sezione I civile; sentenza 18 dicembre 1995, n. 12907; Pres. F.E. Rossi, Est. Lupo, P.M. Cennicola(concl. conf.); Min. finanze c. Centro internazionale di studi e divulgazione della musica italiana(Avv. Prosperetti). Conferma Comm. trib. centrale 14 dicembre 1990, n. 8488Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 2 (FEBBRAIO 1996), pp. 537/538-541/542Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190164 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con atto del 29 marzo 1980
i sig. Italo Spighi, Maria Teresa Spighi, Elsa Spighi e Maria Fabbri vendettero ai sig. Adolfo Rinaldini e Lucia Ruscelli un
fabbricato rurale con annesso terreno in comune di Bagno di
Romagna - S. Piero in Bagno, via Ruscelli località «I Piani»,
per il prezzo di lire 27 milioni. Contestualmente vendettero alla società Erregi di Lippi e Valbonetti s.n.c., rappresentata da Ro
meo Lippi e Giovanni Valbonetti, altro terreno edificabilc po sto nella stessa località, per il prezzo di lire 50 milioni. I valori
iniziali di due beni furono indicati, quanto al primo, in lire 7.013.000 e, per il secondo, in lire 12.983.000.
L'ufficio del registro di Forlì, per il primo cespite, rettificò il valore finale in lire 45 milioni e il valore iniziale in lire 145.000; per il secondo cespite, rettificò il valore finale in lire 67 milioni
e il valore iniziale in lire 218.000. Venditori ed acquirenti proposero ricorso cumulativo alla Com
missione tributaria di primo grado di Forlì, che lo accolse con
decisione del 17 maggio 1982, confermata — a seguito di appel lo dell'ufficio — dalla commissione tributaria di secondo grado con decisione del 15 giugno 1984.
L'ufficio propose ricorso alla Commissione tributaria centra
le, che lo respinse con decisione n. 5634/92 in data 19 ottobre
1992. La Commissione centrale osservò che il criterio di sempli
ce operazione matematica — applicato dall'ufficio per determi
nare un valore medio di lire 162 per ogni mq. in relazione ad
una più vasta estensione di terreno rispetto a quella oggetto
della vendita in valutazione — non poteva esser ritenuto legitti
mo, in quanto i valori iniziali erano stati concordati dall'ufficio del registro di Cesena al momento dell'apertura della successio
ne di Spighi Quinto (7 febbraio 1976), trattandosi di terreno di varia natura solo in minima parte edificabilc.
Avverso tale pronuncia l'amministrazione finanziaria dello Sta
to ha proposto ricorso per cassazione, denunziando violazione
ed errata applicazione degli art. 6 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 643
e 26 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, in relazione all'art. 360,
n. 3, c.p.c., nonché difetto di motivazione in relazione all'art.
360, n. 5, c.p.c. Ad avviso della ricorrente la Commissione cen
trale, che aveva ritenuto illegittimo il criterio applicato dall'uf
ficio, avrebbe dovuto in primo luogo precisare quale era il cri
terio alternativo da seguire per la determinazione del valore ini
ziale dei beni, ed avrebbe poi dovuto rimettere gli atti alla
commissione di secondo grado, affinché procedesse alla nuova
valutazione. In particolare, in forza dell'art. 6, 2° comma, d.p.r.
pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto o che inizia
no a decorrere dopo tale data, sono sospesi fino al 30 novembre 1982») aveva portato la giurisprudenza a ritenere che la sospensione ivi previ sta concernesse anche il termine per ricorrere per cassazione (v. Cass.
18 marzo 1986, n. 1837, Foro it., Rep. 1986, voce Tributi in genere, n. 1341; cfr. anche, sulla sospensione del giudizio di cassazione in pre senza di istanza di condono, Cass., ord. 28 aprile 1983, id., 1983, I,
1597, con nota di A. Proto Pisani, per la quale la sospensione ex
art. 32, 3° comma, d.l. 429/82 non si applica al procedimento di cassa zione ove la causa di sospensione sia intervenuta dopo la chiusura del
l'udienza di discussione ancorché prima della pubblicazione della sen
tenza; 16 marzo 1991, n. 2819, id., 1991, I, 1090, ad avviso della quale non è consentita, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., la tardiva produzione dinanzi alla Cassazione, ai fini della sospensione del giudizio ex art.
32, 3° comma, cit, della prova dell'intervenuta presentazione della do
manda di condono che avrebbe potuto essere data già nel giudizio di
merito), l'espresso riferimento che nell'ultimo provvedimento di sana
toria fiscale (art. 53, comma 12 ter, 1. 30 dicembre 1991 n. 413, aggiun to dall'art. 4 d.l. 23 febbraio 1993 n. 16, convertito nella 1. 24 marzo
1993 n. 75; v. però l'art. 34, 5° comma, e l'art. 48, 1° comma, che
parlano di «termini per ricorrere o di impugnativa») viene fatto ai «ter
mini di impugnativa di cui al d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636», ha indotto
la Suprema corte ha escludere ora tale possibilità. Conf., Cass. 15 maggio 1995, n. 5297, Corriere trib., 1995, 2722,
con nota di Ferraù, per il quale la previsione da parte della 1. 413/91
di regole diverse in punto di sospensione dei termini per ricorrere in
cassazione integra una lesione di precetti costituzionali.
Sulla sospensione dei giudizi prevista dall'art. 53, 12° comma, 1. 413/91,
v. Comm. trib. centrale 9 novembre 1993, n. 3052, Foro it., Rep. 1994,
voce cit., n. 1450. V. anche Cass. 9 marzo 1995, n. 2726, id., 1995, I, 1823, che, con
riferimento alla sospensione dei termini prevista dall'art. 32 d.l. 429/82,
ha affermato che la stessa è cronologicamente e funzionalmente colle
gata alla possibilità di applicazione del c.d. «condono fiscale», con la
conseguenza che non si sospendono i termini relativi alle controversie
concernenti rimborsi di imposta.
Il Foro Italiano — 1996.
643/72, il valore iniziale dei beni oggetto di compravendita do
veva essere ricavato da quello accertato in sede di successione.
L'ostacolo derivante dal fatto che solo una parte dei beni era
stata oggetto di vendita, e che gli stessi erano tra loro non omo
genei, doveva essere superato effettuando una proporzione tra
il valore convenzionale e quello reale di tutto il compendio, e
ricavando il valore convenzionale della quota sulla base di quel lo reale della quota stessa. La decisione impugnata, non esplici tando tale principio, avrebbe di fatto ritenuto congrui i valori
dichiarati dalle parti, in violazione del citato art. 6, 2° comma,
che non consentirebbe, nei casi come quello in esame, di ricor
rere al criterio del valore di mercato.
Il ricorso risulta notificato a Spighu Maria Teresa, Italo ed
Elsa, a Fabbri Maria, a Rinaldini Rodolfo e Ruscelli Lucia. I primi quattro si sono costituiti con controricorso ed hanno
depositato memoria.
Motivi della decisione. — Il ricorso, come dedotto dai resi
stenti, è inammissibile. Infatti, la decisione della Commissione tributaria centrale, im
pugnata in questa sede, fu depositata il 19 ottobre 1992. Poiché
essa non risulta notificata, il termine annuale di decadenza dal
l'impugnazione (art. 327, 1° comma, c.p.c.) — avuto riguardo
alla sospensione dei termini processuali di cui all'art. 1 1. 7 ot
tobre 1969 n. 742 — veniva a scadere il 4 dicembre 1993. Il
ricorso risulta notificato a mezzo del servizio postale, con spe
dizione dei plichi I'll dicembre 1993 e, come emerge dagli avvi
si di ricevimento, le notifiche medesime furono eseguite nelle
date 16/28 dicembre 1993. Nessun dubbio, dunque, può nutrirsi circa l'intervenuta deca
denza e la conseguente inammissibilità del ricorso per cassazio
ne in esame.
Né potrebbe giovare all'amministrazione ricorrente il richia
mo al disposto dell'art. 53, comma 12 ter, 1. 30 dicembre 1991
n. 413, recante (tra l'altro) disposizioni per agevolare la defini
zione dei rapporti tributari pendenti, alla stregua del quale «i
termini di impugnativa di cui al d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, e quelli per ricorrere avverso gli avvisi di accertamento di cui
al 7° comma, sono sospesi fino alla data del 20 giugno 1993».
Infatti, come il testuale tenore della norma pone in luce, essa
si riferisce unicamente ai termini di impugnativa previsti dal
d.p.r. 636/72, concernente la disciplina di contenzioso tributa
rio, nonché ai termini per ricorrere avverso gli avvisi di accerta
mento non ancora divenuti inoppugnabili alla data di entrata
in vigore della 1. n. 413 del 1991. In altre parole, la sospensione
riguarda soltanto i termini interni al procedimento davanti alle
commissioni tributarie, essendo in tal senso univoco il collega
mento con il d.p.r. n. 636, cit. Non riguarda, invece, il ben
diverso termine per proporre ricorso per cassazione, essendo que sto disciplinato dall'art. Ill Cost, e dalla normativa del codice
di procedura civile.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 18 dicem
bre 1995, n. 12907; Pres. F.E. Rossi, Est. Lupo, P.M. Cen
nicola (conci, conf.); Min. finanze c. Centro internazionale
di studi e divulgazione della musica italiana (Aw. Prospe
retti). Conferma Comm. trib. centrale 14 dicembre 1990, n.
8488.
Tributi in genere — Somme erogate a titolo di borsa di studio — Qualificazione — Ritenuta d'acconto — Esclusione (D.p.r.
29 settembre 1973 n. 597, istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, art. 49, 80; d.p.r. 29 settem
bre 1973 n. 600, disposizioni comuni in materia di accerta mento delle imposte sui redditi, art. 25).
Le somme percepite a titolo di borsa di studio — nella vigenza
del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597 e prima dell'entrata in
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PARTE PRIMA
vigore della l. 3 novembre 1982 n. 835 — rientravano nella
categoria dei redditi diversi prevista dall'art. 80 d.p.r. 597/73;
conseguentemente, le stesse non erano soggette alla ritenuta
d'acconto di cui all'art. 25 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600. (1)
Svolgimento del processo. — Su segnalazione della guardia di finanza (a seguito di verifica del 24 ottobre 1979) l'ufficio delle imposte dirette di Roma, per gli esercizi dal 1974 al 1978, accertava la mancata ritenuta d'acconto su compensi per lavoro
autonomo erogati dal Centro internazionale di studi e divulga zione della musica italiana. L'ente proponeva ricorso che era
accolto dalla Commissione di primo grado di Roma e respinto dalla commissione di secondo grado.
La Commissione tributaria centrale, adita dall'ente, ha rite
nuto che le somme corrisposte dal Centro sono state erogate non come corrispettivo di prestazioni di lavoro autonomo, ma
a titolo di borse di studio per elementi italiani e stranieri parte
cipanti a corsi ed attività concertistica a scopo meramente di dattico e di perfezionamento, e non professionale. Ha poi rite
nuto che le borse di studio, prima della 1. 3 novembre 1982
n. 835 (che le ha assimilate ai redditi di lavoro dipendente), rientravano tra i redditi diversi previsti dall'art. 80 d.p.r. 597/73, e quindi non andavano assoggettate a ritenuta d'acconto. Esse,
invero, non potevano essere assimilate né a redditi di lavoro
dipendente, né a proventi di lavoro autonomo.
Avverso la decisione della Commissione tributaria centrale
l'amministrazione delle finanze ha proposto ricorso per cassa
(1) La Suprema corte smentisce l'amministrazione finanziaria che —
con riferimento alla normativa anteriore all'entrata in vigore della 1. 3 novembre 1982 n. 835 — aveva ascritto le borse di studio tra i redditi di lavoro autonomo di cui all'art. 49 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597 e conseguentemente affermato la loro assoggettabilità alla ritenuta pre vista per tale categoria di redditi dall'art. 25 d.p.r. 600/73 (cfr. ris. 11 agosto 1977, n. 8/836, Repertorio tributario della prassi amministra tiva e della giurisprudenza, Piacenza, 1986, II, 1716; circ. 17 dicembre
1982, n. 52/8/1520, Fisco, 1982, 226; in dottrina, critico verso l'inter pretazione ministeriale, era A. Fantozzi, Borse di studio: trattamento
tributario, in Fisco, 1978, fase. 18, 11, ad avviso del quale la qualifica reddituale da attribuire alle borse di studio è quella di «redditi diversi» di cui all'art. 80 d.p.r. 597/73, con esclusione dell'obbligo di ritenuta d'acconto ex art. 25 d.p.r. 600/73).
Sulla 1. 3 novembre 1982 n. 835 che ha espressamente incluso le som me percepite per borse di studio tra i redditi assimilabili a quelli di lavoro dipendente (art. 47 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, ora art. 47 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917), v. Comm. trib. centrale 30 settem bre 1992, n. 5021, Foro it., Rep. 1992, voce Redditi (imposte sui), n.
457, per la quale la legge avrebbe natura integrativa e non innovativa
(ad avviso di questo giudice, poi, la disciplina fiscale delle borse di studio era, prima della normativa del 1982, caratterizzata da tale incer tezza da giustificare l'applicazione dell'esimente di cui all'art. 55 d.p.r. 600/73 nei confronti del contribuente che aveva errato a qualificare questo reddito). In altro senso, e quindi per la natura innovativa della 1. 835/82 (natura ora ribadita dalla sentenza in epigrafe), v. Comm. trib. centrale 11 luglio 1988, n. 5500, id., Rep. 1988, voce Tributi in
genere, n. 601; v. anche Comm. trib. centrale 13 gennaio 1993, n. 147, inedita, ad avviso della quale anteriormente all'entrata in vigore della 1. 835/82 le somme in questione non erano soggette a ritenuta d'acconto.
L'orientamento dell'amministrazione finanziaria sulla 1. 835/82 si rin viene — oltre che in circ. 17 dicembre 1982, n. 52/8/1520, cit. — in circ. 27 febbraio 1984, n. 7/8/1423 («trattamento tributario delle som me corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussi dio per fini di studio o di addestramento professionale — L. 3 novem bre 1982 n. 835 — Chiarimenti ministeriali»), Fisco, 1984, 1183.
Sempre sul trattamento fiscale delle borse di studio, v. Comm. trib. centrale 22 maggio 1995, n. 2157, id., 1996, 96, per la quale il percetto re di borsa di studio per un corso di perfezionamento all'estero può portare in deduzione dal reddito imponibile le spese di viaggio debita mente documentate; v. anche, sulle borse dì studio corrisposte da uni
versità, min. fin., ris. 5 giugno 1995, n. 140/E, Bollettino trib., 1995, 1095; circ. 6 aprile 1995, n. 109/E, ibid., 603; nonché, sulle borse di studio erogate a soggetti non residenti, ris. 17 novembre 1994, n. 5/871, ibid., 139.
In generale, sul regime tributario delle somme percepite a titolo di borsa di studio, v., fra i più recenti contributi, M. Rivalta, Collabora tori coordinati e continuativi, borsisti, tesisti e «stagisti»: disciplina fi scale, in Fisco, 1994, 10293; M. Quaranta, Il trattamento tributario delle borse di studio, in Riv. giur. scuola, 1993, 987; G. Castellani e M. Vantaggio, Trattamento fiscale delle borse di studio, in Fisco, 1991, 5082; Leo - Monacchi - Schiavo, Le imposte sui redditi nel testo
unico, Milano, 1993, 604 ss.
Il Foro Italiano — 1996.
zione, al quale il Centro ha resistito con controricorso e con
memoria.
Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico motivo di ricorso
l'amministrazione finanziaria deduce la violazione dell'art. 25
d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 e dell'art. 49 d.p.r. 29 settem
bre 1973 n. 597, nonché il difetto di motivazione della decisione impugnata (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.).
La ricorrente muove due censure distinte: a) gli emolumenti
corrisposti dal Centro internazionale di studi e divulgazione del
la musica italiana non sono da qualificare come borse di studio,
trattandosi di somme corrisposte a giovani strumentisti a titolo
di rimborso spese giornaliere per albergo e vitto; ti) anche se
tali compensi fossero da qualificare come borse di studio, la
loro tassabilità sarebbe fuori discussione, perché l'art. 25 d.p.r.
600/73 fa riferimento a «compensi comunque denominati» e
perché l'art. 34, 4° comma, d.p.r. 601/73 esenta le borse di
studio solamente dall'Ilor. Le borse di studio rientrano perciò tra i redditi di lavoro autonomo ex art. 49 d.p.r. 597/73, stante
il carattere ampiamente residuale di detta norma.
2. - La prima censura (sopra esposta sub a) è inammissibile.
Secondo il recente orientamento seguito da questa corte, in
sede di ricorso per cassazione ex art. Ill Cost, avverso le deci
sioni della Commissione tributaria centrale, sono prospettabili esclusivamente quei vizi di motivazione che consistono nella mera
apparenza o nel totale difetto o nell'insanabile contraddittorietà
del ricorso giustificativo, in base a quanto è dato rilevare dal
testo della decisione medesima, rimanendo esclusa la verifica
della sufficienza e della razionalità della motivazione in rappor to alle risultanze istruttorie (Cass. 15 aprile 1993, n. 4479, Foro
it., Rep. 1993, voce Redditi (imposte), n. 926; 23 febbraio 1993, n. 2231, ibid., voce Riccheza mobile, n. 1).
La Commissione centrale, nella decisione impugnata, ha qua lificato gli emolumenti in discorso come borse di studio, corri
sposte a «elementi italiani e stranieri partecipanti a corsi ed atti
vità concertistica a scopo meramente didattico e di perfeziona
mento, e non professionale». Ciò essa ha desunto da molteplici elementi di fatto, specificamente elencati nella motivazione.
La censura in esame non deduce alcuno dei vizi prospettabili come motivi del ricorso per cassazione ex art. Ill Cost.
3. - La seconda censura (sopra indicata sub b) è infondata.
Va premesso che, nella presente controversia, si discute della
applicabilità dell'art. 25 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 al sog getto che abbia corrisposto borse di studio, nel periodo anterio
re all'entrata in vigore della 1. 3 novembre 1982 n. 835 (la quale ha assimilato le borse di studio al reddito di lavoro dipendente). Non si discute, quindi, della tassabilità, in capo al percipiente, di dette borse di studio, come sembra ritenere l'amministrazio
ne ricorrente, poiché detta tassabilità non è stata esclusa dalla decisione impugnata, la quale, come si è detto in narrativa, ha
incluso le borse di studio tra i redditi diversi previsti dall'art.
80 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, i quali concorrono alla for mazione del reddito complessivo soggetto ad Irpef.
L'art. 25 d.p.r. 600/73 prevede l'obbligo di una ritenuta di
acconto (con rivalsa sul percipiente) a carico di chi corrisponde compensi comunque denominati «per prestazioni di lavoro au
tonomo». La Commissione tributaria centrale ha correttamente
escluso che la borsa di studio costituisca un compenso per pre stazioni di lavoro autonomo, essendo essa finalizzata al conse
guimento, da parte del percipiente, di una preparazione profes sionale mediante la partecipazione a corsi di studio e di perfe zionamento. Ed invero l'art. 49 d.p.r. 597/73 considera reddito
di lavoro autonomo «quello derivante dall'esercizio di arti e
professioni»; ed il borsista non esercita un'arte o professione,
ma, se mai, si prepara ad esercitarla.
Conferma indiretta di siffatta conclusione si ricava dalla suc
cessiva evoluzione della legislazione. Quando la disciplina sul
l'Irpef ha espressamente considerato le borse di studio, esse so
no state incluse tra i redditi assimilati al reddito di lavoro di pendente (attraverso una aggiunta, nel testo dell'art. 47 d.p.r. 597/73, operata dall'art. 1 1. 3 novembre 1982 n. 835). Tale
disposizione ha indubbiamente effetto innovativo, essendo effi
cace per i redditi percepiti dal 1° gennaio 1982 (come è espres samente detto nell'art. 5 della stessa 1. 835/82). Ma è significa tivo che la omessa previsione delle borse di studio nel d.p.r. 597/73 sia stata superata attraverso la parificazione delle borse di studio al reddito di lavoro dipendente, anziché al reddito
di lavoro autonomo, pur essendo rimasto fermo il criterio di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
stintivo tra le due categorie di reddito considerate dal d.p.r. 597/73.
La omessa previsione delle borse di studio da parte di que st'ultimo testo legislativo rende corretta la loro inclusione nella
categoria residuale dei redditi diversi previsti dall'art. 80 dello stesso testo normativo.
Né argomento contrario a tale conclusione può trarsi — co
me sostiene l'amministrazione ricorrente — dall'art. 34, 4° com
ma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601 (sulle agevolazioni tributa
rie), che, nel testo originario (anteriore quindi alla modifica ap portata dall'art. 4 della citata 1. 835/82), prevedeva che le somme
corrisposte a titolo di borse di studio erano esenti dall'Ilor (nei confronti dei percipienti), e non anche dall'Irpef.
Da tale disposizione non si desume che le somme corrisposte
per borse di studio erano da includersi tra i redditi di lavoro
autonomo. L'Ilor, infatti, colpiva anche i redditi diversi previsti dall'art. 80 d.p.r. 597/73, onde la citata disposizione dell'art.
34 sull'Ilor non contrasta con la tesi della Commissione centra
le: le borse di studio erano assoggettate ad Irpef (ed esentate
dall'Ilor) ma non come redditi di lavoro autonomo; di conse
guenza, non era ad esse applicabile la ritenuta d'acconto previ
sta dall'art. 25 d.p.r. 600/73.
4. - In conclusione, il ricorso per cassazione, essendo infon
dato, va rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 dicem bre 1995, n. 12826; Pres. Corda, Est. Criscuolo, P.M. Nardi
(conci, conf.); Min. finanze c. Revelli di Beaumont. Confer
ma Comm. trib. centrale 28 marzo 1990, n. 2457.
Successioni e donazioni (imposta sulle) — Passività — Deduzio
ne — Produzione della documentazione — Termini (D.p.r.
26 ottobre 1972 n. 637, disciplina dell'imposta sulle succes
sioni e donazioni, art. 16).
In materia di imposta di successione e ai fini della detrazione
dall'attivo ereditario, il termine semestrale (decorrente dal gior
no in cui il provvedimento è divenuto definitivo) previsto dal l'art. 16, 5° comma, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 637 per la
produzione della documentazione relativa ai debiti risultanti
da provvedimento giurisdizionale diviene operante solo quan
do si sia esaurito il termine triennale (decorrente dalla data
di apertura della successione) stabilito — con previsione avente
portata generale e quindi relativa anche a tali debiti — dal
precedente 4° comma. (1)
(1) Non si rinvengono precedenti in termini nella giurisprudenza della
Suprema corte. V. in senso conforme, nella giurisprudenza tributaria, Comm. trib.
centrale 13 febbraio 1991, n. 1158, Foro it., Rep. 1991, voce Successio
ni e donazioni (imposta sulle), n. 41, per la quale la documentazione
dei debiti del de cuius relativi a tributi liquidati posteriormente all'aper tura della successione può essere presentata — ai sensi dell'art. 16, 5°
comma, d.p.r. 637/72 — entro i sei mesi successivi al termine triennale
previsto dall'art. 16, 4° comma. In dottrina, sui termini de quibus, v. A. Messina, Imposte di succes
sione: sulla natura dei termini per la dimostrazione della passività eredi
taria, in Bollettino trib., 1981, 1068.
Come ricordato dalla decisione in epigrafe, l'attuale normativa in ma
teria di imposta sulle successioni (art. 23 d.leg. 31 ottobre 1990 n. 346)
espressamente dispone che «l'esistenza di debiti deducibili, ancorché non
indicati nella dichiarazione della successione, può essere dimostrata (...) entro il termine di tre anni dalla data di apertura della successione,
prorogato, per i debiti risultanti da provvedimenti giurisdizionali e per i debiti verso pubbliche amministrazioni, fino a sei mesi dalla data in
cui il relativo provvedimento giurisdizionale o amministrativo è divenu
to definitivo». Sui termini previsti dall'art. 16, 4° comma, d.p.r. 637/72 e dall'art.
23, 4° comma, d.leg. 346/90, v. anche Corte cost. 12 settembre 1995, n. 426, Foro it., 1995, I, 2345, che ha affermato la loro compatibilità
con gli art. 3, 24 e 53 Cost.
Il Foro Italiano — 1996.
Svolgimento del processo. — A seguito della morte di Oscar
Michele Ansaldi l'erede Bethel Abiel Rovelli di Beaumont pre sentò due dichiarazioni di successione, con le quali furono di
chiarati un attivo di lire 1.782.132.000 e passività per lire 1.022.043.375. Nelle more della liquidazione dell'imposta prin cipale il contribuente produsse istanza di condono, che l'ufficio accolse.
Nel procedere alla liquidazione dell'imposta lo stesso ufficio
ammise al passivo debiti per lire 30.469.000, non ritenendo am
missibili alcune voci incluse nelle dichiarazioni del contribuente, e notificò al Rovelli di Beaumont il relativo avviso di liquida zione per un importo di lire 1.124.283.000.
Avverso tale atto il contribuente propose ricorso alla Com
missione tributaria di primo grado di Roma, eccependo l'illegit timità della pretesa fiscale, in quanto non erano state ammesse
in detrazione le seguenti passività: a) debito di lire 400.000.000 verso la s.p.a. Fincosin, quale acconto versato al defunto per
l'acquisto del fabbricato sito in Torino alla via Susa n. 35; b) debito di lire 35.439.107, nei confronti del sig. Ernesto Cacca
ro, spettante nella misura di 1/2; c) debito nei confronti della
Cassa di risparmio di Torino, per la somma complessiva di lire
315.423.625, spettante nella misura di 1/2; d) debito verso il
sig. Casaccia per la somma di lire 320.127.107. La commissione
tributaria di primo grado accolse il ricorso con decisione che, su gravame dell'ufficio, fu confermata dalla Commissione tri
butaria di secondo grado. L'amministrazione finanziaria propose quindi ricorso alla Com
missione tributaria centrale. Quest'ultima, con decisione depo
sitata il 28 marzo 1990, respinse il ricorso dell'ufficio in ordine
all'ammissione al passivo dei debiti verso la s.p.a. Fincosin, il
Caccaro e il Casaccia, mentre lo accolse per il debito nei con
fronti della Cassa di risparmio di Torino, determinandone la
percentuale di ammissione nella misura del 50% anziché dei due
terzi (come stabilito dalla commissione di secondo grado).
Il ministero delle finanze ha proposto ricorso per cassazione
contro il capo della menzionata decisione che ha ritenuto dedu
cibile il 50% di lire 35.439.107, quale debito del de cuius verso il sig. Ernesto Caccaro, deducendo due motivi di annullamento.
L'intimato non si è costituito.
Motivi della decisione. — Col primo mezzo di cassazione il
ministero delle finanze denunzia violazione degli art. 13, 14 e
16 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 637. Afferma che il debito del
defunto Ansaldi verso il Caccaro (50% di lire 35.439.107, come
da richiesta di deduzione) risulta dalla sentenza del Pretore di
Lonato depositata il 22 marzo 1983, passata in giudicato il 23
marzo 1984. La sentenza sarebbe stata esibita all'ufficio l'8 no
vembre 1984, e pertanto dopo la scadenza del termine di sei
mesi previsto dall'art. 16, 5° comma, d.p.r. 637/72. Né potreb be sostenersi che, per i provvedimenti successivi all'apertura della
successione, varrebbe il termine triennale di cui all'art. 16, 4°
comma, d.p.r. cit., onde la produzione della sentenza sarebbe
tempestiva, essendosi aperta la successione il 22 novembre 1981.
Invero, il rapporto tra i due commi citati sarebbe nel senso che
il termine semestrale prevale sempre su quello triennale, sia nel
senso di prolungarlo sia in quello di ridurlo.
Col secondo mezzo, poi, il ricorrente denunzia omessa o in
sufficiente motivazione su punto decisivo della controversia. La
Commissione centrale avrebbe trascurato di considerare che, per
ché il debito sia deducibile, esso deve risultare da sentenza defi
nitiva e questa deve essere prodotta entro il termine perentorio
previsto dall'art. 16, 5° comma, cit. La decisione impugnata
avrebbe ignorato questo secondo e decisivo profilo, la cui sussi
stenza, stante la contestazione dell'ufficio, doveva esser provata
dal contribuente.
I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente perché tra
loro connessi, non hanno fondamento.
Giova premettere che, stando ai dati emergenti dal ricorso,
se la sentenza del Pretore di Lonato fu depositata il 22 marzo
1983 (come si legge nel medesimo ricorso), essa non passò in
giudicato il 23 marzo 1984 bensì' l'8 maggio 1984, dovendosi tener conto della sospensione dei termini processuali nel perio
do feriale di cui alla 1. 7 ottobre 1969 n. 742 (art. 1). Pertanto,
se l'esibizione del titolo all'ufficio ebbe luogo l'8 novembre 1984
(come sempre in ricorso si deduce), essa dovrebbe considerarsi
tempestiva pur rispetto al termine semestrale.
Ma, a parte questo aspetto concreto, la tesi del ricorrente
non può essere condivisa in punto di diritto.
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