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sezione I civile; sentenza 16 marzo 1995, n. 2725; Pres. Corda, Est. Bonomo, P.M. Delli Priscoli...

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sezione I civile; sentenza 16 marzo 1995, n. 2725; Pres. Corda, Est. Bonomo, P.M. Delli Priscoli (concl. diff.); Mucera (Avv. Pitucco) c. Calascibetta (Avv. Lo Cascio). Cassa App. Palermo 23 febbraio 1993 Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 4 (APRILE 1995), pp. 1147/1148-1149/1150 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188725 . Accessed: 28/06/2014 17:50 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.120 on Sat, 28 Jun 2014 17:50:54 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 16 marzo 1995, n. 2725; Pres. Corda, Est. Bonomo, P.M. Delli Priscoli(concl. diff.); Mucera (Avv. Pitucco) c. Calascibetta (Avv. Lo Cascio). Cassa App. Palermo 23febbraio 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 4 (APRILE 1995), pp. 1147/1148-1149/1150Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188725 .

Accessed: 28/06/2014 17:50

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1147 PARTE PRIMA 1148

in tema d'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comu

ne, ristretto com'è al controllo della motivazione fornita dal

giudice del merito, sotto il profilo del rispetto dei criteri legali

d'interpretazione e della sua congruità ed immunità da errori

giuridici e logici. Nel caso in esame, i ricorrenti si dolgono dell'inosservanza

del criterio letterale. Ma la critica è infondata, qualora si osser vi che il tribunale, nell'interpretare la clausola concernente gli «assorbimenti», ha appunto rilevato che essa non poteva rife

rirsi all'emolumento in questione, le cui modalità di calcolo non erano disciplinate dal contratto Federtrasporti, ed al quale per ciò la disciplina dell'assorbimento, in tutti i suoi aspetti, non

poteva riferirsi.

Del pari inconferente e il richiamo agli art. 2077 e 2078 c.c.,

riguardanti l'uno la prevalenza del contratto collettivo su quello individuale, l'altro gli usi normativi.

Per il resto, i ricorrenti si limitano a contrapporre all'inter

pretazione del tribunale la propria, contraria tesi interpretativa, in tal modo richiedendo a questa corte inammissibili apprezza menti di fatto. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 16 marzo

1995, n. 2725; Pres. Corda, Est. Bonomo, P.M. Delli Pri scoli (conci, diff.); Mucera (Aw. Prrucco) c. Calascibetta

(Aw. Lo Cascio). Cassa App. Palermo 23 febbraio 1993.

Matrimonio — Divorzio — Pregressa separazione giudiziale —

Domanda proposta prima del giudicato — Improponibilità (L. 1° dicembre 1970 n. 898, disciplina dei casi di scioglimen to del matrimonio, art. 3).

È improponibile la domanda di divorzio per pregressa separa zione giudiziale proposta prima del passaggio in giudicato della

sentenza di separazione, essendo irrilevante che il giudicato si formi nelle more del giudizio. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 25 gennaio 1989 e con altro ricorso del 5' maggio 1989, poi riunito al primo, Salvagore Calascibetta chiedeva che il Tribunale di Palermo pro nunziasse la cessazione degli effetti civili del matrimonio con cordatario contratto con Angela Mucera.

Il Tribunale di Palermo con sentenza 11 ottobre 1991 acco

glieva la domanda e determinava in lire 3.000.000 mensili l'as

segno di divorzio a favore della moglie. La Corte di appello di Palermo, con sentenza depositata il

23 febbraio 1993, rigettava l'appello principale della Mucera e

quello incidentale, osservando:

a) che, ai sensi dell'art. 3, n. 2, lett. b), cpv., 1. 1° dicembre 1970 n. 898, come sostituito dall'art. 5 1. 6 marzo 1987 n. 74, il decorso del termine di tre anni dalla data dell'avvenuta com

parizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella

procedura di separazione costituiva presupposto della domanda di divorzio, mentre il passaggio in giudicato della sentenza di

separazione costituiva condizione dell'azione, con la conseguen

(1) In senso conforme, Trib. Trani 22 giugno 1993, Foro it., 1994, I, 724, con nota di Cipriani, Vecchie e nuove vittime del formalismo processuale.

Per l'inammissibilità della domanda di divorzio basata sulla separa zione triennale decorrente dal provvedimento presidenziale ex art. 708 c.p.c., non seguita da sentenza passata in giudicato: App. Bari 13 no vembre 1993, ibid., 225, con nota di richiami, cui adde, Trib. Milano 16 dicembre 1992, id., Rep. 1993, voce Matrimonio, n. 152, con nota di Poi in Dir. famiglia, 1993, 677. In dottrina, v. anche Giusti, in Nuove leggi civ., 1987, 864.

Il Foro Italiano — 1995.

za che poteva sopravvenire, come nella specie era avvenuto, an

che nel corso del giudizio di divorzio; ti) che, in ordine all'allegato difetto di capacità d'intendere

e di volere del marito ed alla mancata ammissione di c.t.u.,

l'incapacità naturale di un soggetto che sia parte di un procedi mento civile non ha alcuna rilevanza ai fini processuali, poiché solo a seguito di sentenza d'interdizione, ovvero alla nomina, durante quel giudizio, di un tutore provvisorio, il soggetto può ritenersi posto in stato d'incapacità legale e perde la capacità

processuale, prima regolata dall'art. 75 c.p.c.;

e) che nella specie non era stato nemmeno allegato che fosse

stato promosso giudizio di interdizione o di inabilitazione nei confronti del Calascibetta;

d) che riguardo l'assegno di divorzio andava confermata la

decisione del tribunale che lo aveva determinato in lire 3.000.000, atteso che tale misura, pur se inferiore a quella dell'assegno di separazione, pari a lire 3.800.000 mensile, appariva equa, adeguata e sufficiente, alla stregua di tutti i criteri previsti dalla

legge, compresi quello risarcitorio e quello compensativo. Avverso la sentenza d'appello la Mucera ha proposto ricorso

per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrato con me

moria. Il Calascibetta ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione. — Va innanzitutto rilevato che il con

troricorso è inammissibile perché tardivo, essendo stato notifi cato il 9 giugno 1993 (mercoledì), quarantuno giorni dopo la

notifica del ricorso (avvenuta il 29 aprile 1993), e quindi oltre il termine previsto dall'art. 370 c.p.c.

Con il primo motivo di ricorso Angela Mucera lamenta viola zione e falsa applicazione degli art. 327 c.p.c., 3, n. 2, lett.

ti), 1.1° dicembre 1970 n. 898, 12 disp. prel. c.c., per avere la sentenza impugnata disatteso l'eccezione di inammissibilità della domanda sollevata sotto il profilo della mancata forma zione del giudicato sulla separazione giudiziale al momento del la proposizione della domanda di divorzio. Erroneamente, la corte di appello avrebbe considerato il passaggio in giudicato della sentenza di separazione una condizione dell'azione di di

vorzio, che può intervenire in corso del giudizio. Sia che si trat ti di una condizione di proponibilità dell'azione ovvero che si ravvisi un difetto di azione che rende improseguibile il procedi

mento, ne consegue comunque che la domanda di divorzio pri ma del formarsi della cosa giudicata sulla separazione è inam

missibile o improponibile. Il motivo appare fondato. Questa corte ha già ritenuto im

proponibile la domanda di divorzio che, basata sulla pronuncia di separazione giudiziale dei coniugi, sia proposta prima del pas saggio in giudicato della sentenza di separazione (sent. 20 no vembre 1987, n. 8552, Foro it., Rep. 1987, voce Matrimonio, n. 156; cfr. pure sent. 16 dicembre 1985, n. 6372, id., Rep. 1985, voce cit., n. 122), escludendo la possibilità di pronunciare il divorzio nel caso in cui il passaggio in giudicato della senten za di separazione si sia verificato (dopo la proposizione della

domanda) nel corso del giudizio. Tale interpretazione, condivisa da questo collegio, si basa sul

non equivoco tenore letterale dell'art. 3, n. 2, lett. b, 1. 1° di cembre 1970 n. 898 (secondo cui lo scioglimento o la cessazione

degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi ... nel caso in cui ... è stata pronunciata con sen tenza passata in giudicato la separazione giudiziale tra i coniu

gi) e sulla ratio della disposizione, che postula la sussistenza del requisito già all'atto della proposizione della domanda di divorzio come dato certo e definitivo e non invece (ancora) sub iudice.

La circostanza che nel comma successivo del citato art. 3 il

legislatore, riferendosi al termine di ininterrotta protrazione delle

separazioni a far tempo dalla comparizione dei coniugi dinanzi al presidente nella procedura di separazione, usi l'espressione «per la proposizione della domanda» non comporta che l'espres sione precedentemente usata (lo scioglimento . . . può essere do mandato . . .) debba essere interpretata nel senso che i requisiti richiesti ai fini della domanda di divorzio possano sussistere solo al momento della relativa pronuncia.

L'art. 3, n. 2, lett. ti), prevede, in alternativa all'ipotesi della

pronuncia con sentenza passata in giudicato della separazione giudiziale, quella della omologazione della separazione consen suale (oltre all'ipotesi, del tutto particolare e di carattere transi

torio, delle separazioni di fatto iniziate un certo tempo prima dell'entrata in vigore della 1. n. 898 del 1970).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Non c'è dubbio che l'omologazione della separazione consen

suale debba essere precedente alla proposizione della domanda

di divorzio, sicché non appare giustificabile differenziare il regi me da applicarsi all'ipotesi del passaggio in giudicato della se

parazione giudiziale, in assenza di una differenziata disciplina normativa rispetto all'ipotesi della separazione consensuale.

Inoltre, se si ritenesse che il requisito del passaggio in giudi cato della sentenza di separazione può validamente intervenire

nel corso del processo di divorzio, si dovrebbe conseguentemen te ammettere la possibilità di iniziare un procedimento di divor

zio prima ancora dell'intervento di una qualsiasi pronuncia di

separazione, e cioè anche prima della sentenza di primo grado nel procedimento di separazione (sempre ovviamente che siano

trascorsi i tre anni dalla comparizione dei coniugi dinanzi al

presidente), pur se il convenuto contesti la stessa sussistenza

delle condizioni della separazione e chieda il rigetto della relati

va domanda ed addirittura quando la domanda di separazione

fosse stata rigettata in primo grado con sentenza sottoposta ad

impugnazione.

Ora, non sembra che tali conseguenze siano compatibili con

il sistema delineato dal legislatore, che con riferimento alla se

parazione dei coniugi presuppone (al di fuori della particolare

ipotesi di separazione di fatto sopra ricordata) due condizioni

concorrenti per la proposizione della domanda di divorzio: a) che i coniugi abbiano già conseguito lo status di separati, il

che nell'ipotesi della separazione giudiziale si realizza con il pas

saggio in giudicato della parte della sentenza che contiene la

pronuncia della separazione; b) che la situazione materiale di

separazione abbia avuto almeno una certa durata.

Il primo motivo di ricorso deve pertanto essere accolto, men

tre gli ulteriori motivi (riguardanti l'accertamento dell'incapaci

tà naturale del Calascibetta, la mancata ammissione di una con

sulenza tecnica e l'assegno di divorzio) restano assorbiti.

La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo ac

colto, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di ap

pello di Palermo, la quale si adeguerà al principio di diritto

sopra enunciato e valuterà la sussistenza o meno del requisito

del passaggio in giudicato della decisione sul capo di domanda

relativo alla pronunzia della separazione al momento della pro

posizione di ciascuno dei due ricorsi menzionati in narrativa

(rispettivamente in data 25 gennaio 1989 e 5 maggio 1989), poi

riuniti, che hanno dato luogo al presente procedimento.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 23 feb

braio 1995, n. 2036; Pres. O. Fanelli, Est. Roselli, P.M.

Leo (conci, conf.); Bergamini (Aw. Franchi, Fisco Oldri

ni) c. Soc. Nuova Farben (Aw. Cosentino, Verga). Confer

ma Trib. Busto Arsizio 3 luglio 1992.

Lavoro (collocamento e mobilità della mano d'opera) — As

sunzioni obbligatorie — Inesistenza di posto compatibile sco

perto — Conseguenze (Cod. civ., art. 2103; 1. 2 aprile 1968

n. 482, disciplina generale delle assunzioni obbligatorie pres

so le pubbliche amministrazioni e le aziende private, art. 11;

1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e

dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sin

dacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 13).

Non ha diritto all'assunzione l'invalido professionalmente ini

doneo a svolgere le mansioni disponibili all'interno dell'azienda

presso cui è stato avviato ex lege 2 aprile 1968 n. 482, non

essendo consentita una redistribuzione dei compiti per la qua

le i lavoratori che ricoprono altre mansioni compatibili (nella

specie, un invalido civile ed una donna impiegata a tempo

parziale) siano destinati, per adibire ad esse l'invalido, allo

li Foro Italiano — 1995.

svolgimento di mansioni superiori che siano incapaci di

espletare. (1)

Motivi della decisione. — Col primo motivo il ricorrente la

menta la violazione della 1. 2 aprile 1968 n. 482 e dell'art. 13

1. 20 maggio 1970 n. 300, dettante il nuovo testo dell'art. 2103 c.c.

Egli sostiene che la citata legge del 1968 impone l'assunzione

degli invalidi, indicati nel titolo primo di essa, anche in sopran

numero nel singolo reparto produttivo, e che i posti di lavoro

meno gravoso indicati non tassativamente sul 2° comma del

l'art. 11 sono per la metà riservati ai detti invalidi. Ciò, secon

do il ricorrente, avrebbe dovuto indurre il tribunale a ritenere

possibile una redistribuzione di compiti nell'interno dell'azien

da e ad impiegare l'invalido avviato dall'ufficio provinciale del

lavoro in un'occupazione adatta al suo stato fisico ed alla pur

modesta qualificazione professionale, considerato che l'impresa

aveva richiesto l'avvio di nuove unità lavorative.

Né, sempre secondo il ricorrente, l'art. 2103 c.c. vieta la det

ta redistribuzione di compiti. L'imprenditore, dal canto suo,

non può essere obbligato a creare nuove mansioni, ma deve,

per quelle già esistenti, assumere invalidi anche in soprannumero.

Col secondo motivo il ricorrente denunzia numerose contrad

dizioni nella motivazione della sentenza impugnata, che avreb

be confuso il collocamento ordinario con quello obbligatorio e la riserva di posti, prevista dall'art. 12 1. n. 482 del 1968 per

gli enti pubblici, con l'aliquota complessiva, prevista dall'art.

11 per le aziende private ed avrebbe esagerato la differenza tra

posti di lavori «produttivi» ed i posti accessori di cui al capo

verso dello stesso art. 11.

I due motivi, da esaminare insieme per l'evidente connessio

ne, non sono fondati.

II tribunale ha esattamente applicato le norme vigenti in ma

teria di collocamento obbligatorio, contenute nella 1. n. 482 del

1968, ed ha dato chiaramente e coerentemente conto del pro

prio convincimento, si da doversi escludere la fondatezza delle

censure di motivazione contraddittoria.

Le disposizioni della legge ora citata, che qui interessano, so

no quelle dell'art. 11, il quale stabilisce: «I privati datori di lavoro, i quali abbiano complessivamente alle loro dipendenze

più di trentacinque lavoratori tra operai ed impiegati, ad esclu

sione degli apprendisti, sono tenuti ad assumere lavoratori ap

partenenti alle categorie indicate nel precedente titolo (invalidi

(1) Secondo l'indirizzo di legittimità di cui è espressione, da ultimo,

Cass. 13 maggio 1994, n. 4667, Foro it., Mass., 417, il datore di lavoro

non può opporre una generica incollocabilità all'invalido avviato d'ob

bligo, ed ha l'obbligo di assegnargli un posto compatibile con la natura

e il grado delle sue menomazioni, non potendo però essere costretto

a cambiare l'assetto produttivo e l'organizzazione aziendale con costi

aggiuntivi, né in particolare a creare un posto concentrando in una sola

unità mansioni non difficoltose già facenti parte, con altre più comples

se, dei compiti di altri lavoratori. La pronuncia in epigrafe sembrerebbe (ma il condizionale è d'obbli

go non essendo, la parte motiva, limpidissima in punto) collocarsi in

questo solco fino ad un certo punto, laddove lascerebbe aperta la que stione dell'obbligatorietà di diversa distribuzione del personale — entro

i limiti di cui all'art. 2103 c.c. — per consentire all'invalido di occupare il posto, già coperto da altri, a lui compatibile (espressamente, invece, la sentenza afferma che ciò costituisce una delle ragioni organizzative che legittimano il trasferimento di un lavoratore ad altra unità produtti

va). In proposito, di recente Pret. Milano 13 luglio 1993, Riv. critica

dir. lav., 1994, 117, ha statuito che il principio per cui la legge non

impone al datore di adeguare l'organizzazione del lavoro alle capacità

dell'invalido, vale per i soli adeguamenti strutturali, dovendo invece

il datore di lavoro provvedere a diversa distribuzione del personale,

appunto nei limiti previsti dall'art. 2103 c.c., ai fini di destinare l'inva

lido al posto compatibile. Cass. 14 dicembre 1993, n. 12339, Foro it., Rep. 1993, voce Lavoro

(collocamento), n. 37, e 10 marzo 1992, n. 2897, id., Rep. 1992, voce

cit., n. 58, richiamate in sentenza, dopo avere affermato che il datore

di lavoro non può opporre una generica incollocabilità, hanno aggiunto

che, pur senza essere costretto a cambiare l'assetto produttivo e l'orga

nizzazione aziendale, deve attribuire all'invalido le mansioni più idonee

e compatibili con il suo stato, ricercando eventualmente la sua colloca

zione in servizi accessori e collaterali, salva la prova dell'assoluta im

possibilità del collocamento non pregiudizievole per l'invalido, per i com

pagni di lavoro e per la sicurezza degli impianti, e ciò in relazione a

tutta l'area occupazionale dell'azienda e non soltanto riguardo a singo

li, determinati settori o reparti.

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