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sezione I civile; sentenza 17 gennaio 1995, n. 484; Pres. Montanari Visco, Est. R. Sgroi, P.M....

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Page 1: sezione I civile; sentenza 17 gennaio 1995, n. 484; Pres. Montanari Visco, Est. R. Sgroi, P.M. Nicita (concl. parz. diff.); Soc. Adidas Sarragan France (Avv. Biamonti, Vanzetti) c.

sezione I civile; sentenza 17 gennaio 1995, n. 484; Pres. Montanari Visco, Est. R. Sgroi, P.M.Nicita (concl. parz. diff.); Soc. Adidas Sarragan France (Avv. Biamonti, Vanzetti) c. Soc. Fages(Avv. Giorgianni, Cartella, Vigevani), Soc. Sica (Avv. Giorgianni, Vigevani) e Proc. gen. App.Milano. Cassa App. Milano 21 settembre 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 12 (DICEMBRE 1995), pp. 3519/3520-3531/3532Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190696 .

Accessed: 25/06/2014 01:20

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3519 PARTE PRIMA 3520

di affari, svolgendo cosi un'attività coordinata con le esigenze e le finalità del committente (Cass. 13 giugno 1983, n. 4057, id., Rep. 1983, voce Avvocato, n. 131; 16 febbraio 1988, n.

1632, id., Rep. 1988, voce Agenzia, n. 34). Senonché, contra

riamente a quanto potrebbe ritenersi in base alla lettura delle

loro massime ufficiali, le decisioni sono basate non già su un generale principio di applicabilità delle norme sul lavoro subor dinato al lavoro parasubordinato, ma sul disposto dell'art. 6

1. 11 agosto 1973 n. 533 che espressamente dispone l'applicabi lità dell'art. 2113 c.c. ai rapporti di cui all'art. 409 c.p.c.; si

tratta quindi di un'applicazione particolare, non rilevante ai fi

ni di questa decisione e comunque disattesa da altre decisioni

di questa corte che, riallacciandosi ad un precedente filone giu

risprudenziale (Cass. 2 maggio 1969, n. 1452, id., 1969, I, 3200) hanno riaffermato l'inapplicabilità dell'art. 2113 c.c., anche nella

nuova formulazione di cui alla 1. 1973 n. 533, al rapporto di

lavoro parasubordinato (Cass. 7 gennaio 1988, n. 6, id., Rep.

1988, voce cit., n. 45). D'altra parte, il fatto che il rapporto di lavoro parasubordi

nato sia soggetto alla disciplina del lavoro autonomo non signi fica che il legislatore non possa disporre l'estensione ad esso

e, più in generale, al lavoro autonomo, di uno specifico istituto

proprio del lavoro subordinato; e invero proprio in tema di con

tratto di trasporti il legislatore ha recentemente introdotto una

norma che disciplina la prescrizione dei diritti derivanti dal si stema di tariffe a forcella richiamando le norme del lavoro su

bordinato.

Come è noto, in materia di autotrasporti di merci effettuati

per conto di terzi, la 1. 6 giugno 1974 n. 298 (istituzione dell'al

bo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi,

disciplina degli autotrasporti di cose e istituzione di un sistema

di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada) prevede un sistema di tariffe a forcella, ossia di tariffe definite ciascuna

da un limite massimo e un limite minimo. Le tariffe devono

essere approvate dalle autorità competenti e i prezzi per un de

terminato trasporto possono essere liberamente fissati tra il li

mite minimo e il limite massimo della tariffa a forcella corri

spondente. Le tariffe sono obbligatorie, ossia devono essere osservate ai

fini della determinazione dei prezzi e delle condizioni di tra

sporto (art. 50), è vietata la stipulazione di contratti che com

portino prezzi di trasporto determinati al di fuori dei limiti mas simi e minimi delle tariffe (art. 51), il vettore è tenuto ad appli care le tariffe in vigore nel giorno in cui viene effettuata la

consegna della merce per la spedizione (art. 54) e, se pratica

prezzi di trasporto non conformi alle tariffe in vigore, è sogget to a una sanzione amministrativa (art. 58).

In tema di prescrizione è stata recentemente emanata la nor ma di cui all'art. 2 d.l. 27 novembre 1992 n. 463 (misure urgen ti per il settore dell'autotrasporto di cose per conto di terzi) secondo il quale «il termine previsto dall'art. 2951, 1° comma, c.c. non si applica, in materia di prescrizione dei diritti derivan

ti dal contratto di trasporto, a quelli nascenti dal sistema di

tariffe a forcella, istituito dal titolo III della legge 6 giugno 1974 n. 298».

Il decreto legge non è stato converito in legge nel termine

di sessanta giorni dalla sua pubblicazione; è stato, quindi, ema

nato il d.l. 29 marzo 1993 n. 82, il cui art. 2, cosi come risulta

a seguito dalla lagge di conversione 27 maggio 1993 n. 162,

dispone che «per i contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto ai diritti derivanti dal

contratto di autotrasporto di cose per conto di terzi, per i quali è previsto il sistema di tariffe a forcella istituito dal titolo III

1. 6 giugno 1974 n. 298, si applica il termine di prescrizione quinquennale».

La norma non fa venir meno il principio generale secondo il quale il contratto di trasporto, autonomo o parasubordinato che sia, è soggetto alle norme sostanziali del lavoro autonomo

e non di quello subordinato; deve essere invece considerata co

me un'eccezione al detto principio e come tale interpretata re

strittivamente per soli casi per i quali è stata espressamente pre vista; e comunque non è applicabile per espresso disposto della

legge stessa ai contratti, come quello oggetto della controversia,

stipulati prima dell'entrata in vigore della legge stessa.

Nel caso in esame, come è pacifico tra le parti, la società

Iempsa ha affidato il trasporto dei propri manufatti allo Zanet

ti, titolare di una piccola impresa di autotrasporti; e il tribunale

Il Foro Italiano — 1995.

ha ritenuto che si tratti di un rapporto di lavoro parasubordina to e, come tale, soggetto alla disciplina del rapporto subordina

to ai soli fini processuali, e precisamente ai fini della competen za del giudice del lavoro, e non ai fini sostanziali; e che, in

particolare non si applichi la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948 c.c. ma la prescrizione di un anno prevista dal

l'art. 2951 c.c. per i contratti di trasporto. La decisione risulta pienamente conforme alla giurisprudenza

di questa corte secondo la quale, come si è già detto, il caratte

re di parasubordinazione rileva ai soli fini processuali e non

ai fini sostanziali; e pertanto essa non può essere in alcun modo

censurata sotto questo aspetto. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 17 gen naio 1995, n. 484; Pres. Montanari Visco, Est. R. Sgroi,

P.M. Nicita (conci, parz. diff.); Soc. Adidas Sarragan Fran

ce (Avv. Biamonti, Vanzetti) c. Soc. Fages (Aw. Giorgian

ni, Cartella, Vigevani), Soc. Sica (Aw. Giorgianni, Vige

vani) e Proc. gen. App. Milano. Cassa App. Milano 21 set

tembre 1990.

Marchio — Valenza ornamentale — Gradiente minimo estetico — Validità — Esclusione (R.d. 25 agosto 1940 n. 1411, testo

delle disposizioni legislative in materia di brevetti per modelli

industriali, art. 5; r.d. 21 giugno 1942 n. 929, testo delle di

sposizioni legislative in materia di brevetti per marchi d'im

presa, art. 18). Concorrenza (disciplina della) — Confondibilità con l'attività

del concorrente — Dliceità (Cod. civ., art. 2598).

Posto che i segni effigiati su un prodotto (nella specie, pallone da calcio), ove siano inscindibilmente connessi con il pregio

estetico, di tal che il prodotto è apprezzato per la sua grade

volezza, non possono essere registrati come marchio ma solo

brevettati come modello ornamentale, va confermata la sen

tenza di merito che, avendo individuato un gradiente minimo

estetico (con accertamento incensurabile in Cassazione), ha

dichiarato inefficaci i relativi marchi. (1)

(1, 3) Con due sentenze depositate a distanza di pochi giorni, la pri ma sezione della Cassazione interviene sugli strumenti di tutela consen titi dall'ordinamento alle forme estetiche applicate ai prodotti, confer mando il proprio orientamento che, da un lato, ammette la tutela forte

(per la durata) del marchio nei limiti in cui non abbia particolare rilievo estetico e, dall'altro, consente la tutela più debole dei modelli ornamen tali al ricorrere di un pregio estetico anche minimo.

I. - Nella prima sentenza in epigrafe (la decisione d'appello, App. Milano 21 settembre 1990, Foro it., Rep. 1991, voce Marchio, n. 39, è riportata in Giust. c/'v., 1991,1, 2455) il marchio è dichiarato ineffica ce per prevalenza dell'elemento ornamentale, che avrebbe potuto essere tutelato solo con la brevettazione del modello ornamentale.

La giurisprudenza considera inefficaci i marchi legati alla forma o

all'ornamento, ove tale legame sia inscindibile o necessario: cfr. Cass. 21 maggio 1981, n. 3333, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 34; 28 giu gno 1980, n. 4090, id., 1981, I, 456, con nota di L. C. Ubertazzi, Cessione del marchio e ripartizione dell'onere della prova; Trib. Milano 28 gennaio 1993, Giur. dir. ind., 1993, 350; Pret. Orvieto 10 ottobre

1992, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 50; Pret. Rimini 3 maggio 1991, id., Rep. 1993, voce cit., n. 51; Trib. Treviso 29 ottobre 1988, id., Rep. 1990, voce cit., n. 30; Trib. Bologna 19 marzo 1980, id., Rep. 1983, voce cit., n. 16; Pret. Bologna 7 novembre 1978, Giur. dir. ind., 1978, 680; 18 maggio 1976, Foro it.. Rep. 1977, voce cit., n. 87; 5 febbraio 1976, Giur. dir. ind., 1976, 209.

Di qui il riconoscimento della validità del marchio sul presupposto che segni determinati non costituiscono elemento ornamentale, come

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

La concorrenza sleale confusoria non è limitata alla confondibi lità di prodotti, ma si estende alla confusione sull'attività del

concorrente, che può determinare confusione sulla fonte di

provenienza dei prodotti. (2)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 5 gennaio 1995, n. 182; Pres. Salafia, Est. Borruso, P.M. Martone

(conci, parz. diff.); Soc. ditta Ratti (Aw. Marone, Calò) c. Soc. Citterio (Aw. Natoli, Corticelli, Gentili) e Proc.

gen. App. Milano. Conferma App. Milano 16 giugno 1989.

Brevetti per invenzioni industriali — Modello ornamentale —

nel caso di strisce oblique su calzature (cfr. Trib. Milano 9 luglio 1981, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 18) o di marchio complesso per fili e filati (Trib. Milano 17 novembre 1980, id., Rep. 1982, voce cit., n.

25). Nel senso dell'efficacia, cfr. anche App. Milano 7 marzo 1978, id., Rep. 1978, voce cit., n. 25; Trib. Milano 11 ottobre 1976, ibid., n. 51; Trib. Milano 26 febbraio 1976, Giur. dir. ind., 1976, 265.

La soluzione adottata, con gli opportuni cambiamenti, si ritrova con

riguardo ai modelli d'utilità, quando la forma del prodotto non rispon da ad esigenze funzionali: cfr. Cass. 22 febbraio 1994, n. 1724, Foro it., 1994, I, 2768.

In dottrina, v. sul punto G. Auletta - V. Mangini, Marchio. Diritti d'autore sulle opere dell'ingegno, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1977, 32; M. Cartella, Un principio della Cassazione in realtà inesistente, in tema di marchi di forma, in Riv. dir. ind., 1977, II, 541; M. Franzosi, Sui marchi di estetica, ibid., 502; S. Magelli, Sulla validità come marchi o modelli ornamentali dei segni ritmicamen te ripetuti sul prodotto, in Foro pad., 1980, I, 295; V. M. De Sanctis, In tema di marchi di forma, in Giust. civ., 1981,1, 2960; M. R. Peru

gini, Il marchio di forma: dall'esclusione della forma utile od ornamen

tale, al criterio del «valore sostanziale», in Riv. dir. ind., 1992, I, 96

ss., 103; B. Pauselli, Concorrenza sleale e marchio di forma, in Rass.

giur. umbra, 1993, 69. In particolare, sulla vicenda Adidas, v. A. Lerro - S. Sandri, Mar

chi, modelli e «industriai design»: riflessioni su un pallone da calcio, in Riv. dir. sport., 1992, 67.

Il principio è confermato dalla giurisprudenza penale (anche se la nozione penalistica di marchio è più ristretta: cfr. Pret. Milano 28 otto

bre 1982, Foro it., Rep. 1984, voce Falsità in sigilli, n. 8): v. in tal

senso Pret. Bologna 23 marzo 1981, id., Rep. 1983, voce Marchio, n.

143; 11 marzo 1981, id., Rep. 1983, voce Frode in commercio, n. 7. In dottrina, v., per tutti, E. Svariati, La tutela penale dei brevetti

per modello ornamentale, in Cass, pen., 1994, 1207. Medesimo orienta

mento ricorre nelle decisioni dell'autodisciplina pubblicitaria (cfr. Giuri

13 dicembre 1991, n. 180, Foro it., Rep. 1992, voce Concorrenza (disci

plina), n. 166). Si precisa che l'aspetto estetico del marchio è ineliminabile e concorre

alla sua formulazione; la tutela cessa ove al gradiente minimo si aggiun ga un'idea ornamentale nuova, tutelabile come modello: cfr. Trib. Mi

lano 8 aprile 1981, id., Rep. 1993, voce Marchio, n. 53.

Il rapporto tra elemento distintivo ed aspetto ornamentale è indicato

in termini di prevalenza o di assorbimento, nel senso che la validità

del marchio è subordinata al carattere prioritario del dato distintivo sull'altro elemento: cfr. Cass. 28 giugno 1980, n. 4090, cit.; Pret. Tori

no, ord. 25 giugno 1992, id., Rep. 1993, voce cit., n. 52; App. Milano 2 marzo 1990, ibid., n. 119; 8 luglio 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 30; App. Roma 2 giugno 1980, id., Rep. 1986, voce cit., n. 9.

II. - La seconda sentenza su riportata si inserisce nel dibattito relati

vo alla necessità, o non, della novità intrinseca, sul presupposto di una

differente disciplina rispetto ai modelli di utilità.

Il panorama giurisprudenziale mostra almeno tre orientamenti.

A) Quello meno rigoroso, che viene confermato dal giudice di legitti mità con le riportate sentenze, considera sufficiente, ai fini della brevet

tabilità del modello ornamentale, una differenza anche minima, con

l'affermazione che solo per i modelli di utilità è richiesta la c.d. novità

intrinseca. In questo senso cfr. Cass. 4 febbraio 1987, n. 993, id., Rep.

1988, voce Brevetti per invenzioni industriali, n. 41; 18 settembre 1986, n. 5662, id., Rep. 1987, voce Concorrenza (disciplina), n. 71; 4 agosto

1965, n. 1869, id., 1965, I, 1852, con nota di Florino. Anche parte dei giudici di merito si allinea su questa posizione, con

la precisazione che il minor rigore non deve scadere nella banalità: cfr.

Trib. Milano 27 novembre 1986, id., Rep. 1988, voce Brevetti per in

venzioni industriali, n. 36; 17 luglio 1986, ibid., n. 38; 12 marzo 1984,

id., Rep. 1985, voce cit., n. 74; App. Milano 16 marzo 1982, id., Rep.

1984, voce cit., n. 32; 9 febbraio 1982, ibid., n. 33; 27 giugno 1980,

id., Rep. 1983, voce cit., n. 49; Trib. Milano 10 gennaio 1980, ibid., n. 48; Trib. Lecco 23 dicembre 1978, id., Rep. 1980, voce cit., n. 155; Trib. Bologna 16 maggio 1974, Giur. dir. ind., 1974, 671; Trib. Padova

Il Foro Italiano — 1995.

Requisiti — Novità estrinseca (Cod. civ., art. 2593; r.d. 25 agosto 1940 n. 1411, art. 5).

Brevetti per invenzioni industriali — Modello ornamentale —

Imitazione — Liquidazione del danno — Criterio equitativo — Parametri (Cod. civ., art. 1226, 2043, 2056, 2727, 2729; r.d. 25 agosto 1940 n. 1411, art. 5).

Nel brevetto per modello ornamentale (nella specie, maniglie) è sufficiente il solo requisito della c.d. novità estrinseca (con

sistente in una particolare espressione figurativa, formale o

cromatica) rispetto agli altri di comune commercio, e non an

che la c.d. novità intrinseca, caratterizzata da una innovazio

ne stilistica ed estetica. (3) È incensurabile la sentenza di merito che, nel liquidare i danni

derivanti da imitazione di brevetto per modello ornamentale,

12 maggio 1973, id., 1973, 623; Trib. Monza 12 giugno 1971, id., 1972, 126.

In dottrina, concordano con tale interpretazione E. Bonasi Benucci, Modelli e disegni di fabbrica (od ornamentali), voce del Novissimo di

gesto, Torino, 1964, X, 810 ss., 814; nonché Tutela della forma nel

diritto industriale, Milano, 1963, 266 ss., secondo cui l'apporto estetico

consiste nella idoneità ad influire sul gusto, sul senso dei colori e delle

proporzioni dell'osservatore; e M. Fabiani, Modelli e disegni industria

li, Padova, 1975, 55, per il quale è sufficiente un minumum di valore intrinseco.

B) Una variante del precedente orientamento ritiene che non sia pos sibile una valutazione unitaria, e che occorra distinguere secondo l'af

follamento dei mercati (crowded art). Per questa tesi, il minor rigore si giustifica solo in presenza di settori merceologici particolarmente 'af

follati', in cui risulta difficile una profonda differenziazione, mentre

in mercati 'sgombri' occorre un maggior apporto creativo. Facendo uso di tale principio, la giurisprudenza di merito ha indivi

duato una serie di mercati 'affollati': cfr. Trib. Fermo 24 marzo 1993, Foro it., Rep. 1994, voce Brevetti per invenzioni industriali, n. 69; App. Milano 24 settembre 1991, id., Rep. 1993, voce cit., n. 52 (maniglie, come nel caso esaminato della seconda sentenza in rassegna); Pret. Co

negliano 22 maggio 1991, id., Rep. 1992, voce Concorrenza (discipli

na), n. 131 (poltrone per ufficio); Trib. Milano 23 aprile 1990, ibid., voce Brevetti per invenzioni industriali, n. 49 (secchiello in plastica); 5 marzo 1990, ibid., n. 50; 2 ottobre 1986, id., Rep. 1989, voce cit., n. 41 (collane e bracciali); App. Milano 14 dicembre 1984, id., Rep. 1986, voce cit., n. 77; App. Firenze 4 maggio 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 43; Trib. Roma 30 novembre 1977, Giur. dir. ind., 1977, 835 (bottoni); Trib. Milano 26 giugno 1975, id., 1975, 514 (bicchieri); 26 settembre 1974, Foro it., Rep. 1975, voce cit., n. 7 (bottoni); App. Milano 4 febbraio 1972, Giur. dir. ind., 1972, 456 (armadi).

Tale posizione è accolta in dottrina da G. Gugliemetti, Le invenzio ni e i modelli industriali dopo la riforma del 1979, Torino, 1982, 150, e nota 19; Id., Le invenzioni e i modelli industirali, in Trattato diretto

da Rescigno, Torino, 1983, X, 274 ss., 279; F. Benussi, Modello e

disegno ornamentale, voce del Digesto comm., Torino, 1994, X, 15

ss., 18.

C) Sussiste anche una posizione più rigorosa che, facendo leva sulla

lettera della legge (che richiede uno 'speciale ornamento'), postula la

necessità di un apporto creativo: cfr. Trib. Milano 11 luglio 1991, Foro

it., Rep. 1993, voce cit., n. 53; App. Bologna 13 giugno 1991, ibid., n. 60; App. Milano 1° febbraio 1991, ibid., n. 67; App. Torino 27

aprile 1990, id., Rep. 1991, voce cit., n. 49; Trib. Milano 20 ottobre

1988, id., Rep. 1990, voce cit., n. 78; 2 ottobre 1986, id., Rep. 1989, voce cit., n. 41; App. Milano 31 maggio 1983, id., Rep. 1985, voce

cit., n. 45; Trib. Milano 10 maggio 1979, Foro it., Rep. 1981, voce

cit., n. 95; Trib. Monza 12 settembre 1975, id., Rep. 1978, voce cit., n. 112; Trib. Milano 22 ottobre 1973, Giur. dir. ind., 1973, 1234; App. Brescia 23 giugno 1973, ibid., 870; Trib. Milano 12 aprile 1973, ibid.,

582; App. Firenze 13 gennaio 1972, id., 1972, 355; Trib. Monza 23

novembre 1971, ibid., 248. Sui criteri adottati dalla giurisprudenza, in dottrina v. V. Mangini,

Invenzioni industriali e concorrenza - Modelli di utilità e disegni orna

mentali, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1987, 166

ss.; G. Lecce, Le invenzioni e i modelli industriali nella giurispruden

za, Milano, 1987, 561 ss.; A. Teofilatto, Una migliore tutela dei bre

vetti per modelli e disegni ornamentali e utilitari, in Impresa, 1988,

170; V. Dì Cataldo, Le invenzioni. I modelli, Milano, 1990, 197; D.

Sarti, La tutela dell'estetica del prodotto industriale, Milano, 1990, 44 e 71; A. Vanzetti, I divesi livelli di tutela delle forme ornamentali

e funzionali, in Riv. dir. ind., 1994, I, 319.

Una posizione particolare è assunta da G. Sena, I diritti sulle inven

zioni e sui modelli industriali, Milano, 1984, 534 e nota 27, nonché

Modelli industriali, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1976,

XXVI, 674, 677, a cui avviso la attuale disciplina non dà una reale

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3523 PARTE PRIMA 3524

abbia utilizzato il criterio equitativo ed abbia considerato co me parametri rilevanti il numero di pezzi venduti dall'imita

tore, il calo di vendite, le spese sopportate per la progettazio ne ed il conseguimento del brevetto. (4)

I

Svolgimento del processo. — Con ricorso per sequestro o, in subordine, per descrizione ai sensi dell'art. 61 r.d. 21 giugno 1942 n. 929, in data 20 maggio 1982, la soc. Adidas, premesso di avere lanciato sul mercato, alla vigilia dei campionati mon

diali di calcio del 1978, un nuovo pallone denominato Tango e contrassegnato sulla sua superficie da un marchio nero di for

ma particolare, che lo rendeva riconoscibile rispetto agli altri; che tale pallone era stato adottato nelle partite finali della cop

pa dei campioni e della coppa delle coppe del 1979, 1980 e 1981, nonché nei giochi olimpici del 1980 ed alla finale della coppa Europa del 1980, diventando anche il pallone di molte squadre di calcio; di aver rilevato che la soc. Sica di Milano aveva fab

bricato e posto in commercio un pallone di plastica contrasse

gnato da marchi del tutto confondibili con i suoi, chiedeva al

presidente del Tribunale di Milano di autorizzare il sequestro

o, in subordine, la descrizione dei palloni recanti il predetto marchio. Con decreto del 26 maggio 1982 il presidente adito

autorizzava la descrizione, che veniva eseguita il 10 giugno 1982. Con citazione del 18 giugno 1982 1'Adidas conveniva dinanzi

al tribunale la soc. Sica, per sentir disporre nei suoi confronti

l'inibitoria della vendita dei palloni; per sentir dichiarare che la vendita costituiva contraffazione dei marchi internazionali n.

436728 e n. 436729; per sentir ordinare la distruzione di quei

prodotti e del relativo materiale pubblicitario, con fissazione di una somma per ogni violazione accertata successivamente al

la sentenza; per sentir dichiarare che la vendita dei medesimi

palloni costituiva concorrenza sleale ai suoi danni, con conse

guente inibitoria e condanna della convenuta ai danni, da liqui

tutela al design (nonostante il rilievo economico che assume nel nostro

paese), vista la durata 'inconsistente' del brevetto per modello. Per l'ultima presa di posizione della Suprema corte sul tema dell'/n

dustrial design, cfr. ora Cass. 7 dicembre 1994, n. 10516, Foro it., 1995, I, 810, con osservazioni di E. Borrelli.

III. - Per la comparazione ci si affida ad una valutazione complessi va, da desumersi da tutti gli elementi coordinati: cosi App. Torino 18

gennaio 1993, id., 1994, I, 2232, con nota di R. Smone. Le varianti sono da valutarsi nell'ottica del consumatore di media

diligenza ed intelligenza, anche alla luce del criterio mnemonico, per evitare la confondibilità: cfr. App. Milano 9 luglio 1991, id., Rep. 1993, voce Concorrenza (disciplina), n. 131; Trib. Verbania 31 gennaio 1990, id., Rep. 1992, voce Brevetti per invenzioni industriali, n. 73; Trib. Venezia 5 novembre 1986, id., Rep. 1988, voce cit., n. 64; Trib. Torino 27 ottobre 1980, id., Rep. 1981, voce Concorrenza (disciplina), n. 82. Nell'ambito della concorrenza sleale, invece, si specifica che la confon dibilità va valutata in relazione al tipo di clientela cui è destinato: cfr. Cass. 9 novembre 1983, n. 6625, id., Rep. 1983, voce cit., n. 24. Sugli ultimi orientamenti de iure condendo emersi in sede comunitaria, v. V. Scordamaglia, La nozione di «disegno e modello» ed i requisiti per la sua tutela nelle proposte di regolamentazione comunitaria, in Riv. dir. ind., 1995, I, 113 ss.

(2) L'idoneità alla confusione con l'attività del concorrente senza imi tazione servile dei prodotti è affermata da Cass. 21 febbraio 1990, n.

1301, Foro it., Rep. 1990, voce Concorrenza (disciplina), n. 81; 3 ago sto 1987, n. 6682, id., Rep. 1987, voce cit., n. 69. Nella giurisprudenza di merito si è riconosciuta tale capacità all'appropriazione di lavori gra fici del concorrente (App. Milano 10 gennaio 1992, id., Rep. 1994, voce

cit., n. 196); all'uso di fotografie (Pret. Monza 3 luglio 1992, ibid., n. 197); all'affiancamento in dépliants e cataloghi di prodotti propri con quelli concorrenti (Trib. Milano 8 marzo 1990, id., Rep. 1992, voce

cit., n. 112); alla diffusione di cataloghi recanti il marchio del concor rente (Pret. Bologna 4 marzo 1986, id., Rep. 1989, voce cit., n. 52); a una determinata formulazione di testata giornalistica (Trib. Milano 7 febbraio 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 102); all'utilizzo dello stesso foglio pubblicitario del concorrente (Trib. Torino 8 marzo 1982, id., Rep. 1984, voce cit., n. 137).

Per la distinzione tra l'ipotesi di appropriazione di pregi e atti di

confusione, cfr. Cass. 10 novembre 1994, n. 9387, id., Rep. 1994, voce

cit., n. 213; 1° marzo 1986, n. 1310, id., 1986, I, 914, con nota di O. Troiano.

In dottrina, per tutti, v. P. Auteri, La concorrenza sleale, in Tratta to diretto da Rescigno, Torino, 1983, XVIII, 341 ss., 373.

(4) I parametri per il risarcimento del danno derivante dalla contraf

II Foro Italiano — 1995.

dare in separato giudizio, pubblicazione della sentenza e vitto

ria di spese. Si costituiva la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda

e, in via riconvenzionale, la dichiarazione di nullità del marchio

n. 436729. Alla prima udienza, 1'Adidas chiedeva ed otteneva di chiama

re in causa la soc. Fages, che aveva pubblicizzato e commercia

to il pallone; la chiamata era effettuata, con estensione nei con

fronti della Fages delle suddette domande; la Fages si costituiva

e chiedeva il rigetto delle domande attrici e, in via riconvenzio

nale, l'accoglimento della dichiarazione di nullità dei due mar

chi suddetti. Il tribunale, con sentenza 30 maggio 1985, accoglieva le do

mande, osservando: — che i marchi internazionali suddetti avevano come elemento

base un'impronta nera in campo bianco, di forma triangolare ad angoli smussati con i lati concavi, ciascun lato essendo con

tornato da un arco di cerchio (pure esso in nero) che corre pa rallelo al lato stesso; che il marchio n. 436728 è costituito da

cinque di tali impronte triangolari, in modo da formare una

sorta di cerchio stellato, mentre il secondo n. 436729, riproduce la vista frontale di una palla recante il suddetto marchio, su

tutta la superficie, in modo che esso sia visibile da ogni punto di osservazione ed anche da considerevole distanza;

— che le riconvenzionali erano state proposte in base al pre

supposto che i marchi in realtà erano particolari combinazioni

di linee che ornamentano i prodotti e che l'art. 18, n. 3, legge merchi esclude che possano costituire oggetto di brevetto come

marchi le figure o segni il cui carattere distintivo è inscindibil mente connesso con quello di utilità o di forma, e tali domande dovevano respingersi;

— che il marchio n. 436729 altro non era che la ripetizione seriale del segno del marchio 436728 (come questo era costituito

dalla ripetizione di cinque delle impronte, ciascuna delle quali costituisce il marchio n. 436730); che il marchio n. 436729 era

un marchio figurativo piano che non diventa tridimensionale per

fazione dei modelli industriali assumono rilievo a causa della sua (pres soché necessaria) liquidazione equitativa.

Il danno è talvolta ancorato genericamente al risultato economico che il danneggiato avrebbe potuto conseguire (cfr. App. Milano 24 set tembre 1991, Foro it., Rep. 1993, voce Brevetti per invenzioni indu

striali, n. 86). In altri casi si precisano i referenti. Si è cosi dato rilievo al volume d'affari del contraffattore (per la cui valutazione occorre considerare il minor prezzo di vendita del bene imitato), mentre risulta ininfluente la semplice diminuzione del fatturato ove non sia provato il nesso di causalità con la contraffazione (cosi App. Firenze 26 feb braio 1987, id., Rep. 1990, voce Concorrenza (disciplina), n. 107); ci si è riferiti all'utilità conseguita dal contraffattore, al netto dei fattori

negativi quali i costi di produzione e di distribuzione (cfr. App. Milano 1° febbraio 1994, id., Rep. 1994, voce Brevetti per invenzioni industria

li, n. 101) o all'utile netto aziendale avuto riguardo al medio profitto netto degli investimenti e tenuto conto delle dimensioni raggiunte dalla produzione in serie dei prodotti contraffatti (App. Bologna 21 luglio 1981, id., Rep. 1983, voce Concorrenza (disciplina), n. 298). Quando poi siano state accertate contraffazioni operate da più soggetti, e si sia riusciti a giudicarne solo uno, la riduzione delle vendite va equitati vamente diminuita: v. Trib. Bologna 20 aprile 1979, id., Rep. 1981, voce cit., n. 132, che ha attribuito all'unico contraffattore convenuto in giudizio il sessanta per cento delle perdite subite dal danneggiato.

In senso parzialmente diverso, cfr. Trib. Milano 9 giugno 1980, id., Rep. 1983, voce Brevetti per invenzioni industriali, n. 136, secondo cui non v'è imprescindibile equivalenza tra utile del concorrente e danno del titolare del brevetto; bisogna infatti valutare se tutti gli acquirenti del prodotto contraffatto avrebbero acquistato i prodotti presso di lui.

Del danno occorre dare la relativa prova: App. Roma 7 ottobre 1991, id., Rep. 1993, voce Concorrenza (disciplina), n. 132; Trib. Venezia 5 novembre 1986, cit. Il periodo da considerare decorre dalla pubblica zione della domanda di brevetto: cfr. App. Milano 1° febbraio 1994, cit. Si dà in ogni caso rilievo all'ambito territoriale di protezione: cfr. Trib. Milano 30 aprile 1990, id., Rep. 1993, voce Brevetti per invenzio ni industriali, n. 88; Trib. Milano 21 aprile 1988, id., Rep. 1990, voce cit., n. 108; cosi, ove la produzione e la vendita in Italia sia effettuata da un licenziatario, il danno da contraffazione è limitato alla mancata percezione delle royalties: in questo senso, cfr. Trib. Roma 28 gennaio 1991, id., Rep. 1993, voce cit., n. 89.

In dottrina, v. R. Franceschelli, Ultime note sul caso Carbadox, in Riv. dir. ind., 1992, II, 220; G. Del Corno, La Corte d'appello di Milano afferma alcuni importanti principi in materia di invenzioni, id., 1994, II, 24; G. Bozzaia, Sulla contraffazione di brevetto come illecito permanente - Ultime vicende del caso Carbadox, ibid., II, 212.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

il solo fatto di essere riprodotto a tutto tondo sull'intera super ficie di un pallone;

— che la ratio dell'art. 18, n. 3, cit. va ritrovata nella neces

sità di sovrapposizione della tutela (potenzialmente senza limiti

temporali) offerta dalla legge sui marchi alla tutela (temporal mente limitata) delle invenzioni, modelli e disegni industriali;

— che il momento discriminante al fine di verificare la sussi stenza delle condizioni d'operatività dell'art. 18, n. 3, va ricer

cato nella concretezza della funzione ornamentale spiegata dal

segno distintivo che pure influenza l'aspetto estetico del prodotto; — che entrambi i segni distintivi esplicavano soltanto una fun

zione distintiva, pur caratterizzando l'aspetto estetico del pro dotto e non esplicavano funzione di utilità di forma ornamentale;

— che era evidente che i marchi non assolvevano ad una fun

zione di utilità, perché la ripetizione seriale su tutta la superficie del pallone del segno non era finalizzata ad una migliore visibi

lità del pallone, ma del marchio stesso; — che i marchi non assolvevano ad una funzione ornamen

tale perché in tema di scelta di palloni l'aspetto estetico è estra

neo all'apprezzamento ed alla decisione del consumatore; — che il segno distintivo, ancorché ripetuto su tutta la super

ficie dell'oggetto, restava un elemento accessorio ed accidentale

dell'oggetto, che restava, quanto a forma ed utilità, un pallone; — che doveva pure respingersi la domanda circa la validità

dei marchi per precedente notorietà (art. 17, n. 2); — che il marchio figurativo impresso sui palloni delle conve

nute descritti in sentenza era idoneo ad ingenerare confondibili

tà ed interferenza con i marchi dell'attrice, che erano da consi

derare «marchi forti»; — che, in ogni caso, l'attività di commercializzazione da parte

della convenuta di un prodotto come quello descritto integrava

gli estremi della contraffazione; — che la domanda di concorrenza sleale, in citazione, era

stata posta sotto il profilo dell'appropriazione di pregi e la con

dotta della convenuta era apprezzabile ai sensi dell'art. 2598, n. 2, dato che, l'essere stato assunto come pallone ufficiale di

un campionato mondiale costituiva un pregio che non compete va ai palloni delle convenute, che non potevano non essere a

conoscenza della circostanza; — che doveva accogliersi la domanda di concorrenza sleale

sotto il profilo confusorio, venendo in rilievo la stessa attività

già apprezzata sotto il profilo della contraffazione.

Proposti appelli, da parte delle convenute in primo grado, ed appello incidentale da parte dell'Adidas, la Corte d'appello di Milano, con sentenza 21 settembre 1990, dichiarava l'ineffi

cacia dei marchi ed assolveva le appellanti da ogni domanda

attrice, osservando: — che una forma, o un segno o una raffigurazione bidimen

sionale, pur essendo forniti di capacità distintiva, una volta che presentino pregi estetici o di utilità funzionale — di guisa che il prodotto collegato è apprezzato, per la sua utilità o gradevo lezza — non sono brevettabili come marchi, salvo che la forma

o il segno o la raffigurazione siano del tutto avulsi dalle funzio

ni di utilità o di ornamento, soggiacendo soltanto a criteri di fantasia e di attitudine differenziatrice;

— che il problema di fondo era quello di stabilire se i segni

posti in serie circolare sul pallone servano a distinguerlo dai

prodotti concorrenti o servano a rendere il pallone più utile nel

giuoco o più gradevole alla vista; — che la motivazione del tribunale era apodittica, pur aven

do un quid di vero, e cioè che la ripetizione del marchio com

posto dai singoli segni «triangoli a lati concavi» su tutta la sfera

permette la visione del cerchio, qualunque sia la posizione del

pallone, dimenticando che ciò era possibile a pallone fermo,

mentre mancava la prova che, a pallone in movimento, quei

segni potessero essere visti come segno distintivo del marchio; — che nell'attuale società sportiva è comune nozione che il

pallone abbia assunto il tipico aspetto bianco, con particolari

contrasti in nero, per esigenze di visibilità esterna ed interna,

per i giocatori (soprattutto per gli incontri a luce artificiale) e per gli spettatori e telespettatori; per cui appariva dubbia l'af

fermazione del tribunale circa l'esclusiva finalità distintiva del marchio impressa alla serie dei cerchi; ancor più dubbio era

l'apprezzamento circa l'unica funzione distintiva dei marchi, una

volta ritenuta e la funzione ornamentale e quella di utilità; — che la ripetizione seriale dei cerchi in tanto era fattibile,

in quanto l'oggetto fosse un pallone; e se il segno era inscindi

II Foro Italiano — 1995.

bilmente legato alla forma, era evidente la preclusione di cui

all'art. 18, n. 3, legge marchi; ugualmente era da dirsi per il

marchio n. 436728, che, esigendo la sua applicazione all'interno dei pentagoni posti intorno ad un esagono, era collegato alla

forma sferica del pallone, formato da un determinato numero

di pezzi pentagonali uniti intorno a pezzi esagonali; — che in ordine all'ultimo marchio, era stata dimostrata la

mancanza di novità, in quanto quella particolare combinazione

di segni era stata già attuata per la maggiore funzionalità del

l'oggetto; — tenuto conto che i marchi non erano nuovi, né svincolati

dalla funzionalità del prodotto e dalla necessità della forma sfe

rica del prodotto stesso, i brevetti dovevano essere dichiarati

inefficaci; — che, per quanto riguardava l'azione di concorrenza sleale,

tenuto conto che il segno distintivo era rappresentato da una

combinazione di triangoli acuminati ai singoli vertici con lati concavi e contorno di divisione parallelo ai lati e staccato, e

che i segni apposti dalle appellanti apparivano, a prima vista e nell'insieme, completamente diversi, per una visione più cor

posa dell'immagine; che i palloni Adidas sono di tipo professio nale (cuoio), mentre gli altri sono di materiale plastico; che i primi sono contraddistinti dal marchio Adidas e da quello par ticolare Tango, mentre i secondi appaiono diversi anche in or

dine alla provenienza; che le scritte impresse sul pallone delle

convenute non appaiono avere alcuna influenza sulla confondi

bilità dei prodotti, essendo chiaro che hanno la funzione di ec citare la fantasia del giovane giocatore, ma non quella di far

credere che il pallone abbia una qualche relazione con avveni

menti sportivi importanti, quali il campionato mondiale di cal cio del 1982, l'appello era fondato, in quanto mancava la con

fondibilità dei prodotti. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassa

zione 1'Adidas Sarragan France s.r.l. Hanno resistito con con

troricorsi la Sica e la Fages. L'Adidas e la Sica hanno deposita to memorie.

Motivi della decisione. — La ricorrente, col primo mezzo,

denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 18, n. 3, r.d. 21 giugno 1942 n. 929, 2 e 5 r.d. 25 agosto 1940 n. 1411, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., lamentando che la

corte d'appello abbia ritenuto che i suoi marchi avessero sia

carattere ornamentale che carattere di utilità e che pertanto essi fossero suscettibili di tutela non come marchi, ma soltanto co

me modelli di utilità ed ornamentali. 1) Secondo la corte del merito, i segni in questione avrebbero

carattere ornamentale, servendo a rendere il pallone «più grade vole alla vista», senza alcuna motivazione.

Una forma od un disegno possono ritenersi dotati di caratte

re ornamentale solo ove, nella valutazione del pubblico, confe

riscono al prodotto un pregio estetico che, in quanto tale, costi

tuisca un incentivo all'acquisto, il che sembra da escludersi quan do si tratti di palloni di calcio, in quanto nello sport-spettacolo lo scopo è di munire l'attrezzo di un contrassegno ben visibile, che resti sotto l'occhio del pubblico in modo da essere memo

rizzato e che il pubblico acquisti un attrezzo dotato dello stesso contrassegno, prevalentemente non denominativo, ma figurati

vo, per la sua maggiore idoneità ad essere percepito a distanza,

per la sua maggiore efficacia simbolica, attitudine ad essere me

morizzato.

È poi ovvio che detti segni non devono deturpare il prodotto, ma si scelgono perché presentino una certa gradevolezza, pur restando segni distintivi. Si tratta di stabilire se la forma di un

prodotto o, il che è lo stesso, i segni che ne ricoprono la super

ficie, quanto, pur nuovi e dotati di carattere distintivo, possano e non essere tutelati come marchi, se presentino anche una certa

gradevolezza. Si è affermato che potrebbero essere tutelate contro l'imita

zione servile (e costituire oggetto di tutela come marchi registra

ti) soltanto le forme totalmente prive di carattere ornamentale,

e, quindi, le forme brutte, sgradevoli, sbagliate dei prodotti, mentre nessuna forma dotata di una qualsiasi misura di grade

volezza, se non, o se non più brevettata, sarebbe suscettibile

di tutela contro l'imitazione. Per reagire contro le conseguenze

suddette, si è sostenuta la tesi della cumulabilità delle due tute

le, che la ricorrente dichiara di non condividere, pur sostenendo

l'esigenza di non limitare la tutela come marchio alle forme

sgradevoli, perché altrimenti si cancellerebbe l'art. 2598, n. 1

(dato che non esiste un interesse alla tutela di simili forme con

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3527 PARTE PRIMA 3528

tro l'imitazione) e si negherebbe qualsiasi rilievo alla categoria dei marchi di forma. Pertanto, devono essere tutelabili contro

l'imitazione servile anche delle forme non brutte; delle forme

che presentino un qualche carattere ornamentale, che sono quelle

più abituali. Pertanto, continua la ricorrente — il problema si può risolve

re limitando il novero delle forme ornamentali suscettibili di

brevettazione come modello. Sono tutelabili come marchi e con

tro l'imitazione servile le forme gradevoli, dotate di qualche contenuto ornamentale, nella misura in cui si esclude la loro

brevettabilità come modello ornamentale; non tutte le forme

ornamentali sono registrabili come modelli, e soltanto quelle che non lo siano sono tutelabili come marchi o contro l'imita

zione servile.

Per discriminare, nell'ambito delle forme dotate di carattere

ornamentale, quelle che possono da quelle che non possono co

stituire oggetto di brevetto per modello, la tesi prende spunto

dall'espressione «speciale ornamento» (art. 5 legge speciale), vale a dire superiore ad un certo livello estetico, mentre le forme

distintive dotate di un ornamento non speciale non lo sarebbero

e potrebbero ricevere la tutela dei segni distintivi.

Ma la tesi ha basi più solide, perché è l'unica che consente

il coordinamento con l'istituto brevettuale e lascia qualche serio

spazio ai marchi di forma ed all'imitazione servile.

Se il limite temporale della tutela brevettuale è posto a fronte

dell'interesse della collettività alla caduta in pubblico dominio

di quanto può costituire oggetto di brevetto, ciò è possibile solo

per quelle forme in ordine alle quali sussiste un interesse alla

caduta in pubblico dominio; e questo può sostenersi per certi

oggetti di design, ma non per forme di contenuto estetico mo

desto, quali i marchi di cui è causa. I segni in questione devono

ritenersi non brevettabili come modelli o disegni ornamentali

e tutelabili come marchi, in quanto non dotati dello speciale ornamento di cui all'art. 5 legge modelli.

2) La ricorrente osserva che, secondo la corte d'appello, i

segni in questione conferirebbero anche l'utilità al pallone; ma

la difesa dell'Adidas aveva osservato che ciò non era vero, in

punto di fatto, con argomentazioni diffuse che non sono state

esaminate dalla sentenza impugnata; ma, anche ammesso che

la colorazione in bianco e nero presenti qualche utilità, non

per questo potrebbe escludersi che i segni di cui si tratta siano

tutelabili come marchio, perché sarebbe assurdo sostenere che,

quanto una stessa utilità può essere conseguita con l'adozione

di forme (disegni) diversi, che determinano quell'utilità non già

per loro specifica configurazione, ma per il fatto di corrispon dere ad un generale concetto di configurazione del prodotto, e senza che in sé la configurazione specifica determini alcuna

maggiore utilità, quest'ultima non abbia solo carattere distinti vo e non possa essere protetta come marchio (e contro l'imita

zione servile). Al fine dell'utilità di rendere più visibile il pallone, vi è un'as

soluta indifferenza della specifica configurazione dei segni bian

chi e neri che si alternino sulla sua superficie, perché fra tutti

i segni possibili vi è una fungibilità totale. La ratio dell'art. 18, n. 3, legge marchi tende ad evitare che

con la registrazione come marchio possa acquisirsi un'esclusiva

potenzialmente perpetua su elementi capaci di conferire utilità

al prodotto, il che nella specie non si verifica, perché la medesi

ma utilità può conseguirsi come qualsiasi combinazione di parti bianche e nere.

Argomentando dall'art. 5 legge modelli, non esiste alcun con

cetto innovativo nello scegliere un tipo di disegno, piuttosto che

un altro, per ottenere (una supposta) maggiore visibilità.

3) Infine, la ricorrente censura l'affermazione della sentenza

impugnata, secondo cui la ripetizione seriale dei cerchi, in tanto

è fattibile, in quanto l'oggetto sia un pallone, per cui, se quel segno è inscindibilmente legato alla forma, appare evidente la

preclusione di cui all'art. 18, n. 3, legge marchi, perché basata

su un'interpretazione letterale dell'art. 18, n. 3, che è errata, in quanto tutte le forme di prodotto sono inscindibilmente lega te alla forma, o la forma di cui alla norma è un'espressione con cui si richiama il carattere ornamentale, ed allora non si

può attribuire ad essa il carattere di tridimensionalità; oppure

significa nella legge «tridimensionale» ed allora non si trova

più nella legge alcun aggancio per negare la brevettabilità come

marchi anche dei segni ornamentali.

D'altra parte — conclude la ricorrente — non si vede perché

li Foro Italiano — 1995.

la concezione di un disegno in funzione di una sua ripetizione seriale su di una superficie sferica debba escluderne la natura

di segno bidimensionale, o attribuirgli un carattere di ornamen

talità che esso non possiede (Cass. n. 4090 del 1980, Foro it.,

1981, I, 456). Il motivo è infondato. Il collegio può consentire con le pre

messe in diritto della prima censura, sia perché sembrano quelle che più razionalmente sono idonee a chiarire i rapporti fra tute

la del marchio e tutela dei modelli ornamentali, sia perché espri mono una linea interpretativa (affermatasi sotto il vigore della

legge precedente — che è quella da applicare nella specie) che

è accolta dal nuovo testo dell'art. 18 d.leg. n. 480 del 1992, secondo cui non possono costituire oggetto di registrazione co

me marchio d'impresa i segni costituiti dalla forma imposta dalla

natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria

per ottenere un risultato tecnico o dalla forma che dà un valore

sostanziale al prodotto. Il consenso alle premesse di diritto non comporta però —

necessariamente — la cassazione della sentenza impugnata la

quale (come riassuntivamente osserva la memoria) doveva ri

spondere al quesito se il carattere ornamentale (o funzionale) — in via alternativa e non cumulativa — dei segni usati dall'A

didas superassero quel gradiente minimo necessario a rendere

tali segni idonei ad essere brevettati come modelli.

La risposta si trova già nella motivazione in fatto (e pertanto incensurabile in questa sede) della sentensa d'appello, perché essa ha applicato alla specie il seguente principio: una forma, o un segno o una raffigurazione bidimensionale (pur essendo

forniti di capacità distintiva) non sono brevettabili come mar

chi, una volta che presentino pregi estetici (o di utilità funzio

nale), di guisa che il prodotto collegato è apprezzato per la sua

gradevolezza (o utilità), salvo che la forma o il segno o la raffi

gurazione siano del tutto avulsi dalle funzioni di ornamento (o di utilità), soggiacendo soltanto a criteri di fantasia e di attitu

dine differenziatrice.

La frase suddetta è la premesssa per quel giudizio conclusivo che a pag. 20 è ripetuto in forma succinta («ritenuta e la fun

zione ornamentale e quella di utilità»); premessa che serviva

alla corte d'appello per capovolgere la decisione del tribunale,

peraltro sulla base di accertamenti di fatto già contenuti nella

sentenza di primo grado, in ordine al carattere «estetico» del

marchio (rectius: «del disegno») e cioè al suo contenuto orna mentale.

Niente però limita a sostegno dell'assunto che tale gradevo lezza estetica sia stata dal giudice d'appello ritenuta di un livel

lo cosi elementare, modesto e «non speciale» da non essere bre

vettabile, come modello ornamentale; anzi, proprio il fatto che

il dibattito tra le parti aveva riguardato tale aspetto del proble ma, induce a ritenere che la corte di Milano abbia dato un giu dizio di fatto idoneo a verificare, nella specie concreta, l'esi

stenza di un livello estetico più alto, ai fini dell'applicabilità del divieto di cui all'art. 18, n. 3, citato.

La reiezione della prima censura comporta l'assorbimento della

seconda, posto che il divieto suddetto non è condizionato dalla

contemporanea funzione ornamentale e utilitaristica del segno, essendo sufficiente la prima.

Quanto alla terza censura, essa si scontra contro l'accerta

mento di fatto, motivato a pag. 20, del collegamento inscindibi

le della forma del pallone e del disegno come concretamente

ad esso applicato. Il rigetto del primo motivo comporta l'assorbimento del se

condo, dato che l'Adidas non ha interesse concreto a difendere

la novità di un marchio già dichiarato nullo. Col terzo motivo, l'Adidas denuncia violazione e falsa appli

cazione dell'art. 2598 c.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5,

c.p.c., osservando che il tribunale aveva ritenuto che nel com

portamento delle controparti potesse ravvisarsi una concorren

za sleale sotto il profilo dell'appropriazione di pregi, per cui

l'Adidas aveva proposto appello incidentale ritenendo che si trat

tasse di un'ipotesi di concorrenza confusoria.

La sentenza d'appello ha riformato quella di primo grado, senza rendersi conto del fatto che in quest'ultima la concorren za sleale era stata ritenuta sotto il primo profilo, per cui nulla ha detto sull'appropriazione di pregi.

Quanto alla concorrenza confusoria, la corte d'appello è in

corsa in errore di diritto, con il sostenere che non potrebbe aversi una simile concorrenza, quando manca una confondibilità di

prodotti, quando, invece, l'art. 2598 c.c. parla anche di con

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

fondibilità con l'attività del concorrente, che può manifestarsi

nella forma di una confondibilità sulla fonte di provenienza dei

medesimi; ciò che 1'Adidas aveva sostenuto che si verificasse

nella specie.

Infine, per negare la confondibilità fra prodotti, la corte d'ap

pello ha usato una motivazione insufficiente. Il motivo è, per quanto di ragione, fondato.

a) Sussiste il difetto di specifica motivazione sul punto della

dedotta appropriazione di pregi (la corte si è occupata espressa mente solo della confusione).

b) Sussiste la violazione di legge (ed il conseguente difetto

di motivazione) sul punto dell'attività confusoria, e cioè dell'e same più approfondito e non meramente apodittico della possi bilità di confusione, per quanto attiene alla provenienza di pro dotti anche in se e per se differenziati (Cass. 6119/90, id., Rep.

1990, voce Marchio, n. 116). c) Non sussiste, invece, il vizio di motivazione sulla confusio

ne dei prodotti, accertata con valutazione di fatto incensurabile. La sentenza deve essere cassata in relazione alle censure ac

colte, e la causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte

d'appello di Milano.

II

Svolgimento del processo. — Nel 1977 la s.p.a. Citterio Giu

lio, con sede in Renate Brianza, otteneva un brevetto per mo

dello industriale (serie ornamentale) avente ad oggetto una serie

di cinque maniglie (brevetto richiesto il 15 novembre 1974). Sempre nel 1977 la Citterio adiva il Tribunale di Monza espo

nendo che la soc. in accomandita semplice Ratti Silvio e C.

(di Capriano Briosco) aveva pedissequamente imitato e posto in commercio una delle maniglie suddette di forma ovale allun

gata e molto stilizzata assomigliante ad una spilla da balia ven

dendone una certa quantià alla ditta Carlot di Cavolano di Sa

cile. Chiedeva quindi — ricorrendo anche gli estremi di concor

renza sleale per imitazione servile — inibirsi alla Ratti la

prosecuzione della produzione e dello smercio delle maniglie in

questione, condannarsi la medesima al risarcimento del danno

nonché pubblicarsi la sentenza sulla stampa. La s.a.s. Ratti si difendeva sostenendo che la maniglia bre

vettata e prodotta dalla Citterio non possedeva caratteristiche

tali da poter essere considerata espressione di un'idea nuova

(sia pure sotto il limitato aspetto ornamentale) e che, anzi, ma

niglie della stessa forma erano da tempo prodotte e commercia

lizzate da parte di diverse ditte del settore.

Il Tribunale di Monza, con sentenza non definitiva del 3 lu

glio 1984, accoglieva la domanda attrice e disponeva la prose cuzione della causa per la determinazione dei danni subiti dalla Citterio.

Quindi, con sentenza definitiva del 10 aprile 1986, condanna

va la s.a.s. Ratti a pagare alla Citterio, a titolo di risarcimento

danni cagionati con la propria attività di concorrenza sleale, la complessiva somma di lire 35.000.000 (determinata con rife

rimento al valore della moneta alla data della decisione). Avverso entrambe le decisioni (parziale e definitiva) la Ratti

proponeva impugnazione lamentando, tra l'altro, che il tribu

nale fosse incorso in un errore di calcolo nel quantificare l'enti

tà del risarcimento dovuto a controparte. La Corte d'appello di Milano, con sentenza depositata il 16

giugno 1989, rigettava l'appello confermando entrambe le sen tenze impugnate, cosi motivando (in sintesi):

A) Quanto all 'an:

1) in conformità di quanto ritenuto dal c.t.u., sussisteva sia

la novità intrinseca, sia quella estrinseca del modello ornamen

tale de quo, essendo diverso da tutti quegli altri posti in com

mercio e con esso confrontati;

2) la Ratti, peraltro, dopo essere stata ammessa a provare

oralmente che il modello della Citterio era stato divulgato pri ma della richiesta e/o del rilascio del brevetto, non aveva prov veduto a citare i testi all'uopo indicati ed era stata perciò di chiarata decaduta dal farli assumere;

3) l'identità tra la maniglia prodotta dalla Citterio e quella prodotta dalla Ratti risultava ictu oculi.

B) Quanto al risarcimento del danno:

1) presso la Carlot erano stati rinvenuti ben 32 cartoni di

maniglie appena fornite dalla Ratti e identiche a quelle brevet tate dalla Citterio;

Il Foro Italiano — 1995.

2) lo stesso Pietro Carlot aveva ammesso di aver acquistato dalla Ratti circa 20.000 maniglie in 4 mesi tra il 1976 e il 1978 e di averle commericalizzate anche nel 1981;

3) era verosimile che la Ratti non si fosse limitata a servire

un solo cliente (cioè la ditta Carlot); 4) era verosimile anche che l'improvviso calo delle vendite

in Italia e all'estero delle maniglie della Citterio (secondo quan to riferito dai testimoni) fosse stato determinato proprio dal

l'immissione sul mercato degli identici prodotti offerti dalla Ratti a prezzi notevolmente più bassi;

5) in base alle testimonianze acquisite era attendibile che la Citterio avesse, su ogni maniglia de qua venduta, un utile netto di lire 70 (pari al 40% del prezzo) come già ritenuto dal tribunale;

6) il fatto che il tribunale (nella motivazione addotta) avesse

indicato il prodotto della moltiplicazione di lire 70x20.000 pezzi in lire 14.000.000 anziché in lire 1.440.000 era sicuramente do vuto ad un errore materiale di scrittura puramente ostativo, che

però non aveva esercitato certamente alcuna influenza sostan ziale ai fini della determinaizone del danno (rivalutato) in lire 35.000.000, perché a tale cifra il tribunale era pervenuto con

criterio globale ed equitativo, tenendo conto non solo delle ma

niglie vendute dalla Ratti alla Carlot ma anche: — del mancato guadagno conseguente al fatto che altri clien

ti, italiani e iugoslavi, erano certamente andati perduti; — delle spese sopportate dalla Citterio per la progettazione

e il conseguimento del brevetto.

Da tale valutazione complessiva ed equitativa, — cosi come

doveva ritenersi che il tribunale l'avesse operata, — la corte

d'appello non aveva alcuna ragione di discostarsi.

Avverso la summenzionata sentenza la Ratti ricorre per cas sazione.

Resiste con controricorso la s.p.a. Citterio Giulio eccependo

preliminarmente l'inammissibilità del ricorso avverso per i se

guenti due motivi:

1) mancata indicazione delle norme di diritto che la corte mi

lanese avrebbe violato;

2) trattazione in un unico motivo delle censure che investono

due distinti capi della sentenza impugnata (e cioè: an e quantum). All'udienza del 17 maggio 1993 questa corte ordinava la inte

grazione del contraddittorio nei confronti del procuratore gene rale della Corte d'appello di Milano: adempimento che risulta

eseguito. La s.p.a. Citterio ha anche presentato memorie. Motivi della decisione. — Innanzitutto va respinta l'eccezione

di inammissibilità del ricorso prospettata dalla resistente in quanto sia la erronea od omessa indicazione degli articoli di legge che

si intendono violati sia la inclusione in uno stesso motivo di

ricorso di più censure diverse e autonome non assurgono a ra

gioni di inammissibilità del ricorso per cassazione quando —

come nella specie — nonostante tali difetti di forma, si possa

egualmente identificare in maniera intellegibile il contenuto so

stanziale delle doglianze prospettate. In tal senso la giurispru denza è costante (vedi da ultimo Cass. n. 5568 del 1982, Foro

it., Rep. 1983, voce Cassazione civile, n. 116; 3835 del 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 198 e 4101 del 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 199).

Se anche ammissibile, il ricorso è, però, infondato.

Esso si articola nelle seguenti due censure cosi riassumibili:

A) La corte milanese, innanzitutto, non avrebbe considerato

che la validità di un brevetto per modello di utilità è subordina

ta ad un grado di originalità di forme che va ben oltre la mera differenziazione formale rispetto ai prodotti preesistenti e che

implichi, invece, una innovazione stilistica ed estetica, chiara

mente percepibile dagli esperti del settore: innovazione che, nel

la specie, mancava, riducendosi l'originalità — a tutto concede

re — solo in una doppia curvatura tipica di numerosi modelli

di maniglie prodotti da sempre, e, quindi, priva di capacità in dividualizzante.

Al che conseguiva mancanza di novità sia intrinseca che

estrinseca.

B) In subordine, la sentenza della corte milanese meriterebbe

d'essere cassata per omessa e contraddittoria motivazione sulla

valutazione del danno.

Infatti, nessun altro danno la Citterio aveva provato d'aver

subito all'infuori del mancato guadagno sulle 20.000 maniglie vendute dalla Ratti alla Carlot e pari a lire 1.440.000. Di altre

vendite effettuate dalla Ratti ad altre ditte non vi era, infatti,

alcuna traccia, non essendo stata trovata neppure una maniglia

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Page 8: sezione I civile; sentenza 17 gennaio 1995, n. 484; Pres. Montanari Visco, Est. R. Sgroi, P.M. Nicita (concl. parz. diff.); Soc. Adidas Sarragan France (Avv. Biamonti, Vanzetti) c.

3531 PARTE PRIMA 3532

(prodotta dalla Ratti in contraffazione del brevetto Citterio) pres so altri commercianti diversi dalla Carlot e non potendosi dar

credito, al fine di creare presunzioni al riguardo, a testimonian

ze rese dai rappresentanti della Citterio e, peraltro, imprecise, nonché aventi ad oggetto più giudizi personali che non fatti obiettivi (come, ad es., la ragione del calo delle veidite dei pro dotti Citterio).

La corte milanese non avrebbe potuto neppure prendere in

considerazione che la Carlot avesse venduto le maniglie delle

quali qui trattasi anche dopo l'inizio dell'azione giudiziaria da parte della Citterio, in quanto tale azione era stata proposta solo nei confronti della Ratti e non anche della Carlot.

In relazione alla infondatezza di tutte le suesposte censure

si osserva che:

Sub A). Il brevetto per modelli e disegni ornamentali, della

cui protezione qui si tratta (art. 5 r.d. n. 1411 del 1940 e art.

2593 c.c.) tutela la nuova linea estetica ed ornamentale data

ad un determinato prodotto industriale in modo da renderlo

esteticamente più gradevole; invece, quello per modelli di utilità

(art. 4 r.d. n. 1411 del 1940 e art. 2592 c.c.) tutela quegli ele

menti che conferiscono particolare efficacia e comodità di ap

plicazione o di impiego a macchine utensili od oggetti d'uso. Conseguentemente, i modelli ornamentali, ai fini della brevetta

bilità, devono presentare solo il requisito della novità estrinseca

dell'oggetto rispetto agli altri di comune commercio, consisten

te in una particolare espressione figurativa, formale o cromati

ca, mentre per i modelli di utilità deve sussistere il requisito della novità intrinseca, pur se solo diretta a determinare un in

cremento di utilità o di comodità di un oggetto preesistente (ve

di, da ultimo, in tal senso Cass. n. 993 del 1987, id., Rep. 1988, voce Brevetti per invenzioni industriali, n. 41).

Stabilire se sussista o meno il pregio della maggior gradevo lezza estetica per i modelli e disegni ornamentali (ovvero il re

quisito della novità intrinseca per i modelli di utilità) è questio ne di fatto riservata al giudice di merito, le cui valutazioni, ine

vitabilmente discrezionali, sono incensurabili in sede di legittimità quando non si dimostrino inficiate da motivazione illogica o

lacunosa o contenente errori di diritto: vizi questi che nella spe cie il ricorrente non è riuscito a dimostrare.

Sub B). Il danno può essere provato con tutti i mezzi di pro va e quindi anche mediante presunzioni semplici (ai sensi degli art. 2727 e 2729 c.c.); inoltre, quando non possa essere provato nel suo preciso ammontare, può essere liquidato dal giudice con

valutazione equitativa (art. 2056 e 1226 c.c.). Sia le prime che la seconda implicano apprezzamenti discre

zionali del giudice di merito, insindacabili in sede di legittimità quando (come nella specie risulta da tutte le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata e riportate in narrativa) il

ricorrente per cassazione non evidenzi vizi specifici di illogicità, di lacunosità o errori di diritto nella motivazione da essi addotta.

Né a tal fine è consentito al predetto ricorrente limitarsi a

contrapporre una propria interpretazione dei fatti opposta o co

munque diversa rispetto a quelli datavi dai giudici di merito

senza però riuscire a provare i summenzionati vizi specifici.

Quanto poi all'ultima censura relativa alle maniglie vendute

dalla Carlot anche dopo l'inizio dell'azione giudiziaria da parte della Citterio, è appena il caso di stigmatizzarne la illogicità, trattandosi di elemento di fatto giustamente considerato dalla

corte milanese per dimostrare l'ampiezza anche sotto il profilo della durevolezza danno risentito dalla Citterio.

Il Foro Italiano — 1995.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 23 di cembre 1994, n. 11124; Pres. Girone, Est. Triola, P.M. Mac

carohe (conci, diff.); D'Ovidio (Avv. Fahaace) c. Gallanti (Aw. Menghini, Ubaldini). Cassa App. Bologna 4 giugno 1992.

Trascrizione e conservatorie dei registri immobiliari — Limiti

legali al diritto di proprietà — Atti e domande che interrom pono il corso dell'usucapione di diritti reali di godimento — Trascrivibilità (Cod. civ., art. 813, 2653).

L'art. 2653, n. 5, c.c., a norma del quale debbono essere tra

scritti gli atti e le domande che interrompono il corso dell'u

sucapione di beni immobili e che, in mancanza, rende conse

guentemente inopponibili ai terzi i predetti atti, si riferisce anche agli atti interruttivi della usucapione di diritti reali di godimento (nella specie, si trattava di una lettera che dichia

rava l'inesistenza del diritto di servitù di contenuto contrario

ai limiti legali della proprietà). (1)

Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 3 luglio 1980 Anselmo Gallanti citava davanti al Tribunale di Bologna Vincenzo D'Ovidio e Regina Patullo, chiedendo che venisse di

chiarata la inesistenza in favore dei convenuti di una servitù

che si esercitava dalla terrazza di un fabbricato di loro proprie tà sul fondo di esso attore.

I convenuti, costituitisi, deducevano che la servitù era sorta

quantomeno per usucapione ed analoga tesi sostenevano le loro

danti causa Maria Castano e Luisa Castano, chiamate in ga ranzia.

Con sentenza in data 2 settembre 1989 il tribunale accoglieva la domanda principale e rigettava quella di garanzia.

Vincenzo D'Ovidio e Regina Patullo proponevano appello prin

cipale; Maria Castano e Luisa Castano proponevano appello

incidentale, dolendosi della compensazione delle spese. Con sentenza in data 4 giugno 1992 la Corte di appello di

Bologna rigettava l'appello principale ed accoglieva quello inci

dentale.

I giudici di secondo grado ritenevano che infondatamente il

D'Ovidio e la Patullo eccepivano che l'atto interruttivo della

usucapione (costituito dal riconoscimento della inesistenza del

diritto di servitù, posto in essere con lettera in data 15 settem

bre 1960 di Attilio Castano, dante causa di Maria e Luisa Ca

stano) nei confronti del Gallanti, non era ad essi opponibile in quanto non trascritto ex art. 2653, n. 5, c.c.

L'art. 2653, n. 5, c.c., infatti, prevede la necessità della tra

scrizione solo per le domande che interrompono il corso della

usucapione relativo al diritto di proprietà e non ai diritti reali

limitati.

(1) La sentenza rovescia un orientamento orami consolidato in giuris prudenza, per il quale gli atti e le domande dirette a far valere il rispet to dei limiti legali al diritto di proprietà non erano trascrivibili ai sensi dell'art. 2653, n. 5, c.c., poiché erano dirette ad interrompere solo il corso dell'usucapione delle servitù derivanti dalla violazione dei limiti

legali, e non, come previsto tassativamente dalla legge, anche il corso

dell'usucapione del diritto di proprietà. In giurisprudenza, in senso contrario alla decisione qui riportata, cfr.

Cass. 11 agosto 1990, n. 8190, Foro it., Rep. 1990, voce Proprietà (azioni a difesa), n. 8; 22 aprile 1980, n. 2592, id., 1980, I, 1641, con nota di richiami; 4 aprile 1978, n. 1523, id., 1979, I, 780, con nota critica di G. Branca; 31 gennaio 1969, n. 290, id., 1969, I, 606, con nota critica di A. Proto Pisani.

Nella giurisprudenza di merito, invece, si levava qualche voce a favo re della trascrivibilità ai sensi dell'art. 2653 n. 5: cfr. Trib. Napoli 15

gennaio 1965, id., Rep. 1965, voce Trascrizione, n. 20; Trib. Napoli 18 settembre 1963, id., Rep. 1964, voce cit., nn. 15, 28; Trib. Venezia 7 luglio 1962, id., Rep. 1962, voce cit., n. 22, in base alla considerazio ne che la domanda di accertamento della violazione da parte del vicino delle distanze legali contiene pur sempre la volontà del titolare di op porsi alla violazione ed è quindi un atto che interrompe l'usucapione, come tale trascrivibile ex art. 2653, n. 5, c.c.

Il brusco cambiamento di rotta della Suprema corte in tema di di stanze legali della proprietà, ha origine da Cass. 10 gennaio 1994, n.

213, id., 1994, I, 1426, con nota di L. Ristori, nella quale si afferma, recependo per la prima volta le forti istanze della dottrina, l'assimilabi lità della domanda giudiziale diretta a far valere il rispetto dei limiti

legali all 'actio negatoria servitutis e, conseguentemente, la sua trascrivi bilità ai sensi dell'art. 2653, n. 1, c.c.

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