sezione I civile; sentenza 17 gennaio 2003, n. 649; Pres. Grieco, Est. W. Celentano, P.M.Martone (concl. conf.); Soc. Sidercrom (Avv. Silvestri, Flauti) c. Fall. soc. Tlm-Tornituralavorazione meccanica (Avv. Carroli). Conferma App. Bologna 31 marzo 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 1077/1078-1085/1086Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198259 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Umazione attiva del Diccap ricorrente e, in subordine, l'infon
datezza dello stesso. Ripristinatosi il contraddittorio, si costitui
va per resistere il Diccap-Fenal chiedendo il rigetto della propo sta opposizione.
Indi la causa è stata decisa all'udienza odierna. Motivi della decisione. — Il comune opponente, nel ribadire
il difetto di legittimazione attiva del ricorrente, lamenta l'erro
neità e contraddittorietà dell'opposto provvedimento nell'avere,
per un verso, riconosciuto che l'unico soggetto legittimato a ri
correre nella fattispecie fosse Fenal. organizzazione sindacale
territoriale autonoma per il personale delle autonomie locali e, tuttavia, per altro verso, concluso affermando la legittimazione del ricorrente Diccap, siccome, sostanzialmente, «costituito, ol
tre che in persona del vicesegretario provinciale, anche in per sona del segretario territoriale unico del settore per il personale delle autonomie locali, sig. Altamore Gaetano».
L'assunto appare fondato.
Ed invero, come accertato in seno all'opposto provvedimento e. del resto, pacifico tra le parti, il Diccap (dipartimento camere
di commercio — autonomie locali — polizia municipale) risulta
articolato in tre settori specifici, in ognuno dei quali opera
un'organizzazione sindacale territoriale dotata di autonomia di
gestione e di rappresentanza: il Fenal (per il personale delle au
tonomie locali), il Sulpm (per il personale della polizia munici
pale) e lo Snalcc (per il personale delle camere di commercio). Ciò posto, è indubbio (e del resto riconosciuto dallo stesso
impugnato provvedimento) che nella fattispecie l'unico sog
getto legittimato alla proposizione del ricorso contro il compor tamento antisindacale del comune era il Fenal, in quanto, ap
punto. organizzazione sindacale territoriale autonoma della ca
tegoria dei lavoratori direttamente interessata.
Va infatti rimarcato che, riservandosi, in forza dell'art. 28
statuto dei lavoratori, alle strutture organizzative di base alle as
sociazioni sindacali di categoria la legittimazione ad agire, deve
escludersi la legittimazione degli organismi locali delle confe
derazioni o, come nel caso di specie, del dipartimento ricorren
te, ossia a soggetti che rappresentano organizzazioni complesse formate da una pluralità di sindacati di categoria, in luogo degli
organismi locali dei singoli sindacati medesimi direttamente
interessati.
Orbene, è altrettanto indubbio che il ricorso del 30 agosto 2001 è stato proposto dal Diccap (ossia dal dipartimento), cioè
da soggetto non legittimato, ancorché (erroneamente) costituito
non solo in persona del suo legale rappresentante, ma anche in
persona del «segretario territoriale responsabile unico del setto
re per il personale delle autonomie locali, sig. Altamore Gaeta
no» ossia in persona di soggetto che (sembra) avere la rappre sentanza del (distinto) Fenal effettivamente legittimato.
L'eccezione del comune, pertanto, appare fondata e non può essere disattesa.
Va pertanto, in accoglimento della proposta opposizione, di
chiarato inammissibile il ricorso del 30 agosto 2001 per difetto
di legittimazione attiva del ricorrente.
Il Foro Italiano — 2003.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 17 gen naio 2003, n. 649; Pres. Grieco, Est. W. Celentano, P.M.
Martone (conci, conf.); Soc. Sidercrom (Avv. Silvestri,
Flauti) c. Fall. soc. Tlm-Tornitura lavorazione meccanica
(Avv. Carroli). Conferma App. Bologna 31 marzo 2000.
Fallimento — Azione revoeatoria — Delegazione attiva di
pagamento — Estinzione di debito con mezzi anormali
(R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 67).
Il pagamento eseguito inforza di delegazione attiva da un terzo debitore del fallito è assoggettabile a revoeatoria fallimenta re ai sensi dell'art. 67, 1° comma, n. 2, I. fall., come atto
estintivo di un debito eseguito con mezzi non normali. (1 )
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 16 set
tembre 2002, n. 13479; Pres. Saggio, Est. Di Amato, P.M.
Gambardella (conci, conf.); Soc. coop. Banca di credito co
operativo di Montodine (Avv. Camici) c. Fall. soc. Roderi co
struzioni. Cassa App. Milano 23 febbraio 1999.
Fallimento — Azione revoeatoria — Pagamento del terzo —
Irrevocabilità (Cod. civ., art. 1180; r.d. 16 marzo 1942 n.
267, art. 67).
Il pagamento effettuato dal terzo non fideiussore non è assog
gettabile a revoeatoria fallimentare qualora questi abbia
adempiuto l'obbligazione del debitore principale, o del fide iussore, senza utilizzare una provvista fornitagli dal fallito e
senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento, e sen
za che rilevi, in senso contrario, che il pagamento sia avve
nuto con una rimessa effettuata direttamente sul conto del
fallito. (2)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 set
tembre 2002, n. 13159; Pres. Saggio, Est. Proto, P.M. Uc
cella (conci, conf.); Soc. Monte dei Paschi di Siena (Avv.
Scognamiglio) c. Fall. soc. Salvi filati (Avv. Vitiello).
Conferma App. Firenze 6 ottobre 1999.
Fallimento — Azione revoeatoria — Pagamento del terzo —
Rimessa su conto corrente — Revocabilità (Cod. civ., art.
1180; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 67).
Il pagamento effettuato dal terzo è sempre assoggettabile a re
voeatoria fallimentare qualora sia avvenuto con una rimessa
effettuata direttamente sul conto corrente del fallito. (3)
(1-3) I giudici di legittimità tornano ad occuparsi della revoeatoria fallimentare del pagamento del terzo, con tre pronunce che se, per certi
versi, confermano principi consolidati, per altri ripropongono un con trasto acceso da anni, e che richiederebbe, a questo punto, un intervento chiarificatore dell'organo deputato alla funzione di nomofilachia.
Secondo un principio generalmente condiviso, cui tutte e tre le deci sioni aderiscono, il pagamento di un debito del fallito da parte di un terzo può essere revocato solo qualora abbia comportato una lesione della par condicio creditorum, ossia quando il terzo abbia effettuato il
pagamento avvalendosi, direttamente o indirettamente, del denaro del
fallito, ovvero quando, prima del fallimento, il terzo abbia utilmente esercitato la rivalsa. In questo senso, v. Cass. 23 novembre 2001, n.
14869, Foro it.. Rep. 2001, voce Fallimento, n. 460 (solo per l'ipotesi della rivalsa); 10 luglio 1999, il. 7275, id.. Rep. 1999, voce cit.. n. 551
(che invece tratta solo il pagamento con denaro del fallito); 22 gennaio 1999, n. 570, id.. Rep. 2000, voce cit.. n. 493; 16 novembre 1998, n.
11520, id., 1999, I, 541, con nota di richiami; adde, Cass. 11 settembre
1998, n. 9018, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 509; 6 agosto 1998, n. 7695, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 583; 19 gennaio 1998, n. 458, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 516. Nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Bologna 9 gennaio 2001, Fallimento. 2002, 80; App. Genova 26 marzo 2000, Foro it.. Rep. 2001, voce cit., n. 461; Trib. Milano 17 gennaio 2000, Banca, borsa, ecc., 2002, li, 336; implicitamente, Trib. Udine 18 giu
gno 1999, Foro it., Rep. 2000, voce cit.. n. 525; 17 maggio 1999, ibid., n. 524; App. Roma 27 aprile 1999, ibid., n. 522; Trib. Catania 29 marzo
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1079 PARTE PRIMA 1080
I
Svolgimento del processo. — Con citazione del 29 gennaio 1995 la curatela del fallimento della s.r.l. Tlm (Tornitura lavo
razione meccanica) convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di
Bologna, la Sidercrom s.r.l. richiedendo che fosse dichiarato
inefficace, ai sensi dell'art. 67, 1° comma, n. 2, 1. fall., l'atto
estintivo di debito posto in essere dalla società poi fallita, per la
somma di lire 45.354.979, poi precisata in lire 43.354.979.
Dedusse la curatela che la convenuta Sidercrom aveva proce duto, ai sensi dell'art. 543 c.p.c., a pignoramento presso il terzo
s.p.a. Fiat Om carrelli elevatori del credito che nei confronti di
quest'ultima vantava la soc. Tlm; che nell'ottobre del 1992 le
parti avevano concordato che la Sidercrom abbandonasse il pro cedimento esecutivo a fronte dell'impegno della soc. Tlm di di
sporre che il terzo pignorato provvedesse al pagamento del de
bito pari a lire 43.354.979; che in data 11 novembre 1992 la Fiat
Om aveva provveduto al pagamento tacitando la creditrice Si
dercrom.
La stessa curatela sostenne che la descritta operazione estinti
va del debito della fallita fosse da ricondurre alla previsione
1999, ibid., n. 494; Trib. Taranto 3 marzo 1999, id., Rep. 2001. voce
cit., n. 410; Trib. Napoli 16 novembre 1998, id.. Rep. 2000, voce cit., 495.
La giurisprudenza riscontra, peraltro, anche due ulteriori orienta menti, nettamente minoritari.
Secondo Trib. Monza 20 novembre 2001, Fallimento, 2002, 1251
(che si pone in consapevole contrasto con l'indirizzo appena menzio
nato), il pagamento del terzo diverso dal fideiussore è sempre revoca
bile, anche qualora non vi sia stato nessun pregiudizio alla par condicio creditorum (e ciò sulla base di una concezione della revocatoria come strumento finalizzato non già a colpire gli atti pregiudizievoli ai credi
tori, ma ad «indurre il soggetto in relazione col debitore a rifiutare
qualunque vantaggio relativo al suo rapporto con lo stesso»). In un obiter dictum di Cass. 2 luglio 1998, n. 6474. Foro it.. Rep.
1998, voce cit., n. 495, inoltre, trattando incidentalmente l'argomento, la corte afferma che «le numerose decisioni al riguardo non si danno
per altro carico di spiegare la ragione per cui il pagamento eseguito dal terzo sia soggetto a revocatoria, e non quello (più prossimo ovviamente alla dichiarazione del fallimento e dunque maggiormente sospetto, dal
quale direttamente — e soltanto — deriva il depauperamento del patri monio del debitore) dal terzo stesso ottenuto in via di rivalsa dal debi tore insolvente», con ciò mostrando, dunque, di reputare pregiudizie vole (e perciò revocabile) la rivalsa, anziché il pagamento del terzo; in
proposito, v. anche, ma in tempi più risalenti, Cass. 3 aprile 1978, n.
1506, id.. Rep. 1978, voce cit.. n. 287, che ha revocato la rivalsa, rite nendo peraltro ammissibile, in via alternativa, e senza possibilità di du
plicazioni. anche la revoca del pagamento del terzo. Circa le problematiche di dettaglio affrontate nelle sentenze in epi
grafe. fra i casi in cui la revocatoria è generalmente ammessa v'è quello di cui alla prima massima, ossia l'estinzione dell'obbligazione da parte di un terzo delegato al pagamento, a sua volta debitore dell'insolvente
(si tratta di un pagamento effettuato con denaro [di spettanza] del falli to); in tal caso, secondo l'orientamento dominante si è in presenza di un mezzo non normale di adempimento: v. Cass. 27 giugno 1994, n. 6149, id., Rep. 1994, voce cit.. n. 468; 9 dicembre 1980, n. 6358. id.. Rep. 1980, voce cit., n. 308; 17 luglio 1980, n. 4745, ibid., n. 309; 26 giugno 1976, n. 2402, id.. Rep. 1976, voce cit., n. 216; 7 maggio 1975, n. 1763, id., Rep. 1975, voce cit.. n. 359; 14 febbraio 1974, n. 424, id., 1974, I, 1379, con nota di richiami; fra i giudici di merito, v. App. Mi lano 14 giugno 1996, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 37; App. Perugia 19
aprile 1994, id.. Rep. 1995, voce cit.. n. 418; Trib. Torino 19 maggio 1992, Fallimento, 1992. 1079 (m). In senso contrario, tuttavia, v. Trib. Roma 19 novembre 1979, Foro it., Rep. 1980, voce cit.. n. 316, che
qualifica la delegazione attiva, a differenza di quella passiva, come pa gamento «normale».
La seconda e la terza massima, invece, ripropongono un contrasto
giurisprudenziale acceso ormai da anni in ordine alle sorti del paga mento eseguito dal terzo con una rimessa sul conto corrente scoperto del debitore insolvente.
Secondo Cass. 13479/02, la circostanza non dovrebbe avere alcun ri lievo, una volta che sia accertata l'estraneità al patrimonio del fallito
dell'importo utilizzato per il pagamento; e in tal modo la corte segue le tracce, da ultimo, di Cass. 22 gennaio 1999, n. 570. cit.; 6 agosto 1998. n. 7695, cit.; nonché, fra i giudici di merito, Trib. Milano 17 gennaio 2000, cit.
Ad avviso di Cass. 13159/02, invece, in tal caso fra il terzo e la ban ca si frapporrebbe il «filtro» del rapporto di conto corrente, in modo da ricondurre il pagamento al fallito, e renderlo revocabile; in senso con forme, v. Cass. 23 novembre 2001, n. 14869, cit. (ma va dato atto che la motivazione non è chiara, e a tutto concedere il principio può essere
Il Foro Italiano — 2003.
dell'art. 67, 1° comma, n. 2, e ne richiese la revoca come paga mento di debito caduto eseguito con mezzo non normale.
In contraddittorio della convenuta, che contrastò la domanda
eccependo la legittimità dell'adempimento in quanto effettuato
tramite un terzo mandatario ai sensi dell'art. 1180 c.c., il tribu
nale accolse la domanda (sentenza del 27 maggio 1998). La corte territoriale, con sentenza emessa il 31 marzo 2000,
rigettò il gravame della soc. Sidercrom, confermando la dichia
razione di inefficacia del pagamento in questione. Considerò la corte, con tali ragioni giudicando infondato il
primo motivo di gravame, che, nel caso di specie, l'anormalità
del pagamento, e quindi la revocabilità dell'atto solutorio, deri
vava da ciò che l'estinzione del debito del delegante (la fallita
soc. Tlm) verso il delegatario (la soc. Sidercrom), eseguita dal
delegato (la soc. Fiat Om) si configurava come l'effetto di un
negozio soggettivamente ed oggettivamente diverso da quello
originario sulla base del quale il pagamento era dovuto —
esclusa l'applicabilità dei principi in tema di adempimento ad
opera del terzo (art. 1180 c.c.) per difetto della spontaneità del
l'adempimento stesso, ritenibile sulla base della missiva datata
5 novembre 1992 con la quale la Fiat Om aveva comunicato alla
individuato implicitamente); 16 novembre 1998, n. 11520, cit.. alla cui nota si rinvia anche per gli ulteriori precedenti di senso opposto; nella
giurisprudenza di merito, v. App. Genova 26 marzo 2000. cit. La seconda pronuncia affronta poi anche un'altra questione, e cioè se
sia o non sia necessario, per escludere la revocabilità, che il terzo abbia
eseguito il pagamento in adempimento di una propria obbligazione di
garanzia nei confronti del creditore. La decisione (nella specie, il solvens era la sorella del fideiussore),
aderisce all'opinione meno restrittiva, che negli ultimi anni sembra es sere prevalsa rispetto all'altra; in questo senso, v. Cass. 22 gennaio 1999, n. 570. cit.; nonché, implicitamente. 16 novembre 1998. n.
11520, cit.; e, nella giurisprudenza di merito, più o meno esplicitamen te. Trib. Bologna 9 gennaio 2001, cit.; Trib. Milano 17 gennaio 2000, cit.; Trib. Udine 18 giugno 1999. cit.; 17 maggio 1999, cit.; Trib. Na
poli 16 novembre 1998, cit. Contra, tuttavia, v. Cass. 11 settembre
1998, n. 9018, cit., che oltre all'esistenza dell'obbligazione di garanzia ne richiede la data certa ex art. 2704 c.c. (ma sotto questo aspetto, in
senso contrario, v. Cass. 19 gennaio 1998, n. 458, cit.); nonché 13 mar zo 1997, n. 2256, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 496, e 29 novembre 1985, n. 5956. id., 1986. 1, 451, in entrambi i casi con la precisazione della necessità della data certa; fra i giudici di merito, conformemente, v. Trib. Genova 27 febbraio 1991, id., Rep. 1991, voce cit.. n. 401.
Quanto alla dottrina, nel panorama successivo ai riferimenti conte nuti nella nota a Cass. 16 novembre 1998, n. 11520, cit., in tendenziale adesione all'orientamento maggioritario sulla sorta del pagamento del
terzo, v. Ceccherini, in Fallimento, 2002, 1256, che critica la decisione cui accede; Fonnesu, Condizioni per l'azione revocatoria e ripartizione dell'onere probatorio, ibid., 83; Gramaolia, Le rimesse in conto cor
rente, aventi natura solutoria, sono davvero sempre revocabili se pro vengono dal terzo?, id., 2001, 430, critico rispetto alla tesi della revo cabilità del pagamento del terzo tramite accredito sul conto corrente
scoperto del fallito; Leocata, L'oggetto della revocatoria fallimentare nei pagamenti del terzo, in Dir. fallim., 2002. I. 797; Nisivoccia. Brevi note in tema di revocatoria fallimentare delle rimesse del terzo sul conto corrente de! fallito, in Giur. comm.. 1999, II, 240. che condivide la tesi espressa da Cass. 11520/98.
Assai più nutrita rispetto all'orientamento giurisprudenziale è poi la schiera di coloro che sostengono la revocabilità della rivalsa; in tal sen
so, v. De Marchi, Fallimento del debitore e pagamenti eseguiti dal ter
zo, in Banca, borsa, ecc., 1965, I, 416; Peschiera, Revocatoria del pa gamento de! terzo, in Dir. fallim., 2000, I, 1323, che precisa, però, che se la rivalsa è eseguita tramite una compensazione la revoca va diretta verso il pagamento; Rescio, Fallimento del finanziato delegante e revo ca del pagamento del terzo, in Banca, borsa, ecc., 1985, II, 244; Gio. Tarzia. Considerazioni sulla revoca fallimentare del pagamento del
terzo, in Fallimento, 1999, 562, che critica anche la revocabilità dei versamenti del terzo sul conto scoperto del fallito; Terenghi. Revocabi lità del pagamento del terzo, id., 2000, 66, nello stesso senso dell'auto re citato da ultimo; Trentini, Revocabilità del pagamento del terzo, id., 2002, 851, anch'egli in tal senso; Vassalli, «Delegatio so/vendi».
Adempimento di terzo e revocatoria fallimentare, in Riv. dir. comm..
1967, II, 105. Sulla revocabilità del pagamento eseguito tramite delegazione, inve
ce, v. Portale, Delegazione allo «scoperto» e revocatoria fallimentare, in Giust. civ., 1984. II. 451; P. Rescigno, Delegazione di pagamento e
fallimento del delegante, in Giur. it., 1985, IV, 369; Rescio, Ancora sulla delegazione di pagamento: struttura e trattamento fallimentare, in Banca, borsa, ecc., 1987, II, 280; Id., Fallimento del finanziato dele
gante e revoca del pagamento del terzo, cit.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
soc. Tim che avrebbe dato corso alla delegazione di pagamento. L'infondatezza dell'altro, secondo motivo di gravame, con il
quale l'appellante soc. Sidercrom aveva dedotto la violazione
degli art. 113 e 115 c.p.c., 1326 e 2697 c.c., fu ritenuta dalla
corte sulla base delle seguenti considerazioni: a) la proposta, avanzata dalla stessa Sidercrom con la missiva 19 ottobre 1992, di rinuncia al procedimento esecutivo qualora la sua debitrice
soc. Tlm avesse ordinato alla Fiat Om di far luogo al pagamento della somma di lire 43.354.979 in favore di essa Sidercrom. era
stata accettata dalla debitrice Tlm la quale aveva conseguente mente autorizzato la Fiat Om a dar corso al pagamento; la stessa
Fiat Om con la sua missiva del 5 novembre 1992, aveva comu
nicato di voler dar corso al pagamento in favore della Sider
crom, solo richiedendo che «nel frattempo non pervenissero atti
di pignoramento o di sequestro» — da ciò traendosi la prova che
la Fiat Om, eseguendo il pagamento delegato, intendeva proprio
estinguere quel debito per il quale era stato ad essa notificato
l'atto di pignoramento presso terzi; b) l'ulteriore deduzione del
l'appellante «che mancava la prova documentale dell'accetta
zione, da parte della Tlm, della proposta formulata da essa Si
dercrom» era smentita dalla stessa documentazione in atti, dalla
quale si deduceva il contrario; c) quanto alla supposta — de
dotta pure dall'appellante — mancanza di prova dell'esatto
adempimento, da parte della debitrice, di tutte le obbligazioni
previste nella proposta di essa Sidercrom, inviata alla Tlm con
la missiva del 19 ottobre 1992, la questione difettava di ogni ri
levanza. con riferimento all'oggetto del giudizio, per il quale assumeva rilievo il solo fatto che, attraverso il rapporto posto in
essere, le parti avevano voluto raggiungere, e in effetti realiz
zato, l'estinzione dell'obbligazione pecuniaria della Tlm.
Avverso tale sentenza la soc. Sidercrom a r.l. ha proposto ri
corso per cassazione.
Resiste con controricorso la curatela del fallimento s.r.l. Tlm.
Motivi della decisione. — La società ricorrente ha formulato
quattro motivi di ricorso denunciando:
1) la violazione e l'erronea applicazione degli art. 1 13 e 115
c.p.c., 1326 e 1967 c.c., nonché l'omessa, o insufficiente, moti
vazione sul punto della ritenuta «anormalità» del pagamento per avere la corte di merito «desunto l'atto solutorio come effetto di
un negozio soggettivamente ed oggettivamente diverso da
quello originario, sulla base della sola lettera di essa Sidercrom
datata 19 ottobre 1992 e in difetto di prova circa l'intervenuta
accettazione da parte della Tlm della proposta contenuta nella
suddetta comunicazione»;
2) la violazione e falsa applicazione ancora degli art. 113, 115 e 116 c.p.c. e degli art. 1326 e 1327 c.c. nonché la mancan
za o l'insufficienza della motivazione per aver la corte «erro
neamente ritenuto irrilevante la prova dell'esatto adempimento, da parte della società debitrice, di tutte le obbligazioni previste nella proposta di essa Sidercrom indirizzata alla Tlm con la mis
siva del 19 ottobre 1992»;
3) la violazione e l'erronea applicazione degli art. 1180 e
1269 c.c.. nonché dell'art. 67, 1° comma, n. 2, 1. fall, per aver la
corte di merito ritenuto come «anormale» il pagamento effet
tuato dalla debitrice a mezzo del delegato soc. Fiat Om. doven
do invece ritenersi sottratto alla revocatoria ex art. 67 1. fall, il
pagamento eseguito dal debitore a mezzo del delegato che rap
presenta un pagamento diretto fatto dal debitore medesimo al
suo creditore;
4) la violazione ed erronea applicazione degli art. 113 e 115
c.p.c.. 2697 c.c. e 67 1. fall., nonché omessa motivazione per aver la corte suddetta ritenuto revocabile il pagamento benché
mancasse la prova, non data dalla curatela attrice, che il paga mento era stato eseguito dalla società delegata con denaro della
delegante. Tutti i suddetti motivi, unitariamente considerati, sono da ri
tenersi privi di fondamento.
Sulla base delle risultanze documentali acquisite al giudizio, la lettura e l'interpretazione delle quali non è censurabile in se
de di legittimità, non ravvisandosi nella sentenza ora impugnata né l'inadeguatezza della motivazione né l'esistenza di errori lo
gici o giuridici, i giudici di merito, segnatamente la corte di ap
pello, hanno ricostruito la fattispecie nel senso che, essendo la
soc. Tlm, poi fallita, debitrice della soc. Sidercrom e al tempo stesso creditrice della soc. Fiat Om, dopo il pignoramento ex
art. 543 c.p.c. eseguito dalla Sidercrom del credito vantato dalla
Tlm nei confronti della Fiat Om, la società debitrice, accoglien
ti. Foro Italiano — 2003.
do la proposta-sollecitazione della stessa Sidercrom (missiva 19
ottobre 1992), aveva delegato la Fiat Om al pagamento della
somma di lire 43.354.979 in favore della creditrice, delegazione che era stata eseguita dalla Fiat Om dopo la sua missiva del 5
novembre 1992 (v. a pag. 10 della motivazione: «la Fiat Om
provvide ...»). L'aver detta corte ritenuto che in tale fattispecie concreta —
esclusa l'ipotesi di cui all'art. 1180 c.c. per l'evidente difetto di
spontaneità del pagamento eseguito dal terzo — era stato posto in essere un diverso negozio giuridico nell'ambito del quale il
pagamento in favore della creditrice soc. Sidercrom era stato
eseguito a mezzo di una delegazione di pagamento, dunque at
traverso un mezzo non normale, donde la revocabilità del pa
gamento stesso ex art. 67. 1° comma, n. 2, 1. fall., è conclusione
del tutto corretta sotto il profilo giuridico. La fattispecie, così come la ricorrente stessa l'ha dedotta nei
suoi elementi fattuali, e nei termini in cui i giudici di merito
l'hanno ricostruita nella sua configurazione negoziale, risponde alla figura della delegazione c.d. attiva la quale ricorre allorché
il delegante è creditore del delegato e il conferimento dell'inca
rico delegatorio viene a configurarsi come un modo di utilizza
zione indiretta del credito che il delegante ha verso il delegato; il delegato, ossia, utilizza il proprio credito verso il delegato per liberarsi del suo debito verso il delegatario, così che la presta zione del delegato estinguerà sia l'obbligazione del delegante verso il delegatario (rapporto di valuta) sia l'obbligazione del
delegato verso il delegante (rapporto di provvista). Trattasi di
una figura giuridica, non prevista espressamente dalle norme del
codice civile, e tuttavia assai comune nella pratica dei negozi come anche alla elaborazione giurisprudenziale; v., infatti, la
pronuncia di questa corte n. 1336 del 1962 (Foro it., 1962, I,
1271) nei termini seguenti: «per il principio dell'autonomia
contrattuale, le parti possono porre in essere la delegazione atti
va di credito, che non è disciplinata dal codice civile, la quale, al pari della delegazione passiva, richiede l'iniziativa del dele
gante ed il concorso di tre dichiarazioni di volontà tra di loro
interdipendenti, in quanto ciascuna è efficace se è efficace cia
scuna delle altre».
Il carattere «non normale», nel senso voluto dall'art. 67, 1°
comma, n. 2, 1. fall., del pagamento eseguito a mezzo della de
legazione è costantemente affermato da questa corte: v. le sen
tenze n. 6149 del 1994, id., Rep. 1995, voce Fallimento, n. 417; n. 2402 del 1976, id.. Rep. 1976, voce cit., n. 216 («al fine del
l'esperibilità dell'azione revocatoria prevista dall'art. 67, 1°
comma, n. 2, 1. fall., mezzi normali di pagamento, diversi dal
denaro, sono soltanto quelli comunemente accettati nella pratica commerciale in sostituzione del denaro, come gli assegni circo
lari e bancari ed i vaglia cambiari. Pertanto, ai sensi della sud
detta disposizione di legge, va affermata la revocabilità, quale mezzo anormale di pagamento idonea a ledere la par condicio
creditorum, di una delegazione che il debitore abbia posto in es
sere allo scopo di estinguere la preesistente obbligazione pecu niaria, già scaduta ed esigibile»); n. 4745 del 1980, id., Rep. 1980. voce cit., n. 309 («ai fini della revocatoria fallimentare, tanto la cessione di credito quanto la delegazione di pagamento non integrano mezzi normali di estinzione del debito pecuniario scaduto ed esigibile»); n. 6358 del 1980, ibid., n. 308.
Il ricorso va dunque rigettato.
II
Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Lodi, con sen
tenza dell'8 luglio 1997, accoglieva la domanda con la quale il
curatore del fallimento della s.r.l. Roderi costruzioni aveva
chiesto la revoca, ai sensi dell'art. 67, 2° comma, I. fall., del
versamento di lire 51.316.480, che risultava essere stato effet
tuato, nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, sul
conto corrente intrattenuto dalla fallita con la Cassa rurale e ar
tigiana di Montodine soc. coop, a r.l.; in particolare, il tribunale
disattendeva, per quanto qui ancora interessa, l'eccezione con
cui la cassa convenuta aveva sostenuto la non revocabilità del
versamento in quanto eseguito da un terzo, e precisamente da
Pierina Roderi, sorella del fideiussore Arturo Roderi, la quale aveva inteso liberare quest'ultimo dalla garanzia fideiussoria e
non aveva chiesto né ottenuto nulla in restituzione dalla società
Roderi prima della dichiarazione di fallimento.
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1083 PARTE PRIMA 1084
Il tribunale fondava la decisione sul rilievo che l'assunto
della cassa, in ordine alla provenienza del pagamento, non ri
sultava provato poiché il versamento era stato effettuato con una
operazione di giroconto dalla Roderi a favore della impresa poi fallita, la quale, a sua volta, aveva utilizzato la somma per rien
trare dallo scoperto del conto, eseguendo così un pagamento di
retto a favore della banca.
Avverso detta sentenza la Banca di credito cooperativo di
Montodine soc. coop, a r.l., già Cassa rurale e artigiana di
Montodine soc. coop, a r.l., proponeva gravame che la Corte di
appello di Milano rigettava con sentenza del 19 novembre 1998,
osservando, per quanto qui ancora interessa, che il terzo, me
diante una operazione di giroconto, aveva effettuato il versa
mento della somma di lire 51.316.480 sul conto della società
Roderi; pertanto, la somma era affluita nel patrimonio e nella
disponibilità della società, che se ne era avvalsa per estinguere la propria esposizione debitoria verso la banca, con la conse
guenza che il pagamento era direttamente riferibile alla fallita e
non al terzo.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la
Banca di credito cooperativo di Montodine soc. coop, a r.l., de
ducendo un motivo. Il fallimento intimato non ha svolto attività
difensiva.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo dedotto la ban
ca ricorrente lamenta la violazione dell'art. 67, 2° comma, 1.
fall., degli art. 1180, 1° comma, 1243, 1852 e 2697 c.c. nonché
il vizio di motivazione. In particolare, la ricorrente deduce che.
poiché la somma, come affermato nella stessa sentenza impu
gnata, era stata versata da un terzo su un conto corrente non af
fidato, scoperto e sul quale la correntista non aveva potuto più
operare, la stessa correntista non aveva acquisito la disponibilità della somma ed il versamento sul conto, mediante operazione di
giroconto, era stato soltanto una modalità con la quale il terzo
aveva effettuato il pagamento. Sul punto della revocabilità delle rimesse eseguite da un ter
zo, la giurisprudenza di questa corte ha più volte affermato che.
qualora l'eventuale scoperto di conto corrente del debitore poi fallito sia stato, anche in parte, ripianato, nel c.d. «periodo so
spetto», per effetto di versamenti provenienti da un terzo, l'a
zione di cui all'art. 67 1. fall, resta preclusa se detti versamenti
si configurano come adempimento di un'obbligazione di garan zia gravante sul terzo nei confronti della banca creditrice, non
essendo, in tal caso, il pagamento legittimamente riferibile al
correntista fallito, con conseguente mancanza di qualsivoglia danno alla massa e di qualsivoglia lesione del principio concor
suale della par condicio (Cass. 22 gennaio 1999, n. 570, Foro
it., Rep. 2000, voce Fallimento, n.^493; 11 settembre 1998. n.
9018, id., Rep. 1998, voce cit., n. 509; 6 agosto 1998, n. 7695,
id., Rep. 1999, voce cit., n. 583; 19 gennaio 1998, n. 458, id..
Rep. 1998, voce cit., n. 516; 13 marzo 1997, n. 2256, ibid., n.
496; 29 novembre 1985, n. 5956, id., 1986,1, 451). In particola re, si è affermato che l'autonomia contrattuale consente che il
fideiussore di uno scoperto di conto corrente bancario estingua il proprio debito in modo indiretto, ossia mediante accredita
mento della somma sul conto perché la banca se ne giovi, anzi
ché in modo diretto, ossia mediante versamento alla banca
(Cass. 7695/98, cit.). La circostanza che il terzo abbia effettuato
il versamento sul conto del debitore consente di desumere, per ciò solo, che sia stato quest'ultimo ad operarlo. «Trattasi in
realtà di una semplice modalità di pagamento che non muta né
la provenienza del denaro dal terzo né il destinatario, che rima
ne pur sempre la banca in virtù del rapporto obbligatorio perso nale insorto con la fideiussione (art. 1936 c.c.) e della indispo nibilità del conto da parte della società» (Cass. 570/99, cit.).
In contrasto con tale orientamento si pone altra decisione di
questa corte, secondo cui, nell'ipotesi in cui il terzo abbia com
piuto un versamento sul conto corrente dell'imprenditore, que st'ultimo acquista la titolarità della rimessa, con conseguente
assoggettabilità dei versamenti alla regola per la quale la revo
cabilità è condizionata alla funzione solutoria e non meramente
ripristinatoria della provvista nei confronti della banca (Cass. 16
novembre 1998, n. 11520, id., 1999,1, 541). In tal caso, secondo
la ricordata decisione, nell'operazione si inserirebbe «il dia
framma del rapporto di conto corrente, nel quale il versamento
del terzo viene attratto, venendo — per effetto di quello
— a co
stituire non altro che una variazione quantitativa del conto, una
posta attiva, cioè del correntista, nella cui titolarità l'importo
Il Foro Italiano — 2003.
accreditato viene quindi a confluire». Tale argomento, tuttavia,
non convince ed il collegio ritiene di dover seguire e precisare l'orientamento prevalente.
Infatti, quando il credito della banca è esigibile, la rimessa ef
fettuata da un terzo sul conto corrente del debitore poi fallito è.
ai fini della revocatoria fallimentare, un atto neutro, come è di
mostrato dal fatto che la rimessa può trovare giustificazione tanto nell'adempimento di una obbligazione nei confronti del
correntista o in un atto di liberalità nei suoi confronti quanto
nell'adempimento di una propria obbligazione, se chi effettua la
rimessa ha garantito l'esposizione del correntista, quanto ancora
nell'adempimento di terzo dell'obbligazione del correntista. In
altre parole, i meccanismi del conto corrente possono essere
utilizzati da terzo, in accordo (con il) e su indicazione del cre
ditore, per estinguere l'obbligazione del correntista e conse
guentemente, ove sussistente, anche la propria obbligazione di
garanzia ovvero possono essere utilizzati per estinguere la pro
pria obbligazione e, conseguentemente, quella del correntista. Il
nostro ordinamento non conosce atti la cui causa sia quella del
mero trasferimento e, quindi, la rimessa non può essere valutata
indipendentemente dalle ragioni che hanno determinato il terzo
ad effettuarla. In contrario, non si può utilmente obiettare che,
comunque, il versamento di denaro, in quanto bene fungibile, è
di per sé sufficiente a farne acquistare la disponibilità al corren
tista, riconducendo ad una posta attiva del suo conto la corri
spondente riduzione del credito della banca. La disponibilità, in
questo caso, è meramente contabile e non ha alcuna autonomia
rispetto all'estinzione del debito del correntista. Il che significa, da un lato, che il diaframma ipotizzato dalla ricordata sentenza
11520/98 è soltanto apparente poiché non comporta in nessun
momento la disponibilità materiale o giuridica della somma da
parte del correntista; e significa ancora che il simulacro di tale
diaframma è solo un aspetto della modalità prescelta per l'estin
zione del debito. La natura solutoria della rimessa e la sua rife
ribilità al terzo non vengono meno, quindi, per il fatto che l'e
stinzione del debito sia raggiunta indirettamente, operando con
sapevolmente (come richiesto dall'art. 1180 c.c.) con il mecca
nismo di compensazione delle poste attive e passive del conto
corrente. Infine, non si può dimenticare che la fattispecie deve
essere valutata in relazione alle condizioni previste dalla legge
per la revoca dei pagamenti ed in tale prospettiva è evidente
l'assenza di una qualsiasi lesione della par condicio creditorum,
quando il credito della banca è soddisfatto da una rimessa del
terzo in alcun modo collegabile con il patrimonio del debitore.
La corte di merito ha, quindi, errato nell'attribuire decisivo
rilievo al solo fatto del versamento sul conto della società poi fallita, assumendo che per effetto di tale versamento la «somma
è affluita quindi nel patrimonio della società ed è entrata nella
disponibilità di questa». La sentenza impugnata deve essere, quindi cassata con rinvio,
anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione
della Corte di appello di Milano la quale si uniformerà al se
guente principio di diritto: «le rimesse effettuate dal terzo non
fideiussore sul conto corrente dell'imprenditore, poi fallito, non
sono revocabili ai sensi dell'art. 67. 2° comma, 1. fall, quando risulti che, attraverso la rimessa, il terzo non ha posto la somma
nella disponibilità giuridica e materiale del debitore, ma, senza
utilizzare una provvista dello stesso debitore e senza rivalersi
nei suoi confronti prima del fallimento, ha adempiuto in qualità di terzo l'obbligazione del debitore principale o quella dell'e
ventuale fideiussore».
Ili
Svolgimento del processo. — 1. - Con sentenza in data 8 giu
gno 1987 il Tribunale di Prato dichiarò il fallimento della s.a.s.
Salvi filati di Salvi Francesco & C. Con atto notificato il 25
marzo 1988 il curatore del fallimento convenne davanti al Tri
bunale di Prato la Cassa di risparmi e depositi di Prato, soste
nendo che sul conto della società risultavano rimesse per lire
325.450.000 nel periodo 31 dicembre 1986 febbraio 1987. E,
poiché da epoca anche antecedente all'apertura della procedura la società si trovava in stato di insolvenza, concluse chiedendo
la declaratoria di inefficacia delle rimesse.
La banca convenuta si costituì, deducendo che il conto sul
quale erano affluite le rimesse era affidato fino al limite di 100
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
milioni, per cui esse avevano avuto la funzione di ricostituire le
disponibilità necessarie.
2. - Con sentenza 15 maggio 1990 il tribunale, espletata con
sulenza tecnica, stabilì che parte delle somme versate sul conto
nel periodo considerato aveva avuto la funzione di ripristinare le
normali disponibilità, mentre altra parte, pari a lire 251.291.637, aveva natura solutoria e doveva, quindi, essere revocata.
La Banca Monte dei Paschi di Siena (subentrata alla Cassa di
risparmi e depositi di Prato) impugnò la pronuncia davanti alla
Corte d'appello di Firenze, allegando la sopravvenuta disponi bilità di nuove prove sull'avvenuto versamento delle rimesse ad
opera di tre fideiubenti della società. 11 curatore replicò che le
fideiubenti erano le due sorelle e, rispettivamente, la nonna del
legale rappresentante della società fallita: le prime, operaie di
una filatura, con modesti redditi da lavoro; la terza, ottantenne,
priva di proventi. Onde non realistica si palesava la versione se
condo cui le tre donne avrebbero versato somme proprie e non
della stessa società garantita. 3. - Assunte prove testimoniali ed espletata c.t.u.. la corte
d'appello, con sentenza n. 1265 del 6 ottobre 1999, corretta con
ordinanza (del 14 gennaio 2000) depositata il 25 gennaio 2000, confermò la decisione di primo grado, osservando:
— che la tesi della curatela, secondo cui le fideiubenti non
erano in condizione di effettuare con denaro proprio i versa
menti in favore della società in accomandita, aveva trovato con
forto nell'espletata c.t.u. e nella prova testimoniale; — che, tuttavia, restava indifferente l'accertamento relativo
alle persone che avevano eseguito i versamenti ed alle relative
cause, rilevando il fatto del versamento in favore del creditore,
consapevole dello stato di insolvenza della società, di somme
destinate ad estinguere un debito liquido ed esigibile. 4. - Avverso questa sentenza la Banca Monte dei Paschi di
Siena s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione in base ad un
unico motivo. Ha resistito con controricorso il fallimento. Le
parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione. — 1. - La corte d'appello — muoven
do dalla premessa, non più oggetto di discussione tra le parti, che, da un lato, i versamenti per lire 251.291.637 nel conto cor
rente del fallito erano avvenuti in una situazione di «conto sco
perto», ed erano perciò assoggettabili a revocatoria secondo l'o
rientamento consolidato di questa corte, e che, dall'altro, la
banca era consapevole dello stato di insolvenza del debitore —
ha stabilito, sulla base della consulenza tecnica di ufficio e della
prova testimoniale, che i versamenti nel conto corrente della
s.a.s. Salvi Filati erano stati effettuati con denaro della stessa
società fallita, non essendo le tre fideiubenti (le due sorelle e la
nonna del legale rappresentante della s.a.s.) nella condizione di
effettuare «pagamenti» di ingente importo con denaro proprio. 2. - Con l'unico motivo del ricorso, denunciando la violazio
ne e la falsa applicazione dell'art. 67, 2° comma, 1. fall., e degli art. 2697. 1° comma, e 2729, 1° comma, c.c., nonché vizi di
motivazione, la ricorrente deduce che incombeva al curatore
l'onere di provare la provenienza dal patrimonio del fallito del
denaro utilizzato dai terzi per soddisfare il creditore dell'im
prenditore, e che questa prova non sarebbe stata raggiunta per ché ricavata dalla presunzione di impotenza finanziaria delle fi
deiubenti, a sua volta presunta (praesumptum de praesumpto). 3. - La censura non ha pregio perché essa non coglie il punto
decisivo della controversia, posto che nella fattispecie l'effetto
solutorio si sarebbe realizzato anche indipendentemente dal
l'apprezzamento fattuale espresso dal giudice del merito in base
al diretto esame delle risultanze processuali. Infatti, il principio (invocato dalla ricorrente) secondo cui
l'atto del terzo che paghi nel periodo sospetto il debito del sog
getto insolvente, ai fini dell'azione revocatoria, rileva soltanto
in quanto esso incida effettivamente nel patrimonio del fallito,
depauperandolo, in violazione delle regole della par condicio
creditorum (sia che il terzo abbia eseguito il pagamento con da
naro del fallito: Cass. 22 gennaio 1999, n. 570, Foro it., Rep. 2000. voce Fallimento, n. 493; 24 marzo 1994, n. 2899, id.,
Rep. 1994, voce cit., n. 441; sia che il terzo, dopo aver pagato, si sia rivalso verso il fallito prima della dichiarazione di falli
mento: Cass. 22 marzo 1991, n. 3110, id., 1992,1, 153, e 23 no
vembre 2001, n. 14869, id., Rep. 2001, voce cit., n. 460), non
trova applicazione nella diversa ipotesi (che è quella di specie) di versamenti effettuati dal terzo sul conto corrente del debitore.
In tal caso, infatti, nell'operazione si inserisce — come questa
Il Foro Italiano — 2003.
corte ha già precisato con la sentenza 16 novembre 1998, n.
11520 (id., 1999, I, 541) — il diaframma del rapporto di conto
corrente, nel quale il versamento del terzo è attratto, venendo,
per effetto di quello, a costituire una variazione quantitativa del
conto; e cioè una posta attiva del correntista, nella cui titolarità
confluisce l'importo accreditato, perché gli accrediti che la ban
ca compie sul conto corrente del debitore si inseriscono (salvo
patto contrario) nell'ambito dell'unitario rapporto di conto cor
rente, derivino le relative operazioni da un fatto proprio del fal
lito o da un fatto del terzo (cfr. Cass. 23 aprile 1987, n. 3919,
id., Rep. 1987. voce cit., n. 340). E ciò comporta che le rimesse del terzo sul conto corrente
dell'imprenditore sono equiparabili, ai fini della revocatoria, alle rimesse e ai versamenti del correntista.
4. - Alla stregua di tali considerazioni il ricorso, pertanto, non
può essere accolto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 15
gennaio 2003, n. 483; Pres. Duva, Est. M. Finocchiaro, P.M.
Ceniccola (conci, conf.); Soc. Agergest (Avv. Paoletti,
Bendinelli) c. Monticelli e altro; Monticelli e altro (Avv.
Giove, Fugazzola) c. Soc. Agergest. Cassa App. Brescia 7
aprile 2001 e decide nel merito.
Contratti agrari — Affitto di fondo rustico a coltivatore di
retto — Miglioramenti — Indennizzabilità — Prescrizione -— Limiti (Cod. civ., art. 1651, 2946; 1. 11 febbraio 1971 n. 11, nuova disciplina dell'affitto di fondi rustici, art. 11, 14,
15; 1. 3 maggio 1982 n. 203, norme sui contratti agrari, art.
16, 17).
I miglioramenti eseguiti prima dell'entrata in vigore della I.
11/71 sono indennizzabili alternativamente o secondo le di
sposizioni di cui alla detta legge qualora previsti nel con
tratto ed autorizzati dalle parti, o inforza dell'art. 1651 c.c.
ove eseguiti senza l'autorizzazione del concedente; in tale ul
timo caso la disciplina applicabile è solo quella dell'art.
1651 c.c. e. pertanto, il diritto all'indennizzo è soggetto alla
prescrizione decennale decorrente dalla fine dell'annata
agraria in cui i miglioramenti stessi sono stati eseguiti, con
siderato che da tale data il diritto può essere fatto valere nei
confronti del concedente. (1) / miglioramenti eseguiti dall'affittuario coltivatore diretto
dopo la I. 11/71 non sono indennizzabili, ove non sia stata
espletata la procedura di autorizzazione di cui agli art. Ile
14 detta l. 11/71 ed all'art. 16 l. 203/82, né sono indennizza
bili ai sensi dell'art. 1651 c.c., atteso che tale disposizione,
abrogata dall'art. 29 l. 11/71, non ha ripreso vigore per ef
fetto delta dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 14
detta l. 11/71. (2)
(1-2) Il «diritto vivente» della Corte di cassazione e la non in dennizzabilità dei miglioramenti agrari.
1. - La corte del merito aveva accertato che i miglioramenti vantati
dall'affittuario erano stati eseguiti senza il consenso del proprietario concedente, e senza l'attivazione delle speciali procedure previste dalle
leggi in materia, in parte anteriormente alla 1. 11/71 ed in parte quando detta legge era in vigore.
Sia per i primi che per i secondi miglioramenti, la corte del merito
aveva ritenuto ]'indennizzabilità con la determinazione dell'indennità
ai sensi dell'art. 1651, 2° comma, c.c., ancorché tale disposizione fosse
stata abrogata dall'art. 29 1. 11/71. Per i miglioramenti eseguiti ante
riormente alla 1. 11/71, era stata rigettata l'eccezione di prescrizione decennale dedotta dalla parte concedente, atteso il disposto dell'art. 15, 2° comma. 1. 11/71, secondo cui l'indennità per l'affittuario coltivatore
diretto andava commisurata all'aumento di valore conseguito dal fondo
e sussistente alla cessazione del rapporto, principio applicabile anche ai
miglioramenti eseguiti anteriormente alla detta 1. 11/71.
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