Sezione I civile; sentenza 18 marzo 1982, n. 1763; Pres. Brancaccio, Est. Corda, P. M. Leo (concl.conf.); Ditta Cinti (Avv. De Luca, Terpin) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Braguglia).Conferma App. Trieste 3 maggio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 3 (MARZO 1984), pp. 821/822-825/826Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175883 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
della questione con il ricorso, deve pronunziare su di essa tramite una diretta indagine e valutazione degli atti e degli elementi
acquisiti al processo (v. Cass. 12 gennaio 1979, n. 225, id., Rep. 1979, voce cit., n. 231). Nel caso non è controverso che la clausola compromissoria è contenuta nello statuto della società
cooperativa di produzione e lavoro (a rJ.) e prevede il deferi mento delle controversie tra i soci e la società al collegio dei
probiviri, di cui allo stesso statuto.
Con precedente decisione (sent. 21 ottobre 1980, n. 5635, id., 1980, I, 2694) è stato rilevato che la clausola per la devoluzione a collegio arbitrale della controversia tra società e soci, che sia contenuta nell'atto costitutivo e nello statuto della società stessa, e, quindi, sia vincolante nei confronti di chiunque acquisti, anche
successivamente, la qualità di socio, può integrare un compromes so per arbitrato rituale, come tale derogativo della competenza dell'autorità giudiziaria, solo quando detto collegio si ponga su
un piano di autonomia, traendo la propria legittimazione dalla
volontà di entrambe le parti, in lite attuale e potenziale, e non anche quando abbia natura di organo societario, inserito nella struttura dell'ente e nominato con delibera assembleare.
Il principio ora enunciato merita di essere qui ribadito in
quanto tiene conto sia della funzione degli arbitri, che, quali veri e propri giudici, sono incaricati di emettere una pronuncia con
spiccato carattere giudiziario, per l'autonoma efficacia esecutiva e
per l'inserimento anche per quanto riguarda le impugnazioni nell'iter proprio dei procedimenti giudiziari, sia del rigore formale che deve presiedere alla stipula della clausola compromissoria ed
alla nomina degli arbitri; funzione e rigore che mal si conciliano
con la nomina del collegio dei probiviri demandato all'organo deliberante della società, ossia ad una delle parti in causa, e con
la possibilità, a quest'ultima concessa, di procedere unilateralmen
te alla sostituzione dei componenti del collegio predetto. Senza contare il maggior favore con il quale deve essere
riguardata la competenza del giudice ordinario, istituzionalmente
preposto alla soluzione delle controversie; sicché l'incertezza in
sede di interpretazione di una clausola compromissoria e della
correlativa qualificazione dell'arbitrato previsto dalle parti (irritua le o rituale, a secondo che all'arbitro sia stata demandata
un'attività negoziale di componimento in via transattiva di even
tuali divergenze ovvero un'attività giurisdizionale sfociante in una
pronuncia atta ad acquistare il valore di sentenza) va risolta nel
senso che le parti abbiano inteso prevedere un arbitrato irrituale
(conf. sent. 25 gennaio 1980, n. 616, id., Rep. 1980, voce
Arbitrato, n. 24, ed altre). La causa promossa dagli attuali resistenti rientra pertanto nella
competenza del giudice adito, non derogata da competenza arbi
trale.
La ricorrente non ha proposto motivo di ricorso in ordine
all'eccezione di improponibilità della domanda, conseguente alla
diversa qualificazione della clausola compromissoria e del pari disattesa dalla sentenza impugnata. Ogni pronunzia sul piano è
pertanto preclusa. Per le ragioni esposte, in accoglimento per quanto di ragione
del ricorso proposto dalla cooperativa contro Castellone e Car
rasconi, la sentenza deve essere cassata con rinvio ad altro
giudice di pari grado, designato nel Tribunale di S. Maria Capua
Vetere, sez. lavoro, il quale deciderà la causa applicando il
seguente principio: ai fini retributivi la coesistenza nello stesso
soggetto della qualità di socio di cooperativa di produzione e
lavoro e di lavoratore subordinato alle dipendenze della medesi
ma (a meno che non ne siano stati sovvertiti lo schema tipico ed
il fine mutualistico) è confìgurabile soltanto quando sia prestata attività lavorativa diversa ed estranea rispetto a quella che, formando oggetto specifico dell'esercizio collettivo dell'impresa, il
socio lavoratore sia obbligato a conferire in base all'atto costitu
tivo. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 18 marzo
1982, n. 1763; Pres. Brancaccio, Est. Corda, P. M. Leo (conci,
conf.); Ditta Cinti (Avv. De Luca, Terpin) c. Min. finanze
(Aw. dello Stato Braguglia). Conferma App. Trieste 3 mag
gio 1979.
Dogana — Dazi doganali — Esenzione per i materiali occorrenti
al primo impianto di stabilimenti industriali — Imposte di
fabbricazione e corrispondenti sovrimposte di confine — Esten
sione — Esclusione (L. 8 luglio 1904 n. 351, provvedimenti
per il risorgimento economico della città di Napoli, art. 7;
d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, t. u. delle disposizioni legislative in materia doganale, art. 34).
L'esenzione dal pagamento dei « dazi doganali » prevista dall'art.
7 l. 8 luglio 1904 n. 351, concernente provvedimenti a favore della città di Napoli, per i materiali da costruzione, macchinari
e tutto quanto può occorrere al primo impianto degli stabili
menti industriali, non può intendersi automaticamente estensibi
le all'imposta di fabbricazione gravante sul gasolio consumato
nell'uso dei mezzi adoperati per l'esecuzione dei lavori relativi
al detto primo impianto. (1)
(1) Non risultano precedenti specifici editi. La decisione affronta i rapporti intercorrenti tra il dazio doganale e
tutti gli altri tributi che, in base al 2° comma dell'art. 34 t.u. 23 gennaio 1973 n. 43, sono inclusi nella categoria dei cosiddetti « diritti di confine », facente parte, a sua volta, della più generale categoria dei « diritti doganali ».
Le argomentazioni svolte a sostegno della decisione sono essen zialmente basate su due assunti: l'uno, di carattere generale, concerne la distinzione tra dazi doganali e tutti gli altri « diritti di confine »; l'altro, di carattere particolare, concerne la distinzione tra dazio do
ganale e imposte di fabbricazione. Per quanto riguarda il primo, viene rilevato che l'inclusione nell'u
nica categoria dei « diritti di confine » non fa perdere ai singoli tributi la propria identità, sicché essi conservano natura e regolamentazione giuridiche autonome. I dazi di importazione e di esportazione, i
prelievi e le altre imposizioni all'importazione e all'esportazione previ sti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione, vanno quindi tenuti distinti dai diritti di monopolio (Cass. 13 febbraio
1940, n. 538, Foro it., Rep. 1940, voce Dogana, n. 12), dalle
sovrimposte di confine ed ogni altra imposta di consumo a favore
dello Stato. I primi, infatti, sono tributi che colpiscono le merci estere
(nel caso di importazione) o nazionali (nel caso di esportazione) o per motivi fiscali o, nella maggioranza dei casi, per aggravarne il costo ai
fini della tutela dell'economia nazionale. Essi sono pertanto riscossi a
ragione, rispettivamente, dell'importazione o dell'esportazione. L'appli cazione dei secondi, invece, costituisce una manifestazione del potere
impositivo « interno » dello Stato, in virtù del quale le merci prodotte all'estero, all'atto dell'importazione — del fatto, cioè, in conseguenza del quale esse sono immesse nel circuito economico/commerciale nazionale — vengono gravate degli stessi tributi che colpiscono le similari merci prodotte all'interno dello Stato. La riscossione di tali
tributi, pertanto, avviene non a ragione ma in occasione della impor tazione.
Questa distinzione fra fiscalità « esterna » (imposizione di tributi a
ragione dell'importazione) e fiscalità « interna » (imposizione in occa sione dell'importazione) ha trovato in sede internazionale un esplicito riconoscimento nel paragrafo 2 dell'art. II dell'accordo generale sul commercio e le tariffe (G.A.T.T.) col quale, nel mentre viene sancito
per le parti contraenti l'obbligo della reciproca concessione di riduzio ni daziarie, è riconosciuto alle parti stesse il diritto di percepire, in
qualsiasi momento, sull'importazione di un prodotto, « una imposizione equivalente ad una tassa interna che colpisca un prodotto nazionale
similare ».
Sempre sul piano internazionale, e precisamente nella normativa
comunitaria, è operata una distinzione tra « immissione in libera
pratica » nella Comunità e « immissione in consumo » nei singoli Stati membri. La prima riguarda l'entrata delle merci originarie di paesi terzi nel territorio della Comunità e comporta solo il pagamento dei
dazi, dei prelievi e di ogni altra tassa prevista per l'importazione nella Comunità nel suo complesso, qualunque sia il paese membro di destinazione. La seconda, invece, riguarda l'importazione nei singoli Stati membri ed esige pertanto l'applicazione (non discriminatoria) delle
disposizioni nazionali, in particolare di quelle di ordine fiscale: v., tra le altre, Corte giustizia CE 29 aprile 1982, causa 17/81, id., 1983, IV, 412; 15 luglio 1982, causa 216/81, ibid., 285; 25 maggio 1977, causa 105/77, id., 1977, IV, 329; 18 giugno 1975, causa 94/74, id.,
1975, IV, 157; cfr. inoltre il quinto «considerando» del preambolo alla direttiva del consiglio delle Comunità europee del 24 luglio 1979 re lativa all'armonizzazione delle procedure di immissione in libera pra tica delle merci.
Con tale direttiva — che è in corso di recepimento nell'ordina mento giuridico nazionale e per la cui immediata applicazione, pe raltro, sono già state impartite istruzioni agli uffici doganali italiani con circolare prot. 1451/3507/div. VI del 16 aprile 1983 della dire zione generale delle dogane e II.II. — è fissata in modo chiaro la differenza tra « immissione in libera pratica » nella Comunità della merce originaria di paesi terzi e « immissione in consumo » della merce stessa nei singoli paesi membri. Detta differenza comporta una netta separazione tra dazi doganali e/o prelievi agricoli e/o tasse di effetto equivalente, che riguardano le « risorse proprie » comunita rie ed il cui pagamento è dovuto « a ragione » della immissione in libera pratica della merce nel territorio comunitario e i diritti di mono polio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta di consumo facenti parte della fiscalità interna dei singoli Stati membri e da questi riscossi « in occasione » della « immissione in consumo » della merce nel loro territorio.
Per quanto riguarda il secondo assunto — quello relativo in particolare alla distinzione tra dazi doganali e imposte di fabbricazione — viene rilevato che la tesi secondo la quale le seconde sono assimilabili ai primi avendo con questi in comune la natura di imposte indirette sui consumi, non ha alcun fondamento giuridico. Se dal
punto di vista economico, infatti, possono apparire come tributi che in
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PARTE PRIMA
Motivi della decisione. — (Omissis). 3. - Dei motivi che residuano (primo, terzo e quinto) va inizialmente esaminato il
terzo, poiché dall'eventuale rigetto di esso deriverebbe l'assorbimento
della questione proposta col primo motivo. Infatti, qualora do
vesse ritenersi che l'imposta di cui è stato domandato il rimborso
sia diversa da quella per la quale la legge concede l'esenzione,
sarebbe del tutto inutile accertare se anche il gasolio adoperato come fonte energetica per il funzionamento delle macchine debba
ricomprendersi nell'oggetto dell'imposta per la quale l'esenzione
era stata disposta. La norma esentiva invocata ai fini del domandato rimborso è
quella contenuta nell'art. 7 1. 8 luglio 1904 n. 351 (c.d. «legge di
Napoli », richiamata dall'art. XVII dell'ordine 18 aprile 1953 n. 66
del governo militare alleato), il quale prevede l'esenzione dal
pagamento dei « dazi doganali » (oltre che per i materiali da
costruzione e le macchine) per « tutto quanto potrà occorrere al
primo impianto degli stabilimenti industriali ». In relazione ad
essa il ricorrente sostiene — col terzo motivo di ricorso in esame — che l'imposta di fabbricazione gravante sul gasolio (inglobata
nel prezzo di acquisto) sarebbe un « dazio doganale »; e, con
evidente riferimento alle « definizioni » enunciate nell'art. 34 t.u.
delle disposizioni legislative in materia doganale (d.p.r. 23 gen naio 1974 n. 43), tenta la dimostrazione dell'assunto sostenendo
che l'imposta di consumo sarebbe « dazio doganale », in quanto:
a) è imposta « di consumo »; b) sui prodotti petroliferi ricavati
dalla raffinazione del greggio importato, l'imposta predetta grava come « sovraimposta di confine ». Il citato art. 34, infatti, dopo aver
dato la definizione di « dazi doganali », chiarisce che si conside
rano « diritti di confini »: i dazi di importazione e quelli di
esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all'importazione o
all'esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relati
ve norme di applicazione; e, inoltre, per quanto concerne le
merci di importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di
confine e ogni imposta di consumo a favore dello Stato.
Tale assunto è, però, infondato anzitutto nella prima proposi
zione, contenente l'affermazione che l'imposta di fabbricazione
sarebbe, dal punto di vista giuridico, un'imposta di consumo.
Infatti, se anche può ritenersi che oggetto indiretto dell'imposta di fabbricazione è, per il fenomeno della inevitabile traslazione
del carico fiscale dal produttore al consumatore, il « consumo »
dei prodotti colpiti (si che, dal punto di vista della politica
tributaria, ovvero dal punto di vista economico, l'imposta predet ta può anche ritenersi rientrante dell'ampia categoria delle imposte indirette sui consumi), è certo, comunque, che oggetto diretto di
essa è solo la « fabbricazione » del prodotto colpito, si che
soggetto passivo di essa è il fabbricante e non il consumatore.
Né ciò è contraddetto dal fatto che, nel caso dei prodotti
petroliferi (come, del resto, in molti degli altri oasi legislativa mente disciplinati), il momento genetico del debito d'imposta è
non già quello della ultimazione del processo di fabbricazione, bensì quello della effettiva estrazione della partita dallo stabili
mento (raffineria) o deposito. Anche in questo caso, infatti,
l'imposta viene scontata non già per effetto della effettiva messa in commercio del prodotto finito, bensì per effetto del completa mento del processo di « fabbricazione », spostato, quindi, per evidenti ragioni di facilità dell'accertamento, al momento dell'e
strazione predetta. È, in sostanza, il momento dell'accertamento
che viene spostato nel tempo, perché posticipato al momento
dell'estrazione dalla raffineria o dal deposito; ma il soggetto
passivo dell'imposta continua a rimanere il fabbricante, proprio
perché il tributo colpisce la fabbricazione, non già il consumo
(di modo che l'imposta predetta, dal punto di vista giuridico, non può affatto essere considerata come imposta di consumo). E
già questo rilievo appare risolutivo, ai fini della controversia, non
potendosi neppure configurare che il rimborso di un'imposta di
fabbricazione venga domandato da colui che ha semplicemente
pagato il prezzo di acquisto del prodotto, non già dal fabbricante
che aveva pagato l'imposta (ed è proprio in base a questo
rilievo, non più curato già in grado di appello, che l'amministra
zione aveva, in primo grado, fatto rilevare il « difetto di legitti mazione » del Cinti a domandare il rimborso). Allo stesso ricor
rente, del resto, non sfugge la decisività del rilievo predetto, allorché tenta di superarlo con l'osservazione che, di fatto, l'amministrazione gli aveva rimborsato l'importo dell'i.g.e. inglo
definitiva colpiscono il consumo, da un punto di vista strettamente giuridico le imposte di fabbricazione non sono imposte di consumo in
quanto loro soggetto passivo non è il consumatore ma il produttore e suo oggetto è la fabbricazione e non il « consumo » dei prodotti (v. Alessi, Monopoli fiscali — Imposta di fabbricazione — Dazi dogana li, Torino, 1956, II, cap. 1, § 1; in senso parzialmente contrario, v. Amendola, Imposta di fabbricazione e dazi doganali, in Rass. dir. tecnica dog., anno I, fase. 1).
bato nel prezzo di acquisto del gasolio. Ma siffatta osservazione
perde ogni pregio se si considera che quella dell'i.g.e. è una
fattispecie del tutto diversa, poiché (a parte i rilievi che, in
proposito, saranno svolti più avanti), se in relazione ad essa si
ammette la legittimazione del « consumatore » a domandare il
rimborso, ciò è dovuto al fatto che, per il particolare meccani
smo di traslazione di quell'imposta, specificamente considerato
dalla legge, il consumatore finisce per essere il vero e proprio debitore d'imposta.
Infondato è, però, anche l'assunto contenuto nella seconda
delle prospettazioni come sopra enunciate, ossia la tesi secondo
cui l'imposta di fabbricazione dovrebbe essere considerata come
« dazio doganale » allorché grava, come « sovrimposta di con
fine », sui greggi d'importazione. Tesi, questa, che il ricorrente si
sforza di integrare con l'osservazione secondo cui l'imposta di
fabbricazione sugli olii minerali — a differenza di quelle che
colpiscono analoghe « qualità merceologiche » — dovrebbe essere
considerata come « diritto di confine » (e, quindi, rientrante sem
pre nella previsione di esenzione dell'art. 7 1. 8 luglio 1904 n.
351), in quanto la « nazionalizzazione » del prodotto importato
(olio greggio) avverrebbe solo in conseguenza dell'assolvimento
dell'imposta di fabbricazione.
Anche questo assunto è, però, privo di solida base giuridica
perché non tiene conto, anzitutto, che la « nazionalizzazione »
predetta (che attualmente avviene con il pagamento dell'i.v.a., ai sensi degli art. 67, 68, 69 e 70 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633,
liquidata con le tariffe proprie del dazio doganale) avveniva —
nel periodo in cui è sorto il rapporto per cui è causa — col
pagamento dell'i.g.e. e della sovrimposta di confine (art. 1 r.d.l.
23 febbraio 1939 n. 33). Ora è vero che la sovrimposta di confine (intesa come species)
è dall'art. 34 t.u. delle disposizioni legislative in materia doganale di cui al d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43 (che ha aggiornato,
ricalcandolo, il testo dell'art. 7 1. doganale 25 settembre 1940 n.
1424) definita come rientrante — al pari dei dazi di importazione e di esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all'importazione e all'esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle
relative norme di applicazione e, inoltre, per quanto concerne le
merci di importazione, i diritti di monopolio, e ogni altra
imposta di consumo a favore dello Stato — in quanto « diritto di
confine », nel più ampio genus dei « diritti doganali » (ed è,
appunto, da ciò che il ricorrente trae argomento per sostenere
l'inapplicabilità dell'agevolazione prevista — dall'art. 7 1. 8 luglio 1904 n. 351 — per i « dazi doganali »). Il fatto, però, che le due
species (dazi di importazione e sovrimposta di confine) apparten
gano, per definizione legislativa, a un unico genus (diritti dogana
li), non significa, di per sé solo, che perfettamente identica debba
essere la loro natura giuridica e, quindi, in definitiva, che
l'esenzione disposta per uno di essi debba, sempre e necessariamen
te, ritenersi disposta anche per l'altro. Occorre, perciò, soffermar
si sull'esame della natura giuridica di tali tributi.
La sovrimposta di confine, com'è noto, è il tributo istituito ai
fini dell'unità di trattamento tributario tra i prodotti « fabbrica
ti » in Italia e quelli, analoghi, importati dall'estero come già « fabbricati » (di modo che, con riferimento all'argomento specifico che interessa, è ovvio che se l'olio minerale viene estratto dal
sottosuolo italiano, su di esso graverà l'imposta di fabbricazione
nella misura tabellare corrispondente al grado di raffinazione
riscontrabile al momento dell'estrazione dalla raffineria; se però, al contrario, l'olio minerale predetto viene importato dall'estero,
graverà su di esso la sovrimposta di confine corrispondente al
grado di raffinazione riscontrabile al momento dell'importazione, tenuto conto che anche « l'olio minerale greggio naturale » scon
tava la sovrimposta predetta, evidentemente essendo, quest'ultima, simmetrica all'imposta di fabbricazione cui sarebbe oggetto il
prodotto italiano nella fase di estrazione dal sottosuolo). Si tratta, come è evidente, di un tributo doganale « interno », in quanto deve essere corrisposto solo in occasione dell'importazione, non
già in ragione dell'importazione stessa.
Nella memoria difensiva, il ricorrente sembra negare la validità
attuale della distinzione tra tributi doganali « interni » e « non in
terni », la quale avrebbe trovato la propria ragione solo nell'ambito
delle legislazioni passate; ma tale impostazione non può essere
condivisa, soprattutto se si considera che, anche nel diritto comu
nitario, è ben netta la differenza tra dazi doganali (o tasse
d'effetto ad essi equivalente) e imposte interne, anche se riscosse in dogana. E tale differenza assume (sempre nell'ambito di quel diritto) fondamentale importanza, perchè i dazi doganali (veri o
propri), a norma degli art. 9 e 13 del trattato CEE, vanno
soppressi negli scambi intercomunitari, mentre le imposte interne
(anche se riscosse in dogana) vanno invece applicate senza di scriminare il prodotto comunitario importato, rispetto a quello nazionale. Dalle numerosissime decisioni della Corte di giustizia
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
(v., per tutte, le sentenze 18 giugno 1975, Foro it., 1975, IV, 157, e 25 maggio 1977, id., 1977, IV, 329) emerge che il dazio
doganale vero e proprio è quel tributo riscosso in ragione
dell'importazione (o dell'esportazione), il quale colpisce esclusi
vamente la merce importata e non quella nazionale. Il dazio
doganale, quindi, sia esso di natura protettivo-economica, ovvero di natura fiscale, presenta la caratteristica di aggravare le merci
importate con un tributo che non viene percepito sulle similiari
merci nazionali. Non costituiscono, quindi, dazi doganali i tributi
che, anche se riscossi in dogana, gravano tanto sul prodotto
importato quanto sul corrispondente prodotto nazionale. Anche la
resistente amministrazione, la quale nel controricorso si era limi
tata ad osservare che l'imposta di fabbricazione sul prodotto nazionale era, comunque, altra cosa rispetto alla sovrimposta di
confine, ha opportunamente posto in risalto, nella discussione
orale, la decisività dell'osservazione che l'art. 7 1. del 1904, esentando dai « dazi doganali », si riferisce ai veri e propri « dazi » e non, quindi, alle sovrimposte di confine o a quegli altri
diritti di confine che fanno parte di un sistema di tributi interni, in quanto imposti al prodotto importato non già per aggravarlo, ma per equipararlo, quanto a carico tributario, al corrispondente
prodotto nazionale.
Riaffermata, quindi, la validità della distinzione predetta, non
sembra possa fondatamente negarsi che il raggruppamento operato dal citato art. 34 del nuovo t.u. sulle dogane abbia riguardo non
già alla natura dei tributi (costituenti il coacervo del « diritti
doganali », in quanto « diritti di confine »), bensì al fatto —
desumibile, peraltro, anche dalla collocazione della norma e
rilevante per gli scopi che con l'emanazione di tale t.u. il
legislatore si era prefisso — che i tributi predetti devono essere
pagati « in dogana », cioè al momento dell'importazione. In altri
termini, quel « raggruppamento » di imposte doganali di eteroge nea natura (imposte riscosse in ragione dell'importazione e im
poste riscosse semplicemente in occasione dell'importazione; im
poste che « aggravano » il prodotto importato e imposte che
equiparano il carico fiscale gravante sui prodotti importati a
quelli nazionali) ha la sua unica ratio nel fatto che il momento
genetico tributario è quello del passaggio in dogana. Ma il solo
fatto che tutte quelle imposte debbano essere pagate al momento
dell'importazione (cioè « in dogana ») non impedisce di distingue re fra esse quelle che devono essere pagate a cagione dell'impor
tazione, le quali rientrano nella categoria dei dazi doganali veri e
propri, e quelle che devono essere pagate semplicemente in
occasione dell'importazione: ed è chiaro che se queste ultime
sono da considerare (come la sovrimposta di confine di che
trattasi) imposte doganali interne (cosi come, del resto, sono
attualmente considerate dalle norme comunitarie), non sussiste
ragione alcuna per estendere ad esse un trattamento di favore
previsto per le altre, cioè per quelle — quali i « dazi doganali »
— che imposte interne non sono. In altri termini, se le due
imposte hanno in comune solo il fatto che entrambe devono
essere pagate « in dogana », non può certo, da questo, desumersi
che l'esenzione stabilita per una di essa debba, sic et simpliciter,
essere estesa anche all'altra.
Poste queste premesse, resta quindi da osservare che l'imposta
di fabbricazione sugli olii minerali non era ancora istituita allor
ché fu emanata la norma di esenzione qui esaminata (art. 7 1. 8
luglio 1904 n. 351); di modo che è lecita la conclusione che
allorquando il compilatore di tale norma stabili l'esenzione per i
« dazi doganali » (cioè per tributi che avevano, sicuramente,
natura « esterna », come inequivocabilmente si evince dal dispo sto degli art. 7 e 9 t.u. delle leggi doganali 8 settembre 1889 n.
3687, approvato col r.d. 26 gennaio 1896 n. 20, vigente nel 1904), non poteva, certo, avere previsto che l'esenzione stessa potesse estendersi anche alla « sovrimposta di confine », cioè a un'impo sta « interna » avente la sola funzione di riequilibrare un tratta
mento tributario che, a quell'epoca, non era ancora conosciuto.
In altri termini, se pure la sovrimposta di confine è da ricom
prendere (per la definizione datane dall'art. 34 t.u. del 1973) fra
i « diritti doganali », deve tuttavia escludersi (proprio con riguar do alle finalità perseguite dal legislatore del 1904) che alla stessa
possa essere attribuita natura giuridica identica a quella dei
« dazi doganali », considerati dal legislatore predetto; e cioè — giova ripeterlo — proprio perchè il tributo in questione (la
sovrimposta di confine) è legislativamente previsto in funzione di
un'imposta di fabbricazione non ancora istituita nell'epoca in cui
fu prevista l'esenzione di che trattasi. A quell'epoca, peraltro,
l'imposta di fabbricazione cominciava appena ad essere introdotta
nel sistema tributario (v., ad es., la 1. 8 agosto 1895 n. 486, ali.
E, sulla fabbricazione dei fiammiferi); è certo, comunque, che
l'imposta di fabbricazione non veniva in considerazione come
tributo doganale, tanto che la stessa non è mai menzionata nel
citato t.u. delle leggi doganali del 1889. È principio basilare, del
resto, che le norme contenenti un'agevolazione tributaria sono di
stretta interpretazione, e se pure è ammessa, in relazione ad esse,
l'interpretazione estensiva, quest'ultima deve, tuttavia, ritenersi
preclusa quando da essa deriverebbe lo sconvolgimento del sistema
(proprio perchè l'interpretazione estensiva finirebbe per tradursi
in una — non consentita — interpretazione analogica). E non v'è
dubbio che, accedendo all'interpretazione proposta dal ricorrente, il sistema ne risulterebbe sconvolto, se non altro perchè dovrebbe ritenersi che il prodotto della raffinazione sarebbe esente da
imposta (sovrimposta di confine) qualora provenisse da importa
zione, e ne sarebbe, invece, gravato (imposta di fabbricazione) se
proveniente da estrazione dal sottosuolo nazionale.
Va, da ultimo, osservato come sia priva di rilevanza anche
concreta, ai fini della risoluzione del problema in esame, la già ricordata circostanza che l'amministrazione avrebbe, a suo tempo, accolto la domanda (dell'odierno ricorrente) di rimborso dell'i.g.e. Se, infatti, ciò è avvenuto, la ragione va ricercata non già nel
fatto dell'esistenza di un preteso « sistema » di esenzione com
prensivo anche delle importe doganali « interne », bensì per effetto o degli art. XVIII e XIX del citato ordine del 18 aprile 1953 n. 66, ovvero dell'art. II dell'ordine 3 novembre 1950 n. 206,
sempre del governo militare alleato.
In conclusione, quindi, la tesi del ricorrente secondo cui
l'imposta in questione sarebbe da ricomprendere fra quei « dazi
doganali » per i quali è prevista l'esenzione va respinta per due
ordini di considerazioni: 1) in primo luogo, perchè siffatta
assimilazione non può passare attraverso l'identificazione dell'im
posta di fabbricazione come imposta di consumo (identificazione che sarebbe utile al ricorrente, in quanto l'art. 34 t.u. del 1973
definisce « diritto di confine » ogni imposta o sovrimposta di
consumo a favore dello Stato), dato che l'imposta di fabbricazio
ne è diversa per oggetto, soggetti e struttura dall'imposta di
consumo; 2) in secondo luogo, perchè le « sovrimposte di con
fine » sono tributi diversi da quei « dazi doganali » per i quali la 1. del 1904 aveva previsto l'esenzione. (Omissis)
TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 8 luglio 1982; Pres. Lo
Cascio, Est. Ciampi; Soc. Liquichimica it. in amministra
zione straordinaria, Soc. immob. Liquigas in amministrazione
straordinaria (Avv. Sena, L. C. Ubertazzi, Ambrosio) c. Soc.
Assicuratrice industriale e Soc. Pratolina (Aw. Dalmartello,
Cesqui).
TRIBUNALE DI MILANO;
Liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordi
naria — Azione revoeatoria c.d. aggravata — Presupposti —
Questioni manifestamente infondate di costituzionalità (D. 1. 30
gennaio 1979 n. 26, provvedimenti urgenti per l'amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in crisi, art. 3; 1. 3 aprile 1979 n. 95, conversione in legge, con modificazioni, del d.i.
30 gennaio 1979 n. 26, art. unico).
Ai fini dell'esperimento dell'azione revoeatoria aggravata di
sciplinata dall'art. 3, 3" comma, d.l. n. 26/79, cosi come con
vertito in l. n. 95/79, è sufficiente che i rapporti di collega mento di cui al 1" comma dello stesso art. 3 sussistessero al
momento di compimento dell'atto revocando. (1) Sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costi
tuzionale dell'art. 3, 3° comma, d.l. n. 26/79, cosi come con
vertito in l. n. 95/79, sollevate in riferimento agli art. 3 e 24
Cost., e relative a) ad asserite disparità di trattamento derivanti
dalla disciplina della revoeatoria fallimentare aggravata e b) al
l'applicazione retroattiva di tale normativa. (2)
(1-2) 1. - La sentenza affronta per la prima volta, a quanto consta, il problema relativo al momento in cui devono sussistere i rapporti di collegamento previsti dall'art. 3 d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, con
vertito in 1. 3 aprile 1979 n. 95 ai fini dell'esercizio dell'azione re
voeatoria cosiddetta «aggravata». In proposito sono ipotizzabili le seguenti soluzioni: 1) è sufficiente
che i suddetti legami siano presenti al momento di compimento dell'atto che si intende revocare; 2) bisogna che essi sussistano in un
momento diverso e successivo, che potrebbe essere quello in cui
viene giudizialmente accertato lo stato di insolvenza dell'impresa, ovvero viene disposta con decreto l'amministrazione straordinaria, ovvero ancora viene esperita l'azione revoeatoria; 3) occorre che i
rapporti siano presenti in entrambi i momenti in cui ai punti 1 e 2,
perdurando anche nel lasso di tempo fra essi intercorrente. Il Tribunale di Milano ha optato per la prima di queste
ipotesi, suscitando i consensi di buona parte della dottrina (ed in
particolare di Alessi, L'azione revoeatoria speciale nell'amministra
zione straordinaria, in Fallimento, 1983, 174 ss.; di Bonsignori
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