sezione I civile; sentenza 17 luglio 1997, n. 6554; Pres. Grieco, Est. Sotgiu, P.M. Gambardella(concl. conf.); Iuele (Avv. Greco) c. Regione Calabria. Cassa App. Catanzaro 12 aprile 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 10 (OTTOBRE 1997), pp. 2827/2828-2833/2834Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192508 .
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2827 PARTE PRIMA 2828
contestato nell'art e nel quantum la fondatezza della pretesa del
l'attrice.
Con sentenza 11 agosto 1990 il Tribunale di Marsala ha con
dannato il comune di Mazara del Vallo al pagamento in favore
dell'attrice della somma di lire 107.500.000 a titolo di arricchi
mento senza causa, con gli interessi legali dalla data della do
manda giudiziale. La sentenza di primo grado, impugnata in via principale dal
comune di Mazara del Vallo e in via incidentale dalla Ledei, è stata parzialmente riformata dalla Corte di appello di Paler
mo che con la sentenza 19 novembre 1993/3 marzo 1994, n.
214 ha condannato il comune al pagamento della minor somma
base di lire 93.273.000 oltre rivalutazione monetaria e così della
complessiva di lire 129.938.616, con gli interessi decorrenti dal
1° luglio 1986. Per la cassazione di quest'ultima sentenza ricorre il comune
di Mazara del Vallo deducendo, con tre motivi riferiti alla pre visione dell'art. 360, n. 3, c.p.c., violazione dell'art. 2042 c.c.
e, sotto duplice profilo, violazione dell'art. 2041 c.c. Essendo
stato dichiarato il fallimento di Conigliaro Antonino titolare
della ditta Ledei, la curatela resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — (Omissis). 3. - Merita, invece, ac
coglimento il terzo motivo col quale il ricorrente osserva che,
quand'anche si ritenga la sussistenza a suo carico della obbliga zione indennitaria da arricchimento senza causa, avente caratte
re di debito di valore, risulta comunque ingiustificata l'attribu
zione al creditore degli interessi alla somma incrementata con
la rivalutazione, così come riconosciuto da un recente orienta
mento giurisprudenziale (Cass. 1712/95, Foro it., 1995, I, 1470) dei quale invoca espressamente l'applicazione. Con la ricordata
decisione, le sezioni unite di questa corte, in relazione all'ipote si di risarcimento del danno da fatto illecito mediante equiva lente pecuniario, hanno sottoposto a revisione critica l'orienta
mento tradizionale della giurisprudenza secondo cui la rivaluta
zione della somma liquidata e gli interessi (qualificati come
compensativi) assolvono duplice diversa funzione, tenendo la
rivalutazione alla reintegrazione del patrimonio del creditore nella
situazione anteriore all'evento dannoso e gli interessi a compen sare il mancato tempestivo godimento della somma sostitutiva
del bene perduto, onde gli interessi sono compatibili con la ri
valutazione e sono dovuti sulla somma rivalutata con decorren
za dalla data del fatto. Ed hanno osservato: che deve escludersi
che la base di calcolo dei suddetti interessi possa essere quella della somma rivalutata al momento della liquidazione, se gli interessi vengano fatti decorrere dal momento dell'evento lesi
vo, perché con tali modalità si attribuirebbe al creditore un va
lore che non gli compete, dappoiché gli interessi non costitui
scono, in se stessi, un debito di valore ma rappresentano solo
il criterio di commisurazione del danno da ritardato consegui mento di una somma di denaro che all'epoca del fatto genera tore dell'obbligazione era, per definizione, non rivalutata; e han no enunciato il principio di diritto secondo cui «in tema di ri
sarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale, se la
liquidazione viene effettuata per equivalente, cioè con riferimento al valore del bene perduto dal danneggiato all'epoca del fatto
illecito, espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione monetaria intervenuta fino alla data della decisio ne definitiva, è dovuto inoltre il danno da ritardo e cioè il lucro cessante provocato dal mancato pagamento della suddetta som
ma; ... se il giudice adotta, come criterio di risarcimento del danno da ritardato adempimento, quello degli interessi, fissan done il tasso, mentre è escluso che gli interessi possano essere calcolati dalla data dell'illecito sulla somma liquidata per il ca
pitale, rivalutata definitivamente, è consentito invece calcolare
gli interessi con riferimento ai singoli momenti, da determinarsi in concreto secondo le circostanze del caso, con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominal mente in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria ovvero a un indice medio».
Tali criteri, dettati in riferimento specifico al risarcimento per equivalente del danno cagionato dal fatto illecito produttivo della
perdita di un bene reale, esigono, in considerazione della rile
vanza generale dei principi a cui sono correlati e in funzione di una uniforme disciplina della materia a cui ineriscono, di trovare applicazione in tutti i casi in cui ci si trovi in presenza di obbligazioni di valore — per tali intendendosi quelle aventi ad oggetto non già la erogazione di una entità pecuniaria per
Il Foro Italiano — 1997.
se stessa oggettivamente rilevante, predeterminata o determina
bile, ma la prestazione di un quid monetario corrispondente ad un valore reale, ai fini del ripristino del patrimonio dell'a
vente diritto nella sua integrità economica — tra le quali rientra
(Cass. 11296/93, id., Rep. 1993, voce Arricchimento senza cau
sa, n. 12; 517/94, id., Rep. 1994, voce cit., n. 7) quella avente
ad oggetto l'indennizzo per ingiustificato arricchimento che, in
quanto diretto alla reintegrazione di una diminuzione patrimo
niale, deve essere liquidato alla stregua dei valori monetari del
tempo della decisione e quindi con l'incremento relativo alla
rivalutazione con decorrenza dell'evento depauperatorio dal qua
le, e in coincidenza del quale, sorge il diritto del depauperato. 4. - Per le ragioni e nei limiti di cui sopra riceve cassazione
la impugnata sentenza. Consegue il rinvio al giudice che viene
indicato in altra sezione della stessa corte territoriale.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 17 luglio
1997, n. 6554; Pres. Grieco, Est. Sotgiu, P.M. Gambardel
la (conci, conf.); Iuele (Avv. Greco) c. Regione Calabria.
Cassa App. Catanzaro 12 aprile 1994.
Calamità pubbliche, terremoto, alluvioni — Capitale di condu
zione del fondo agricolo — Contributo per la ricostituzione — Debito di valuta (Cod. civ., art. 1277; 1. 21 luglio 1960
n. 739, provvidenze per le zone agrarie danneggiate da cala
mità naturali e provvidenze per le imprese industriali, art.
1, 24; 1. 25 maggio 1970 n. 364, istituzione del fondo di soli
darietà nazionale, art. 1, 2; 1. 15 ottobre 1981 n. 590, nuove
norme per il fondo di soliderietà nazionale, art. 1, 3). Contratti e obbligazioni della pubblica amministrazione — De
biti della pubblica amministrazione — Costituzione in mora — Intimazione o richiesta scritta di adempimento (Cod. civ., art. 1183, 1219, 1224).
Ha natura di debito di valuta il contributo erogato dalla regio ne per la ricostituzione del capitale di conduzione del fondo
agrario danneggiato da eventi calamitosi. (1) In assenza di un'esplicita previsione del termine dell'obbliga
zione esigibile mediante mandato della tesoreria, e qualora sussista un'obiettiva impossibilità di determinare a priori il
termine ragionevole dell'adempimento dell'obbligo a carico
della pubblica amministrazione, questa è costituita in mora
dal momento dell'intimazione o richiesta scritta di adem
pimento. (2)
(1-2) La 1. 21 luglio 1960 n. 739, proiezione del principio di solidarie tà nazionale, ha previsto l'erogazione di contributi pubblici in favore delle zone agrarie danneggiate da calamità naturali. In seguito il legisla tore, con la 1. 25 febbraio 1970 n. 364 e successive modifiche, ha istitui to presso il ministero del tesoro un fondo di soliderietà nazionale, di stribuito fra le regioni e dalle stesse utilizzabile per gli interventi econo mici celeri, reintegratori e di sollievo necessari in casi di calamità naturali e atmosferiche di natura eccezionale, i cui eventi «abbiano inciso sulle strutture e abbiano compromesso i bilanci economici delle aziende agri cole». Siffatti interventi rientrano nella categoria dei compiti di benes sere attribuiti dall'ordinamento alla pubblica amministrazione (caratte ristica del welfare state) e sono correntemente designati provvidenze (o, con significato identico, ausili, incentivazioni, sovvenzioni, contributi) che l'amministrazione eroga in favore dell'iniziativa economica privata (cfr. A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, II, 1006, spec. 1033 e 1144).
Quid iuris, a quale categoria di debiti appartiene l'intervento pubbli co in parola?
Punto focale della traiettoria interpretativa tracciata dalla Cassazione è la fondamentale distinzione tra debiti di valuta e debiti di valore, che, secondo l'unanime pensiero dei giudici di legittimità s'incentra sul la natura dell'oggetto originario dell'obbligazione. La tralatizia formu
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con delibera 28 aprile 1986, la giunta regionale della Calabria espresse parere favorevole al
la concessione, in favore di Vincenzo Iuele, coltivatore diretto, di un contributo di lire 30.546.000, da destinarsi alla «ricostitu
zione del capitale di conduzione, che non ha trovato reintegra zione e compenso per effetto della perdita del prodotto, a se
guito degli eventi calamitosi per la siccità del 1983»; tuttavia, la regione Calabria provvide al pagamento della somma delibe
rata soltanto dopo la notifica, da parte dello Iuele, di atto di
citazione avanti al Tribunale di Cosenza, in data 7 febbraio
1989, essendo rimasto senza esito il sollecito inviato dallo stesso
Iuele il 15 dicembre 1988.
la definitoria corrente in giurisprudenza vuole che rientrino nell'area dei debiti di valuta, soggetti al principio nominalistico, le obbligazioni
pecuniarie, la cui prestazione consiste fin dall'origine in un importo nominale di denaro: importo che può essere determinato o determinabi
le in base a criteri fissi. Si designano, invece, debiti di valore le presta zioni pecuniarie quantificabili esclusivamente in base a un dato valore economico. Segnatamente, secondo la notoria definizione rinvenibile in ambiente giurisprudenziale, i debiti di valore hanno ad oggetto fin dal
l'origine una cosa diversa dal denaro (da ultimo, cfr. Cass. 20 gennaio 1995, n. 634, Foro it., Rep. 1995, voce Obbligazioni in genere, n. 51; 4 novembre 1992, n. 11968, id., Rep. 1992, voce cit., n. 36; 18 aprile 1977, n. 1423, id., Rep. 1977, voce cit., n. 60).
La sentenza odierna inquadra nella classe dei debiti di valuta l'inter
vento economico devoluto — in forza delle leggi 739/60, 364/70 e suc
cessive modifiche — dalla regione (nella specie, Calabria) a favore del
l'impresa agricola danneggiata da pubbliche calamità. La Suprema cor
te si libera rapidamente della quaestio iuris de qua, rilevando che l'intervento pubblico in discorso non costituisce indennizzo versato dal la pubblica amministrazione per un sacrificio economico imposto al pri vato mediante provvedimento autoritativo, né somma di denaro corri
sposta a titolo di risarcimento di danni imputabili a soggetto pubblico, ma rappresenta, piuttosto, «un'erogazione di fondi assegnati alla regio ne Calabria per ragioni di ordine sociale, riconducibili all'opportunità di alleviare i pregiudizi arrecati all'agricoltura da calamità atmosferiche».
Tracciando a questo punto un asse fra l'argomentazione or ora trat
teggiata e le definizioni dei debiti di valuta e di valore più sopra deli
neate, la decisione in rassegna può essere letta nel senso che il contribu
to pubblico per calamità naturali viene determinato non in ragione di un dato valore economico, ossia in base alla situazione economica del
fondo agricolo esistente al momento dell'evento calamitoso, sibbene me
diante il riferimento a parametri fissi stabiliti dalla legge istitutiva del fondo destinato a fronteggiare catastrofi naturali.
Dopo aver ricondotto al genus dei debiti di valuta il contributo ero
gato dalla regione in caso di calamità atmosferiche, la corte di legittimi tà ha deciso, nel senso riassunto nella seconda massima, la questione circa la costituzione in mora della pubblica amministrazione in caso di inadempimento delle obbligazioni di valuta. Si tratta di una scelta
interpretativa che si affianca all'innovativo pensiero giurisprudenziale incline ad eliminare posizioni di privilegio della pubblica amministra
zione, estendendo a questa altri gruppi di norme del codice civile. Se
condo l'originaria tesi affermata dalla Cassazione, l'amministrazione è esonerata dagli effetti della mora fino al momento dell'emissione del
mandato di pagamento (Cass. 3 marzo 1979, n. 1347, id., Rep. 1980, voce Contabilità dello Stato, n. 39, e Giur. it., 1980, 1, I, 1342). Verso
la metà degli anni ottanta la Suprema corte ha mutato orientamento in materia, affermando che la pubblica amministrazione può essere co stituita in mora anche in caso di mancato esaurimento della procedura di liquidazione e pagamento, qualora abbia ingiustificatamente protrat to tale procedura oltre il tempo prescritto o il tempo ragionevolmente necessario (Cass., sez. un., 8 febbraio 1995, n. 1446, Foro it., Rep. 1995, voce Contratti della pubblica amministrazione, n. 294; 4 dicem
bre 1989, n. 5342, id., 1991, I, 1221, con nota di richiami di E. De
Metrio). In effetti, la necessità di adottare la procedura della contabili tà pubblica non può giustificare un esonero dell'amministrazione, in
caso di colpevole ritardo nella liquidazione e pagamento, dalla respon sabilità, ai sensi dell'art. 1218 c.c., per inesatto o tardivo adempimento della prestazione (responsabilità che si attua con la corresponsione degli interessi moratori come forma di risarcimento minimo), né dalla sogge zione al principio posto dall'art. 1224, 1° comma, c.c., che stabilisce
la decorrenza degli interessi dal giorno della costituzione in mora (cfr. Cass. 15 aprile 1986, n. 2675, id., Rep. 1986, voce Contabilità dello
Stato, n. 52). Si tende ormai a riconoscere che la pubblica amministra
zione deve adempiere le proprie obbligazioni senza alcuna possibilità di invocare a propria esimente le lungaggini della procedura di contabi
lità pubblica. Successivamente all'infruttuosa scadenza del termine fis
sato per l'adempimento, la pubblica amministrazione può cadere in mora
secondo le norme di diritto comune (cfr. C. M. Bianca, Diritto civile.
5. La responsabilità, Milano, 1994, 101). Nondimeno, dovendo i paga menti essere sempre effettuati presso l'amministrazione debitrice, si rende
normalmente necessaria l'intimazione o richiesta scritta di adempimen
II Foro Italiano — 1997.
Il tribunale adito, con sentenza 17 marzo/6 aprile 1993, di
chiarò cessata la materia del contendere in ordine alla somma
capitale, condannando la convenuta, rimasta contumace, al pa
gamento degli interessi legali con decorrenza dal 21 dicembre
1988, fino al pagamento del capitale (avvenuto in data 20 aprile
1989), e compensando in parte le spese del giudizio. Lo Iuele appellò, insistendo perché fosse riconosciuta, in suo
favore, la rivalutazione monetaria a far data dal 30 aprile 1986, e da tale data fossero, altresì, fatti decorrere gli interessi legali.
La Corte d'appello di Catanzaro, con sentenza 9 marzo/12
aprile 1994, ha rigettato l'impugnazione, affermando che il con
tributo regionale concesso all'appellante aveva natura di debito
di valuta, per cui il dedotto ritardo nel pagamento poteva assu
mere rilievo soltanto in presenza di negligenza o trascuratezza
degli organi o dei funzionari regionali, dei quali lo Iuele non
aveva provato la colpa; mentre gli interessi erano stati corretta
mente liquidati dalla data di messa in mora (21 dicembre 1988) dell'ente convenuto.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Vincen
zo Iuele, sulla base di quattro motivi, illustrati anche da memo
ria. La regione Calabria non si è costituita.
Motivi della decisione. — Premessa la titolarità di un diritto
soggettivo da parte del beneficiario di un pubblico contributo, una volta emessa la deliberazione che ne stabilisce l'attribuzione
e ne determina l'ammontare, il ricorrente col primo motivo de
duce la violazione degli art. 2 1. 11 ottobre 1983 n. 546, 1 1.
15 ottobre 1981 n. 590, 5 e 6 1. 25 maggio 1970 n. 360, 4 1.
21 luglio 1960 n. 739, sostenendo che, essendo il contributo
de quo finalizzato non ad una semplice erogazione di moneta, ma alla ricostituzione del controvalore dei beni di conduzione
del fondo agricolo andati perduti, la sua natura è quella di de
bito di valore, rientrando nel paradigma delle obbligazioni ri
sarcitone da fatti illeciti (analogamente all'illecito extracontrat
tuale da danni recati alle aziende agricole alla selvaggina, o al
l'indennizzo per rinuncia dell'affittuario alla conduzione di
terreno agricolo inserito in strumenti urbanistici). Col secondo motivo, il ricorrente ulteriormente sostiene la
violazione degli art. 2043 c.c., 28 e 97 Cost., da parte dei giudi ci d'appello, che avrebbero ritenuto non provata l'antigiuridici tà del comportamento della regione, che era invece in re ipsa, avendo la regione atteso per tre anni, dopo la delibera, per ema
nare l'ordinativo di spesa, una volta convenuta in giudizio, po nendo quindi in essere un inadempimento dovuto a colpevole inerzia degli organi regionali, e non un ritardato adempimento
dopo la notifica dell'atto di citazione in giudizio. Una tale inerzia costituisce, secondo il ricorrente, violazione,
fra l'altro, dei principi di diligenza e di legalità, che si pongono come limiti esterni della discrezionalità.
Né la regione ha provato che tale inadempimento era deriva
to da motivi organizzativi, mentre non può gravare sul cittadi
no l'onere della prova della condotta negligente della pubblica
amministrazione, quando i tempi normalmente occorrenti per i normali adempimenti siano di gran lunga superati, e possa
to ex art. 1219, 1° comma, c.c. (da ultimo, cfr. Cass. 18 giugno 1996, n. 5596, Foro it., Rep. 1996, voce Contratti della pubblica amministra
zione, n. 268; 19 giugno 1995, n. 6919, id., Rep. 1995, voce Sanità
pubblica, n. 247). Non si fa luogo, invece, a richiesta formale di paga mento in caso di obbligazioni che derivano da fatto illecito o che la
pubblica amministrazione rifiuta formalmente di adempiere (cfr. Cass. 12 gennaio 1993, n. 229, id., Rep. 1993, voce Invalidi civili e di guerra, n. 47; 5 gennaio 1993, n. 26, ibid., n. 49; 16 aprile 1992, n. 4640,
id., Rep. 1992, voce cit., n. 62) o qualora la legge preveda un meccani
smo di costituzione in mora automatica dell'amministrazione (cfr. l'art.
4, 1° comma, 1. 10 dicembre 1981 n. 741, in materia di appalti di opere
pubbliche). La necessità di espletare la procedura di liquidazione e pagamento
viene mantenuta ferma in materia di interessi corrispettivi dovuti dal
l'amministrazione (cfr. Cass. 4 dicembre 1989, n. 5342, cit.). In effetti,
gli interessi corrispettivi (detti anche interessi di pieno diritto) decorro
no su tutte le somme liquidate ed esigibili (cfr. art. 1282 c.c.). Pertanto, anche l'illiquidità o l'inesigibilità del debito per effetto della mancata
conclusione della procedura di contabilità pubblica non fanno sorgere il diritto agli interessi di pieno diritto; ma, certamente, non esonerano
la pubblica amministrazione dalla responsabilità per l'ingiustificato ri
tardo nel pagamento: a suo carico decorreranno gli interessi moratori.
[L. Lambo]
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2831 PARTE PRIMA 2832
quindi «di per sé» ravvisarsi la negligente esecuzione di un atto
legittimo. Col terzo motivo di ricorso, adducendo la violazione degli
art. 1219, 1224 e 2041 c.c., nonché vizio di motivazione, il ri
corrente sostiene di aver messo in mora la regione, non col sol
lecito 21 dicembre 1988, ma dalla data in cui la regione, rece
pendo la domanda di concessione del contributo, aveva adotta
to la relativa delibera (30 aprile 1986). Da tale data devono,
quindi, decorrere gli interessi legali, nonché il danno da svalu
tazione, comprovato dalla qualità di coltivatore diretto del ri
corrente e dalle finalità reintegratorie del contributo sui beni
di conduzione dell'azienda.
Col quarto motivo, infine, il ricorrente lamenta la violazione
dell'art. 91 c.p.c., per essere state in parte compensate le spese di primo grado, sul presupposto della mancata resistenza della
convenuta, che aveva adempiuto alla propria obbligazione, così
sminuendo la posizione vittoriosa dell'attore.
Analogamente, la regione avrebbe dovuto restare soccomben
te in sede d'appello, mentre la corte di Catanzaro non aveva
liquidato le spese, stante la contumacia dell'appellata. Il primo motivo di ricorso, col quale il ricorrente vuol confi
gurare come debito di valore il contributo per calamità naturali
erogato dalla regione Calabria, è infondato.
Se, infatti, si può riconoscere che il contributo de quo è stato
deliberato al fine di reintegrare il capitale di conduzione del
fondo dello Iuele, esso non rappresenta sicuramente né un cor
rispettivo, né tantomeno un indennizzo per il sacrificio di un
diritto soggettivo autoritativamente imposto dallo Stato, ovvero
allo Stato imputabile, trovando piuttosto la propria base in un'e
rogazione di fondi assegnati alla regione Calabria per ragioni di ordine sociale, riconducibili all'opportunità di alleviare i pre
giudizi arrecati all'agricoltura da calamità atmosferiche, ma non
certamente a fatti dannosi contra legem, imputabili a soggetti pubblici.
E anche a voler concordare, nella sempre spinosa distinzione
fra debiti di valore e debiti di valuta, con la chiara opinione a suo tempo espressa da questa corte (Cass. 8 aprile 1977, n.
1423, Foro it., Rep. 1977, voce Obbligazioni in genere, n. 60), secondo cui «per distinguere i debiti di valuta, soggetti al prin cipio nominalistico, dai debiti di valore occorre aver riguardo non alla natura dell'oggetto nel quale la prestazione avrebbe
dovuto concretarsi al momento dell'inadempimento o del fatto
dannoso, bensì all'oggetto diretto ed originario della prestazio ne che, nelle obbligazioni di valore consiste in una cosa diversa dal denaro, mentre nelle obbligazioni pecuniarie, è una somma di denaro, a nulla rilevando l'originaria indeterminatezza della
prestazione pecuniaria stessa», proprio da tale principio si desu me che una volta intervenuta la determinazione, cioè la quanti ficazione dell'obbligazione, essa, anche se originariamente di va lore perché indeterminata, si trasforma ad ogni effetto in un'ob
bligazione di valuta (Cass. 2105/89, id., 1989, I, 2800; 809/91, id., Rep. 1991, voce Assicurazione (contratto), n. 228).
Da quel momento in poi sussiste dunque per l'amministrazio ne l'obbligo di adempimento, nella specie volontariamente as sunto con atto unilaterale (la deliberazione della giunta regiona le), la cui violazione è analoga alla violazione degli obblighi derivanti da contratto, in relazione ai quali trovano applicazio ne nei confronti della pubblica amministrazione i principi civili stici sulla responsabilità contrattuale, salvi tuttavia alcuni tem
peramenti derivanti dalla particolare disciplina della contabilità
pubblica. In tale prospettiva, la regione era sicuramente tenuta, ai sensi
degli art. 1175 e 1176 c.c., a comportarsi secondo le regole della correttezza e ad usare la dovuta diligenza nell'adempimento del
l'obbligazione assunta nei confronti dello Iuele, ponendo in es sere con tempestività i meccanismi liquidatori prescritti dalle leggi.
E, tuttavia, non può condividersi la tesi esposta dal ricorren te col secondo motivo di ricorso, secondo cui, nella specie, il ritardato adempimento dell'obbligazione da parte della regione, configurerebbe un illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c., con conse
guente obbligo risarcitorio nei confronti dello Iuele, esistendo dolo o colpa grave nella negligente condotta tenuta dai funzio nari regionali verso di lui.
Posto che, per quanto si è detto, il ritardo nell'adempimento riguarda, nella specie, un credito di valuta, e non di valore, non è, in primo luogo, configurabile una responsabilità extra contrattuale della pubblica amministrazione, laddove il giudizio
Il Foro Italiano — 1997.
derivante dal ritardato adempimento di un obbligo volontaria
mente assunto afferisca il solo rapporto fra le parti (Cass. 216/74,
id., Rep. 1974, voce Responsabilità civile, n. 61), e non pregiu dichi quei diritti primari ed assoluti, verso i quali specialmente si dirige la tutela aquiliana di cui all'art. 2043 c.c. (Cass. 1717/70,
id., Rep. 1970, voce cit., n. 42; 261/77, id., Rep. 1977, voce
cit., n. 84; 2577/95, id., Rep. 1995, voce Interessi, n. 25). In secondo luogo, deve rilevarsi che sebbene, nel caso in esa
me, la condotta dei funzionari regionali che tennero «ferma»
la pratica per circa tre anni, predisponendo il mandato di paga mento soltanto dopo la notifica dell'atto di citazione in giudi
zio, sia stata senza dubbio riprovevole, non confacendosi una
tale assoluta inattività, in via generale, alle regole di diligenza e buona fede imposte alla pubblica amministrazione, tuttavia
nessuna indagine (Cass. 1808/85, id., Rep. 1985, voce Respon sabilità civile, n. 122) risulta essere stata richiesta ovvero com
piuta in sede di merito in ordine alle potenzialità della struttura
operativa che doveva provvedere al pagamento e ai tempi da
essa normalmente impiegati per assolvere alle proprie incom
benze, né risulta esservi nella specie un termine legislativamente
previsto per l'adempimento. Non può, dunque, genericamente affermarsi la sussistenza di una responsabilità risarcitoria della
pubblica amministrazione, poiché la configurazione civilistica
dell'obbligazione applicabile nella fattispecie, trova un invalica
bile limite nelle regole generali derivanti dalle disposizioni sulla
contabilità dello Stato e degli enti pubblici (art. 270 r.d. 23 mag
gio 1924 n. 827), secondo il quale i debiti pecuniari di tali sog
getti pubblici, diventano liquidi ed esigibili, in deroga alla nor
ma di cui all'art. 1282 c.c., e generano come tali l'obbligo degli interessi, solo dal momento della emissione del relativo obbligo di spesa (Cass. 406/85, id., Rep. 1985, voce Contabilità dello
Stato, n. 59; 6033/85, ibid., voce Impiegato dello Stato, n. 1003). Ciò non significa, naturalmente, che l'inesigibilità di un'ob
bligazione pecuniaria della pubblica amministrazione fino alla
emissione del mandato di pagamento escluda sempre la mora
creditoria. Infatti, anche se nei confronti della pubblica ammi
nistrazione non è in via generale applicabile la regola civilistica
secondo cui quod sine die debetur, statim debetur, ostandovi, come si è detto per quanto attiene ai pagamenti da effettuarsi
con mandato di tesoreria, come nella specie, la disciplina sulla
contabilità dello Stato, questa corte ha più volte affermato il
potere del giudice ordinario di fissare un termine per l'adempi mento degli obblighi di carattere privato della pubblica ammini
strazione (Cass. 1274/70, id., Rep. 1970, voce Opere pubbliche, n. 253; 1343/70, id., 1970, I, 2434; 3162/75, id., Rep. 1975, voce Contratti della pubblica amministrazione, n. 42; 6738/83, id., Rep. 1983, voce Agricoltura, n. 92) così come tale regola non trova applicazione in caso di interessi relativi a crediti di lavoro (Cass. 3324/81, id., Rep. 1981, voce Contratti della pub blica amministrazione, n. 95; 3533/85, id., Rep. 1985, voce Con tabilità dello Stato, n. 60) e pensionistici (Cass. 1994/88, id., Rep. 1988, voce Previdenza sociale, n. 1106), essendo nell'un caso il credito di lavoro collegato, per l'eventuale incapienza, al maggiore danno da svalutazione monetaria, che ha natura risarcitoria e decorre per legge dal giorno della maturazione del
diritto; nell'altro, dalla previsione specifica di mora dell'ente
previdenziale con il decorso di centoventi giorni dalla data di
presentazione della domanda amministrativa (art. 7 1. 533/73) equivalendo il silenzio dell'ente ad automatica costituzione in mora (Cass. 8848/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 1229).
Quando, infatti, siano stati legislativamente introdotti i pre
supposti della mora, gli interessi sono dovuti dalla pubblica am
ministrazione indipendentemente dalla emissione del titolo di
spesa (Cass. 2293/83, id., Rep. 1983, voce Dogana, n. 75; 46/85, id., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 2415; 1693/85, ibid., voce Previdenza sociale, n. 189; 2675/86, id.\ Rep. 1986, voce Contabilità dello Stato, n. 52; 402/86, id., 1986,1, 3801; 3110/90, id., Rep. 1990, voce Cieco, n. 4).
Deve, quindi, affermarsi, a parziale integrazione della moti vazione della sentenza impugnata, che allorché sussista, come nella specie, l'obiettiva impossibilità di definire a priori come
«ragionevole» (anche in difetto di qualsivoglia indagine di meri to sul punto: Cass. 1808/85, cit.) questo o quel termine di adem
pimento di obblighi della pubblica amministrazione verso priva ti, esigibili attraverso mandato di tesoreria, e in assenza di un termine di adempimento esplicitamente previsto (come accade, ad esempio, nel caso di morosità della pubblica amministrazio
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ne nel pagamento di canoni di locazione: Cass. 5725/88, sic) la pubblica amministrazione è costituita in mora (ove non si
attivi il procedimento di fissazione del termine di adempimento di cui all'art. 1183 c.c., prima citato), non dal momento della
quantificazione pecuniaria del debito, ma ai sensi dell'art. 1219, 1° comma, c.c., dal momento della intimazione o richiesta scritta
di adempimento fatta dal creditore, come avviene in tutti i casi
di obbligazioni querables, cioè eseguibili presso il domicilio del debitore, costituito nella specie dall'ufficio di tesoreria dell'ente.
La 1. 4 agosto 1990 n. 241 (non applicabile al caso in esame,
che precede comunque la sua emanazione) ha disposto che ven
ga determinato per ciacun procedimento il termine entro in quale esso deve concludersi, termine da ritenersi fissato, in assenza
di diversa prescrizione, in trenta giorni; tale disciplina dovrebbe
infine permettere l'integrale estensione alla pubblica ammini
strazione delle regole civilistiche in tema di responsabilità con
trattuale ed elimina con anacronistici privilegi (Cass. 5883/91,
id., 1992, I, 453). Ma, per quanto attiene il caso di specie, deve confermarsi
l'assunto dei giudici d'appello, secondo cui la regione Calabria
è stata messa in mora dallo Iuele soltanto con la lettera di solle
cito 21 dicembre 1988, e perciò da tale data debbono decorrere
gli interessi; ma dalla stessa data decorre, altresì (così parzial
mente accogliendosi il terzo motivo di ricorso), il danno da sva
lutazione monetaria, connesso alla qualità di coltivatore diretto
del ricorrente, sicuramente inquadrabile nella categoria giuris
prudenziale di «modesto consumatore» (Cass. 351/93, id., Rep.
1993, voce Requisizioni, n. 2), dotato di capacità di produrre
un reddito medio, abbisognevole di reinvestimento.
Non può, infatti, considerarsi come «intimazione di pagamen
to», concettualmente collegata ad un debito già scaduto, la sem
plice domanda di assegnazione di un contributo per le calamità
subite, rivolta dallo Iuele alla regione Calabria in data 20 aprile
1984, non potendosi ravvisare alcuna analogia fra tale doman
da e gli effetti legislativamente previsti della presentazione della
domanda di pensione (Cass. 2530/90, id., Rep. 1990, voce Espro
priazione per pubblico interesse, n. 228), di cui si è già detto
con riferimento alla decorrenza della mora; né per quanto pri
ma esposto, l'inadempimento dell'ente regionale era atto a por
re l'ente locale in mora dal 30 aprile 1986 (data della delibera),
dovendo i necessari tempi procedimentali contabili coniugarsi,
ai fini della mora, o con un termine fissato dalla legge o dal
giudice, o con l'intimazione scritta di pagamento rivolta all'ente
dal privato creditore. (Omissis)
Rigettati pertanto il primo, il secondo ed il quarto motivo
di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata in parziale
accoglimento del terzo motivo di ricorso, con rinvio, anche per
la liquidazione delle spese relative al presente grado di giudizio,
ad altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 14 luglio
1997, n. 6389; Pres. Mollica, Est. Rosselli, P.M. Nardi
(conci, conf.); Soc. Edime e altro (Aw. De Luca Tamajo)
c. Ispettorato provinciale del lavoro di Napoli. Conferma Pret.
Napoli 22 aprile 1994.
Lavoro (rapporto di) — Giornalista — Vincolo di subordina
zione — Configurabilità — Condizioni (Cod. civ., art. 2094). Lavoro (collocamento e mobilità della mano d'opera) — Gior
nalista — Iscrizione all'albo — Natura — Disciplina sul col
locamento — Compatibilità (L. 29 aprile 1949 n. 264, prov vedimenti per l'avviamento al lavoro e per l'assistenza ai la
voratori involontariamente disoccupati, art. 27; 1. 3 febbraio
1963 n. 69, ordinamento della professione di giornalista, art.
45; 1. 28 febbraio 1987 n. 56, norme sull'organizzazione del
mercato del lavoro, art. 27).
Il Foro Italiano — 1997.
Lavoro (collocamento e mobilità della mano d'opera) — Rap
porto di lavoro giornalistico — Disciplina sul collocamento — Questione manifestamente infondata di costituzionalità
(Cost., art. 21; 1. 29 aprile 1949 n. 264, art. 11).
La creatività immanente nei contenuti intellettuali propri del
l'attività giornalistica attenua ma, di per sé, non elimina la
subordinazione del prestatore di lavoro, che ricorre sempre che sussista la disponibilità del giornalista ad eseguire le istru
zioni dell'editore in ordine allo svolgimento delle prestazioni, anche nell'intervallo tra una prestazione e l'altra, e non ri
chiede l'imposizione d'un orario di lavoro. (1)
L'iscrizione all'albo professionale, che, per effetto della previ sione di cui all'art. 45 l. 69/63, costituisce condizione di vali
dità del contratto di lavoro subordinato avente ad oggetto la prestazione di attività giornalistica, non contraddicendo le
esigenze di regolamentazione del mercato del lavoro poste al
la base delle leggi sul collocamento, non è incompatibile con
la disciplina pubblicistica delle assunzioni. (2) È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. Il l. 29 aprile 1949 n. 264 nella parte in cui,
non esentandole dall'osservanza della disciplina pubblicistica delle assunzioni, limita la libertà delle imprese giornalistiche, nella scelta dei collaboratori in riferimento all'art. 21 Cost. (3)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 20 mag
gio 1997, n. 4502; Pres. Mercurio, Est. Vidiri, P.M. Giaca
lone (conci, conf.); De Iorio (Avv. Dell'Olio, De Iorio) c.
Soc. Editrice Romana (Avv. Ghera, De Francesco). Con
ferma Trib. Roma 22 maggio 1996.
Lavoro (rapporto di) — Giornalista — Vincolo di subordina
zione — Configurabilità — Condizioni — Fattispecie (Cod.
civ., art. 2094). Lavoro (rapporto di) — Giornalista praticante — Iscrizione nel
registro — Omissione — Nullità del contratto (Cod. civ., art.
1418, 2126; 1. 3 febbraio 1963 n. 69, art. 33, 34, 45). Lavoro (rapporto) — Giornalista praticante — Attestazione d'i
nizio pratica — Mancato rilascio — Iscrizione nel registro — Esclusione — Conseguenze (Cod. civ., art. 2126; 1. 3 feb
braio 1963 n. 69, art. 33, 34; d.p.r. 4 febbraio 1965 n. 115,
regolamento per l'esecuzione della 1. 3 febbraio 1963 n. 69,
art. 36).
L'attività giornalistica di collaborazione redazionale, caratteriz
zata da un vincolo di subordinazione attenuato dalla creativi
tà e dalla particolare autonomia della prestazione lavorativa,
rientra nello schema del rapporto di lavoro subordinato se
continuativa ed implicante (pur in assenza di altri connotati
tipici del predetto rapporto) la sottoposizione tecnico-gerarchica
del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro in rela
zione all'oggetto ed alle modalità delle prestazioni (nella spe
cie, emblematici di detta sottoposizione sono stati ritenuti il
controllo esplicato dal direttore della pubblicazione sugli ela
borati del giornalista, la disponibilità di quest'ultimo ad ap
portarvi modifiche ed aggiustamenti in funzione di esigenze
redazionali e d'impaginazione, nonché la destinazione degli
elaborati medesimi ad una rubrica specificamente voluta dal
direttore per il perseguimento della finalità aziendale di allar
gare la base dei lettori). (4)
(1, 4) Le massime esprimono un principio ampiamente consolidato.
Sostanzialmente nello stesso senso: Cass. 9 febbraio 1996, n. 1024, Fo
ro it., Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 567; 28 luglio 1995, n.
8260, id., Rep. 1995, voce cit., n. 438; 10 marzo 1994, n. 2352, id.,
Rep. 1994, voce cit., n. 561 (e Dir. lav., 1994, II, 117, con nota di
Battista); 18 febbraio 1993, n. 1989, Foro it., Rep. 1993, voce cit.,
n. 581; 27 settembre 1991, n. 10086, id., Rep. 1991, voce cit., n. 544;
27 giugno 1990, n. 6512, id., Rep. 1990, voce cit., n. 531; 23 maggio
1986, n. 3486, id., Rep. 1986, voce cit., n. 617, tutte richiamate nelle
motivazioni delle sentenze in epigrafe. Alla medesima impostazione ade
riscono: Cass. 9 agosto 1996, n. 7372, id., Rep. 1996, voce cit., n.
565; 3 luglio 1981, n. 4332, id., Rep. 1981, voce cit., n. 323; 14 aprile
1981, n. 2266, id., Rep. 1982, voce cit., n. 327. Per una diversa valuta
zione, ai fini considerati, dell'assenza di vincoli di orario e della com
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