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sezione I civile; sentenza 17 gennaio 2003, n. 649; Pres. Grieco, Est. W. Celentano, P.M. Martone...

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sezione I civile; sentenza 17 gennaio 2003, n. 649; Pres. Grieco, Est. W. Celentano, P.M. Martone (concl. conf.); Soc. Sidercrom (Avv. Silvestri, Flauti) c. Fall. soc. Tlm-Tornitura lavorazione meccanica (Avv. Carroli). Conferma App. Bologna 31 marzo 2000 Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 1077/1078-1085/1086 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23198259 . Accessed: 25/06/2014 03:52 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.81 on Wed, 25 Jun 2014 03:52:51 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 17 gennaio 2003, n. 649; Pres. Grieco, Est. W. Celentano, P.M.Martone (concl. conf.); Soc. Sidercrom (Avv. Silvestri, Flauti) c. Fall. soc. Tlm-Tornituralavorazione meccanica (Avv. Carroli). Conferma App. Bologna 31 marzo 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 1077/1078-1085/1086Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198259 .

Accessed: 25/06/2014 03:52

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Umazione attiva del Diccap ricorrente e, in subordine, l'infon

datezza dello stesso. Ripristinatosi il contraddittorio, si costitui

va per resistere il Diccap-Fenal chiedendo il rigetto della propo sta opposizione.

Indi la causa è stata decisa all'udienza odierna. Motivi della decisione. — Il comune opponente, nel ribadire

il difetto di legittimazione attiva del ricorrente, lamenta l'erro

neità e contraddittorietà dell'opposto provvedimento nell'avere,

per un verso, riconosciuto che l'unico soggetto legittimato a ri

correre nella fattispecie fosse Fenal. organizzazione sindacale

territoriale autonoma per il personale delle autonomie locali e, tuttavia, per altro verso, concluso affermando la legittimazione del ricorrente Diccap, siccome, sostanzialmente, «costituito, ol

tre che in persona del vicesegretario provinciale, anche in per sona del segretario territoriale unico del settore per il personale delle autonomie locali, sig. Altamore Gaetano».

L'assunto appare fondato.

Ed invero, come accertato in seno all'opposto provvedimento e. del resto, pacifico tra le parti, il Diccap (dipartimento camere

di commercio — autonomie locali — polizia municipale) risulta

articolato in tre settori specifici, in ognuno dei quali opera

un'organizzazione sindacale territoriale dotata di autonomia di

gestione e di rappresentanza: il Fenal (per il personale delle au

tonomie locali), il Sulpm (per il personale della polizia munici

pale) e lo Snalcc (per il personale delle camere di commercio). Ciò posto, è indubbio (e del resto riconosciuto dallo stesso

impugnato provvedimento) che nella fattispecie l'unico sog

getto legittimato alla proposizione del ricorso contro il compor tamento antisindacale del comune era il Fenal, in quanto, ap

punto. organizzazione sindacale territoriale autonoma della ca

tegoria dei lavoratori direttamente interessata.

Va infatti rimarcato che, riservandosi, in forza dell'art. 28

statuto dei lavoratori, alle strutture organizzative di base alle as

sociazioni sindacali di categoria la legittimazione ad agire, deve

escludersi la legittimazione degli organismi locali delle confe

derazioni o, come nel caso di specie, del dipartimento ricorren

te, ossia a soggetti che rappresentano organizzazioni complesse formate da una pluralità di sindacati di categoria, in luogo degli

organismi locali dei singoli sindacati medesimi direttamente

interessati.

Orbene, è altrettanto indubbio che il ricorso del 30 agosto 2001 è stato proposto dal Diccap (ossia dal dipartimento), cioè

da soggetto non legittimato, ancorché (erroneamente) costituito

non solo in persona del suo legale rappresentante, ma anche in

persona del «segretario territoriale responsabile unico del setto

re per il personale delle autonomie locali, sig. Altamore Gaeta

no» ossia in persona di soggetto che (sembra) avere la rappre sentanza del (distinto) Fenal effettivamente legittimato.

L'eccezione del comune, pertanto, appare fondata e non può essere disattesa.

Va pertanto, in accoglimento della proposta opposizione, di

chiarato inammissibile il ricorso del 30 agosto 2001 per difetto

di legittimazione attiva del ricorrente.

Il Foro Italiano — 2003.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 17 gen naio 2003, n. 649; Pres. Grieco, Est. W. Celentano, P.M.

Martone (conci, conf.); Soc. Sidercrom (Avv. Silvestri,

Flauti) c. Fall. soc. Tlm-Tornitura lavorazione meccanica

(Avv. Carroli). Conferma App. Bologna 31 marzo 2000.

Fallimento — Azione revoeatoria — Delegazione attiva di

pagamento — Estinzione di debito con mezzi anormali

(R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 67).

Il pagamento eseguito inforza di delegazione attiva da un terzo debitore del fallito è assoggettabile a revoeatoria fallimenta re ai sensi dell'art. 67, 1° comma, n. 2, I. fall., come atto

estintivo di un debito eseguito con mezzi non normali. (1 )

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 16 set

tembre 2002, n. 13479; Pres. Saggio, Est. Di Amato, P.M.

Gambardella (conci, conf.); Soc. coop. Banca di credito co

operativo di Montodine (Avv. Camici) c. Fall. soc. Roderi co

struzioni. Cassa App. Milano 23 febbraio 1999.

Fallimento — Azione revoeatoria — Pagamento del terzo —

Irrevocabilità (Cod. civ., art. 1180; r.d. 16 marzo 1942 n.

267, art. 67).

Il pagamento effettuato dal terzo non fideiussore non è assog

gettabile a revoeatoria fallimentare qualora questi abbia

adempiuto l'obbligazione del debitore principale, o del fide iussore, senza utilizzare una provvista fornitagli dal fallito e

senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento, e sen

za che rilevi, in senso contrario, che il pagamento sia avve

nuto con una rimessa effettuata direttamente sul conto del

fallito. (2)

III

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 set

tembre 2002, n. 13159; Pres. Saggio, Est. Proto, P.M. Uc

cella (conci, conf.); Soc. Monte dei Paschi di Siena (Avv.

Scognamiglio) c. Fall. soc. Salvi filati (Avv. Vitiello).

Conferma App. Firenze 6 ottobre 1999.

Fallimento — Azione revoeatoria — Pagamento del terzo —

Rimessa su conto corrente — Revocabilità (Cod. civ., art.

1180; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 67).

Il pagamento effettuato dal terzo è sempre assoggettabile a re

voeatoria fallimentare qualora sia avvenuto con una rimessa

effettuata direttamente sul conto corrente del fallito. (3)

(1-3) I giudici di legittimità tornano ad occuparsi della revoeatoria fallimentare del pagamento del terzo, con tre pronunce che se, per certi

versi, confermano principi consolidati, per altri ripropongono un con trasto acceso da anni, e che richiederebbe, a questo punto, un intervento chiarificatore dell'organo deputato alla funzione di nomofilachia.

Secondo un principio generalmente condiviso, cui tutte e tre le deci sioni aderiscono, il pagamento di un debito del fallito da parte di un terzo può essere revocato solo qualora abbia comportato una lesione della par condicio creditorum, ossia quando il terzo abbia effettuato il

pagamento avvalendosi, direttamente o indirettamente, del denaro del

fallito, ovvero quando, prima del fallimento, il terzo abbia utilmente esercitato la rivalsa. In questo senso, v. Cass. 23 novembre 2001, n.

14869, Foro it.. Rep. 2001, voce Fallimento, n. 460 (solo per l'ipotesi della rivalsa); 10 luglio 1999, il. 7275, id.. Rep. 1999, voce cit.. n. 551

(che invece tratta solo il pagamento con denaro del fallito); 22 gennaio 1999, n. 570, id.. Rep. 2000, voce cit.. n. 493; 16 novembre 1998, n.

11520, id., 1999, I, 541, con nota di richiami; adde, Cass. 11 settembre

1998, n. 9018, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 509; 6 agosto 1998, n. 7695, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 583; 19 gennaio 1998, n. 458, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 516. Nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Bologna 9 gennaio 2001, Fallimento. 2002, 80; App. Genova 26 marzo 2000, Foro it.. Rep. 2001, voce cit., n. 461; Trib. Milano 17 gennaio 2000, Banca, borsa, ecc., 2002, li, 336; implicitamente, Trib. Udine 18 giu

gno 1999, Foro it., Rep. 2000, voce cit.. n. 525; 17 maggio 1999, ibid., n. 524; App. Roma 27 aprile 1999, ibid., n. 522; Trib. Catania 29 marzo

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1079 PARTE PRIMA 1080

I

Svolgimento del processo. — Con citazione del 29 gennaio 1995 la curatela del fallimento della s.r.l. Tlm (Tornitura lavo

razione meccanica) convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di

Bologna, la Sidercrom s.r.l. richiedendo che fosse dichiarato

inefficace, ai sensi dell'art. 67, 1° comma, n. 2, 1. fall., l'atto

estintivo di debito posto in essere dalla società poi fallita, per la

somma di lire 45.354.979, poi precisata in lire 43.354.979.

Dedusse la curatela che la convenuta Sidercrom aveva proce duto, ai sensi dell'art. 543 c.p.c., a pignoramento presso il terzo

s.p.a. Fiat Om carrelli elevatori del credito che nei confronti di

quest'ultima vantava la soc. Tlm; che nell'ottobre del 1992 le

parti avevano concordato che la Sidercrom abbandonasse il pro cedimento esecutivo a fronte dell'impegno della soc. Tlm di di

sporre che il terzo pignorato provvedesse al pagamento del de

bito pari a lire 43.354.979; che in data 11 novembre 1992 la Fiat

Om aveva provveduto al pagamento tacitando la creditrice Si

dercrom.

La stessa curatela sostenne che la descritta operazione estinti

va del debito della fallita fosse da ricondurre alla previsione

1999, ibid., n. 494; Trib. Taranto 3 marzo 1999, id., Rep. 2001. voce

cit., n. 410; Trib. Napoli 16 novembre 1998, id.. Rep. 2000, voce cit., 495.

La giurisprudenza riscontra, peraltro, anche due ulteriori orienta menti, nettamente minoritari.

Secondo Trib. Monza 20 novembre 2001, Fallimento, 2002, 1251

(che si pone in consapevole contrasto con l'indirizzo appena menzio

nato), il pagamento del terzo diverso dal fideiussore è sempre revoca

bile, anche qualora non vi sia stato nessun pregiudizio alla par condicio creditorum (e ciò sulla base di una concezione della revocatoria come strumento finalizzato non già a colpire gli atti pregiudizievoli ai credi

tori, ma ad «indurre il soggetto in relazione col debitore a rifiutare

qualunque vantaggio relativo al suo rapporto con lo stesso»). In un obiter dictum di Cass. 2 luglio 1998, n. 6474. Foro it.. Rep.

1998, voce cit., n. 495, inoltre, trattando incidentalmente l'argomento, la corte afferma che «le numerose decisioni al riguardo non si danno

per altro carico di spiegare la ragione per cui il pagamento eseguito dal terzo sia soggetto a revocatoria, e non quello (più prossimo ovviamente alla dichiarazione del fallimento e dunque maggiormente sospetto, dal

quale direttamente — e soltanto — deriva il depauperamento del patri monio del debitore) dal terzo stesso ottenuto in via di rivalsa dal debi tore insolvente», con ciò mostrando, dunque, di reputare pregiudizie vole (e perciò revocabile) la rivalsa, anziché il pagamento del terzo; in

proposito, v. anche, ma in tempi più risalenti, Cass. 3 aprile 1978, n.

1506, id.. Rep. 1978, voce cit.. n. 287, che ha revocato la rivalsa, rite nendo peraltro ammissibile, in via alternativa, e senza possibilità di du

plicazioni. anche la revoca del pagamento del terzo. Circa le problematiche di dettaglio affrontate nelle sentenze in epi

grafe. fra i casi in cui la revocatoria è generalmente ammessa v'è quello di cui alla prima massima, ossia l'estinzione dell'obbligazione da parte di un terzo delegato al pagamento, a sua volta debitore dell'insolvente

(si tratta di un pagamento effettuato con denaro [di spettanza] del falli to); in tal caso, secondo l'orientamento dominante si è in presenza di un mezzo non normale di adempimento: v. Cass. 27 giugno 1994, n. 6149, id., Rep. 1994, voce cit.. n. 468; 9 dicembre 1980, n. 6358. id.. Rep. 1980, voce cit., n. 308; 17 luglio 1980, n. 4745, ibid., n. 309; 26 giugno 1976, n. 2402, id.. Rep. 1976, voce cit., n. 216; 7 maggio 1975, n. 1763, id., Rep. 1975, voce cit.. n. 359; 14 febbraio 1974, n. 424, id., 1974, I, 1379, con nota di richiami; fra i giudici di merito, v. App. Mi lano 14 giugno 1996, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 37; App. Perugia 19

aprile 1994, id.. Rep. 1995, voce cit.. n. 418; Trib. Torino 19 maggio 1992, Fallimento, 1992. 1079 (m). In senso contrario, tuttavia, v. Trib. Roma 19 novembre 1979, Foro it., Rep. 1980, voce cit.. n. 316, che

qualifica la delegazione attiva, a differenza di quella passiva, come pa gamento «normale».

La seconda e la terza massima, invece, ripropongono un contrasto

giurisprudenziale acceso ormai da anni in ordine alle sorti del paga mento eseguito dal terzo con una rimessa sul conto corrente scoperto del debitore insolvente.

Secondo Cass. 13479/02, la circostanza non dovrebbe avere alcun ri lievo, una volta che sia accertata l'estraneità al patrimonio del fallito

dell'importo utilizzato per il pagamento; e in tal modo la corte segue le tracce, da ultimo, di Cass. 22 gennaio 1999, n. 570. cit.; 6 agosto 1998. n. 7695, cit.; nonché, fra i giudici di merito, Trib. Milano 17 gennaio 2000, cit.

Ad avviso di Cass. 13159/02, invece, in tal caso fra il terzo e la ban ca si frapporrebbe il «filtro» del rapporto di conto corrente, in modo da ricondurre il pagamento al fallito, e renderlo revocabile; in senso con forme, v. Cass. 23 novembre 2001, n. 14869, cit. (ma va dato atto che la motivazione non è chiara, e a tutto concedere il principio può essere

Il Foro Italiano — 2003.

dell'art. 67, 1° comma, n. 2, e ne richiese la revoca come paga mento di debito caduto eseguito con mezzo non normale.

In contraddittorio della convenuta, che contrastò la domanda

eccependo la legittimità dell'adempimento in quanto effettuato

tramite un terzo mandatario ai sensi dell'art. 1180 c.c., il tribu

nale accolse la domanda (sentenza del 27 maggio 1998). La corte territoriale, con sentenza emessa il 31 marzo 2000,

rigettò il gravame della soc. Sidercrom, confermando la dichia

razione di inefficacia del pagamento in questione. Considerò la corte, con tali ragioni giudicando infondato il

primo motivo di gravame, che, nel caso di specie, l'anormalità

del pagamento, e quindi la revocabilità dell'atto solutorio, deri

vava da ciò che l'estinzione del debito del delegante (la fallita

soc. Tlm) verso il delegatario (la soc. Sidercrom), eseguita dal

delegato (la soc. Fiat Om) si configurava come l'effetto di un

negozio soggettivamente ed oggettivamente diverso da quello

originario sulla base del quale il pagamento era dovuto —

esclusa l'applicabilità dei principi in tema di adempimento ad

opera del terzo (art. 1180 c.c.) per difetto della spontaneità del

l'adempimento stesso, ritenibile sulla base della missiva datata

5 novembre 1992 con la quale la Fiat Om aveva comunicato alla

individuato implicitamente); 16 novembre 1998, n. 11520, cit.. alla cui nota si rinvia anche per gli ulteriori precedenti di senso opposto; nella

giurisprudenza di merito, v. App. Genova 26 marzo 2000. cit. La seconda pronuncia affronta poi anche un'altra questione, e cioè se

sia o non sia necessario, per escludere la revocabilità, che il terzo abbia

eseguito il pagamento in adempimento di una propria obbligazione di

garanzia nei confronti del creditore. La decisione (nella specie, il solvens era la sorella del fideiussore),

aderisce all'opinione meno restrittiva, che negli ultimi anni sembra es sere prevalsa rispetto all'altra; in questo senso, v. Cass. 22 gennaio 1999, n. 570. cit.; nonché, implicitamente. 16 novembre 1998. n.

11520, cit.; e, nella giurisprudenza di merito, più o meno esplicitamen te. Trib. Bologna 9 gennaio 2001, cit.; Trib. Milano 17 gennaio 2000, cit.; Trib. Udine 18 giugno 1999. cit.; 17 maggio 1999, cit.; Trib. Na

poli 16 novembre 1998, cit. Contra, tuttavia, v. Cass. 11 settembre

1998, n. 9018, cit., che oltre all'esistenza dell'obbligazione di garanzia ne richiede la data certa ex art. 2704 c.c. (ma sotto questo aspetto, in

senso contrario, v. Cass. 19 gennaio 1998, n. 458, cit.); nonché 13 mar zo 1997, n. 2256, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 496, e 29 novembre 1985, n. 5956. id., 1986. 1, 451, in entrambi i casi con la precisazione della necessità della data certa; fra i giudici di merito, conformemente, v. Trib. Genova 27 febbraio 1991, id., Rep. 1991, voce cit.. n. 401.

Quanto alla dottrina, nel panorama successivo ai riferimenti conte nuti nella nota a Cass. 16 novembre 1998, n. 11520, cit., in tendenziale adesione all'orientamento maggioritario sulla sorta del pagamento del

terzo, v. Ceccherini, in Fallimento, 2002, 1256, che critica la decisione cui accede; Fonnesu, Condizioni per l'azione revocatoria e ripartizione dell'onere probatorio, ibid., 83; Gramaolia, Le rimesse in conto cor

rente, aventi natura solutoria, sono davvero sempre revocabili se pro vengono dal terzo?, id., 2001, 430, critico rispetto alla tesi della revo cabilità del pagamento del terzo tramite accredito sul conto corrente

scoperto del fallito; Leocata, L'oggetto della revocatoria fallimentare nei pagamenti del terzo, in Dir. fallim., 2002. I. 797; Nisivoccia. Brevi note in tema di revocatoria fallimentare delle rimesse del terzo sul conto corrente de! fallito, in Giur. comm.. 1999, II, 240. che condivide la tesi espressa da Cass. 11520/98.

Assai più nutrita rispetto all'orientamento giurisprudenziale è poi la schiera di coloro che sostengono la revocabilità della rivalsa; in tal sen

so, v. De Marchi, Fallimento del debitore e pagamenti eseguiti dal ter

zo, in Banca, borsa, ecc., 1965, I, 416; Peschiera, Revocatoria del pa gamento de! terzo, in Dir. fallim., 2000, I, 1323, che precisa, però, che se la rivalsa è eseguita tramite una compensazione la revoca va diretta verso il pagamento; Rescio, Fallimento del finanziato delegante e revo ca del pagamento del terzo, in Banca, borsa, ecc., 1985, II, 244; Gio. Tarzia. Considerazioni sulla revoca fallimentare del pagamento del

terzo, in Fallimento, 1999, 562, che critica anche la revocabilità dei versamenti del terzo sul conto scoperto del fallito; Terenghi. Revocabi lità del pagamento del terzo, id., 2000, 66, nello stesso senso dell'auto re citato da ultimo; Trentini, Revocabilità del pagamento del terzo, id., 2002, 851, anch'egli in tal senso; Vassalli, «Delegatio so/vendi».

Adempimento di terzo e revocatoria fallimentare, in Riv. dir. comm..

1967, II, 105. Sulla revocabilità del pagamento eseguito tramite delegazione, inve

ce, v. Portale, Delegazione allo «scoperto» e revocatoria fallimentare, in Giust. civ., 1984. II. 451; P. Rescigno, Delegazione di pagamento e

fallimento del delegante, in Giur. it., 1985, IV, 369; Rescio, Ancora sulla delegazione di pagamento: struttura e trattamento fallimentare, in Banca, borsa, ecc., 1987, II, 280; Id., Fallimento del finanziato dele

gante e revoca del pagamento del terzo, cit.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

soc. Tim che avrebbe dato corso alla delegazione di pagamento. L'infondatezza dell'altro, secondo motivo di gravame, con il

quale l'appellante soc. Sidercrom aveva dedotto la violazione

degli art. 113 e 115 c.p.c., 1326 e 2697 c.c., fu ritenuta dalla

corte sulla base delle seguenti considerazioni: a) la proposta, avanzata dalla stessa Sidercrom con la missiva 19 ottobre 1992, di rinuncia al procedimento esecutivo qualora la sua debitrice

soc. Tlm avesse ordinato alla Fiat Om di far luogo al pagamento della somma di lire 43.354.979 in favore di essa Sidercrom. era

stata accettata dalla debitrice Tlm la quale aveva conseguente mente autorizzato la Fiat Om a dar corso al pagamento; la stessa

Fiat Om con la sua missiva del 5 novembre 1992, aveva comu

nicato di voler dar corso al pagamento in favore della Sider

crom, solo richiedendo che «nel frattempo non pervenissero atti

di pignoramento o di sequestro» — da ciò traendosi la prova che

la Fiat Om, eseguendo il pagamento delegato, intendeva proprio

estinguere quel debito per il quale era stato ad essa notificato

l'atto di pignoramento presso terzi; b) l'ulteriore deduzione del

l'appellante «che mancava la prova documentale dell'accetta

zione, da parte della Tlm, della proposta formulata da essa Si

dercrom» era smentita dalla stessa documentazione in atti, dalla

quale si deduceva il contrario; c) quanto alla supposta — de

dotta pure dall'appellante — mancanza di prova dell'esatto

adempimento, da parte della debitrice, di tutte le obbligazioni

previste nella proposta di essa Sidercrom, inviata alla Tlm con

la missiva del 19 ottobre 1992, la questione difettava di ogni ri

levanza. con riferimento all'oggetto del giudizio, per il quale assumeva rilievo il solo fatto che, attraverso il rapporto posto in

essere, le parti avevano voluto raggiungere, e in effetti realiz

zato, l'estinzione dell'obbligazione pecuniaria della Tlm.

Avverso tale sentenza la soc. Sidercrom a r.l. ha proposto ri

corso per cassazione.

Resiste con controricorso la curatela del fallimento s.r.l. Tlm.

Motivi della decisione. — La società ricorrente ha formulato

quattro motivi di ricorso denunciando:

1) la violazione e l'erronea applicazione degli art. 1 13 e 115

c.p.c., 1326 e 1967 c.c., nonché l'omessa, o insufficiente, moti

vazione sul punto della ritenuta «anormalità» del pagamento per avere la corte di merito «desunto l'atto solutorio come effetto di

un negozio soggettivamente ed oggettivamente diverso da

quello originario, sulla base della sola lettera di essa Sidercrom

datata 19 ottobre 1992 e in difetto di prova circa l'intervenuta

accettazione da parte della Tlm della proposta contenuta nella

suddetta comunicazione»;

2) la violazione e falsa applicazione ancora degli art. 113, 115 e 116 c.p.c. e degli art. 1326 e 1327 c.c. nonché la mancan

za o l'insufficienza della motivazione per aver la corte «erro

neamente ritenuto irrilevante la prova dell'esatto adempimento, da parte della società debitrice, di tutte le obbligazioni previste nella proposta di essa Sidercrom indirizzata alla Tlm con la mis

siva del 19 ottobre 1992»;

3) la violazione e l'erronea applicazione degli art. 1180 e

1269 c.c.. nonché dell'art. 67, 1° comma, n. 2, 1. fall, per aver la

corte di merito ritenuto come «anormale» il pagamento effet

tuato dalla debitrice a mezzo del delegato soc. Fiat Om. doven

do invece ritenersi sottratto alla revocatoria ex art. 67 1. fall, il

pagamento eseguito dal debitore a mezzo del delegato che rap

presenta un pagamento diretto fatto dal debitore medesimo al

suo creditore;

4) la violazione ed erronea applicazione degli art. 113 e 115

c.p.c.. 2697 c.c. e 67 1. fall., nonché omessa motivazione per aver la corte suddetta ritenuto revocabile il pagamento benché

mancasse la prova, non data dalla curatela attrice, che il paga mento era stato eseguito dalla società delegata con denaro della

delegante. Tutti i suddetti motivi, unitariamente considerati, sono da ri

tenersi privi di fondamento.

Sulla base delle risultanze documentali acquisite al giudizio, la lettura e l'interpretazione delle quali non è censurabile in se

de di legittimità, non ravvisandosi nella sentenza ora impugnata né l'inadeguatezza della motivazione né l'esistenza di errori lo

gici o giuridici, i giudici di merito, segnatamente la corte di ap

pello, hanno ricostruito la fattispecie nel senso che, essendo la

soc. Tlm, poi fallita, debitrice della soc. Sidercrom e al tempo stesso creditrice della soc. Fiat Om, dopo il pignoramento ex

art. 543 c.p.c. eseguito dalla Sidercrom del credito vantato dalla

Tlm nei confronti della Fiat Om, la società debitrice, accoglien

ti. Foro Italiano — 2003.

do la proposta-sollecitazione della stessa Sidercrom (missiva 19

ottobre 1992), aveva delegato la Fiat Om al pagamento della

somma di lire 43.354.979 in favore della creditrice, delegazione che era stata eseguita dalla Fiat Om dopo la sua missiva del 5

novembre 1992 (v. a pag. 10 della motivazione: «la Fiat Om

provvide ...»). L'aver detta corte ritenuto che in tale fattispecie concreta —

esclusa l'ipotesi di cui all'art. 1180 c.c. per l'evidente difetto di

spontaneità del pagamento eseguito dal terzo — era stato posto in essere un diverso negozio giuridico nell'ambito del quale il

pagamento in favore della creditrice soc. Sidercrom era stato

eseguito a mezzo di una delegazione di pagamento, dunque at

traverso un mezzo non normale, donde la revocabilità del pa

gamento stesso ex art. 67. 1° comma, n. 2, 1. fall., è conclusione

del tutto corretta sotto il profilo giuridico. La fattispecie, così come la ricorrente stessa l'ha dedotta nei

suoi elementi fattuali, e nei termini in cui i giudici di merito

l'hanno ricostruita nella sua configurazione negoziale, risponde alla figura della delegazione c.d. attiva la quale ricorre allorché

il delegante è creditore del delegato e il conferimento dell'inca

rico delegatorio viene a configurarsi come un modo di utilizza

zione indiretta del credito che il delegante ha verso il delegato; il delegato, ossia, utilizza il proprio credito verso il delegato per liberarsi del suo debito verso il delegatario, così che la presta zione del delegato estinguerà sia l'obbligazione del delegante verso il delegatario (rapporto di valuta) sia l'obbligazione del

delegato verso il delegante (rapporto di provvista). Trattasi di

una figura giuridica, non prevista espressamente dalle norme del

codice civile, e tuttavia assai comune nella pratica dei negozi come anche alla elaborazione giurisprudenziale; v., infatti, la

pronuncia di questa corte n. 1336 del 1962 (Foro it., 1962, I,

1271) nei termini seguenti: «per il principio dell'autonomia

contrattuale, le parti possono porre in essere la delegazione atti

va di credito, che non è disciplinata dal codice civile, la quale, al pari della delegazione passiva, richiede l'iniziativa del dele

gante ed il concorso di tre dichiarazioni di volontà tra di loro

interdipendenti, in quanto ciascuna è efficace se è efficace cia

scuna delle altre».

Il carattere «non normale», nel senso voluto dall'art. 67, 1°

comma, n. 2, 1. fall., del pagamento eseguito a mezzo della de

legazione è costantemente affermato da questa corte: v. le sen

tenze n. 6149 del 1994, id., Rep. 1995, voce Fallimento, n. 417; n. 2402 del 1976, id.. Rep. 1976, voce cit., n. 216 («al fine del

l'esperibilità dell'azione revocatoria prevista dall'art. 67, 1°

comma, n. 2, 1. fall., mezzi normali di pagamento, diversi dal

denaro, sono soltanto quelli comunemente accettati nella pratica commerciale in sostituzione del denaro, come gli assegni circo

lari e bancari ed i vaglia cambiari. Pertanto, ai sensi della sud

detta disposizione di legge, va affermata la revocabilità, quale mezzo anormale di pagamento idonea a ledere la par condicio

creditorum, di una delegazione che il debitore abbia posto in es

sere allo scopo di estinguere la preesistente obbligazione pecu niaria, già scaduta ed esigibile»); n. 4745 del 1980, id., Rep. 1980. voce cit., n. 309 («ai fini della revocatoria fallimentare, tanto la cessione di credito quanto la delegazione di pagamento non integrano mezzi normali di estinzione del debito pecuniario scaduto ed esigibile»); n. 6358 del 1980, ibid., n. 308.

Il ricorso va dunque rigettato.

II

Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Lodi, con sen

tenza dell'8 luglio 1997, accoglieva la domanda con la quale il

curatore del fallimento della s.r.l. Roderi costruzioni aveva

chiesto la revoca, ai sensi dell'art. 67, 2° comma, I. fall., del

versamento di lire 51.316.480, che risultava essere stato effet

tuato, nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, sul

conto corrente intrattenuto dalla fallita con la Cassa rurale e ar

tigiana di Montodine soc. coop, a r.l.; in particolare, il tribunale

disattendeva, per quanto qui ancora interessa, l'eccezione con

cui la cassa convenuta aveva sostenuto la non revocabilità del

versamento in quanto eseguito da un terzo, e precisamente da

Pierina Roderi, sorella del fideiussore Arturo Roderi, la quale aveva inteso liberare quest'ultimo dalla garanzia fideiussoria e

non aveva chiesto né ottenuto nulla in restituzione dalla società

Roderi prima della dichiarazione di fallimento.

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1083 PARTE PRIMA 1084

Il tribunale fondava la decisione sul rilievo che l'assunto

della cassa, in ordine alla provenienza del pagamento, non ri

sultava provato poiché il versamento era stato effettuato con una

operazione di giroconto dalla Roderi a favore della impresa poi fallita, la quale, a sua volta, aveva utilizzato la somma per rien

trare dallo scoperto del conto, eseguendo così un pagamento di

retto a favore della banca.

Avverso detta sentenza la Banca di credito cooperativo di

Montodine soc. coop, a r.l., già Cassa rurale e artigiana di

Montodine soc. coop, a r.l., proponeva gravame che la Corte di

appello di Milano rigettava con sentenza del 19 novembre 1998,

osservando, per quanto qui ancora interessa, che il terzo, me

diante una operazione di giroconto, aveva effettuato il versa

mento della somma di lire 51.316.480 sul conto della società

Roderi; pertanto, la somma era affluita nel patrimonio e nella

disponibilità della società, che se ne era avvalsa per estinguere la propria esposizione debitoria verso la banca, con la conse

guenza che il pagamento era direttamente riferibile alla fallita e

non al terzo.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la

Banca di credito cooperativo di Montodine soc. coop, a r.l., de

ducendo un motivo. Il fallimento intimato non ha svolto attività

difensiva.

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo dedotto la ban

ca ricorrente lamenta la violazione dell'art. 67, 2° comma, 1.

fall., degli art. 1180, 1° comma, 1243, 1852 e 2697 c.c. nonché

il vizio di motivazione. In particolare, la ricorrente deduce che.

poiché la somma, come affermato nella stessa sentenza impu

gnata, era stata versata da un terzo su un conto corrente non af

fidato, scoperto e sul quale la correntista non aveva potuto più

operare, la stessa correntista non aveva acquisito la disponibilità della somma ed il versamento sul conto, mediante operazione di

giroconto, era stato soltanto una modalità con la quale il terzo

aveva effettuato il pagamento. Sul punto della revocabilità delle rimesse eseguite da un ter

zo, la giurisprudenza di questa corte ha più volte affermato che.

qualora l'eventuale scoperto di conto corrente del debitore poi fallito sia stato, anche in parte, ripianato, nel c.d. «periodo so

spetto», per effetto di versamenti provenienti da un terzo, l'a

zione di cui all'art. 67 1. fall, resta preclusa se detti versamenti

si configurano come adempimento di un'obbligazione di garan zia gravante sul terzo nei confronti della banca creditrice, non

essendo, in tal caso, il pagamento legittimamente riferibile al

correntista fallito, con conseguente mancanza di qualsivoglia danno alla massa e di qualsivoglia lesione del principio concor

suale della par condicio (Cass. 22 gennaio 1999, n. 570, Foro

it., Rep. 2000, voce Fallimento, n.^493; 11 settembre 1998. n.

9018, id., Rep. 1998, voce cit., n. 509; 6 agosto 1998, n. 7695,

id., Rep. 1999, voce cit., n. 583; 19 gennaio 1998, n. 458, id..

Rep. 1998, voce cit., n. 516; 13 marzo 1997, n. 2256, ibid., n.

496; 29 novembre 1985, n. 5956, id., 1986,1, 451). In particola re, si è affermato che l'autonomia contrattuale consente che il

fideiussore di uno scoperto di conto corrente bancario estingua il proprio debito in modo indiretto, ossia mediante accredita

mento della somma sul conto perché la banca se ne giovi, anzi

ché in modo diretto, ossia mediante versamento alla banca

(Cass. 7695/98, cit.). La circostanza che il terzo abbia effettuato

il versamento sul conto del debitore consente di desumere, per ciò solo, che sia stato quest'ultimo ad operarlo. «Trattasi in

realtà di una semplice modalità di pagamento che non muta né

la provenienza del denaro dal terzo né il destinatario, che rima

ne pur sempre la banca in virtù del rapporto obbligatorio perso nale insorto con la fideiussione (art. 1936 c.c.) e della indispo nibilità del conto da parte della società» (Cass. 570/99, cit.).

In contrasto con tale orientamento si pone altra decisione di

questa corte, secondo cui, nell'ipotesi in cui il terzo abbia com

piuto un versamento sul conto corrente dell'imprenditore, que st'ultimo acquista la titolarità della rimessa, con conseguente

assoggettabilità dei versamenti alla regola per la quale la revo

cabilità è condizionata alla funzione solutoria e non meramente

ripristinatoria della provvista nei confronti della banca (Cass. 16

novembre 1998, n. 11520, id., 1999,1, 541). In tal caso, secondo

la ricordata decisione, nell'operazione si inserirebbe «il dia

framma del rapporto di conto corrente, nel quale il versamento

del terzo viene attratto, venendo — per effetto di quello

— a co

stituire non altro che una variazione quantitativa del conto, una

posta attiva, cioè del correntista, nella cui titolarità l'importo

Il Foro Italiano — 2003.

accreditato viene quindi a confluire». Tale argomento, tuttavia,

non convince ed il collegio ritiene di dover seguire e precisare l'orientamento prevalente.

Infatti, quando il credito della banca è esigibile, la rimessa ef

fettuata da un terzo sul conto corrente del debitore poi fallito è.

ai fini della revocatoria fallimentare, un atto neutro, come è di

mostrato dal fatto che la rimessa può trovare giustificazione tanto nell'adempimento di una obbligazione nei confronti del

correntista o in un atto di liberalità nei suoi confronti quanto

nell'adempimento di una propria obbligazione, se chi effettua la

rimessa ha garantito l'esposizione del correntista, quanto ancora

nell'adempimento di terzo dell'obbligazione del correntista. In

altre parole, i meccanismi del conto corrente possono essere

utilizzati da terzo, in accordo (con il) e su indicazione del cre

ditore, per estinguere l'obbligazione del correntista e conse

guentemente, ove sussistente, anche la propria obbligazione di

garanzia ovvero possono essere utilizzati per estinguere la pro

pria obbligazione e, conseguentemente, quella del correntista. Il

nostro ordinamento non conosce atti la cui causa sia quella del

mero trasferimento e, quindi, la rimessa non può essere valutata

indipendentemente dalle ragioni che hanno determinato il terzo

ad effettuarla. In contrario, non si può utilmente obiettare che,

comunque, il versamento di denaro, in quanto bene fungibile, è

di per sé sufficiente a farne acquistare la disponibilità al corren

tista, riconducendo ad una posta attiva del suo conto la corri

spondente riduzione del credito della banca. La disponibilità, in

questo caso, è meramente contabile e non ha alcuna autonomia

rispetto all'estinzione del debito del correntista. Il che significa, da un lato, che il diaframma ipotizzato dalla ricordata sentenza

11520/98 è soltanto apparente poiché non comporta in nessun

momento la disponibilità materiale o giuridica della somma da

parte del correntista; e significa ancora che il simulacro di tale

diaframma è solo un aspetto della modalità prescelta per l'estin

zione del debito. La natura solutoria della rimessa e la sua rife

ribilità al terzo non vengono meno, quindi, per il fatto che l'e

stinzione del debito sia raggiunta indirettamente, operando con

sapevolmente (come richiesto dall'art. 1180 c.c.) con il mecca

nismo di compensazione delle poste attive e passive del conto

corrente. Infine, non si può dimenticare che la fattispecie deve

essere valutata in relazione alle condizioni previste dalla legge

per la revoca dei pagamenti ed in tale prospettiva è evidente

l'assenza di una qualsiasi lesione della par condicio creditorum,

quando il credito della banca è soddisfatto da una rimessa del

terzo in alcun modo collegabile con il patrimonio del debitore.

La corte di merito ha, quindi, errato nell'attribuire decisivo

rilievo al solo fatto del versamento sul conto della società poi fallita, assumendo che per effetto di tale versamento la «somma

è affluita quindi nel patrimonio della società ed è entrata nella

disponibilità di questa». La sentenza impugnata deve essere, quindi cassata con rinvio,

anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione

della Corte di appello di Milano la quale si uniformerà al se

guente principio di diritto: «le rimesse effettuate dal terzo non

fideiussore sul conto corrente dell'imprenditore, poi fallito, non

sono revocabili ai sensi dell'art. 67. 2° comma, 1. fall, quando risulti che, attraverso la rimessa, il terzo non ha posto la somma

nella disponibilità giuridica e materiale del debitore, ma, senza

utilizzare una provvista dello stesso debitore e senza rivalersi

nei suoi confronti prima del fallimento, ha adempiuto in qualità di terzo l'obbligazione del debitore principale o quella dell'e

ventuale fideiussore».

Ili

Svolgimento del processo. — 1. - Con sentenza in data 8 giu

gno 1987 il Tribunale di Prato dichiarò il fallimento della s.a.s.

Salvi filati di Salvi Francesco & C. Con atto notificato il 25

marzo 1988 il curatore del fallimento convenne davanti al Tri

bunale di Prato la Cassa di risparmi e depositi di Prato, soste

nendo che sul conto della società risultavano rimesse per lire

325.450.000 nel periodo 31 dicembre 1986 febbraio 1987. E,

poiché da epoca anche antecedente all'apertura della procedura la società si trovava in stato di insolvenza, concluse chiedendo

la declaratoria di inefficacia delle rimesse.

La banca convenuta si costituì, deducendo che il conto sul

quale erano affluite le rimesse era affidato fino al limite di 100

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

milioni, per cui esse avevano avuto la funzione di ricostituire le

disponibilità necessarie.

2. - Con sentenza 15 maggio 1990 il tribunale, espletata con

sulenza tecnica, stabilì che parte delle somme versate sul conto

nel periodo considerato aveva avuto la funzione di ripristinare le

normali disponibilità, mentre altra parte, pari a lire 251.291.637, aveva natura solutoria e doveva, quindi, essere revocata.

La Banca Monte dei Paschi di Siena (subentrata alla Cassa di

risparmi e depositi di Prato) impugnò la pronuncia davanti alla

Corte d'appello di Firenze, allegando la sopravvenuta disponi bilità di nuove prove sull'avvenuto versamento delle rimesse ad

opera di tre fideiubenti della società. 11 curatore replicò che le

fideiubenti erano le due sorelle e, rispettivamente, la nonna del

legale rappresentante della società fallita: le prime, operaie di

una filatura, con modesti redditi da lavoro; la terza, ottantenne,

priva di proventi. Onde non realistica si palesava la versione se

condo cui le tre donne avrebbero versato somme proprie e non

della stessa società garantita. 3. - Assunte prove testimoniali ed espletata c.t.u.. la corte

d'appello, con sentenza n. 1265 del 6 ottobre 1999, corretta con

ordinanza (del 14 gennaio 2000) depositata il 25 gennaio 2000, confermò la decisione di primo grado, osservando:

— che la tesi della curatela, secondo cui le fideiubenti non

erano in condizione di effettuare con denaro proprio i versa

menti in favore della società in accomandita, aveva trovato con

forto nell'espletata c.t.u. e nella prova testimoniale; — che, tuttavia, restava indifferente l'accertamento relativo

alle persone che avevano eseguito i versamenti ed alle relative

cause, rilevando il fatto del versamento in favore del creditore,

consapevole dello stato di insolvenza della società, di somme

destinate ad estinguere un debito liquido ed esigibile. 4. - Avverso questa sentenza la Banca Monte dei Paschi di

Siena s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione in base ad un

unico motivo. Ha resistito con controricorso il fallimento. Le

parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione. — 1. - La corte d'appello — muoven

do dalla premessa, non più oggetto di discussione tra le parti, che, da un lato, i versamenti per lire 251.291.637 nel conto cor

rente del fallito erano avvenuti in una situazione di «conto sco

perto», ed erano perciò assoggettabili a revocatoria secondo l'o

rientamento consolidato di questa corte, e che, dall'altro, la

banca era consapevole dello stato di insolvenza del debitore —

ha stabilito, sulla base della consulenza tecnica di ufficio e della

prova testimoniale, che i versamenti nel conto corrente della

s.a.s. Salvi Filati erano stati effettuati con denaro della stessa

società fallita, non essendo le tre fideiubenti (le due sorelle e la

nonna del legale rappresentante della s.a.s.) nella condizione di

effettuare «pagamenti» di ingente importo con denaro proprio. 2. - Con l'unico motivo del ricorso, denunciando la violazio

ne e la falsa applicazione dell'art. 67, 2° comma, 1. fall., e degli art. 2697. 1° comma, e 2729, 1° comma, c.c., nonché vizi di

motivazione, la ricorrente deduce che incombeva al curatore

l'onere di provare la provenienza dal patrimonio del fallito del

denaro utilizzato dai terzi per soddisfare il creditore dell'im

prenditore, e che questa prova non sarebbe stata raggiunta per ché ricavata dalla presunzione di impotenza finanziaria delle fi

deiubenti, a sua volta presunta (praesumptum de praesumpto). 3. - La censura non ha pregio perché essa non coglie il punto

decisivo della controversia, posto che nella fattispecie l'effetto

solutorio si sarebbe realizzato anche indipendentemente dal

l'apprezzamento fattuale espresso dal giudice del merito in base

al diretto esame delle risultanze processuali. Infatti, il principio (invocato dalla ricorrente) secondo cui

l'atto del terzo che paghi nel periodo sospetto il debito del sog

getto insolvente, ai fini dell'azione revocatoria, rileva soltanto

in quanto esso incida effettivamente nel patrimonio del fallito,

depauperandolo, in violazione delle regole della par condicio

creditorum (sia che il terzo abbia eseguito il pagamento con da

naro del fallito: Cass. 22 gennaio 1999, n. 570, Foro it., Rep. 2000. voce Fallimento, n. 493; 24 marzo 1994, n. 2899, id.,

Rep. 1994, voce cit., n. 441; sia che il terzo, dopo aver pagato, si sia rivalso verso il fallito prima della dichiarazione di falli

mento: Cass. 22 marzo 1991, n. 3110, id., 1992,1, 153, e 23 no

vembre 2001, n. 14869, id., Rep. 2001, voce cit., n. 460), non

trova applicazione nella diversa ipotesi (che è quella di specie) di versamenti effettuati dal terzo sul conto corrente del debitore.

In tal caso, infatti, nell'operazione si inserisce — come questa

Il Foro Italiano — 2003.

corte ha già precisato con la sentenza 16 novembre 1998, n.

11520 (id., 1999, I, 541) — il diaframma del rapporto di conto

corrente, nel quale il versamento del terzo è attratto, venendo,

per effetto di quello, a costituire una variazione quantitativa del

conto; e cioè una posta attiva del correntista, nella cui titolarità

confluisce l'importo accreditato, perché gli accrediti che la ban

ca compie sul conto corrente del debitore si inseriscono (salvo

patto contrario) nell'ambito dell'unitario rapporto di conto cor

rente, derivino le relative operazioni da un fatto proprio del fal

lito o da un fatto del terzo (cfr. Cass. 23 aprile 1987, n. 3919,

id., Rep. 1987. voce cit., n. 340). E ciò comporta che le rimesse del terzo sul conto corrente

dell'imprenditore sono equiparabili, ai fini della revocatoria, alle rimesse e ai versamenti del correntista.

4. - Alla stregua di tali considerazioni il ricorso, pertanto, non

può essere accolto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 15

gennaio 2003, n. 483; Pres. Duva, Est. M. Finocchiaro, P.M.

Ceniccola (conci, conf.); Soc. Agergest (Avv. Paoletti,

Bendinelli) c. Monticelli e altro; Monticelli e altro (Avv.

Giove, Fugazzola) c. Soc. Agergest. Cassa App. Brescia 7

aprile 2001 e decide nel merito.

Contratti agrari — Affitto di fondo rustico a coltivatore di

retto — Miglioramenti — Indennizzabilità — Prescrizione -— Limiti (Cod. civ., art. 1651, 2946; 1. 11 febbraio 1971 n. 11, nuova disciplina dell'affitto di fondi rustici, art. 11, 14,

15; 1. 3 maggio 1982 n. 203, norme sui contratti agrari, art.

16, 17).

I miglioramenti eseguiti prima dell'entrata in vigore della I.

11/71 sono indennizzabili alternativamente o secondo le di

sposizioni di cui alla detta legge qualora previsti nel con

tratto ed autorizzati dalle parti, o inforza dell'art. 1651 c.c.

ove eseguiti senza l'autorizzazione del concedente; in tale ul

timo caso la disciplina applicabile è solo quella dell'art.

1651 c.c. e. pertanto, il diritto all'indennizzo è soggetto alla

prescrizione decennale decorrente dalla fine dell'annata

agraria in cui i miglioramenti stessi sono stati eseguiti, con

siderato che da tale data il diritto può essere fatto valere nei

confronti del concedente. (1) / miglioramenti eseguiti dall'affittuario coltivatore diretto

dopo la I. 11/71 non sono indennizzabili, ove non sia stata

espletata la procedura di autorizzazione di cui agli art. Ile

14 detta l. 11/71 ed all'art. 16 l. 203/82, né sono indennizza

bili ai sensi dell'art. 1651 c.c., atteso che tale disposizione,

abrogata dall'art. 29 l. 11/71, non ha ripreso vigore per ef

fetto delta dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 14

detta l. 11/71. (2)

(1-2) Il «diritto vivente» della Corte di cassazione e la non in dennizzabilità dei miglioramenti agrari.

1. - La corte del merito aveva accertato che i miglioramenti vantati

dall'affittuario erano stati eseguiti senza il consenso del proprietario concedente, e senza l'attivazione delle speciali procedure previste dalle

leggi in materia, in parte anteriormente alla 1. 11/71 ed in parte quando detta legge era in vigore.

Sia per i primi che per i secondi miglioramenti, la corte del merito

aveva ritenuto ]'indennizzabilità con la determinazione dell'indennità

ai sensi dell'art. 1651, 2° comma, c.c., ancorché tale disposizione fosse

stata abrogata dall'art. 29 1. 11/71. Per i miglioramenti eseguiti ante

riormente alla 1. 11/71, era stata rigettata l'eccezione di prescrizione decennale dedotta dalla parte concedente, atteso il disposto dell'art. 15, 2° comma. 1. 11/71, secondo cui l'indennità per l'affittuario coltivatore

diretto andava commisurata all'aumento di valore conseguito dal fondo

e sussistente alla cessazione del rapporto, principio applicabile anche ai

miglioramenti eseguiti anteriormente alla detta 1. 11/71.

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