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sezione I civile; sentenza 17 dicembre 1994, n. 10857; Pres. Salafia, Est. Berruti, P.M. Tondi(concl. conf.); Piram (Avv. Carosini, Ciccotti) c. Min. finanze. Cassa App. Firenze 26 ottobre1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 3 (MARZO 1995), pp. 807/808-809/810Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23189101 .
Accessed: 28/06/2014 08:23
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PARTE PRIMA
Il ricorrente sostiene che la formalità della presentazione del
ricorso alla segreteria del giudice a quo non è sanzionata a pena d'inammissibilità.
L'art. 25 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 al suo 1° comma sta
bilisce che il ricorso alla Commissione centrale può essere pro
posto nel termine di giorni sessanta a decorrere, rispettivamen
te, dalla notificazione o dalla comunicazione del dispositivo della
decisione impugnata. Le modalità di presentazione del ricorso sono indicate dal
3° comma del citato articolo secondo cui il ricorso stesso, con
allegata una copia in carta semplice, è presentato alla segreteria della commissione che ha emesso la decisione impugnata.
Questa formalità mira a rendere più agevoli gli adempimenti amministrativi connessi; in quanto la segreteria della commis
sione notifica la copia del ricorso all'altra parte, che, nel termi
ne di sessanta giorni da tale notificazione, può presentare le
proprie deduzioni, di cui allega una copia in carta semplice. Le deduzioni non sono inserite nel fascicolo finché non sia stata
presentata la copia. Nello stesso termine può essere proposto ricorso incidentale. La segreteria della commissione di secondo
grado forma cosi il fascicolo che trasmette alla Commissione
tributaria centrale per la decisione.
La giurisprudenza di questa corte ha affermato di considera
re tutte le modalità di presentazione del ricorso come elemento
essenziale per la tempestiva presentazione del ricorso stesso. Ed
ancora di recente questa prima sezione ha deciso che l'art. 25
al suo 3° comma ammette solo che il ricorso sia presentato alla
segreteria della commissione di secondo grado. Ma ha soggiun to che il contribuente che presenti il proprio ricorso alla Com
missione tributaria centrale o all'ufficio tributario si espone al
rischio che il suo ricorso sia valutato tardivo ove pervenga in
ritardo alla segreteria della commissione di secondo grado (sen tenza n. 5369 del 6 maggio 1992, Foro it., Rep. 1992, voce
Tributi in genere, n. 1225). Dal che si deduce che l'errore del
contribuente può essere sanato da una successiva attività del
l'ufficio. Una ulteriore apertura verso le esigenze del contribuente si
può scorgere nella sentenza n. 6046 del 29 maggio 1993 (id.,
1994, I, 8221 secondo cui, ove il contribuente, per uno scusabi
le evidente errore, spedisca direttamente alla commissione tri
butaria di secondo grado l'atto di appello, la segreteria di tale
commissione deve provvedere a trasmettere la impugnazione al
la commissione di primo grado, ed ove tale secondo invio av
venga prima che siano scaduti i termini per presentare la impu
gnazione, essa deve esser qualificata come tempestiva. E questa decisione ammette che un ricorso non pervenuto tempestivamente alla segreteria della commissione indicata dalla legge, sia tutta
via ammissibile.
Su questa linea interpretativa intende collocarsi il collegio. La interpretazione delle norme deve infatti avvenire sulla scorta
dei valori di sostanza che le norme tutelano; e non vi è dubbio
che le prescrizioni circa i termini delle impugnazioni perseguono rilevanti interessi di certezza dei rapporti giuridici; questi inte
ressi sono però salvaguardati con la presentazione in termini
del ricorso avanti alla segreteria di un giudice tributario, atte
nendo le ulteriori vicende solo alla sollecita comunicazione fra
uffici. E appare fonte di ingiustificata disparità fra i cittadini il fatto che la mancata presentazione all'ufficio indicato dalla
legge sia o meno sanata a seconda della maggiore o minore
diligenza del funzionario della segreteria. D'altronde, è pacifico che ove il ricorso sia presentato a una
commissione non competente per territorio si procede alla tran
slatio iudicii (sentenza n. 210 del 16 gennaio 1986 delle sezioni unite della Cassazione, id., 1986, I, 1342) e il ricorso irritual
mente presentato impedisce la decadenza dalla impugnazione,
persino se il ricorso venga trasmesso al giudice competente in
via amministrativa dalla segreteria del giudice non competente, senza che quest'ultimo abbia ritualmente declinato la propria
competenza (Cass. 14 marzo 1992, n. 3139, id., Rep. 1992, vo
ce cit., n. 1048). Gli altri motivi di ricorso sono assorbiti.
Il Foro Italiano — 1995.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 17 dicem
bre 1994, n. 10857; Pres. Salafia, Est. Berruti, P.M. Tondi
(conci, conf.); Piram (Aw. Carosini, Ciccotti) c. Min. fi
nanze. Cassa App. Firenze 26 ottobre 1989.
Registro (imposta di) — Beni in comunione — Stralcio di quota — Base imponibile (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 634, disciplina
dell'imposta di registro, art. 19; tariffa ali. A, art. 3).
In caso di divisione di una comunione ordinaria che tolga da
un tale stato una parte soltanto dei beni costituenti la origina ria massa, lasciandone altri, in quota, ai superstiti comunisti,
l'imposta di registro deve essere applicata sul valore della quota stralciata anziché sull'intera massa. (1)
Svolgimento del processo. — Piero Piram, Gilberto Pagani, Remo Parrucci, e Virgilio Parrucci, comproprietari per due quinti Remo Parrucci, e per un quinto ciascuno gli altri, di alcuni
fabbricati in Livorno, concludevano un contratto di divisione
di detti beni. Stabilivano che al Piram ed al Pagani fossero as
segnati un immobile ciascuno del valore di lire 10.000.000, a
soddisfacimento delle loro quote, e che gli altri due restassero
in comunione tra loro sul residuo, per quote indivise, dunque di due terzi Remo Parrucci e di un terzo Virgilio Parrucci.
L'ufficio del registro di Livorno accertava in lire 60.350.000
il valore della intera massa al momento della divisione, fermo
restando il valore dichiarato quanto ai singoli immobili asse
gnati. Quindi, divenuto definitivo l'accertamento, l'ufficio li
quidava la maggiore imposta di registro ed accessori, in lire
592.230. La commissione di primo grado accoglieva il ricorso di Piero
Piram e di Gilberto Pagani, i quali si dolevano del fatto che
l'ufficio aveva liquidato l'imposta sulla intera massa in comu
nione al netto dei conguagli, mentre, trattandosi di divisione
parziale avrebbe dovuto liquidare l'imposta sulle sole quote stral
ciate e quindi su di un importo complessivo di lire 20.000.000.
La commissione di secondo grado accoglieva l'appello del
l'ufficio. Pertanto, i contribuenti si rivolgevano alla Corte d'ap
pello di Firenze chiedendo che l'atto fosse tassato con riferi
mento alle sole quote stralciate.
La corte d'appello respingeva la impugnazione. Riteneva in
fatti che l'atto in questione dovesse essere considerato quale divisione totale, ancorché taluni dei comunisti fossero rimasti
tali, e che pertanto esso dovesse essere tassato sul valore dell'in
tera massa originariamente in comunione. Peraltro, secondo la
sentenza impugnata, l'atto di divisione stesso deve essere letto
insieme all'accertamento. E poiché da quest'ultimo risulta un
valore della massa superiore a quello presupposto dai condivi
denti, ed immutato, inece, quello dei beni assegnati, cosicché
rispetto ad una quota di diritto di lire 12.070.000 il valore dei
singoli beni assegnati era rimasto di lire 10.000.000, il negozio,
(1) Non si rinvengono, nella giurisprudenza della Suprema corte, pre cedenti in tali esatti termini.
In giurisprudenza, v. Comm. trib. centrale 20 febbraio 1987, n. 1540, Foro it., Rep. 1987, voce Registro (imposta di), n. 183, che esclude che possa essere tassata alla stregua di una permuta l'operazione divi sionale in cui un terreno in comproprietà fra tre persone in quote eguali venga diviso in tre lotti, dei quali uno resti in comunione pro indiviso in quote eguali tra gli originari proprietari, uno venga assegnato ad uno dei comunisti ed uno venga assegnato in comunione pro indiviso
agli altri due comunisti; per Comm. trib. II grado Piacenza 26 novem bre 1984, id., Rep. 1986, voce cit., n. 139, l'imposta di registro va
applicata sull'intera massa qualora si sia disposta l'uscita dalla comu nione del maggior numero dei condividendi originari e del maggior va lore della massa, anche se si è proceduto ad assegnare ad alcuni condi videndi la quota a ciascuno spettante, rimanendo la parte restante an cora in comunione tra gli altri condividendi.
In dottrina, v. F. Formica, Divisione nel diritto tributario, voce del
Digesto comm., Torino, V, 102, il quale, dopo aver ricordato che l'opi nione consolidata è nel senso che nel caso di stralcio di quota la base
imponibile è costituita dal valore dei beni componenti la porzione o le porzioni stralciate, sottolinea la necessità di rinvenire un criterio di scretivo tra tale fattispecie e quella della divisione «onde evitare possi bili elusioni fiscali attuate, mascherando sotto la forma apparente dello stralcio, una divisione totale».
Sulla divisione agli effetti dell'imposta di registro (e delle altre impo ste), v., in generale, G. Donnamaria, Divisione (diritto tributario), vo ce del Novissimo digesto, appendice, Torino, 1982, III, 57; F. Batisto ni Ferrara, Divisione (disciplina tributaria), voce dell Enciclopedia giu ridica Treccani, Roma, 1989, XI.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
oltre all'effetto dichiarativo ne aveva avuto anche uno traslati
vo a favore dei rimasti in comunione. Dunque la tassazione
doveva riguardare l'intero atto.
Contro questa decisione ricorrono in Cassazione Piero Piram
e Gilberto Pagani con un motivo. Resiste la amministrazione
finanziaria. Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico motivo di ricorso
Piero Piram e Gilberto Pagani lamentano la erroneità e la in
sufficienza della motivazione della sentenza della corte di Firen
ze, nonché la violazione dell'art. 3 della tariffa, ali. A, al d.p.r.
634/72, in relazione agli art. 19, 32, 41 del d.p.r. medesimo. Afferma infatti che quando, come nella specie, un atto di divi
sione si rivela per una parte di effetto traslativo, la tassazione, solamente per la parte che eccede l'effetto dichiarativo, deve
essere corrispondente al valore di tale effetto.
La corte di Firenze sarebbe pervenuta alla statuizione critica
ta per aver utilizzato argomenti estranei all'originario thema de
cidendum, che, invece, per tutto il giudizio aveva riguardato la disciplina della divisione totale e di quella parziale. Comun
que, secondo questa prospettazione, dalla contestazione di un
parziale effetto traslativo dell'atto non si poteva pervenire ad
una tassazione basata sull'intero valore della massa, bensì, al
più a tassazioni diferenziate rispetto ai diversi effetti.
2. - Questione sottoposta alla corte è stabilire se la imposta di registro, relativamente ad atti di divisione riguardanti una
comunione ordinaria che tolgano da un tale stato un parte sol
tanto dei beni costituenti la originaria massa, lasciandone altri, in quota, ai superstiti comunisti, debba essere applicata, nella
misura proporzionale stabilita dalla tariffa allegata al d.p.r.
634/72, calcolandola sulla intera massa oppure sul valore della
quota stralciata a seguito di attribuzione ai titolari di beni di
corrispondente valore.
La corte ritiene debba essere preferita la seconda soluzione.
3. - L'imposta di registro, il cui criterio generale di applica zione è dettato all'art. 19 del d.p.r. citato, ove si stabilisce per
l'appunto che «le imposte sono applicate secondo l'intrinseca
natura, e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazio
ne», è, perciò stesso, un tributo che colpisce gli atti in relazione
allo specifico contesto giuridico assunto quale indizio di capaci tà contributiva. La tassa in misura proporzionale ribadisce dal
canto suo la rilevanza del valore economico dell'effetto giuridi co considerato, laddove invece le previsioni, per altre ipotesi, di tassazione in misura fissa fanno rilevare la mera oggettività fiscale di un atto che mediante la registrazione richiese un certo
grado di certezza formale. Occorre pertanto nella specie, per individuare l'oggetto del tributo, stabilire quale sia l'effetto giu ridico dell'atto, e, quindi, quale sia il valore di tale effetto.
4. - Nel caso in esame l'atto di divisione realizza la attribu
zione a due soggetti già comunisti di beni individuati a soddi sfacimento della loro quota. Senza con ciò determinare la fine
della comunione in assoluta, se non quanto agli assegnatari in
questione. Orbene, il negozio di divisione è un contratto me
diante il quale, precipuamente, si scioglie la comunione attra
verso la attribuzione di una porzione di beni comuni a ciascuno
dei condividenti. La singola porzione di beni attribuita in luogo della quota, deve coincidere tendenzialmente con il valore della
quota. Nel senso che il suo valore, nei confronti delle singole
porzioni di beni, attribuite agli altri condividenti, deve rimanere
nello stesso rapporto che originariamente correva tra le quote. A tutto ciò consegue, come la migliore dottrina ha da tempo
chiarito, che al negozio di divisione debbano partecipare tutti
i titolari di diritti già posti in comunione, anche quando la divi
sione dia luogo ad una contrattazione tra gruppi di condividenti
cosicché uno di questi permanga, per la parte non assegnata, in situazione di comunione. Ciò che rileva pertanto, è che la
divisione, anche quando regola una parte soltanto di beni costi
tuenti la massa, elimina tuttavia la originaria comunione ancor
ché ne fondi un'altra che abbia una minor quantità di beni ed
un più limitato numero di titolari. Essa, infatti anche in questa
ipotesi, dà luogo a cessazione dello stato di originaria comunione.
Va osservato tuttavia, ad onta della identità di natura giuridi ca dei due negozi, che i rispettivi effetti tipici sono diversi, pro
prio in ragione del fatto che la cosiddetta divisione parziale fa
cessare la comunione con riguardo a taluni soltanto dei condivi
denti. E non rileva a far ritenere invece che alla identità di na
tura corrisponda una identità di effetti la circostanza, osservata
dalla corte di Firenze, per la quale anche nella divisione parzia
li Foro Italiano — 1995.
le si hanno effetti giuridici nei confronti dei condividenti rima sti in comunione, costituiti dalla cosiddetta consolidazione nei
loro confronti dela quota rimasta indivisa. Questo specifico ef
fetto, civilisticamente certo, è tuttavia fiscalmente irrilevante, nell'ottica del problema in esame, giacché non riguarda valori
economici e situazioni economiche ricomprese nella causa del
negozio di divisione. Questo, peraltro, e negozio con efficacia
reale giacché opera una concretizzazione del diritto sulla quota in diritto sul bene determinato. L'effetto di conferma, o conso
lidazione, delle restanti quote in quanto tali, è fuori dell'effetto
reale suddetto, e non rappresenta perciò un effetto tipico, strut
turalmente caratterizzante il negozio, ma piuttosto si risolve in
una conseguenza indiretta, del tutto automatica, di un regola mento volontario la cui funzione oggettiva è di far acquistare, a tutti o a taluni, la esclusività del dominio su di un bene. Per
tanto, il valore dell'atto da assoggettare al tributo non può che
essere il valore dell'effetto tipico e funzionale dell'atto stesso,
ovvero, nella specie, quello che ha operato la sostituzione di
beni determinati a quote ideali.
5. - Consegue il fondamento della doglianza. Il ricorso deve
essere accolto, e la sentenza impugnata deve essere cassata, con
rinvio della causa ad altra corte di merito, che, in applicazione del principio appena enunciato, deciderà.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 7 dicem
bre 1994, n. 10516; Pres. Cantillo, Rei. Ruggiero, Est. Car
bone, P.M. Amirante (conci, conf.); Soc. Cassina (Aw. Re
scigno, Serra, Traverso) c. Soc. Steel Line (Avv. Paparaz
zo, Sangiovanni) e Proc. gen. App. Firenze. Conferma App. Firenze 1° giugno 1990.
Diritti d'autore — «Industriai design» — Modello tridimensio
nale — Tutela — Esclusione — Fattispecie — Questione ma
nifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 35; cod. civ., art. 2575; 1. 22 aprile 1941 n. 633, protezione del
diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, art.
1, 2).
Posto che: 1) le opere del c.d. industriai design sono da consi
derarsi modelli di arte applicata all'industria; 2) nelle opere tridimensionali non è scindibile il valore artistico dal prodot to industriale, dette opere creative non rientrano nell'oggetto di tutela della legge sul diritto d'autore (nella specie, la Cas
sazione ha negato la tutela del diritto d'autore al modello
di poltrona ideato da Le Corbusier, escludendo altresì che
potesse considerarsi opera dell'architettura). (1) È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale degli art. 1 e 2 l. 22 aprile 1941 n. 633, nella parte in cui escludono, senza razionale giustificazione, le opere del
/ Industriai design dalla tutela del diritto d'autore, in riferi mento agli art. 3 e 35 Cost. (2)
(1-2) La decisione di secondo grado qui confermata, App. Firenze 1° giugno 1990, Foro it., Rep. 1991, voce Diritti d'autore, nn. 56-58, è riportata in Riv. dir. ind., 1990, II, 23.
Dopo aver preso posizione, con sentenza 5 luglio 1990, n. 7077, Foro
it., Rep. 1990, voce cit., n. 68, la Cassazione torna sul diniego di esten
sione della disciplina del diritto d'autore ai casi del design. Nel 1990, aveva esaminato la questione dei modelli bidimensionali, in cui si può
porre un problema della scindibilità tra idea artistica fruibile in sé e
modello industriale. Con la odierna sentenza deduce in ordine a oggetti a tre dimensioni, nei quali la ricerca di una scindibilità, sia pur ideale, non è pensabile.
I. - Con questo decisum la Cassazione resta nel solco della tradizione
giurisprudenziale, la quale, a conferma del dettato normativo, nega tu
tela del diritto d'autore quando, pur essendovi la creatività dell'opera,
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