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sezione I civile; sentenza 18 giugno 1997, n. 5459; Pres. Cantillo, Est. Di Palma, P.M. Amirante...

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sezione I civile; sentenza 18 giugno 1997, n. 5459; Pres. Cantillo, Est. Di Palma, P.M. Amirante (concl. conf.); Min. finanze c. Fall. soc. Pezzini. Dichiara inammissibile ricorso avverso Trib. Pisa 22 marzo 1994 Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 10 (OTTOBRE 1997), pp. 2873/2874-2875/2876 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192518 . Accessed: 28/06/2014 12:29 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.51 on Sat, 28 Jun 2014 12:29:08 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 18 giugno 1997, n. 5459; Pres. Cantillo, Est. Di Palma, P.M. Amirante(concl. conf.); Min. finanze c. Fall. soc. Pezzini. Dichiara inammissibile ricorso avverso Trib.Pisa 22 marzo 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 10 (OTTOBRE 1997), pp. 2873/2874-2875/2876Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192518 .

Accessed: 28/06/2014 12:29

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 17 mag

gio 1995 il procuratore generale presso la sezione giurisdizionale

per la regione Lazio della Corte dei conti citava davanti a que st'ultima Duilio Poggiolini ed altri, chiedendo la condanna de

gli stessi in solido al pagamento della somma di lire

6.570.000.000.000, dei quali 150.000.000.000 per danno morale

arrecato allo Stato, come persona, ed all'amministrazione della

sanità, come soggetto pubblico specificamente investito dei po teri in materia di immissione dei farmaci nel prontuario sanita

rio nazionale, nonché all'organo pubblico incaricato di stabilire

il prezzo degli stessi farmaci (comitato interministeriale dei prezzi,

all'epoca dei fatti, cui è succeduto ope legis il comitato intermi

nisteriale della programmazione economica). Il tutto con rivalu

tazione monetaria dal 1993 ed interessi sull'intera somma.

Con successivo atto di citazione notificato in data 20 ottobre

1995 il procuratore generale presso la sezione giurisdizionale per la regione Lazio della Corte dei conti citava davanti a quest'ul tima le stesse persone, chiedendone la condanna in solido al

pagamento della somma di lire 6.727.322.667.023, oltre al dan

no morale, da liquidare «nel quadruplo delle illecite elargizioni così come accertato nella sede delle procedure penali in corso, con rivalutazione monetaria dal 1993 ed interessi sulle intere

somme a decorrere dal 27 giugno 1994».

Duilio Poggiolini, costituitosi, contestava la giurisdizione del la Corte dei conti con riferimento al danno morale e successiva

mente proponeva ricorso per regolamento preventivo di giuris

dizione, al quale resiste la procura generale presso la sezione

giurisdizionale per la regione Lazio della Corte dei conti.

Francesco Balsano, uno degli altri convenuti davanti alla Corte

dei conti, con controricorso ha aderito alle tesi di Duilio Pog

giolini. Motivi della decisione. — Il ricorrente sostanzialmente dedu

ce che tutte le disposizioni le quali prevedono la giurisdizione della Corte dei conti in tema di responsabilità per danno eraria

le individuano implicitamente quest'ultimo come diminuzione

patrimoniale, che, invece, il c.d. danno morale non tende a ri

storare.

Occorre premettere che, per quanto nell'atto di citazione da

vanti alla Corte dei conti si parli di «danno morale», in realtà, con tale espressione, non si è inteso fare riferimento al c.d.

pretium doloris, cioè al ristoro di sofferenze fisiche o morali, ma al danno conseguente alla grave perdita di prestigio ed al

grave detrimento dell'immagine e della personalità pubblica dello

Stato (cfr., in particolare, pag. 17 dell'atto in questione), che,

anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta

è, tuttavia, suscettibile di una valutazione patrimoniale, sotto

il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso.

Una volta chiarito tale punto, ne consegue che va affermata

la giurisdizione della Corte dei conti, in coerenza, d'altra parte, con l'orientamento manifestatosi nella giurisprudenza di questa

Suprema corte con la sentenza 2 aprile 1993, n. 3970 (Foro it.,

Rep. 1993, voce Responsabilità contabile, n. 43), la quale ha

escluso che il danno sul cui risarcimento la Corte dei conti è

chiamata a pronnciarsi sia esclusivamente ravvisabile in una di

minuzione patrimoniale già verificatasi ed ha affermato che com

prende anche i maggiori costi che la pubblica amministrazione

è eventualmente chiamata a sopportare. Tale conclusione, infine, contrariamente a quanto sostiene il

ricorrente, non trova ostacolo nella formulazione delle norme

che individuano la competenza giurisdizionale della Corte dei

conti, anche se la dottrina e la giurisprudenza meno recenti ave

vano manifestato la tendenza ad interpretare tali norme nel sen

so della loro riferibilità ad un danno «certo» (cioè rilevabile

da una mera operazione di calcolo) e «attuale».

Il Fono Italiano — 1997.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 18 giugno

1997, n. 5459; Pres. Cantillo, Est. Di Palma, P.M. Ado

rante (conci, conf.); Min. finanze c. Fall. soc. Pezzini. Di

chiara inammissibile ricorso avverso Trib. Pisa 22 marzo 1994.

Fallimento — Insinuazione tardiva — Decreto di ammissione

non conforme alla richiesta — Mezzi di impugnazione (Cost., art. Ili; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 101).

Il decreto con il quale il giudice delegato, nel procedimento di

insinuazione tardiva, disponga l'ammissione al passivo di un

credito in modo non conforme alla richiesta, ha natura di

sentenza e come tale non può essere impugnato con ricorso

per cassazione ex art. Ill Cost., ma con il rimedio ordinario

dell'appello. (1)

Svolgimento del processo. — 1. - Con ricorso del 16 ottobre

1991 al giudice del Tribunale di Pisa, delegato al fallimento

della Giacomo Pezzini & C. s.n.c., l'ufficio Iva di Pisa chiese l'insinuazione tardiva al passivo del predetto fallimento delle

somme di lire 7.773.998 (per Iva evasa, pena pecuniaria ed inte

ressi) quale credito privilegiato e di lire 1.598.715 (interessi) quale credito chirografario.

All'udienza di comparizione del 22 marzo 1994, il curatore

del fallimento non si oppose all'accoglimento del ricorso, ma

«escudente il privilegio per le pene pecuniarie». Il giudice delegato, con provvedimento in pari data adottato

in udienza, ammise il ricorrente al passivo del fallimento per lire 3.871.998 in privilegio e per lire 4.500.715 in chirografo; compensò le spese; invitò il curatore a modificare lo stato passi vo sulla base della suddetta ammissione.

Avverso tale provvedimento il ministero delle finanze e l'uffi

cio Iva di Pisa hanno proposto ricorso per cassazione, deducen

do un unico motivo di censura.

Motivi della decisione. — 2.1. - Con l'unico motivo (con cui

deducono: «violazione e falsa applicazione art. 101 1. fall., 62, 3° comma, d.p.r. 633/72. Motivazione omessa, insufficiente, contraddittoria su un punto decisivo della controversia»), i ri

correnti sostengono, innanzitutto, che il provvedimento impu

gnato, ancorché radicalmente abnorme, avrebbe natura deciso

ria e carattere definitivo, onde la immediata proponibilità del

ricorso straordinario per cassazione avverso lo stesso; e sottoli

neando che il vizio che inficierebbe il provvedimento medesimo

consisterebbe nella «decisione», appunto, della questione circa

la qualità del credito erariale per pena pecuniaria (se, cioè, chi

rografario o privilegiato) da parte di organo giurisdizionale in

competente — il giudice delegato, anziché il tribunale — ed

in forma illegittima, e cioè senza previamente provvedere all'i

struzione della causa a norma degli art. 175 ss. c.p.c. 2.2. - Il ricorso — proposto ex art. Ili, 2° comma, Cost.

— dev'essere dichiarato inammissibile in quanto avente ad og

getto un provvedimento certamente «decisorio», ma altrettanto

sicuramente «non definitivo».

È noto che l'art. 101, 3° comma, 1. fall, prefigura —

nell'ambito del procedimento di dichiarazione tardiva di cre

diti, costantemente qualificato da questa corte siccome nor

male giudizio di cognizione (cfr. sent. n. 5469 del 1986, Foro

it., Rep. 1987, voce Fallimento, n. 519; n. 11789 del 1992,

(1) A distanza di sole tre settimane da Cass. 30 maggio 1997, n. 4868, Foro it., 1997, I, 2461, che aveva ritenuto ammissibile in una fattispecie del tutto omogenea (identico ricorrente, identico giudice impugnato) il

ricorso per cassazione, dalla stessa fucina della prima sezione viene af

fermato il principio esattamente opposto e cioè quello per cui di fronte

ad un provvedimento anomalo del giudice delegato reso nel corso del

procedimento per dichiarazione tardiva di credito, il creditore che si

senta danneggiato dal decreto del giudice delegato di accoglimento sol

tanto parziale della propria domanda deve attivare il gravame ordinario

dell'appello. Per i precedenti sulla questione, si rinvia alla nota redazio

nale a Cass. 4868/97, e, sulla ovvia considerazione che appare evidente

investire le sezioni unite del problema in oggetto, non si può non rimar

care come sia ormai divenuta indifferibile la riorganizzazione del siste

ma di assegnazione dei ricorsi ai diversi collegi che compongono la se

zione, non senza trascurare l'opportunità di studiare meccanismi di dif

fusione interna delle decisioni che prescindano dai tempi, comunque

lunghi, di deposito delle sentenze. [M. Fabiani]

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2875 PARTE PRIMA 2876

id., Rep. 1992, voce cit., n. 572; n. 6937 del 1995, id., Rep. 1995, voce cit., n. 583) — due possibili forme di accertamento

e di dichiarazione tardiva del credito: la prima, che si conclude

con un provvedimento (decreto) di ammissione al passivo adot

tato dal giudice delegato, presuppone la sussistenza della dupli ce condizione che non sia contestata dal curatore l'ammissione

del nuovo credito e che questo sia ritenuto fondato dal giudice; la seconda, che si conclude con sentenza del tribunale «falli

mentare», presuppone che l'ammissione del credito, di cui si

chiede l'insinuazione tardiva, sia contestata dal curatore o sia

ritenuta non fondata dal giudice delegato, e che, a seguito di

tali evenienze, il giudice abbia provveduto all'istruzione della

causa a norma degli art. 175 ss. c.p.c. Siffatta configurazione

legislativa consente di affermare che l'unica ipotesi, in cui il

procedimento di dichiarazione tardiva di crediti può legittima mente concludersi con provvedimento (in forma di decreto) dal

giudice delegato, si realizza allorquando la domanda del credi

tore, che chiede di insinuarsi tardivamente nel passivo fallimen

tare, venga accolta nella sua interezza (esistenza, quantità, qua

lità, accessori del credito, ecc.) sia per l'integrale adesione del

curatore, sia per il giudizio di fondatezza del credito, così come

fatto valere, espresso dal giudice delegato; in ogni altro caso — contestazione del credito da parte del curatore, assenza dello

stesso all'udienza; delibazione (anche parzialmente) negativa del

giudice delegato in ordine alla fondatezza del credito — si ren

de doveroso, per elementari ragioni di tutela dei principi del

contraddittorio e della difesa in giudizio, invece di quello «som

mario», l'ordinario iter di cognizione che si conclude con sen

tenza. Da quanto ora osservato discede che, nei casi in cui il

giudice delegato decide illegittimamente, con decreto — come

nella specie (cfr. supra svolgimento del processo) — sulla do

manda di ammissione tardiva di crediti, il provvedimento al di

là della «forma» adottata, ha contenuto sostanziale di sentenza

(cfr., da ultimo, Cass. n. 4520, del 1988, id., Rep. 1988, voce

Sentenza civile, n. 10, e n. 12082 del 1992, id., Rep. 1992, voce

cit., n. 8). Ciò posto, deve precisarsi che, in casi siffatti, non sono espe

ribili, per la denuncia del vizio e per la revisione del giudizio, i rimedi endofallimentari astrattamente ipotizzabili — reclamo

ex art. 26; opposizione od impugnazione di cui agli art. 98,

99, 100 1. fall. — per la decisiva ragione, più volte sottolineata

da questa corte (cfr. sent. n. 3871 del 1981, id., Rep. 1982, voce Fallimento, n. 443; n. 1101 del 1982, id., 1982, I, n. 2537; n. 5469 del 1986, cit.; n. 3230 del 1988, id., Rep. 1988, voce cit., n. 510; n. 11789 del 1992, cit.; n. 6937 del 1995, cit.), e condivisa dal collegio, della autonomia dei giudizi di dichiara

zione tardiva di crediti rispetto alla fase di verificazione e di

accertamento, e della loro natura di normali giudizi di cognizio

ne, soggetti, come tali, alle forme ed ai principi del rito ordina rio anche per ciò che attiene all'impugnazione dei provvedimen ti che li definiscono. E, per la medesima ragione, non è nemme

no esperibile il rimedio del ricorso straordinario per cassazione, dal momento che, in base ai predetti principi, il «decreto» ille

gittimamente adottato può e deve essere impugnato con appello.

Il Foro Italiano — 1997.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 13 giu

gno 1997, n. 5346; Pres. Sammartino, Est. Elefante, P.M.

Leo (conci, conf.); Franzese (Aw. P. Rossi) c. Flamia e Ian

nacone (Aw. Giordano). Conferma App. Napoli 30 aprile 1993.

Prova documentale — Copia fotostatica — Disconoscimento — Termine di decadenza (Cod. civ., art. 2719; cod. proc.

civ., art. 214, 215).

Il disconoscimento della conformità di una copia fotostatica al

l'originale del documento è soggetto alle modalità ed ai ter

mini di cui agli art. 214 e 215 c.p.c. (1)

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione 14 gen naio 1982, Maria Franzese, premesso che con atto 1° settembre

1976 aveva acquistato dalla s.r.l. Vilmare un appezzamento di

terreno in S. Maria del Cedro sul quale vi aveva edificato un

villino per civili abitazioni, che era stato poi occupato arbitra

riamente da Raffaele Flamia, conveniva quest'ultimo davanti

al Tribunale di Napoli al fine di sentirlo condannare al rilascio

di detto immobile e al risarcimento dei danni.

Il Flamia chiedeva il rigetto della domanda, deducendo che

l'occupazione del villino era pienamente legittima in quanto egli lo aveva acquistato, insieme alla moglie Rosa Iannaccone, dalla

s.r.l. Vilmare che chiedeva di chiamare in causa.

Nel giudizio interveniva la predetta Rosa Iannaccone, la qua

le, confermata la versione dei fatti data dal marito, chiedeva, oltre al rigetto della domanda, la condanna dell'attrice al risar

cimento dei danni; e produceva la scrittura relativa all'acquisto del villino stipulata in data 4 maggio 1979 tra lei e la s.r.l.

Vilmare, nonché fotocopia della scrittura privata di vendita di

tale immobile del 30 marzo 1979 intercorsa tra la Franzese ed

Alberto Aletta, rappresentante della s.r.l. Vilmare, la quale, chia

mata in causa ai fini della garanzia, restava contumace.

(1) Il silenzio dell'art. 2719 c.c. sulla disciplina da applicare al disco noscimento di copie fotografiche o fotostatiche di scritture private ha

provocato discussioni in dottrina ed in giurisprudenza sull'applicabilità a tale fattispecie delle modalità e dei termini previsti dagli art. 214 e 215 c.p.c. per il disconoscimento degli originali.

La pronuncia odierna segue l'orientamento secondo cui va applicata per analogia la disciplina di cui al codice di rito e conseguentemente considera tardivo il disconoscimento avvenuto oltre la prima udienza o la prima risposta successiva alla produzione del documento.

Nello stesso senso, v. Cass. 15 febbraio 1996, n. 1141, Foro it., Rep. 1996, voce Elezioni, n. 276; 25 maggio 1995, n. 5742, id., Rep. 1995, voce Prova documentale, n. 33; 7 luglio 1995, n. 7496, ibid., n. 35; 28 dicembre 1993, n. 12856, id., Rep. 1993, voce cit., n. 31; 3 maggio 1988, n. 3294, id., Rep. 1988, voce cit., n. 31.

In senso contrario, v. Cass. 11 agosto 1987, n. 6881, id., Rep. 1987, voce cit., n. 27; 17 giugno 1985, n. 3632, id., 1986, I, 140, con nota di richiami, e Giust. civ., 1986, I, 2535, con nota di Russo.

Altra parte della giurisprudenza distingue a seconda che il disconosci mento abbia per oggetto la conformità della fotocopia all'originale o la scrittura privata, applicando gli art. 214 e 215 c.p.c. solo nel secondo caso. Vedi in questo senso: Cass. 11 maggio 1990, n. 4059, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 33; 27 febbraio 1990, n. 1509, ibid., n. 34; Trib. Napoli 21 maggio 1986, id., Rep. 1988, voce cit., n. 30, e Dir. e giur., 1987, 586, con nota di Pappa Monteforte; Cass. 5 maggio 1978, n. 2144, Foro it., 1979, I, 1235, con nota di richiami.

Quest'ultimo orientamento trova fondamento e sostegno nella diffe renza di natura e quindi di effetti che sussiste tra le due ipotesi. Il disconoscimento di conformità della fotocopia all'originale, infatti, con sisterebbe in un'eccezione ordinaria deducibile nel corso dell'intero giu dizio e superabile con qualsiasi mezzo di prova; il disconoscimento di scrittura privata, invece, è soggetto al termine di decadenza di cui al l'art. 215 c.p.c., può essere superato solo a seguito dell'esito positivo del procedimento di verificazione e la sua mancanza dà luogo al ricono scimento tacito ex art. 215 c.p.c. con valore di prova legale.

In questo senso vedi Cass. 5 febbraio 1996, n. 940, id., Rep. 1996, voce cit., n. 27; 22 dicembre 1993, n. 12705, id., 1995, I, 1597, con nota di richiami.

Per la dottrina che esclude l'applicabilità degli art. 214 e 215 c.p.c. al disconoscimento della conformità della fotocopia all'originale, vedi Patti, Prova documentale, in Commentario Scialoja-Branca, sub art. 2719, 1996, 148-149; Carpino, Scrittura privata, voce dell' Enciclopedia del diritto, 1989, XLI, 817; Andrioli, Dir. proc. civ., 680. In senso contrario, vedi Proto Pisani, Lezioni dir. proc. civ., 1996, 473. Per una rassegna dei vari orientamenti in materia, vedi Pappa Montefor te, Sulla tutela della parte contro la quale è prodotta in giudizio una scrittura privata, in Dir. e giur., 1987, 595 ss., cit.

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