sezione I civile; sentenza 16 ottobre 2003, n. 15482; Pres. Genghini, Est. Di Amato, P.M. Sepe(concl. diff.); Soc. F.lli Damiano &C. (Avv. Cuffaro) c. Di Noto (Avv. Mazzarella). Cassa App.Messina 10 marzo 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 6 (GIUGNO 2004), pp. 1845/1846-1849/1850Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199245 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 16 otto bre 2003, n. 15482; Pres. Genghini, Est. Di Amato, P.M. Se
pe (conci, diff.); Soc. F.lli Damiano & C. (Avv. Cuffaro) c. Di Noto (Avv. Mazzarella). Cassa App. Messina 10 marzo 1999.
Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Recesso —
Abuso del diritto — Buona fede (Cod. civ., art. 1175, 1375).
La corrispondenza al canone di buona fede dell 'esercizio del
diritto di recesso previsto in un contratto deve essere valutata
nel contesto dei rapporti intercorrenti tra le parti, al fine di
accertare se il recesso sia stato esercitato secondo modalità e
tempi rispondenti ad un interesse del titolare meritevole di
tutela piuttosto che al solo scopo di recare danno all'altra
parte. (1)
(1) Con la decisione in epigrafe la Corte di cassazione riaccende il dibattito sulla figura dell'abuso del diritto, tematica che da molto tem
po attraversa, con fasi alterne, il palcoscenico giuridico italiano, tanto da assumere le sembianze dell'araba fenice (l'immagine è di G. Alpa, I
principi generali, Milano, 1993, 76; nell'ampia bibliografia in materia si segnalano, tra gli altri, G. Pino, L'abuso del diritto tra teoria e dog matica (precauzioni per l'uso), in corso di pubblicazione; M. Gestri, Abuso del diritto e frode alla legge nell'ordinamento comunitario, Milano, 2003; P. Rescigno, L'abuso del diritto, Bologna, 1998; D.
Messinetti, Abuso del diritto, voce dell' Enciclopedia del diritto, Mila
no, 1998, aggiornamento II, 1; U. Breccia, L'abuso del diritto, in Di ritto privato, Padova, 1997, III, 5; P.G. Monateri, Abuso del diritto e simmetria della proprietà (un saggio di «Comparative Law and Eco
nomics»), ibid., 89; R. Sacco, L'abuso della libertà contrattuale, ibid., 217; M. Gestri, Considerazioni sulla teoria dell'abuso del diritto alla luce della prassi internazionale, in Riv. dir. internaz., 1994, 5; G. Levi, L'abuso del diritto, Milano, 1993; M.C. Traverso, L'abuso del diritto, in Nuova giur. civ., 1992, II, 297; C. Salvi, Abuso del diritto (diritto civile), voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, I; A.
Gambaro, Abuso del diritto (diritto comparato e straniero), ibid.-, S.
Patti, Abuso del diritto, voce del Digesto civ., Torino, 1987, I, 1; V.
Giorgianni, L'abuso del diritto nella teoria della norma giuridica, Milano, 1963).
L'abuso del diritto viene individuato nel comportamento di un sog getto che esercita i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto
per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preor dinati: la figura concerne, cioè, le ipotesi nelle quali un comportamen to, che formalmente integra gli estremi dell'esercizio del diritto sog gettivo, deve ritenersi illecito sulla base di alcuni criteri di valutazione
(v., di recente, Cass. 15 marzo 2004, n. 5240, Foro it., 2004, I, 1397, con osservazioni di Colangelo, laddove l'abuso si presenta sotto la forma del ritardo sleale nell'esercizio del diritto).
Gran parte della discussione dottrinaria si è appuntata proprio su
quali criteri debbano guidare la valutazione della condotta: le perples sità da alcuni sollevate derivano, in particolare, dal legame funzionale
stabilito tra la nozione di abuso del diritto e gli standard valutativi tratti dall'etica sociale, che portano ad accostarlo a concetti come quello di buona fede — della quale, non a caso, qualcuno ha ritenuto rappresenti un «doppione» (Sacco, op. cit., 234; cfr. G. Cattaneo, Buona fede obiettiva ed abuso del diritto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1971, 613) — e ad intravedervi niente di più che «un mezzo sicuro ed originale per ottenere un criterio di giudizio più appagante, per la nostra coscienza, di quanto non sia il criterio della legittimità formale degli atti umani»
(Rescigno, op. cit., 11). Più in generale, alle adesioni convinte si con
trappongono le critiche più aspre di chi, segnalando l'impossibilità lo
gica di concepire l'abuso del diritto, si è spinto sino a sostenere che «è un fenomeno sociale, ... è uno stato d'animo, è una valutazione etica
di un periodo di transizione, è quel che si vuole, ma non una categoria giuridica» (G. Rotondi, L'abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1923,
116). Non è mancato, tuttavia, chi abbia evidenziato la rilevanza dell'i
stituto quale strumento che va incontro alla necessità di entrare nel cuo re del programma negoziale, andando oltre la mera formalizzazione
dell'accordo (Messinetti, op. cit., 13: «l'esercizio del potere negoziale deve essere ricondotto dalla prospettiva di un'analisi del contenuto del
programma e degli aspetti interni della contrattazione alla spiegazione di relazioni oggettive che si formano come conseguenza degli sviluppi dell'iniziativa economica»), e che rappresenta l'occasione per mettere
in risalto le anomalie nei rapporti di distribuzione e «richiedere l'an
nullamento di un atto posto in essere a seguito di un comportamento minatorio o prevaricatorio del contraente che pur facendo valere una
sua facoltà legittima (ad esempio l'impiego della sua pressione econo
mica o la minaccia di recesso dal contratto), miri a realizzare in tal
modo un vantaggio ingiusto» (G. Vettori, Anomalie e tutele nei rap
porti di distribuzione fra imprese. Diritto dei contratti e regole di con
correnza, Milano, 1983, 147). In piena sintonia con questa nota prevalente, la decisione in epigrafe
Il Foro Italiano — 2004.
Svolgimento del processo. — La F.Ili Damiano & C. s.r.l.
conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Patti, Prospero Di Noto esponendo che con atto del 9 settembre 1988, aveva co
stituito insieme al convenuto la Derizuccheri s.r.l., avente ad
oggetto il commercio all'ingrosso di zucchero, attività che sino
a quel momento le parti avevano esercitato in concorrenza tra
loro; che con un successivo contratto del 16 gennaio 1989 la
F.lli Damiano & C. s.r.l. e Prospero Di Noto si erano obbligati a
fornire annualmente alla Derizuccheri s.r.l. prestabiliti quantita tivi di zucchero; che detto contratto aveva la durata di un anno, rinnovabile di anno in anno, in mancanza di disdetta sei mesi
prima della scadenza; che il 13 luglio 1989, prima dell'inizio dell'esecuzione della fornitura, il convenuto recedeva dal con
tratto di fornitura a partire dal 1° gennaio 1990; che in tale pe riodo il Di Noto ritardava l'acquisizione di un computer neces
sario per l'entrata in funzione della Derizuccheri s.r.l.; che le
bozze di stampa relative a modelli di fatture ed altri stampati, necessari per l'entrata in funzione della Derizuccheri, venivano
restituiti con ritardo dal Di Noto e solo dopo un sollecito del
l'attrice; che dopo la costituzione della Derizuccheri il Di Noto
non aveva rispettato prezzi e condizioni di vendita concordati
con la F.lli Damiano & C. s.r.l., rovesciando a proprio favore il
rapporto di vendite fino a quel momento esistente tra le imprese. Pertanto, la F.lli Damiano & C. s.r.l. chiedeva la condanna del
Di Noto al risarcimento dei danni conseguiti alla concorrenza
condotta in violazione degli impegni contrattualmente assunti
nonché alla violazione dell'obbligo di buona fede nell'esecu
zione del contratto, che aveva portato all'impossibilità di fun
zionamento della Derizuccheri s.r.l.
Successivamente il Di Noto conveniva in giudizio la F.lli
Damiano & C. s.r.l. e la Derizuccheri s.r.l., chiedendo, in rela
indaga sulla presunta violazione dell'obbligo di buona fede conse
guente alla disdetta di un contratto di fornitura. Non che siano mancate
occasioni, anche recenti, nelle quali la Cassazione abbia fatto ricorso all'abuso del diritto per dirimere alcune controversie (cfr. Cass. 11 di cembre 2000, n. 15592, Foro it., 2001,1, 3274; 14 luglio 2000, n. 9321, id., 2000, I, 3495; 14 novembre 1997, n. 11271, id., Rep. 1998, voce
Obbligazioni in genere, n. 30, e Corriere giur., 1998, 540, con nota di O. Fittipaldi; 23 luglio 1997, n. 6900, Foro it., 1998,1, 1582; 21 mag gio 1997, n. 4538, id., 1997, I, 2479, con nota di M. Caputi; laddove, invece, l'originario riconoscimento è da rintracciarsi in Cass. 15 no vembre 1960, n. 3040, id., 1961, I, 256); eppure la sentenza in rasse
gna, più di ogni altra, sembra fornire una teorizzazione esplicita degli ambiti applicativi dell'istituto.
Due imprese che si occupano del commercio all'ingrosso di zucchero decidono di costituire una società comune, alla quale fornire annual
mente un quantitativo prestabilito di zucchero: il contrarto ha durata
annuale, rinnovabile in mancanza di disdetta sei mesi prima della sca
denza. Il convenuto, esattamente sei mesi dopo la stipula del contratto e
prima di procedere alla fornitura, comunica di recedere avvalendosi della clausola pattuita e, nei restanti sei mesi di vigenza del contratto,
pone in essere tutta una serie di condotte contrarie agli interessi della
neonata società: la parte ricorrente chiede il risarcimento del danno de nunciando la violazione dell'obbligo di buona fede nell'esecuzione del contratto.
I giudici supremi annullano la sentenza con la quale la Corte d'ap pello di Messina aveva ritenuto insussistente la violazione dell'obbligo di buona fede, sul presupposto che la disdetta fosse stata esercitata le
gittimamente in virtù dell'apposita clausola prevista nel contratto: «tale
conclusione .. . sottintende l'erroneo convincimento secondo cui l'esercizio del diritto non possa mai essere contrario a buona fede e non
possa mai dare luogo a responsabilità di chi abusa del proprio diritto», essendo da affermarsi, invece, il principio secondo il quale «la corri
spondenza a buona fede dell'esercizio del diritto di recesso, contrat
tualmente previsto, nella specie per il contratto di fornitura, deve essere
valutata nel complessivo contesto dei rapporti intercorrenti tra le parti, onde accertare se il recesso sia stato esercitato o meno secondo moda
lità e tempi che non rispondono ad un interesse del titolare del diritto
meritevole di tutela, ma soltanto allo scopo di recare danno all'altra
parte, incidendo sulla condotta sostanziale che le parti sono obbligate a
tenere per preservare il reciproco interesse all'esatto adempimento delle rispettive prestazioni».
Per queste ragioni la sentenza impugnata viene cassata e disposto il
rinvio alla Corte d'appello di Catania affinché valuti la legittimità del
recesso alla luce del suddetto principio, in modo da accertare se la di
sdetta sia stata esercitata allo scopo di sciogliersi dal vincolo contrat
tuale o, viceversa, se essa si inserisca in una strategia tesa ad impedire la realizzazione degli interessi delle parti come consacrati nell'accordo
contrattuale. [G. Colangelo]
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PARTE PRIMA 1848
zione all'impossibilità di raggiungere lo scopo sociale, lo scio
glimento della società Derizuccheri e la dichiarazione di nullità
della delibera assunta da tale società in data 28 giugno 1991.
I giudizi venivano riuniti ed il Tribunale di Patti, con senten
za del 22 gennaio 1998, rigettava le domande proposte dalla
F.lli Damiano & C. s.r.l. e dichiarava cessata la materia del
contendere in ordine alla domanda del Di Noto, in considera
zione del fatto che in data 3 maggio 1995 era intervenuto lo
scioglimento della Derizuccheri.
La F.lli Damiano proponeva appello che la corte di Messina
rigettava, osservando, quanto alla domanda di risarcimento del
danno conseguito all'impossibilità di funzionamento della De
rizuccheri, asseritamente provocata dal Di Noto con violazione
dell'obbligo di buona fede, che: 1) la disdetta del contratto di
fornitura ora prevista da apposita clausola, indipendentemente dalla cessazione dell'attività dei contraenti ad anche in relazione
alla prima scadenza contrattuale; pertanto la disdetta era stata
esercitata legittimamente; 2) i pretesi ingiustificati ritardi del Di
Noto in attività necessarie al funzionamento della Derizuccheri
potevano, in ipotesi, avere determinato il ritardo nell'inizio del
l'attività, ma non l'anticipata cessazione della società.
Avverso detta sentenza la F.lli Damiano & C. s.r.l. propone ricorso per cassazione, deducendo un motivo. Prospero Di Noto
resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condi
zionato, affidato ad un motivo. Entrambe la parti hanno presen tato memoria.
Motivi della decisione. — Si deve preliminarmente esaminare
l'eccezione d'inammissibilità del ricorso per inesistenza della
notificazione, argomentata dal controricorrente col rilievo che la
stessa era stata effettuata il 12 aprile 2000, presso l'avvocato
domiciliatario che aveva assistito il Di Noto nella precedente fa
se di giudizio, ma che si era cancellato dall'albo professionale nel gennaio 2000, come risultava da certificazione prodotta ai
sensi dell'art. 372 c.p.c. L'eccezione è infondata. Il collegio non ignora che questa
corte a sezioni unite (Cass., sez. un., 21 novembre 1996, n.
10284, Foro it., Rep. 1996, voce Impugnazioni civili, n. 24;
conf. Cass. 26 novembre 1998, n. 12002, id., Rep. 1998, voce
Procedimento civile, n. 159; contra, Cass. 11 ottobre 1999, n.
11360, id., Rep. 1999, voce Notificazione civile, n. 97) ha af fermato l'inesistenza della notificazione effettuata al procurato re domiciliatario cancellato dall'albo. Secondo tale arresto la
cancellazione dall'albo determina la decadenza dall'ufficio di
procuratore e di avvocato e, facendo venir meno lo ius postu landi, implica la mancanza di legittimazione di quel difensore a
compiere e a ricevere atti processuali. Proprio per tale ragione la
notificazione al procuratore cancellato dall'albo — qualunque
sia la causa della cancellazione — è stata ritenuta giuridica mente inesistente. Tale affermazione, tuttavia, s'inserisce come
premessa argomentativa nel contesto della motivazione di una
sentenza, che, in una fattispecie in cui il procuratore della parte si era appunto cancellato dall'albo, doveva pronunziarsi sulla
ritualità, ai fini della decorrenza del termine breve ex art. 325
c.p.c., della notificazione effettuata alla parte personalmente. Nella stessa sentenza, d'altro canto, si precisa che, in relazione
alla cancellazione dall'albo del procuratore domiciliatario, pos sono prospettarsi situazioni diverse «a seconda che la notifica
zione sia stata ricevuta dal procuratore cancellato, ovvero sia
stata da questi rifiutata per questa ragione, o, ancora, vi sia stata
la comunicazione da parte dell'ufficiale giudiziario dell'impos sibilità di notificare — a seguito della cancellazione anagrafica — ovvero, infine, la parte notificante — a conoscenza dell'e
vento, direttamente o per effetto di una notifica precedente mente non andata a buon fine — abbia direttamente provveduto a notificare alla parte personalmente». Più in generale, si deve,
poi, osservare che la categoria dell'inesistenza della notificazio
ne è stata elaborata dalla giurisprudenza in relazione a fattispe cie nelle quali la difformità dal modulo legale è tale che il fe
nomeno verificatosi, chiaramente abnorme, non è idoneo ad in
serirsi nello sviluppo del processo. Per questa ragione viene
qualificata come inesistente la notificazione viziata dall'assenza
di un qualsiasi rapporto tra il destinatario ed il luogo dove è
stata consegnata la copia o la persona che l'ha ricevuta (v., ex
multis, Cass. 22 ottobre 1997, n. 10380, id., Rep. 1997, voce
cit., n. 56). L'inesistenza, peraltro, richiede la verifica in con
creto del presupposto dell'assenza di un qualsiasi rapporto. In
questa prospettiva, se l'assenza di un qualsiasi rapporto ben si
Il Foro Italiano — 2004.
può affermare nel caso in cui il procuratore cancellatosi dall'al
bo rifiuti di ricevere la copia, non altrettanto può dirsi nel caso
in cui lo stesso procuratore accetti di ricevere l'atto; in siffatta
ipotesi e malgrado la perdita dello ius postulandi, assume rilievo
la circostanza che, anche dopo l'estinzione del mandato, grava sul mandatario un dovere di diligenza in relazione a fatti colle
gabili a quelli verificatisi nell'epoca di operatività del mandato
(Cass. 12 giugno 1987, n. 5141, id., Rep. 1987, voce Comunio
ne e condominio, n. 128, in relazione agli obblighi di notizia del
mandatario dopo l'estinzione del mandato). Si deve, quindi, concludere che la notificazione al procuratore che, benché can
cellato dall'albo, adempia il dovere di darne comunicazione alla
parte, non sia effettuata a soggetto privo di qualsiasi rapporto con il destinatario; la notificazione non è, pertanto, inesistente,
ma soltanto nulla e perciò suscettibile di sanatoria nel caso in
cui l'atto, come nella specie, raggiunga comunque il suo effetto.
Con l'unico motivo dedotto la ricorrente lamenta la violazio
ne degli art. 1175 e 1375 c.c. e 112 c.p.c. nonché il vizio di mo
tivazione. In particolare, la ricorrente ricorda che aveva richie
sto il risarcimento dei danni in relazione al comportamento del
Di Noto, che, nell'ambito di un'unitaria operazione economica
articolata nella creazione di una nuova società ed in un accordo
di fornitura con la neocostituita società, aveva prima ostacolato
il funzionamento della Derizuccheri, omettendo la dovuta colla
borazione, ad aveva poi comunicato la disdetta del contratto di
fornitura. Tale comportamento era stato denunziato come con
trario al principio di buona fede che sovrintende lo svolgimento del contratto ed a tal fine, in sede di gravame, erano stati arti
colati due motivi con i quali si lamentava la mancanza di moti
vazione (secondo motivo) e l'omessa considerazione, alla stre
gua del principio di buona fede, del comportamento con cui il
Di Noto aveva determinato la cessazione dell'attività della De
rizuccheri (nono motivo). Orbene, secondo il ricorrente, la corte
d'appello non solo aveva omesso l'esame del secondo dei ri
chiamati motivi, ma, frantumando in segmenti la valutazione
della vicenda, aveva omesso di considerare che anche l'eserci
zio del diritto non si sottrae alla valutazione del parametro della
buona fede e che, nella specie, il recesso, pur contrattualmente
previsto, era stato esercitato in un contesto fattuale e pattizio che lo qualificava come abuso del diritto.
Il controricorrente eccepisce l'inammissibilità della censura
perché prospetterebbe per la prima volta in sede di legittimità la
qualificabilità del comportamento del Di Noto in termini di abu
so del diritto. L'eccezione è però infondata. L'odierna ricor
rente, infatti, aveva dedotto tutta la condotta del Di Noto, com
preso il recesso, come contraria al principio di buona fede. Ri
spetto a tale deduzione, l'opposta eccezione, secondo cui il re
cesso costituiva l'esercizio di un diritto contrattualmente previ sto e non era, quindi, contrario a buona fede, aveva già ampliato il thema decidendum, nei cui termini si è mantenuta la ricorren
te, deducendo in questa sede che la contrarietà a buona fede non
si può escludere col semplice rilievo che il comportamento de
nunziato corrisponde all'esercizio di un diritto.
Ciò premesso, il motivo è infondato nella parte in cui deduce
un vizio di omessa pronunzia. Per integrare gli estremi del detto
vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedi mento indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass. 4
giugno 1992, n. 6876, id., Rep. 1992, voce Revocazione (giudi zio di), n. 16). Ai fini di un corretto scrutinio della sussistenza o
meno del vizio di omessa pronuncia, infatti, non si può confon
dere il concetto di «capo» della domanda riproposto all'esame
del giudice dell'impugnazione, con il concetto di argomentazio
ne, ragione o motivo esposto per ottenere un provvedimento
giurisdizionale sul capo della domanda ancora controverso. In
coerenza con tale distinzione il vizio di «omessa pronuncia» si
concreta necessariamente nel difetto del «momento decisorio, mentre la mancanza o l'insufficienza di motivazione integra un
vizio di natura diversa afferente all'attività svolta dal giudice
per supportare l'adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio. Nella specie, pertanto, non integra il vizio di omessa pronunzia la mancata analitica
confutazione dell'argomentazione svolta in uno dei motivi di
appello. La corte d'appello, infatti, si è pronunziata sul capo di
domanda che con il gravame era stato proposto alla sua atten
zione, affermando che la disdetta del contratto di fornitura non
poteva considerarsi espressione di un comportamento del Di
Noto contrario a buona fede, in quanto la disdetta era stata «ef
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
fettuata legittimamente e tempestivamente ai sensi del punto 8
del contratto di fornitura in parola». Il motivo è, invece, fondato nella parte in cui lamenta la vio
lazione di legge, deducendo che la contrarietà a buona fede è
stata esclusa sulla base del solo rilievo che, con la disdetta, il Di
Noto aveva esercitato un diritto contrattualmente previsto. Tale
conclusione, infatti, sottintende l'erroneo convincimento secon
do cui l'esercizio del diritto non possa mai essere contrario a
buona fede e non possa mai dare luogo a responsabilità di chi
abusa del proprio diritto. La corte di merito esclude così impli citamente la stessa ammissibilità della figura dell'abuso del di
ritto, sulla quale, viceversa concorda l'orientamento largamente
prevalente in dottrina, secondo cui nel nostro sistema legislativo è implicita una norma che reprime ogni forma di abuso del di
ritto, sia questo il diritto di proprietà o altro diritto soggettivo, reale o di credito. L'abuso del diritto consiste, secondo questa autorevole dottrina, nell'esercitare il diritto per realizzare inte
ressi diversi da quelli per i quali esso è riconosciuto dall'ordi
namento giuridico. Questa stessa nozione dell'abuso del diritto
ha trovato eco anche nella giurisprudenza di questa corte, che
ammette come «in singoli casi ed in riferimento ai fondamentali
precetti della buona fede (come regola di condotta) e della ri
spondenza dell'esercizio del diritto agli scopi etici e sociali per cui il diritto stesso viene riconosciuto e concesso dall'ordina
mento giuridico positivo, l'uso anormale del diritto possa con
durre il comportamento del singolo (nel caso concreto) fuori
della sfera del diritto soggettivo medesimo e che quindi tale
comportamento possa costituire un illecito, secondo le norme
generali di diritto in materia» (Cass. 15 novembre 1960, n.
3040, id., 1961, I, 256). Quanto, più specificamente, alla buona fede nell'esecuzione del contratto è pacifico, in dottrina e in
giurisprudenza, che l'obbligo, posto dall'art. 1375 c.c., di ese
guire il contratto secondo buona fede concorre a formare il
contenuto legale del contratto, ai sensi dell'art. 1374; sicché la
violazione del dovere di esecuzione secondo buona fede costi
tuisce un inadempimento contrattuale. Specifica ipotesi di vio
lazione dell'obbligo di buona fede nell'esecuzione del contratto
viene considerata proprio l'abuso del diritto, individuato nel
comportamento del contraente che esercita verso l'altro i diritti
che gli derivano dalla legge o dal contratto per realizzare uno
scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati. In
tema di recesso, in particolare, con riferimento alla c.d. interru
zione brutale del credito, questa corte ha avuto modo di affer
mare che il giudice non deve limitarsi al riscontro obiettivo
della sussistenza o meno dell'ipotesi di giusta causa di recesso
prevista in un contratto di apertura di credito per un tempo de
terminato, ma, alla stregua del principio per cui il contratto deve
essere eseguito secondo buona fede, dove accertare che il reces
so non sia esercitato con modalità impreviste ed arbitrarie, tali
da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai
rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all'assoluta normalità
commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter di
sporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non
può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restitu
zione delle somme utilizzate (Cass. 21 maggio 1997, n. 4538, id., 1997, I, 2479; 14 luglio 2000, n. 9321, id., 2000, I, 3495; 21
febbraio 2003, n. 2642, id., Mass., 237). Più in generale, poi,
questa corte ha ritenuto che la clausola generale di buona fede e
correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti del de
bitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbliga torio (art. 1175 c.c.), quanto sul piano del complessivo assetto
di interessi sottostanti all'esecuzione di un contratto (art. 1375
c.c.), specificandosi nel dovere di ciascun contraente di coope rare alla realizzazione dell'interesse della controparte e ponen dosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozial mente attribuita, determinando così integrativamente il conte
nuto e gli effetti del contratto (Cass. 8 febbraio 1999, n. 1078,
id., Rep. 1999, voce Contratto in genere, n. 456). In conclusione, si deve affermare il principio che, in relazione
ad una pluralità di rapporti contrattuali tra loro collegati per la
realizzazione di un'unica operazione economica, nella specie la
regolamentazione della concorrenza attraverso la creazione di
una nuova società e la previsione, a carico delle parti, dell'ob
bligo di rifornire la predetta società in misura predeterminata, la
corrispondenza a buona fede dell'esercizio del diritto di recesso,
contrattualmente previsto, nella specie per il contratto di forni
tura, deve essere valutata nel complessivo contesto dei rapporti
Il Foro Italiano — 2004 — Parte I-32.
intercorrenti tra le parti, onde accertare se il recesso sia stato
esercitato o meno secondo modalità e tempi che non rispondono ad un interesse del titolare del diritto meritevole di tutela, ma
soltanto allo scopo di recare danno all'altra parte, incidendo
sulla condotta sostanziale che le parti sono obbligate a tenere
per preservare il reciproco interesse all'esatto adempimento delle rispettive prestazioni. La sentenza impugnata deve essere,
pertanto, cassata con rinvio al giudice di merito che, applicando il suesposto principio di diritto, dovrà valutare la legittimità del
recesso del Di Noto, alla stregua del principio di buona fede, nel
contesto del complesso dei rapporti intercorsi tra la parti ed ac
certare se il recesso stesso sia stato esercitato allo scopo di scio
gliersi dal vincolo contrattuale di rifornire la nuova società ov
vero ad un diverso scopo nel contesto di una condotta comples siva diretta ad impedire la realizzazione dei reciproci interessi
delle parti come consacrati negli accordi contrattuali.
Con l'unico motivo del ricorso incidentale subordinato si ri
propone l'eccezione, formulata in primo grado e riproposta in
appello ai sensi dell'art. 346 c.p.c., di nullità sopravvenuta, ai
sensi della 1. n. 287 del 1990, sia dell'accordo di fornitura del
16 gennaio 1989 sia del patto di società del 9 settembre 1988.
Il ricorso è infondato. La nullità delle intese fra imprese che
abbiano per effetto quello di impedire, restringere o falsare in
modo consistente il gioco della concorrenza all'interno del mer
cato nazionale o in una sua parte rilevante è prevista dall'art. 2
1. 10 ottobre 1990 n. 287 allo scopo di proibire fatti distorsivi della concorrenza ed opera anche quando dette parti abbiano
un'origine contrattuale anteriore all'entrata in vigore della leg
ge; in questo caso, tuttavia, gli effetti non riguardano né il fatto
generatore del singolo rapporto né i fatti già verificatisi, ma
soltanto le vicende successive del rapporto che realizzino profili di distorsione della concorrenza (Cass. 1° febbraio 1999, n. 827,
id., 1999, I, 831). Nella specie le condotte del Di Noto, sulle
quali la ricorrente principale fonda la propria domanda di risar
cimento dei danni, hanno termine con il recesso per la scadenza
contrattuale dal 1° gennaio 1990 e, pertanto, in epoca anteriore
all'entrata in vigore della 1. 287/90. Da ciò consegue che gli ef
fetti della predetta legge sui rapporti in corso alla data della sua
entrata in vigore non riguardano la fattispecie in esame.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata, in
relazione al ricorso accolto, con rinvio alla Corte d'appello di
Catania.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 3 set
tembre 2003, n. 12844; Pres. Ciciretti, Est. Mercurio, P.M.
Fuzio (conci, conf.); De Lisi (Avv. D'Amato) c. Banca di Roma (Avv. Conti). Conferma Trib. Roma 28 maggio 2001.
Procedimento civile — Transazione — Cessazione della ma
teria del contendere — Presupposti — Fattispecie (Cod.
proc. civ., art. 100).
La transazione con la quale le parti compongono la lite relati
vamente ad una domanda di reintegrazione nel posto di lavo
ro concordando la definitiva risoluzione del rapporto, senza
nulla decidere in ordine alla domanda di risarcimento dei
danni proposta in connessione con l'impugnazione del licen
ziamento, non determina la cessazione della materia del con
tendere del relativo giudizio, persistendo l'interesse delle
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