sezione I civile; sentenza 17 luglio 1999, n. 7571; Pres. R. Sgroi, Est. Salmè, P.M. Apice (concl.diff.); Min. finanze e altro (Avv. dello Stato Salimei) c. Cassa di risparmio di Spoleto eFondazione cassa di risparmio di Spoleto (Avv. Cavadenti). Cassa Comm. trib. reg. Umbria 29ottobre 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 10 (OTTOBRE 1999), pp. 2827/2828-2831/2832Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194893 .
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2827 PARTE PRIMA 2828
me, nella quale l'inosservanza delle forme rende improduttivo di effetti il recesso del datore di lavoro. Questo significa che
non venendo meno la relazione tra le parti, la situazione deve
essere valutata tenendo conto dei principi generali in materia
di inadempimento quando si è in presenza di un contratto a
prestazioni corrispettive. Il problema si è posto all'attenzione di questa corte in una
fattispecie diversa — quella della retribuibilità degli intervalli
non lavorati nel caso di successione di una pluralità di contratti
a termine, nei quali l'apposizione della clausola sia illegittima — ed i risultati ai quali è pervenuta l'elaborazione giurispru denziale possono essere utilizzati anche per il caso in esame.
Nel comporre il contrasto insorto nella giurisprudenza di le
gittimità, Cass., sez. un., 5 marzo 1991, n. 2334 (id., 1991,
I, 1100) è partita dalla più generale considerazione che il con
tratto di lavoro è un contratto a prestazioni corrispettive, pur se apparentemente caratterizzato da un certo grado di deviazio
ne dalla disciplina degli effetti della corrispettività delle presta
zioni, per il fatto che talora è posto a carico del datore di lavo
ro l'obbligo di corrispondere la retribuzione malgrado la man
canza di effettiva controprestazione lavorativa, come nel caso
del riposo settimanale (art. 2108 c.c.), delle ferie annuali (art. 2109 c.c.), della sospensione dell'obbligazione di lavoro per ma
lattia, infortunio, gravidanza e puerperio, servizio militare (art. 2110 c.c.). In questi casi, però, pur se è assente il sinallagma
funzionale, non manca quello genetico; infatti la corrispettività fra obbligazioni comunque sussiste, in quanto anche se non vi
è corrispondenza temporale fra retribuzione e lavoro, l'obbliga zione retributiva, pur se non ha a fronte una prestazione lavo
rativa in atto, è pur sempre collegata all'esistenza dell'obbliga zione di lavoro nell'arco temporale complessivo del rapporto, così che quella retribuzione va a compensare la prestazione la
vorativa intesa nel suo complesso, comprensiva cioè anche di
quelle obbligazioni (ad esempio: di fedeltà), che non sempre si accompagnano alla concreta messa a disposizione delle ener
gie lavorative.
Dalla natura sinallagmatica del rapporto di lavoro discende
che è presupposta la messa a disposizione di operae e che l'ero
gazione del trattamento economico in mancanza di lavoro costi
tuisce un'eccezione, che deve essere oggetto di una espressa pre visione di legge o di contratto.
Sulla base di tale premessa, le sezioni unite hanno concluso
che gli intervalli non lavorati, nel caso prospettato, non devono
essere retribuiti, traendo conferma per tale conclusione nel fat
to che, nel caso di licenziamento illegittimo, per il quale venga
disposta la reintegrazione nel posto di lavoro, è la specifica pre visione dell'art. 18 statuto lavoratori — come modificato dalla
1. n. 108 del 1990 — a consentire che al lavoratore sia dovuto
non già la retribuzione, ma il risarcimento del danno commisu
rato alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenzia
mento a quello dell'effettiva reintegrazione. Il principio, che può ritenersi ormai fermo nella giurispru
denza di questa corte (tra le più recenti, Cass. 27 giugno 1996, n. 5930, id., Rep. 1996, voce cit., n. 543; 27 febbraio 1998, n. 2192, id., Rep. 1998, voce cit., n. 707; 21 dicembre 1998, n. 12752, ibid., n. 685), può essere evidentemente esteso all'ipo tesi di licenziamento viziato nella forma, nel senso cioè che pu re in questo caso il lavoratore non può aver diritto alle retribu
zioni, ma al risarcimento del danno, eventualmente commisura
to alle mancate retribuzioni. Ma proprio perché si tratta di un
risarcimento del danno — ed in assenza di una disciplina speci fica per la determinazione del suo ammontare — soccorrono
i normali criteri fissati per i contratti in genere, con la conse
guenza che, se il datore offre la prova che l'inadempimento o il ritardo è determinato da impossibilità della prestazione de
rivante da causa a lui non imputabile (come, ad esempio, nel
caso di rifiuto del lavoratore di riprendere il lavoro), non è te
nuto al risarcimento (art. 1218 c.c.); che deve essere detratto
dall'ammontare del danno ì'aliud perceptum che il lavoratore
può aver conseguito svolgendo una qualsivoglia attività lucrati
va; che, trattandosi di inefficacia e non dovendo il licenziamen
to essere impugnato entro il termine di cui all'art. 6 1. n. 604, bensì entro i normali termini di prescrizione, il lavoratore che — con dolo o colpa — ritardi nel far valere il suo diritto si
potrà veder ridotto l'ammontare del risarcimento (art. 1227 c.c.),
Il Foro Italiano — 1999.
non potendo nemmeno essere escluso a priori che in tale com
portamento (da solo o insieme ad altri elementi acquisiti al pro
cesso) non si possa ravvisare — in base ad una valutazione ri
messa al giudice di merito — l'intento di voler aderire alla riso
luzione del rapporto. 16. - Il ricorso proposto deve essere pertanto accolto per quan
to di ragione e la sentenza impugnata deve essere cassata, con
rinvio ad altro giudice, che si designa nel Tribunale di Napoli, il quale provvederà a riesaminare la questione tenendo conto
del presente principio di diritto:
«Nei rapporti di lavoro sottratti al regime della tutela reale
ai sensi dell'art. 18 1. 20 maggio 1970 n. 300, come modificato
dall'art. 1 1. 11 maggio 1990 n. 108, qualora il datore di lavoro, a seguito di richiesta del lavoratore, non provveda ad indicare
i motivi del licenziamento entro i termini previsti dall'art. 2 1.
15 luglio 1966 n. 604, come modificato dall'art. 2 1. 11 maggio 1990 n. 108, il recesso non produce effetti sulla continuità del
rapporto ed il lavoratore ha diritto — trattandosi di contratto
a prestazioni corrispettive — non già alle retribuzioni, ma al
risarcimento del danno, da determinarsi secondo le regole gene rali dell'inadempimento delle obbligazioni».
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 17 luglio
1999, n. 7571; Pres. R. Sgroi, Est. Salme, P.M. Apice (conci,
diff.); Min. finanze e altro (Avv. dello Stato Salimei) c. Cas
sa di risparmio di Spoleto e Fondazione cassa di risparmio di Spoleto (Avv. Cavadenti). Cassa Comm. trib. reg. Um
bria 29 ottobre 1996.
Tributi in genere — Esenzioni ed agevolazioni — Conferimento
di azienda bancaria — Imposte di registro, ipotecaria e cata
stale — Aliquota agevolata (L. 30 luglio 1990 n. 218, disposi zioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimonia le degli istituti di credito di diritto pubblico, art. 7).
Tributi in genere — Esenzioni ed agevolazioni — Conferimento
di azienda bancaria — Imposte di registro, ipotecaria e cata
stale — Aliquota agevolata — Questione manifestamente in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 53; 1. 30 luglio 1990
n. 218, art. 7).
L'aliquota agevolata dell'uno per mille prevista dall'art. 7 l.
30 luglio 1990 n. 218 per le operazioni di conferimento di
azienda bancaria si applica per ciascuno dei tributi (imposta di registro, imposta ipotecaria, imposta catastale) previsti dalla
norma stessa. (1) È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 7 l. 30 luglio 1990 n. 218, nella parte in cui
fissa nell'uno per mille le aliquote dell'imposta di registro,
dell'imposta ipotecaria e di quella catastale dovute per le ope razioni di conferimento di azienda bancaria, in riferimento
agli art. 3, 1° comma, e 53, 1° comma, Cost. (2)
(1-2) Non si rinvengono precedenti editi in termini nella giurispru denza della Suprema corte.
La Cassazione esclude che la norma agevolativa di cui all'art. 7 1. 30 luglio 1990 n. 218 possa essere letta nel senso di contenere entro il limite dell'uno per mille del valore dell'azienda bancaria conferita alla stregua dell'art. 1 della stessa legge l'importo complessivo dovuto a titolo d'imposta di registro, di imposta ipotecaria e d'imposta catastale.
La sentenza non prende invece posizione — in quanto non investita da specifico motivo di ricorso — sulla questione della determinazione del limite di cento milioni previsto dall'art. 7 come tetto massimo d'im
posta, anche se, ove fosse in futuro tenuta ferma l'odierna motivazio ne, sembra improbabile una conclusione nel senso della sua operatività come limite complessivo di prelievo.
Nella giurisprudenza tributaria, nello stesso senso di cui in massima
(nonché nel senso che quello di cento milioni è il limite previsto per
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con atto pubblico del 5 marzo
1992, registrato il 19 successivo, è stata costituita la Cassa di
risparmio di Spoleto s.p.a. con capitale proveniente dalla Cassa
di risparmio di Spoleto e dalla Cassa di risparmio delle provin ce lombarde. In particolare, la cassa di risparmio ha conferito
la propria azienda bancaria del valore complessivo di lire
63.591.559.286, comprensiva di immobili per un valore di lire
22.225.429.191. In relazione a tale atto l'ufficio del registro di
Spoleto ha applicato e riscosso l'imposta di registro dell'uno
per mille sul valore complessivo dell'azienda conferita dalla Cassa
di risparmio di Spoleto, pari a lire 63.591.559.286 e un'imposta
ipotecaria e catastale dell'uno per mille, per ciascun tributo, sul valore dei beni immobili, pari a lire 22.225.429.191, per un
importo complessivo, pertanto, di lire 108.042.000.
Con istanza del 23 dicembre 1992 la Cassa di risparmio di
Spoleto s.p.a. ha chiesto il rimborso delle imposte ipotecarie e catastali versate, sostenendo che, ai sensi dell'art. 7, 1° com
ma, 1. n. 218 del 1990, l'importo di quanto dovuto a titolo
d'imposta di registro, ipotecaria e catastale, non poteva supera re la misura dell'uno per mille per tutti e tre i tributi con un
tetto massimo di lire cento milioni. Il ricorso proposto nei con
fronti del silenzio-rifiuto dell'ufficio è stato respinto dalla Com
missione tributaria di primo grado di Spoleto, con decisione
dell'11 luglio 1994.
In riforma di tale decisione la Commissione tributaria regio nale di Perugia ha invece ritenuto che la lettera dell'art. 7, 1°
comma, 1. n. 218 del 1990, ha il significato univoco di disporre che l'aliquota dell'uno per mille si riferisce all'applicazione cu
mulativa delle tre imposte, perché altrimenti il legislatore avreb
be precisato che la misura dell'uno per mille si applica a «cia
scuna» imposta. Inoltre, la portata letterale della disposizione sarebbe conforme alla ratio della norma che è stata introdotta
per agevolare le ristrutturazioni e le integrazioni patrimoniali
degli istituti creditizi per allinearli alle banche dell'Unione euro
pea e per porli in condizioni di meglio operare in regime di
libera concorrenza sui mercati creditizi e finanziari d'Europa. Non contrasterebbe con questo rilievo l'osservazione dell'am
ministrazione secondo cui, applicando l'aliquota dell'uno per mille a ciascuna delle tre imposte, non verrebbe frustrato l'in
tento agevolativo della legge, perché comunque il trattamento
ordinario sarebbe più oneroso. Infatti, ai sensi dell'art. 7 della
direttiva Cee 17 luglio 1969 n. 69/335, per i conferimenti di
uno o più rami d'impresa la legislazione nazionale dovrebbe
prevedere addirittura l'esenzione dell'imposta di registro. Avverso la sentenza della commissione tributaria regionale ha
proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo l'am
ministrazione finanziaria. Resistono con controricorso, illustra
to con memoria, la Cassa di risparmio di Spoleto s.p.a. e la
Fondazione cassa di risparmio di Spoleto. Motivi della decisione. — 1. - Deducendo la violazione del
l'art. 7, 1° comma, 1. n. 218 del 1990, l'amministrazione sostie
ne che l'interpretazione accolta dalla commissione regionale ur
ta contro la constatazione che la legge non ha creato una (sola) nuova imposta, ma ha mantenuto in vigore le tre imposte di
registro, ipotecaria e catastale, innovando solo per quanto ri
guarda l'aliquota. D'altra parte, se tale aliquota dovesse appli carsi cumulativamente alle tre imposte, ne deriverebbe che l'ali
ciascun singolo tributo), v. Comm. trib. II grado L'Aquila 18 marzo
1996, Foro it., Rep. 1997, voce Tributi in genere, n. 1191.
L'orientamento dell'amministrazione, ora avallato dal giudice di le
gittimità, si rinviene in min. fin. circ. 7 dicembre 1991, n. 54, Bollettino
trib., 1992, 290, ove si afferma che «la trasparenza dell'articolo in esa
me non lascia dubbi in proposito e che quindi la volontà legislativa sia quella di applicare per ciascun tributo la più tenue aliquota dell'uno
per mille. La suesposta tesi trova conferma nel fatto che il legislatore ove avesse voluto statuire diversamente, rispetto ad altri provvedimenti di legge che hanno sempre diversificato i menzionati tributi (v. 1. 904/77) 10 avrebbe espressamente previsto».
Contra, G.M. Cipolla, L'applicazione delle imposte di registro, ipo tecarie e catastale nella legge Amato, in Rass. trib., 1996, 1495, per 11 quale la tesi fatta propria dall'amministrazione finanziaria «tradisce
la finalità perseguita dal legislatore con la legge Amato, ossia la finalità
di incoraggiare la ristrutturazione degli enti creditizi proprio attraverso
la concessione di agevolazioni fiscali».
Il Foro Italiano — 1999.
quota di ciascuna sarebbe dello 0,33 per mille, e cioè di una
misura assolutamente non contemplata dalla legge e dipendente da una determinazione dell'interprete. Inoltre contrasterebbe con
l'applicazione cumulativa dell'aliquota la circostanza che cia
scuna imposta ha una base imponibile diversa (quella di regi stro si commisura al valore di tutti i beni conferiti, quella ipote caria e catastale si applica sul valore dei soli beni immobili).
Ribadisce, infine, l'amministrazione la tesi che l'applicazione
dell'aliquota dell'uno per mille per ciascuna imposta comunque non farebbe venir meno la finalità incentivante della legge, per ché il complessivo trattamento fiscale sarebbe sempre di gran
lunga inferiore a quello ordinario. In realtà, conclude la ricor
rente, la commissione regionale, non avrebbe fatto altro che
creare in via giurisprudenziale una nuova imposta non prevista dalla legge.
2. - Il ricorso è fondato.
L'art. 7, 1° comma, 1. 30 luglio 1990 n. 218, che reca disposi zioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale
degli istituti di credito di diritto pubblico, nel primo periodo testualmente prevede che: «Per le fusioni, le trasformazioni e
i conferimenti effettuati a norma dell'art. 1 le imposte di regi
stro, ipotecarie e catastali si applicano nella misura dell'uno
per mille e sino ad un importo massimo non superiore a cento
milioni di lire». Il dato letterale (avere il legislatore usato il termine «misu
ra» e non «aliquota» e non avere espressamene previsto che
la «misura» dell'uno per mille si applica a «ciascuna» imposta) non sembra decisivo per indurre a ritenere che l'uno per mille
debba essere calcolato per le tre imposte, unitariamente consi
derate. La stessa disposizione, infatti, non contiene alcuna
espressione testuale che possa far pensare a una considerazione
unitaria delle imposte applicabili ai conferimenti di aziende ban
carie, ma anzi dimostra in modo inconfutabile che per il legi slatore ogni imposta conserva la propria autonomia. Se fosse
esatta l'interpretazione seguita dal giudice tributario la disposi zione avrebbe dovuto essere scritta nel senso che le tre imposte indicate si applicano nella misura «complessiva» o «globale» o «cumulativa» (o anche altra espressione equivalente) dell'uno
per mille.
Se quindi, sul piano letterale, non può affermarsi che la nor
ma ha previsto un'unica imposta, deve ritenersi che anche ai
conferimenti previsti dalla 1. n. 218 del 1990 continuano ad ap
plicarsi le tre imposte di registro, ipotecaria e catastale, le quali, come è noto, hanno una disciplina giuridica diversa e, in parti
colare, hanno una diversa base imponibile, perché mentre l'im
posta di registro si applica sul valore complessivo del conferi
mento, l'imposta ipotecaria e quella catastale riguardano i soli
beni immobili. Resterebbe quindi da individuare l'aliquota con
la quale applicare a ognuna delle basi imponibili l'imposta cor
rispondente, in quanto il legislatore avrebbe previsto solo la «mi
sura» complessiva del carico fiscale e dette aliquote non potreb bero che essere determinate, in via interpretativa (presumibil
mente) nella misura dello 0,33 per mille. Ma tale conclusione
non può essere condivisa in quanto solo il legislatore può deter
minare, direttamente o mediante delega al governo, le aliquote e non essendovi nella legge alcun elemento che autorizzi a rite
nere che al raggiungimento della complessiva «misura» dell'uno
per mille si debba pervenire applicando necessariamente una stes
sa aliquota (dello 0,33 per mille) per ciascun tributo.
Né l'interpretazione seguita contrasta con la finalità chiara
mente agevolativa della legge. Può infatti condividersi l'affer
mazione dei giudici tributari che la disciplina fiscale dettata dal
l'art. 7 1. n. 218 è stata dettata per agevolare le ristrutturazioni
e le integrazioni patrimoniali degli istituti creditizi, al fine di
allinearli alle banche europee e di porli in condizioni di meglio
operare in regime di libera concorrenza sui mercati creditizi e
finanziari dell'Unione, ma per valutare la coerenza della nor
mativa con la ratio della legge il raffronto non deve essere fatto
tra le aliquote ordinarie di ciascun tributo (secondo la disciplina
vigente al momento in cui è entrata in vigore la 1. 218/90) e
quella dell'uno per mille che, secondo la tesi qui accolta, deve
applicarsi a ciascuno dei tre tributi indiretti menzionati dall'art.
7, ma tra il carico fiscale globale che si avrebbe in caso di appli cazione della disciplina ordinaria e quello risultante dall'appli
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2831 PARTE PRIMA 2832
cazione dell'art. 7, così come deve essere interpretato. È allora
evidente che, seguendo questo metodo, la finalità agevolativa non è frustrata, in quanto il trattamento fiscale ordinario dei
conferimenti di capitale, risultante dalla somma delle imposte
ipotecarie e catastali in misura fissa (art. 10, 2° comma, d.leg.
347/90, e art. 4 della tariffa allegata) e di quella di registro in misura proporzionale dell'uno per cento (art. 4, lett. a, della
tariffa allegata al d.p.r. 131/86), è di gran lunga più oneroso
di quello previsto dall'art. 7, così come interpretato. Non giova, d'altra parte, invocare la disciplina risultante dal
la direttiva Cee 17 luglio 1969 n. 69/335 e successive modifica
zioni, avente ad oggetto le imposte indirette sulla raccolta di
capitali, perché, come emerge dall'interpretazione di tale disci
plina da ultimo data con sentenza 11 dicembre 1997 (causa
C-42/96) dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (Foro
it., 1998, IV, 483), l'art. 12 della direttiva (lungi dal prevedere una completa esenzione) autorizza gli Stati membri a sottoporre il conferimento di immobili in una società di capitali ad impo sta di registro, ipotecaria e catastale, alla sola condizione che
tali imposte non siano superiori a quelle gravanti su qualunque altro atto di trasferimento di proprietà effettuato da soggetti
privati o da società non commerciali. E poiché il trattamento
fiscale di cui si discute, come già detto, è largamente più favo
revole di quello ordinario, nessuna violazione del diritto comu
nitario è nella specie ipotizzabile. Manifestamente infondata, infine, è la questione d'illegittimi
tà costituzionale dell'art. 7, 1° comma, 1. 218/90, per contrasto
con gli art. 3, 1° comma, e 53, 1° comma, Cost., perché, si
ripete, il carico fiscale per imposizione indiretta dei conferimen
ti ordinari (prima delle modifiche introdotte all'imposta di regi stro con l'art. 5 d.l. n. 323 del 1996, convertito in 1. n. 425
del 1996, irrilevanti ratione temporis nella presente fattispecie) risulta maggiore di quello gravante sui conferimenti di aziende
bancarie di cui alla 1. 218/90 e perché l'applicazione ai conferi
menti ordinari dell'imposta catastale e ipotecaria in misura fissa
non dimostra che detti conferimenti siano considerati dal legi slatore come fatti che non esprimono alcuna capacità contribu
tiva, essendo piuttosto conseguenza di scelte discrezionali nella
determinazione della misura dell'imposizione, che tiene conto,
logicamente, del carico derivante dall'applicazione di altri tri
buti (quali l'imposta di registro) commisurati proporzionalmen te al valore dei beni.
È estranea alla materia del contendere, delimitata dal ricorso
introduttivo, l'ulteriore questione, posta dall'amministrazione fi
nanziaria nella discussione orale e nelle note scritte di replica alle conclusioni del p.g., se, non solo la misura dell'uno per mille debba applicarsi a ciascun tributo, ma anche se l'applica zione di ogni tributo incontri il limite dei cento milioni, ovvero
tale limite riguardi l'onere complessivo derivante dall'applica zione delle tre imposte.
Il ricorso deve essere quindi accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della commissio
ne tributaria regionale.
Il Foro Italiano — 1999.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 16 luglio
1999, n. 7537; Pres. Mileo, Est. Castiglione, P.M. Buona
juto (conci, diff.); Altomonte (Avv. Della Pietra, Teresi,
Volpe) c. Regione Campania (Avv. De Girolamo) e Usi n.
40 di Napoli. Cassa Trib. Napoli 17 luglio 1996.
Sanità pubblica — Spese ospedaliere sopportate dall'assistito —
Ricovero all'estero — Ragioni di urgenza — Diritto soggetti vo al rimborso — Decreto ministeriale — Disapplicazione
(Cost., art. 32; 1. reg. Campania 27 ottobre 1978 n. 46, auto
rizzazione ai cittadini residenti nella regione Campania per cure presso strutture ospedaliere site in paesi non regolamen tati da accordi Cee con lo Stato italiano, art. 8; 1. 23 dicem
bre 1978 n. 833, istituzione del servizio sanitario nazionale, art. 25).
La pretesa del cittadino al rimborso delle spese sostenute all'e
stero in ragione della estrema gravità delle condizioni di salu
te e dell'impossibilità di ottenere dalle strutture pubbliche o
convenzionate prestazioni adeguate, riveste il carattere di di
ritto soggettivo perfetto, tutelabile innanzi al giudice ordina
rio, il quale può disapplicare l'atto amministrativo (nella spe cie, decreto ministeriale) che non preveda o escluda il rimbor
so delle spese ovvero lo sottoponga all'osservanza di condizioni burocratiche incompatibili con l'estrema gravità delle condi
zioni di salute. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 19 feb
braio 1999, n. 85/SU; Pres. La Torre, Est. Ianniruberto, P.M. Morozzo Della Rocca (conci, conf.); Ausi n. 18 di
Brescia (Avv. Ferrari, Porqueddu) c. Molinari (Avv. Ono
frx). Regolamento preventivo di giurisdizione.
Sanità pubblica — Spese ospedaliere sopportate dall'assistito —
Ricovero all'estero — Ragioni di urgenza — Domanda di rim
borso — Giurisdizione ordinaria (Cost., art. 32; 1. 23 dicem
bre 1978 n. 833, art. 25; 1. 23 ottobre 1985 n. 595, norme
per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario trien
nale 1986-1988, art. 3).
Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle
controversie aventi ad oggetto il diritto soggettivo al rimbor
so delle spese ospedaliere sostenute dall'assistito all'estero, sen
za la preventiva autorizzazione della regione, per un ricovero
reso necessario da motivi di urgenza, costituiti da una situa
zione di pericolo di vita o di aggravamento della malattia o di una non adeguata guarigione, residuando in tali ipotesi in capo all'autorità amministrativa un potere discrezionale di
tipo meramente tecnico in ordine all'apprezzamento dei moti vi di urgenza. (2)
(1-2) I. - Le prestazioni sanitarie sono erogate, di norma, in forma diretta attraverso le strutture pubbliche o accreditate (a tal proposito, v. Dalvino, Dal convenzionamento all'accreditamento istituzionale, in
questo fascicolo, I, 2931). Vi sono, però, ipotesi in cui queste non sono in grado di erogare
tempestivamente le prestazioni, le quali possono essere fruite in forma c.d. indiretta, secondo condizioni e modalità stabilite dalle leggi regio nali e provinciali (v. art. 3 1. 595/85).
In particolare, il 5° comma della disposizione citata rinvia ad un de creto del ministro della sanità, sentito il consiglio sanitario nazionale, previo parere del consiglio superiore di sanità, la fissazione dei criteri
per la fruizione di prestazioni assistenziali in forma indiretta presso centri di altissima specializzazione all'estero.
Ai sensi dell'art. 2, 1° comma, d.m. 3 novembre 1989 possono essere erogate le prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione, che richiedono
specifiche professionalità del personale, non comuni procedure tecniche o curative o attrezzature ad avanzata tecnologia e che non sono otteni bili tempestivamente o adeguatamente presso i presidi e i servizi di alta
specialità italiani di cui all'art. 5 1. 595/85 (cioè le attività di diagnosi, cura e riabilitazione che richiedono particolare impegno di qualificazio ne, mezzi, attrezzature e personale specificatamente formato), nonché, limitatamente alle prestazioni che non rientrano fra quelle di competen za dei predetti presidi e servizi di alta specialità, presso gli altri presidi e servizi pubblici o convenzionati con il servizio sanitario nazionale.
Il cittadino italiano residente in Italia, pertanto, può fruire all'estero,
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