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sezione I civile; sentenza 18 febbraio 1999, n. 1348; Pres. Cantillo, Est. Altieri, P.M. Morozzo...

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sezione I civile; sentenza 18 febbraio 1999, n. 1348; Pres. Cantillo, Est. Altieri, P.M. Morozzo Della Rocca (concl. conf.); Soc. Buscone (Avv. De Petris, De Florio) c. Min. finanze. Cassa Comm. trib. reg. Lombardia 10 febbraio 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 5 (MAGGIO 2000), pp. 1685/1686-1689/1690 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23194773 . Accessed: 28/06/2014 07:39 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.53 on Sat, 28 Jun 2014 07:39:09 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 18 febbraio 1999, n. 1348; Pres. Cantillo, Est. Altieri, P.M. MorozzoDella Rocca (concl. conf.); Soc. Buscone (Avv. De Petris, De Florio) c. Min. finanze. Cassa Comm.trib. reg. Lombardia 10 febbraio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 5 (MAGGIO 2000), pp. 1685/1686-1689/1690Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194773 .

Accessed: 28/06/2014 07:39

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tratto collettivo aziendale, ritenendo che quest'ultimo non è la

somma di contratti individuali conclusi tra il datore di lavoro

e i lavoratori, ma un atto di autonomia generale che, concer

nendo una collettività di lavoratori indistintamente considerati

e soggettivamente non identificati col contratto stesso, se non

attraverso il loro inserimento nell'organizzazione aziendale, rea

lizza una uniforme disciplina nell'interesse collettivo di costoro.

Che l'accordo stipulato dal datore di lavoro con la pluralità dei propri dipendenti, impegnati singolarmente senza la parteci

pazione di alcun rappresentante sindacale, come avvenuto nella

specie, non ha natura di contratto collettivo aziendale, ma di

contratto individuale di lavoro, ancorché plurisoggettivo o plu

rilaterale.

Il tribunale ha, quindi, dato applicazione all'art. 36 Cost.,

applicando come parametro il contratto collettivo del settore.

Così provvedendo, il tribunale si è attenuto ad esatti principi di diritto.

Il contratto di lavoro stipulato non per il tramite delle orga

nizzazioni sindacali, ma direttamente dalla collettività dei lavo

ratori, da un lato, e l'azienda, dall'altro, assume la connotazio

ne del contratto plurimo, cioè del contratto assunto con la tota

lità dei lavoratori, considerati uno per uno. È dunque, la somma

di contratti individuali identici. Il contratto di lavoro, anche nella forma del contratto pluri

mo, per quanto attiene alla parte economica, non può violare

l'art. 36 Cost.

Per stabilire se sussista la suddetta violazione, è principio con

solidato che debba farsi riferimento, quale parametro, al con

tratto collettivo di settore.

Il tribunale, dunque, attenendosi ai suddetti principi, ha ret

tamente giudicato. Il motivo va, dunque, rigettato. Col secondo motivo si adduce la violazione e falsa applica

zione degli art. 2099 e 2702 c.c., in relazione all'art. 36 Cost,

e all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. Si afferma che la retribuzione così come determinata con la

contrattazione aziendale doveva presumersi adeguata. Che l'attrice doveva provare l'inadeguatezza della retribuzio

ne, che era stata ritenuta congrua e accettata come tale da tutte

le lavoratrici.

Il motivo è infondato.

Premesso che non sussisteva, nel caso di specie, un contratto

aziendale, non essendo tale il contratto plurimo stipulato diret

tamente dai lavoratori, non per il tramite delle organizzazioni

sindacali, la lavoratrice, come si è detto, ha provato l'inadegua tezza della paga percepita ex art. 36 Cost., attraverso il raffron

to con le retribuzioni previste dal contratto collettivo del settore.

Pertanto, è stata fornita adeguata prova dell'affermata ina

deguatezza. Col terzo motivo si assume la violazione e falsa applicazione

degli art. 2697 e 2733 c.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5,

c.p.c.; omessa ed insufficiente motivazione su punto decisivo

della controversia.

Si afferma il difetto di prova della pretesa azionata. Ciò per

ché la stessa ricorrente, in sede di interrogatorio, aveva dichia

rato: «per due o tre mesi annui non si lavorava per mancanza

di commesse e di materie prime». Che i testi hanno riferito solo

su una parte del periodo lavorativo della Zanghì, dal 1978 al

1982; che il lavoro era espletato solo cinque giorni alla settima

na, per otto ore giornaliere, con cali di orario e addirittura pe

riodi non lavorati per mancato arrivo delle materie prime e ca

renza di commesse, mentre le mansioni dell'attrice non erano

di sarta magliaia, ma di manovale sarta. Che era stato versato

il t.f.r. Che, circa la differenza retributiva per il periodo

1976-1981, essa era stata percepita per il tramite dell'ispettorato

del lavoro di Messina in lire 1.926.947.

Il motivo è infondato.

In parte esso consiste in una richiesta del riesame del fatto,

non consentita in questa sede. In parte nella prospettazione di

censure non condivisibili. Per quanto attiene ai periodi non la

vorati, neppure la ricorrente afferma che durante gli stessi la

lavoratrice non fosse, comunque, a disposizione della datrice

di lavoro e che, quindi, ne risultasse sospeso l'obbligo della re

tribuzione.

Il Foro Italiano — 2000.

Per quanto attiene alla qualifica, essa è stata accertata dal

tribunale attraverso la prova testimoniale e dalla ricorrente non

sono state riportate prove in senso contrario.

Infine, per quanto attiene al t.f.r. e alla differenza retributi

va, la doglianza è del tutto generica, perché non specifica se

l'asserito relativo versamento non è stato tenuto presente nella

c.t.u. di primo grado o se i relativi ammontari, semplicemente, non sono stati ritenuti adeguati.

Il motivo va, quindi, rigettato. Col quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazio

ne degli art. 61 ss. c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. Insufficiente e/o contraddittoria motivazione, anche per travi

samento dei fatti sui punti decisivi della controversia: art. 360,

n. 5, c.p.c. Si ritorna sulla non spettanza della qualifica di sarta magliaia.

Si ripete che la Zanghì non aveva lavorato per tutti i periodi indicati. Che i giudici di merito avevano seguito acriticamente

la c.t.u.

Il motivo è infondato.

Il tribunale ha accertato, attraverso le deposizioni di Salvato

re Gregoli e Angelina Miccica che le mansioni svolte dall'attrice

erano quelle di sarta magliaia. La ricorrente, per dimostrare l'asserita erroneità della moti

vazione, doveva riportare nel ricorso per cassazione la prova

che sosterrebbe il suo assunto.

A tanto non ha provveduto, limitandosi ad affermazioni apo dittiche.

Per quanto attiene ai periodi non lavorati, si è già detto che

è mancata ogni affermazione in ordine alla circostanza che, du

rante gli stessi, le lavoratrici non furono, comunque, a disposi

zione dell'impresa. Infine, in attinenza alla c.t.u., manca una

specifica e non generica contestazione delle argomentazioni a

base della stessa.

Il ricorso va, dunque, rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 18 feb

braio 1999, n. 1348; Pres. Cantillo, Est. Altieri, P.M. Mo

rozzo Della Rocca (conci, conf.); Soc. Buscone (Avv. De

Petris, De Florio) c. Min. finanze. Cassa Comm. trib. reg. Lombardia 10 febbraio 1997.

Valore aggiunto (imposta sul) — Rivalsa — Imposta erronea

mente addebitata — Detrazione (D.p.r. 26 ottobre 1972 n.

633, istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto, art. 19).

L'imposta sul valore aggiunto addebitata in rivalsa può essere

detratta dal cessionario che ha ricevuto fatture per beni ac

quisiti nell'esercizio d'impresa, nonostante l'erroneo assogget tamento ad imposta dell'operazione da parte del cedente. (1)

(1) Analogamente, Cass. 23 giugno 1992, n. 7689, Foro it., Rep. 1992, voce Valore aggiunto (imposta), n. 215, per la quale ben può formare

oggetto di detrazione, ed eventualmente di rimborso, l'Iva che sia stata

erroneamente addebitata a titolo di rivalsa su operazioni escluse dal

campo di applicazione del tributo. Sostanzialmente conformi, nella giu

risprudenza tributaria, Comm. trib. centrale 19 marzo 1998, n. 1537,

id., Rep. 1998, voce cit., n. 363; 22 dicembre 1997, n. 6446, ibid., n. 364; 11 ottobre 1995, n. 3217, id., Rep. 1996, voce cit., n. 267;

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1687 PARTE PRIMA 1688

Svolgimento del processo. — La guardia di finanza di Mila

no redigeva nei confronti della Buscone s.p.a., in data 20 mar

zo 1988, un processo verbale di constatazione in relazione al

l'acquisto di beni strumentali e merci, con fatture della F.C.F. - Fur Coat Factory Italia s.r.l. Per tali operazioni veniva redat

to altro verbale di constatazione nei confronti della venditrice,

per aver dissimulato una cessione di azienda con vendita di sin

goli beni. I verbalizzanti precisavano in atti che avrebbero inviato di

stinti rapporti all'ufficio Iva e all'ufficio del registro, affinché

venisse concordemente stabilito, ai fini di evitare una duplica zione d'imposta, se le operazioni dovessero o non qualificarsi come cessione di azienda.

I predetti uffici emettevano invece, rispettivamente, un avvi

so di accertamento Iva e un avviso di liquidazione di imposta di registro.

La Buscone s.p.a. impugnava tali atti con distinti ricorsi di

nanzi alla Commissione tributaria di I grado di Milano e si di

chiarava disposta a versare l'imposta dovuta, a condizione che

venisse stabilito se l'operazione costituisse o meno una cessione

di azienda e fosse, quindi, soggetta alternativamente ad imposta di registro o ad Iva.

La commissione adita col ricorso avverso l'avviso di liquida zione emesso dall'ufficio del registro statuiva che gli atti erano

Comm. trib. I grado Catania 26 marzo 1990, id., Rep. 1990, voce cit., n. 148; Comm. trib. II grado Catania 13 giugno 1988, id., Rep. 1988, voce cit., n. 156.

In dottrina, la tesi espressa in massima è condivisa da F. Tesauro, Sulla detraibilità dell'Iva relativa ad acquisti non soggetti ad imposta (e sulla applicabilità dell'art. 2033 c.c. net rapporto cedente-cessionario), in Giur. it., 1996, III, 2, 84; G. Cocco, Fattura nel diritto tributario, voce del Digesto comm., Torino, 1991, VI, 9; L. Carpentieri, È de traibile l'Iva non dovuta?, in Ross, trib., 1994, 163; N. Forte, Sulla detraibilità dell'imposta indicata in più in fattura, in Fisco, 1988, 20; R. Lupi, Imposta sul valore aggiunto, voce dell'Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1989, XVI, 19; G. Lo Verso, Cessione di azienda assoggettata ad Iva anziché ad imposta di registro - Conseguenze, in

Fisco, 1989, 5270; S.M. Messina, Note in tema di rimborso e risarci mento dei danni per erronea applicazione dell'Iva, in Riv. dir. trib., 1991, I, 944; S. La Rosa, A proposito della pretesa indetraibilità dell'I va non dovuta, in Fisco, 1990, 4658; Id., L'erronea applicazione dell'I va, tra le norme e il dogma della «condictio indebiti», in Riv. dir. trib., 1999, II, 194; L. Rosa, Variazioni in diminuzione e limiti alla richiesta di rimborso dell'Iva erroneamente addebitata, id., 1993, II, 447; V. De Luca, Detraibile l'Iva addebitata in rivalsa nonostante l'errore del cedente nell'addebito dell'imposta, in Fisco, 1999, 6175; P. Centore, Limiti alia detrazione dell'Iva non dovuta, in Riv. giur. trib., 1999, 659; S. Di Gregorio Natoli, È detraibile da parte del concessionario l'Iva o la maggiore Iva indebitamente fatturata (cessione di azienda, eccetera), in Fisco, 1999, 13957; L. Lodi, Sulla detraibilità dell'Iva er roneamente addebitata, in Dir. e pratica trib., 1999, II, 1061.

Lo stesso ministero delle finanze ha ammesso, in un caso di Iva ap plicata con aliquota superiore a quella dovuta, la possibilità di portare in detrazione l'imposta erroneamente addebitata; v. min. fin. ris. 5 gen naio 1982, n. 334298, id., 1982, I, 571.

Contra, Cass. 10 luglio 1993, n. 7602, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 256, ad avviso della quale l'Iva assolta, per effetto della rivalsa, da parte di un soggetto che non vi era tenuto trattandosi di operazione estranea all'ambito di applicazione dell'imposta non può essere recupe rata attraverso la detrazione nei confronti dell'amministrazione, ma me diante azione esercitata nei confronti del cedente; più di recente, nello stesso senso, Cass. 10 giugno 1998, n. 5733, id., Rep. 1998, voce cit., n. 350, e Riv. giur. trib., 1998, 1064, con nota di Comelli, Profili sostanziali e processuali dell'erroneo assoggettamento all'Iva di un'ope razione esclusa; questo secondo orientamento è condiviso da Comm. trib. centrale 14 ottobre 1998, n. 4961, Comm. trib., 1998, I, 844; 7 marzo 1995, n. 901, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 358; 5 ottobre 1992, n. 5191, id., Rep. 1993, voce cit., n. 224 (in motivazione); min. fin. ris. 11 ottobre 1985, n. 355550, Fisco, 1985, 5168; 7 dicembre 1983, n. 343376, id., 1984, 927; nonché, in dottrina, da G. Fransoni, L'eser cizio del c.d. diritto alla detrazione dell'Iva applicata in carenza di pre supposto, in Riv. dir. fin., 1994, II, 29.

V. anche, per i profili di diritto comunitario, Giorgi, L'imposta sul valore aggiunto erroneamente indicata in fattura (nota a Corte giust. 17 settembre 1997, causa C-141/96, Finanzamt Osnabriik-Land c. Lan

ghorst, in Foro it., Rep. 1998, voce Unione europea, n. 1023), in Rass. trib., 1998, 454.

Il Foro Italiano — 2000.

da qualificarsi come cessione di azienda, ed erano, quindi, da

ritenersi soggetti ad imposta di registro. Tale decisione diventa

va definitiva, e la Buscone, avvalendosi del condono, pagava

l'imposta dovuta.

Nel frattempo, la stessa commissione di primo grado, chia

mata a giudicare sull'avviso di accertamento emesso dall'ufficio

Iva, accoglieva il ricorso della contribuente. L'ufficio ricorreva

alla commissione regionale Lombardia, sostenendo che, pur con

siderando le operazioni come cessione di azienda, la Buscone

aveva esposto l'Iva a credito, a fronte di fatture emesse dalla

venditrice. La società contribuente svolgeva appello incidentale.

Con sentenza 11 dicembre 1996 - 10 febbraio 1997 la com

missione regionale, in accoglimento dell'appello dell'ufficio Iva, confermava l'accertamento.

Osservava la commissione che, ferma restando la qualifica zione delle operazioni come cessione di azienda, e pertanto sog

gette a imposta di registro, l'oggetto del giudizio era la corret

tezza della contabilizzazione a credito dell'Iva da parte della

Buscone. Tale contabilizzazione — anche se effettuata su ope razioni non soggette ad Iva — aveva, comunque, comportato un'indebita detrazione e consentiva perciò all'ufficio la necessa

ria rettifica; quanto alla proposta di conciliazione avanzata dal

contribuente, la stessa non aveva alcuna efficacia in quanto non

era stato effettuato alcun pagamento.

Avverso tale sentenza la Buscone ha proposto ricorso per cas

sazione, sulla base di due mezzi di annullamento.

L'amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

I motivi di ricorso. — La ricorrente premette che, in data

8 novembre 1996, aveva depositato una memoria con cui chie

deva che fosse estinto il contesto per aver accettato una propo sta di conciliazione. L'importo offerto non veniva pagato, per ché si riteneva necessario l'avallo di una delle due commissioni

tributarie, dinanzi alle quali pendevano cause per il rapporto in questione.

Successivamente, con decisione del 17 marzo 1992, la Com

missione tributaria di I grado di Milano aveva accolto il ricorso

presentato dalla venditrice, F.C.F. Italia, dichiarando l'Iva non

dovuta. Contro tale decisione l'ufficio Iva aveva proposto ap

pello, deducendo che, trattandosi di cessione di azienda, l'ac

quirente Buscone non era legittimata a detrarre l'Iva. L'appello veniva notificato alla Buscone (anziché alla F.C.F.), per cui la

prima presentava appello incidentale, chiedendo che venisse ri

conosciuto un credito d'imposta per pari importo a favore della

F.C.F. A sostegno di tale tesi la Buscone presentava la lettera del

13 luglio 1992, inviata dallo stesso ufficio Iva alla F.C.F., con

la quale si comunicava che, essendo l'atto soggetto ad imposta di registro, erano venuti meno i presupposti per mantenere la

fideiussione bancaria concessa a garanzia dei crediti ex art. 60

d.p.r. 633/72.

II presidente della commissione regionale, all'udienza del 13

marzo 1996, dichiarava estinto il giudizio, ai sensi dell'art. 20

bis, 9° comma, d.p.r. 636/72.

Successivamente, l'ufficio Iva depositava una lettera diretta

alla commissione regionale, con cui dichiarava di opporsi al

l'ordinanza di estinzione in quanto non sarebbe stato effettuato

il versamento dell'importo conciliato. La Buscone, a questo pun

to, depositava memoria, con cui chiedeva altra discussione ora

le e si dichiarava pronta a pagare l'importo conciliato, purché tale versamento venisse convalidato con apposito verbale da una

commissione tributaria.

Col primo motivo, denunciando falsa applicazione degli art.

17, 18 e 19 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, in relazione all'art.

360, n. 3, c.p.c. la ricorrente deduce: — l'alternatività tra Iva ed imposta di registro comporta che,

una volta deciso definitivamente che era dovuta la seconda, non

può pretendersi la prima; — in esecuzione della prima decisione, la società aveva prov

veduto al versamento dell'imposta di registro. Le fatture emesse

dalla venditrice dovevano, pertanto, considerarsi nulle; — l'importo che si pretende dalla Buscone a titolo di indebi

ta detrazione dovrebbe essere compensato con quanto è ricono

sciuto alla venditrice come credito d'imposta, ed è pertanto ille

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

gittimo pretendere il versamento dell'una e negare il credito, di pari importo, all'altra.

Col secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa

applicazione dell'art. 8 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, nonché

erronea e contraddittoria motivazione, ai sensi dell'art. 360, nn.

3 e 5, c.p.c.

Secondo la ricorrente, la motivazione della sentenza impu

gnata sarebbe contraddittoria, avendo la stessa accolto il ricor

so dell'ufficio Iva e, allo stesso tempo, ridotto al minimo le

pene pecuniarie.

Inoltre, la Buscone, che aveva regolarmente pagato l'Iva sulle

fatture emesse erroneamente dalla venditrice, si era dichiarata

disposta a versare detta Iva (salvo diritto di pari accredito nei

confronti della stessa venditrice), ma non poteva esporsi a pa

gare senza avere una preventiva conferma.

Comunque, nessuna sanzione era dovuta, in forza dell'art.

8 d.leg. 546/92. Il ricorrente conclude, pertanto:

in via principale: per la cassazione della decisione, con pro nuncia nel merito di nullità delle fatture emesse;

in subordine: perché, ove non ritenuto spettante il diritto di

rivalsa, sia riconosciuto il diritto al credito d'imposta a favore

della venditrice, con eventuale compensazione di tali operazioni; in ulteriore subordine: che sia consentito alla ricorrente di

poter pagare quanto conciliato con l'ufficio Iva di Milano con

la proposta di conciliazione del 4 maggio 1995.

Motivi della decisione. — Le doglianze della ricorrente, nella

parte in cui tendono ad ottenere una declaratoria di illegittimità

dell'accertamento, meritano accoglimento, anche se per ragioni

giuridiche in parte diverse da quelle svolte nel ricorso. Va osser

vato per inciso che le sentenze di merito non contengono alcuna

motivazione in diritto a sostegno della decisione avente ad og

getto la legittimità della detrazione operata dalla società contri

buente.

È pacifico in causa che la F.C.F. ebbe ad emettere fatture

per cessioni di beni e addebitò l'Iva, a titolo di rivalsa, alla

società cessionaria. È altrettanto pacifico che la prima società

effettuò il pagamento dell'Iva dovuta.

Orbene, da tali premesse conseguiva il diritto, per la società

cessionaria, di registrare a credito nella dichiarazione l'Iva ad

essa addebitata a titolo di rivalsa.

Come la giurisprudenza di questa Suprema corte ha già affer

mato (sez. I 23 giugno 1992, n. 7689, Foro it., Rep. 1992, voce

Valore aggiunto (imposta), n. 215) l'Iva erroneamente addebi

tata in rivalsa può essere detratta, ai fini della determinazione

dell'eccedenza di cui all'art. 30, 2° comma, d.p.r. 26 ottobre

1972 n. 633, in quanto l'art. 19 stesso decreto ammette in detra

zione l'ammontare dell'imposta assolta o, comunque, dovuta

dal contribuente o a lui addebitata a titolo di rivalsa, senza

che influiscano la non assoggettabilità ad Iva dell'operazione, o gli errori commessi (dal cedente) nell'addebito dell'imposta.

Tale interpretazione, basata sull'interpretazione letterale del

l'art. 19 d.p.r. 633/72, è stata più volte condivisa dalla stessa

amministrazione finanziaria.

Nella risoluzione del 30 ottobre 1973 (prot. n. 361390) si è

ritenuto che l'acquirente, il quale ha ricevuto fatture per beni

acquistati nell'esercizio dell'impresa, «ha legittimamente eserci

tato il diritto ad operare le detrazioni dell'Iva da lui assolta

in via di rivalsa», pur se nella specie si sia realizzata una cessio

ne di azienda.

Nella risoluzione ministeriale del 28 gennaio 1986 (prot. n.

406888) si riafferma il diritto del cessionario, il quale abbia ri

cevuto fatture per beni o servizi considerati come operazioni

non imponibili, a detrarre l'Iva assolta in via di rivalsa.

In definitiva, perché possa parlarsi di indebita detrazione, di

cui all'art. 43, 2° comma, d.p.r. 633/72, è necessario l'esercizio

fraudolento o quanto meno illegittimo di un insussistente dirit

to alla detrazione (operazioni inesistenti, non inerenza dell'ac

quisto all'attività d'impresa, divieto normativo per l'ammissio

ne della detrazione stessa).

Da quanto sopra consegue l'annullamento con rinvio della

sentenza impugnata. Il descritto errore di diritto, infatti, costi

tuisce il fondamento della decisione, e deve ritenersi che i moti

vi di ricorso ne contengano, quanto meno implicitamente, una

denuncia.

Il Foro Italiano — 2000.

Stante la natura radicale del vizio, la rilevazione dello stesso

preclude l'esame delle ulteriori censure.

Sarà, pertanto, compito di altra sezione della commissione

regionale della Lombardia verificare l'esistenza delle ulteriori

condizioni per il diritto della ricorrente alla detrazione (fra cui

la mancata presentazione di istanza di rimborso da parte del

cedente) e decidere sulla legittimità dell'accertamento e dell'ap

plicazione delle sanzioni, oltre che sulle spese del giudizio di

cassazione.

I giudici di rinvio si uniformeranno al seguente principio di

diritto: «l'imposta sul valore aggiunto addebitata in rivalsa può essere detratta dal cessionario che ha ricevuto fatture per beni

acquisiti nell'esercizio d'impresa, nonostante l'erroneo assogget tamento ad imposta dell'operazione da parte del cedente».

CORTE D'APPELLO DI ROMA; decreto 16 novembre 1999;

Pres. Lo Turco, Rei. Bernabai; Soc. Pubbli tecnica.

CORTE D'APPELLO DI ROMA;

Società — Società per azioni — Assemblea — Mancato deposi

to preventivo dei titoli azionari — Deliberazione — Validità — Omologazione (Cod. civ., art. 2366, 2370, 2377; 1. 29 di

cembre 1962 n. 1745, istituzione di una ritenuta d'acconto

o di imposta sugli utili distribuiti dalle società e modificazioni

della disciplina della nominatività obbligatoria dei titoli azio

nari, art. 4).

È omologabile la deliberazione assembleare adottata in assenza

del preventivo deposito dei titoli azionari presso la sede socia

le, atteso che tale deposito non è requisito di esistenza né

di validità della deliberazione medesima. (1)

(1) La diffusa motivazione del provvedimento in rassegna sottopone ad un'articolata revisione critica la tesi secondo cui il mancato deposito delle azioni presso la sede sociale comporterebbe l'inesistenza radicale

della deliberazione adottata con il voto determinante del socio il cui

intervento in assemblea sia stato, per tale motivo, viziato: per tale pre valente orientamento di giurisprudenza, v. anche l'oramai risalente Cass.

8 ottobre 1979, n. 5197, Foro it., 1980, I, 1051, ove, contrariamente

a quanto ampiamente ritenuto nel decreto in epigrafe, si osserva che

«sarebbe errato voler attribuire finalità puramente fiscale» alla 1. n.

1745 del 1962; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano 21 set

tembre 1989, id., Rep. 1989, voce Società, n. 411, e Società, 1989, 1298, con nota di Donnini; App. Roma 14 marzo 1988, Foro it., 1989, I,

878, con nota di richiami; adde, Trib. Milano 8 febbraio 1988, id.,

Rep. 1988, voce cit., n. 378, e Società, 1988, 821, con nota di Ambrosi

no propende invece per la tesi della nullità, Trib. Verona 1° marzo

1990, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 466, e Società, 1990, 1085,

che considera non omologabile la delibera adottata in mancanza del

previo deposito dei titoli, ancorché questi non fossero stati ancora emessi.

La portata inderogabile della disciplina del deposito delle azioni, in

quanto dettata a tutela di interessi pubblici, è enfatizzata da App. Ve

nezia 22 giugno 1995, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 546, e Oiur.

comm., 1995, II, 857, con nota critica di Angelici, che la considera

applicabile anche in caso di assemblea totalitaria ed anche nell'ipotesi in cui i titoli azionari non siano stati emessi (profilo questo ampiamente trattato dal decreto in epigrafe); nello stesso senso, v. anche Trib. Mila

no 28 gennaio 1982, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 310, e Giur.

comm., 1983, II, 438, con nota critica di Monti, Inderogabilità del

termine di cinque giorni per il deposito delle azioni e assemblea totalitaria.

In senso contrario su tale punto si esprime la dottrina, che in genere

nega l'applicazione dell'art. 2370 c.c. nel caso di assemblee totalitarie:

cfr. Serra, L'assemblea: procedimento, in Trattato delle società per

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