.

Stante la validità della clausola compromissoria, che deferisce la controversia al Tribunale arbitrale della borsa di Amburgo, in

applicazione della citata convenzione, non sussiste, in relazione alla detta causa, la giurisdizione italiana, derogata da quella clauso la compromissoria. Né si pone il problema della connessione con le altre cause promosse dagli importatori nei confronti dei

subacquirenti italiani, ai sensi dell'art. 4, n. 3, c.p.c., stante la

disposta separazione delle cause. In conclusione, deve essere dichiarato estinto il processo per

regolamento di giurisdizione nei rapporti fra la s.r.l. Unione italiana proteine e tutte le parti intimate, deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano in relazione alla causa vertente fra la Alhimex Allgemeine Handels Import and Export Aktienegesellaschft e la EPCHAP e deve essere dichiarato inam missibile il ricorso in relazione alle cause vertenti fra la detta ricorrente e gli altri intimati. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 16 di cembre 1983 n. 7447; Pres. Brancaccio, Est. Zappulli, P.M. Antoci (conci, conf.); Messana (Aw. Gentile-Mirabella) c. Fasone (Aw. Verga). Conferma App. Palermo 26 giugno 1982.

Matrimonio — Matrimonio concordatario — Nullità — Sentenza ecclesiastica — Esecutività — Controllo — Estensione (L. 27

maggio 1929 n. 810, esecuzione del trattato e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l'Italia I'll febbraio

1929, art. 1, 34; 1. 27 maggio 1929 n. 847, disposizioni per

l'applicazione del Concordato dell'I 1 febbraio 1929 tra la Santa

Sede e l'Italia, nella parte relativa al matrimonio, art. 17).

Nel procedimento di esecutorietà delle sentenze ecclesiastiche in

materia matrimoniale, il controllo della corte d'appello riguar dante la citazione, la rappresentanza, la contumacia della parti nel processo canonico, non tende ad accertare se siano state

osservate tutte le norme canoniche e se tali norme offrano le

medesime garanzie previste dall'ordinamento italiano, ma con

siste nel valutare se risultino rispettati gli elementi essenziali

del diritto di agire e di resistere nell'ambito dei principi

supremi dell'ordinamento costituzionale dello Stato. (1)

Svolgimento del processo. — Il Tribunale ecclesiastico di Paler

mo, con sentenza 27 aprile 1979 ratificata da quello di Napoli con decreto 22 ottobre 1979, dichiarò nullo il matrimonio religio so celebrato in Monreale il 7 febbraio 1977 tra Antonino Fasone

e Caterina Messana per difetto di consenso dovuto a violenza e

minacce nei confronti dello sposo. Il Supremo tribunale della

Segnatura ecclesiastica, in seguito a proprio decreto 17 dicembre

1979, trasmise i suddetti provvedimenti alla Corte d'appello di

Palermo, la quale, dopo avere sentito, per l'opposizione della

Messana, entrambi i coniugi, che presentarono anche memorie, dichiarò l'esecutività di quella sentenza, con ordinanza 26 giugno 1982. Ritenne la suddetta corte, in relazione ai motivi della opposi zione della Messana, a) che non vi era stata alcuna violazione dei diritti di difesa di costei, la quale era stata posta più volte nelle

condizioni di contraddire e di difendersi pur nel rispetto delle norme processuali del diritto oanonico; b) che non violava quei diritti la segretezza del procedimento canonico, per la quale la

parte non costituita non poteva ottenere copia del libello e degli atti istruttori, essendo sempre nelle facoltà della stessa quella di

costituirsi pur con la possibilità del gratuito patrocinio; c) che la sentenza poteva considerarsi definitiva secondo il diritto canoni

co; d) che non era ammissibile il riesame del merito riservato,

per l'art. 34 del Concordato, ai tribunali ecclesiastici.

La Messana ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi. Ha resistito il Fasone con controricorso.

Motivi della decisione. — 1. - Caterina Messana ha censurato

l'ordinanza impugnata, con il primo motivo del ricorso, per violazione dell'art. 17 1. 27 maggio 1929 n. 847 e dell'art. 34 del

Concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede, nonché per omessa motivazione. Essa ha sostenuto che non era stato tenuto conto della decisione 2 febbraio 1982, n. 18 della Corte costitu

zionale (Foro it., 1982, I, 934) secondo la quale la corte

d'appello, chiamata a dichiarare l'esecutorietà delle sentenze ec clesiastiche in materia di matrimonio, deve accertare se siano stati rispettati nel relativo giudizio i diritti essenziali di agire e

resistere delle parti e se le sentenze suddette non contengano disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano. Secondo la ricorrente non era stato considerato a) che essa non era stata

regolarmente citata; b) che i tribunali ecclesiastici adi'ti in primo e in secondo grado non le avevano nominato un difensore, come

prescritto dalle norme canoniche; c) che non le era stato consen

ti) Cfr. sul punto, Cass. 17 febbraio 1983, n. 1225, Foro it., 1983, I, 644, che, con Cass. 15 maggio 1982, n. 3024, id., 1982, I, 1880 (con nota di Lariccia, Prime decisioni della Cassazione dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 1982, sul matrimonio concordata rio), sulla scia di Corte cost. 2 febbraio 1982, n. 18, ibid., 934 (con osservazioni di A. Lener e Lariccia), sottolinea che « per accertare se risultino salvaguardati gli elementi essenziali del di ritto di agire e di resistere... il giudice statale deve attenersi alle risultanze certificate dal decreto della Segnatura apostolica, salvo che la parte interessata, in contrastò con questa certificazio ne, deduca precisi elementi di fatto e di diritto tali da costituire denunzia di un vizio determinato, controllabile in concreto dalla corte d'appello ». Cfr. inoltre Lariccia, Qualcosa di nuovo, anzi d'antico nella giurisprudenza costituzionale sul matrimonio concordatario (nota a Corte cost. 2 febbraio 1982, n. 18), ibid., 938. Va segnalato l'art. 8 del nuovo Concordato fra Stato e Chiesa, firmato il 18 febbraio 1984, che richiede, per l'esecuzione civile delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio ad opera della corte d'appello, la domanda di parte, e ne subordina l'efficacia nello Stato alle condizioni previste dall'art. 797 c.p.c., con alcuni adattamenti: a) deve trattarsi di matrimonio concordatario di competenza del giudice ecclesiastico; b) nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici dev'essere stato assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio; c) la sentenza ecclesiastica non deve contenere disposizioni contrarie all'or dine pubblico internazionale. Cfr. Colaianni, Prime note sul Concorda to e Intesa, id., 1984, V, 111, e Gherro, Rapporti tra Stato e Chiesa in tema di matrimonio concordatario, Padova, 1983, 10 e 129 ss.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tito di conoscere le deposizioni dei testi; d) che essa non era

stata invitata a partecipare al giudizio di secondo grado. Inoltre, la Messana ha dedotto che, poiché era stata dichiarata

la nullità del matrimonio per mancanza di consenso del Fasone

dovuta a minacce di morte e ad un « quasi sequestro » di

persona in danno del medesimo, e cioè per fatti costituenti reato, la sussistenza degli stessi non poteva essere accertata se non dal

giudice italiano, in quanto non vi poteva essere una rinunzia alla

giurisdizione di quest'ultimo in materia penale.

2. - Il motivo è infondato sotto tutti gli aspetti prospettati pur secondo il principio come sopra affermato dalla Corte costituzio

nale nella citata decisione 2 febbraio 1982, n. 18.

In primo luogo, per quanto concerne da dedotta assenza di una

regolare citazione della Messana nel giudizio di primo grado, di

cui sub a), va preliminarmente affermato che quella « regolarità »

va accertata e controllata con riferimento non semplicemente all'osservanza delle norme del procedimento ecclesiastico, ma alla

concreta assicurazione del diritto di difesa richiesta sul piano sostanziale da quella decisione.

Al riguardo la corte di merito ha messo in rilievo che la

Messana era stata più volte posta nelle condizioni di controde

durre e di difendersi e che era stata resa « edotta dell'oggetto e

dei termini essenziali della contestazione » per aver ricevuto, come risultava da sua lettera, « la citazione a comparire nella

udienza fissata per la concordanza del dubbio », nonché una nota

del tribunale ecolesiastico 10 giugno 1977 con avvertimento « del

la relativa formula ».

Ne consegue che legittimamente, sulla base di questi elementi

cosi precisati nella motivazione e sostanzialmente riconosciuti

nello stesso ricorso della Messana, la corte di merito aveva

ritenuto che vi fosse stata per costei la suddetta concreta possibi lità di difesa.

Se, poi, si ritenesse che la ricorrente, nel negare di essere stata « ritualmente citata », avesse inteso riferirsi anche alla conformità

della citazione alle norme del diritto canonico, il cui controllo

per quell'atto è stato ritenuto consentito al giudice italiano in

corrispondenza all'art. 797, n. 1, c.p.c., sarebbe da osservare che

non è stato indicato da essa quale sia stata la violazione di

quelle norme con il conseguente vizio della citazione, nonostante

la rilevata conoscenza del giudizio da parte sua.

Circa l'eventuale esistenza di reati connessi alla celebrazione

del matrimonio, dedotta nel motivo, va fatta una previa distin

zione tra la giurisdizione penale, e cioè quella sulla esistenza e

sulla perseguibilità del reato, per la quale non vi è stata alcuna

rinunzia da parte del legislatore, e la giurisdizione civile sugli effetti non penali del fatto costituente reato. Per questi ultimi è

da rilevare che neanche l'art. 797 c.p.c. esclude dalla esecutività

in Italia la sentenza emessa sulle conseguenze oivili di un fatto di

quel genere. Invero, il n. 5 di esso, nello statuire che la sentenza

da delibare non deve essere contraria ad altra pronunziata da

un giudice italiano, la quale, in assenza di distinzioni, può essere

anche penale, richiede solo e in ogni caso che una sentenza vi

sia, onde non può ravvisarsi tra gli elementi ostativi a quella esecutività la mera possibilità della esistenza di un reato perse

guibile d'ufficio e di un conseguente giudizio penale fin quando non vi sia una sentenza.

Non può, pertanto, secondo la riconosciuta applicabilità dei

primi quattro numeri del citato art. 797 anche nei giudizi sulla

eseguibilità delle sentenze ecclesiastiche matrimoniali, ritenersi che

quest'ultima debba essere esclusa dalla eventuale indicazione di

fatti costituenti reato, sulla cui perseguibilità nell'ordinamento

italiano non ha alcuna rilevanza, né positiva né negativa, l'accer

tamento incidentale da parte di quel giudice estraneo al suddetto

ordinamento.

3. - Per quanto concerne il rilievo sub b) dello stesso primo motivo della Messana sulla dedotta illegittimità della omissione di

nomina di un difensore d'ufficio per essa da parte del giudice

ecclesiastico, va osservato che — a prescindere dal fatto che

quella nomina secondo l'ordinamento canonico è meramente fa

coltativa nei confronti della parte convenuta — la sua assenza non

è contraria ad alcun principio del nostro ordinamento, il quale la

richiede solo in materia penale. La eventuale violazione di una

norma in tale materia del diritto canonico non può formare

oggetto di esame dal giudice italiano se non riguardi i menzionati

diritti essenziali di difesa, e cioè la competenza giurisdizionale del

giudice adito, la regolarità della citazione e la legittimazione delle

parti e la loro costituzione o dichiarazione di contumacia.

4. - Circa il diniego da parte del giudice ecclesiastico di dare

conoscenza alla Messana del contenuto delle deposizioni testimo

niali, di cui sub c), non può ravvisarvdsi un contrasto con

l'ordine pubblico italiano per quanto concerne i menzionati

essenziali diritti di difesa perché, come posto in rilievo dalla corte

di merito, era sempre nelle facoltà del contumace quella di costituirsi anche a mezzo di procuratore, con possibilità di essere ammesso al gratuito patrocinio, e di ottenere, con la cessazione della contumacia, la conoscenza degli atti.

Il suddetto condizionamento di tale cognizione, connesso al

particolare contenuto di quei giudizi relativi alla validità del matrimonio quale sacramento secondo l'ordinamento canonico, non è di per sé tale da impedire l'esercizio del diritto di difesa

proprio per la connessione della cessazione della contumacia con la menzionata possibilità della concessione del gratuito patrooinio, nei casi che lo giustifichino.

Giova osservare che se da un lato non può negarsi il diritto della parte a rimanere contumace nel procedimento ecolesiastico, nel quale le indagini e gli accertamenti, con assunzione di prove indipendentemente dalle deduzioni e richieste dei coniugi, si

svolgono per un'attività d'ufficio, dall'altro la possibilità di far cessare la contumacia nel corso del giudizio importa che la stessa costituisce una libera e revocabile scelta della parte, la quale, perciò, non può dolersi delle conseguenze della stessa previste da

quell'ordinamento senza una violazione dei suoi diritti essenziali di difesa.

5. - Per quanto concerne, poi, il rilievo sub d) sul mancato invito alla Messana «a partecipare al c.d. giudizio di secondo

grado », va osservato che, pur se, in linea generale, la mancata comunicazione di un qualsiasi giudizio di ulteriore grado {che,

peraltro, è mancato pure per l'altra parte) può costituire una violazione dei diritti di difesa, la stessa non si verifica neces sariamente in quello ecclesiastico definito d'appello per le cause di nullità di matrimoni, cosi come regolato dall'art. 8 del motu

proprio pontificio 28 marzo 1971 Causae matrimoniales a sua volta assorbito recentemente dal nuovo codex iuris canonici (non

applicabile nella specie perché posteriore al provvedimento in

questione).

Invero, secondo quella norma, va posta una distinzione perché nel suo 1° comma era stabilito che il difensore del vincolo doveva obbligatoriamente proporre appello al giudice superiore («A prima sententia, matrimonii nullitatem declorante, vinculi

defensor ad superius tribunale provocare tenetur intra legitimum tempus »), tanto da potervi essere costretto, in caso di inosser vanza (« auctoritate praesidis vel iudicis unici compellendus est»). Tuttavia, come rilevato dalla più autorevole dottrina,

quella impugnazione, secondo il par. 2 dello stesso art. Vili, assumeva un valore solo formale, producendo l'unico effetto di trasferire il procedimento innanzi il giudice d'appello, e ciò in

quanto il difensore del vincolo non era tenuto a completare

l'impugnazione con l'esposizione di ragioni sostanziali a favore della riforma della sentenza, dovendo più semplicemente esporre « utrum contra decisionem latam in primo gradu aliquid oppo nendum habeat necne ».

È sulla base di quelle richieste e delle eventuali deduzioni

<« animadiversiones ») che il giudice cosi adito, previa eventuale richiesta di memoria alle parti, decideva di ratificare, secondo il

par. 3 (« decisionem primi gradus ratam habet ») — nel caso, salvo ulteriore ricorso al giudice di terzo grado, gli ex coniugi potevano contrarre nuovo matrimonio dopo dieci giorni dalla

pubblicazione del decreto — oppure ammetteva la causa ad un

giudizio ordinario di secondo grado (« vel ad ordinarium examen

secundi gradus causam admittit »), dando luogo solo con questo provvedimento alla fase contenziosa.

Ciò premesso, è facile osservare che, nonostante il titolo

generale del capo de appellationibus, il vero giudizio di secondo

grado veniva ad esistenza solo quando, non essendo stato emesso il decreto di ratifica sopraindicato, a sua volta suscettibile di ulteriore impugnazione ex art. 9, si procedeva a quel riesame secondo la formula del terzo paragrafo sopra riportata.

Infatti, solo con quella espressa deliberazione del tribunale ecclesiastico si apriva una fase contenziosa rispetto alla quale potevano venire in considerazione le esigenze di contraddittorio

tra le parti, mentre la obbligatorietà ex lege dell'appello, entro il

breve termine menzionato, da parte del difensore del vincolo e la

predeterminazione dei rispettivi giudici d'appello importavano la conoscenza o la conoscibilità, secondo la comune diligenza, per entrambi i coniugi della esistenza di quella fase anteriore alla suddetta scelta del secondo giudice non avente, nel caso di

ratifica, carattere decisivo tanto da essere concretata con un decre

to, mentre nel diverso caso di riesame il giudizio si concludeva con sentenza.

Giova porre in rilievo, al riguardo, la diversità di disciplina per la quale avverso la sentenza di primo grado non era previsto l'appello delle parti ma solo quello (« provocare ») del difensore del vincolo mentre per il decreto di ratifica, ai sensi del par. IX, era ammesso il ricorso al giudice di terzo grado sia del medesimo

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sia di quella delle parti « quae se gravatam putet ». Ciò conferma che al procedimento di secondo grado che fosse definito con ratifica mancava quel carattere contenzioso proprio dei giudizi d'appello previsti dal nostro ordinamento, dovendo ravvisarvisi solo un controllo d'ufficio preordinato e obbligatorio sia pure da un organo giurisdizionale superiore, che, a sua volta, era suscettibile di ulteriore impugnazione, e quindi con piena possibi lità di successiva difesa delle parti. Non appare, pertanto, neces saria per queste ultime la previa comunicazione o notificazione, di quel procedimento non contenzioso, che la stessa ricorrente ha definito nel ricorso « c.d. di secondo grado », riconoscendone, in tal modo, sebbene a diverso fine, la particolarità.

Infine, non è fuor luogo osservare che lo stesso legislatore canonico ha manifestato e confermato quell'indirizzo sulla natura della fase menzionata con il recente nuovo codice, il cui canone 1682 ha eliminato, anche sotto il lato formale, la impugnazione del difensore del vincolo, disponendo la sola trasmissione d'ufficio della causa dal primo al secondo giudice.

Tale diversità dei due ordinamenti, italiano e canonico, proprio per questa forma del giudizio di secondo grado, è stata anche riconosciuta e ammessa dalla Suprema corte con recente pronun zia (Cass. 14 maggio 1982, n. 3024, id., 1982, I, 1880). Questa, premettendo che l'indagine sulla tutela dell'ordine pubblico italia no riguarda solo quelle norme che involgano principi costituzio nali dello Stato, i quali non sono violati dalla esistenza di secondarie differenze che non incidono su di essi, ha escluso che costituisca ostacolo alla declaratoria della esecutività delle senten ze ecclesiastiche dichiarative della nullità del matrimonio la circostanza che per far luogo al giudizio di secondo grado sia

prevista la mera facoltà del giudice di chiedere alle parti le « animadversiones ».

Deve, pertanto, rigettarsi il primo motivo del ricorso per la rilevata infondatezza delle censure in esso prospettate. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 29 no vembre 1983, n. 7157; Pres. Brancaccio, Est. Battimelli, P. M. Dettori (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Vittoria) c. Soc. immob. Tornese. Cassa Comm. trib. centrale 8 aprile 1980, n. 2740.

Tributi in genere — Ricorso alla Commissione tributaria centrale — Termine — Deposito presso la segreteria della Commissione tributaria centrale — Inammissibilità (D.p.r. 2 ottobre 1972 n.

636, revisione della disciplina del contenzioso tributario, art. 25).

La tempestività del ricorso alla Commissione tributaria centrale deve essere accertata in relazione alla data in cui il ricorso

perviene alla segreteria della commissione che ha emesso la decisione impugnata (nella specie, il ricorso era stato presentato nel sessantesimo giorno alla segreteria della Commissione tribu taria centrale anziché alla segreteria del giudice a quo; la

prima provvide alla trasmissione degli atti alla commissione di secondo grado che aveva emesso la decisione impugnata, atti che giunsero a destinazione oltre il termine dei sessanta giorni indicato dall'art. 25 d.p.r. 636/72). (1)

Motivi della decisione. — Il primo motivo di ricorso è fondato. Ai sensi del 1° comma dell'art. 25 d.p.r. 26 ottobre 1972 n.

(1) La sentenza si uniforma all'indirizzo che — dopo le prime oscillazioni — ha finito per prevalere; cfr. Comm. trib. centrale 16 marzo 1982, n. 1273, Foro it., Rep. 1982, voce Tributi in genere, n. 809; Cass. 25 luglio 1981, n. 4826, ibid., n. 807; 25 luglio 1981, n. 4829, id., 1981, I, 2119, con nota di richiami.

A questo orientamento si riallacciano quelle decisioni secondo cui è improcedibile l'appello dell'ufficio finanziario notificato direttamente alla controparte anziché presentato alla segreteria del giudice a quo: Cass. 7 giugno 1982, n. 3442, id., Rep. 1982, voce cit., n. 628, e quelle secondo cui l'atto di appello dell'ufficio finanziario deve perve nire nei sessanta giorni alla segreteria del giudice a quo: Comm. trib. centrale 7 dicembre 1981, n. 3711, ibid., n. 657.

La decadenza dal potere di impugnare è impedita se il ricorso è presentato alla segreteria della commissione di secondo grado entro il sessantesimo giorno (art. 25, 3° comma, d.p.r. 636/72) e non se entro tale termine è spedito il ricorso come prevedono gli art. 17 ss. d.p.r. cit., riguardo all'instaurazione del giudizio innanzi alla commissione di primo o di secondo grado: Cass. 18 giugno 1982, n. 3729, ibid., nn. 650, 803, che ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità in riferimento agli art. 24 e 113 Cost.; conf. Cass. 18 giugno 1982, n. 3730, ibid., n. 804; 7 luglio 1981, n. 4432, ibid., n. 808; Comm. trib. centrale 17 gennaio 1981, n. 11250, ibid., n. 651; 20 novembre 1980, n. 11978, ibid., n. 810. Il d.p.r. 3 novembre 1981 n. 739 non ha ap portato modifiche sullo specifico punto risolto dalla sentenza in epigrafe.

636, il ricorso alla Commissione centrale va proposto nei sessanta

giorni decorrenti dalla notificazione o dalla comunicazione del

dispositivo della decisione impugnata. Trattandosi di termine per

proporre impugnazione, non vi è dubbio che esso comporti una

decadenza; si che l'impugnazione va riconosciuta tardiva, e con

seguentemente inammissibile, ove il detto termine venga superato,

per mancato adempimento, entro il termine stesso, alle formalità

prescritte per l'esercizio dell'impugnazione. Dette formalità sono previste al 3° comma del medesimo art.

25, in forza del quale il ricorso va presentato alla segretaria della

commissione che ha emesso la decisione impugnata (analogamente a quanto previsto, per l'appello, dal 2° comma dell'art. 22 del

medesimo decreto n. 636/72). A cura della segreteria, poi, copia del ricorso è notificata alla controparte, alla quale spetta un

termine di sessanta giorni per la presentazione di memorie e di

eventuale impugnazione incidentale, da presentarsi ugualmente alla segreteria del giudice a quo-, infine, decorso un ulteriore

termine a disposizione delle parti per il ritiro di copia delle

deduzioni di controparte e per prendere visione del fascicolo, gli atti sono trasmessi alla Commissione centrale per la decisione.

In concreto, pertanto, tutta l'istruttoria dell'impugnazione av

viene a cura della segreteria del giudice che ha emesso decisione

impugnata, si che gli atti non pervengono alla Commissione centrale se non quando sono pronti per la decisione. Tutta l'impugnazio ne, quindi, con la successione cronologica dei vari termini a

disposizione della segreteria e delle parti, è collegata alla presen tazione del ricorso alla segreteria del giudice a quo, sì che nessuna rilevanza può avere la presentazione del ricorso medesi mo alla segreteria del giudice ad quem, che non è competente alla predisposizione dei vari adempimenti necessari per l'acquisi zione di tutti gli atti sui quali la Commissione centrale dovrà fondare la propria decisione.

Nel caso di specie, quindi, essendo il ricorso stato inviato direttamente alla Commissione centrale, la tempestività dell'impu

gnazione va accertata non già in funzione della data di ricezione del ricorso da parte della segreteria della Commissione centrale, bensì in funzione della data dell'unico termine previsto dal

legislatore per l'inizio delle operazioni preliminari alla decisione della Commissione centrale, ossia della data di ricezione del ricorso da parte della segreteria del giudice a quo-, di conseguen za, pur essendo il ricorso pervenuto entro il sessantesimo giorno dalla comunicazione del dispositivo alla segreteria della Commis sione centrale, essendo stato l'atto da questa trasmesso alla

segreteria della commissione di secondo grado per l'adempimento di quanto prescritto dai comma 4° ss. dell'art. 25 d.p.r. n. 636, la

tempestività del ricorso va accertata in funzione della data in cui esso pervenne al destinatario ex lege. Tale data fu successiva al sessantesimo giorno dalla comunicazione della decisione e di

conseguenza la Commissione centrale non doveva esaminare il ricorso nel merito, ma avrebbe dovuto dichiararlo inammissibile.

La decisione impugnata va pertanto cassata, il che comporta che il secondo motivo del ricorso dell'amministrazione non può essere esaminato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 25 novembre 1983, n. 7072; Pres. F. Greco, Est. Maltese, P. M. Corasaniti (conci, conf.); Calderisi (Avv. Chiola, De Mar tini) c. Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (Avv. dello Stato Az

zariti). Regolamento di giurisdizione.

Radiotelevisione — Commissione parlamentare di vigilanza —

Deliberazioni relative alla rubrica « tribuna politica » — Giurisdi zione del giudice amministrativo — Esclusione (Cost., art. 113; 1. 14 aprile 1975 n. 103, nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva, art. 1, 4).

È infondato (per difetto di giurisdizione del giudice ammini

strativo) il regolamento di giurisdizione proposto per ottenere la dichiarazione di competenza del T.A.R. Lazio a conoscere dei ricorsi presentati contro le deliberazioni adottate dalla commis sione per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiote levisivi e riguardanti la disciplina della rubrica « tribuna politi ca » (nella motivazione si sostiene che la natura parlamentare della commissione comporta l'insindacabilità in sede giurisdizio nale degli atti relativi alla ripartizione dei tempi di trasmissione tra i partecipanti alla rubrica televisiva). (1)

(1) Sulla controversia era già intervenuta la decisione di primo grado (T.A.R. Lazio, sez. I, 11 aprile 1979, n. 377, Foro it., 1979, III, 524), anch'essa negativa della giurisdizione del giudice amministrativo

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