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Sezione I civile; sentenza 18 marzo 1982, n. 1763; Pres. Brancaccio, Est. Corda, P. M. Leo (concl....

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Sezione I civile; sentenza 18 marzo 1982, n. 1763; Pres. Brancaccio, Est. Corda, P. M. Leo (concl. conf.); Ditta Cinti (Avv. De Luca, Terpin) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Braguglia). Conferma App. Trieste 3 maggio 1979 Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 3 (MARZO 1984), pp. 821/822-825/826 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175883 . Accessed: 24/06/2014 22:58 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.79.22 on Tue, 24 Jun 2014 22:58:31 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 18 marzo 1982, n. 1763; Pres. Brancaccio, Est. Corda, P. M. Leo (concl.conf.); Ditta Cinti (Avv. De Luca, Terpin) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Braguglia).Conferma App. Trieste 3 maggio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 3 (MARZO 1984), pp. 821/822-825/826Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175883 .

Accessed: 24/06/2014 22:58

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

della questione con il ricorso, deve pronunziare su di essa tramite una diretta indagine e valutazione degli atti e degli elementi

acquisiti al processo (v. Cass. 12 gennaio 1979, n. 225, id., Rep. 1979, voce cit., n. 231). Nel caso non è controverso che la clausola compromissoria è contenuta nello statuto della società

cooperativa di produzione e lavoro (a rJ.) e prevede il deferi mento delle controversie tra i soci e la società al collegio dei

probiviri, di cui allo stesso statuto.

Con precedente decisione (sent. 21 ottobre 1980, n. 5635, id., 1980, I, 2694) è stato rilevato che la clausola per la devoluzione a collegio arbitrale della controversia tra società e soci, che sia contenuta nell'atto costitutivo e nello statuto della società stessa, e, quindi, sia vincolante nei confronti di chiunque acquisti, anche

successivamente, la qualità di socio, può integrare un compromes so per arbitrato rituale, come tale derogativo della competenza dell'autorità giudiziaria, solo quando detto collegio si ponga su

un piano di autonomia, traendo la propria legittimazione dalla

volontà di entrambe le parti, in lite attuale e potenziale, e non anche quando abbia natura di organo societario, inserito nella struttura dell'ente e nominato con delibera assembleare.

Il principio ora enunciato merita di essere qui ribadito in

quanto tiene conto sia della funzione degli arbitri, che, quali veri e propri giudici, sono incaricati di emettere una pronuncia con

spiccato carattere giudiziario, per l'autonoma efficacia esecutiva e

per l'inserimento anche per quanto riguarda le impugnazioni nell'iter proprio dei procedimenti giudiziari, sia del rigore formale che deve presiedere alla stipula della clausola compromissoria ed

alla nomina degli arbitri; funzione e rigore che mal si conciliano

con la nomina del collegio dei probiviri demandato all'organo deliberante della società, ossia ad una delle parti in causa, e con

la possibilità, a quest'ultima concessa, di procedere unilateralmen

te alla sostituzione dei componenti del collegio predetto. Senza contare il maggior favore con il quale deve essere

riguardata la competenza del giudice ordinario, istituzionalmente

preposto alla soluzione delle controversie; sicché l'incertezza in

sede di interpretazione di una clausola compromissoria e della

correlativa qualificazione dell'arbitrato previsto dalle parti (irritua le o rituale, a secondo che all'arbitro sia stata demandata

un'attività negoziale di componimento in via transattiva di even

tuali divergenze ovvero un'attività giurisdizionale sfociante in una

pronuncia atta ad acquistare il valore di sentenza) va risolta nel

senso che le parti abbiano inteso prevedere un arbitrato irrituale

(conf. sent. 25 gennaio 1980, n. 616, id., Rep. 1980, voce

Arbitrato, n. 24, ed altre). La causa promossa dagli attuali resistenti rientra pertanto nella

competenza del giudice adito, non derogata da competenza arbi

trale.

La ricorrente non ha proposto motivo di ricorso in ordine

all'eccezione di improponibilità della domanda, conseguente alla

diversa qualificazione della clausola compromissoria e del pari disattesa dalla sentenza impugnata. Ogni pronunzia sul piano è

pertanto preclusa. Per le ragioni esposte, in accoglimento per quanto di ragione

del ricorso proposto dalla cooperativa contro Castellone e Car

rasconi, la sentenza deve essere cassata con rinvio ad altro

giudice di pari grado, designato nel Tribunale di S. Maria Capua

Vetere, sez. lavoro, il quale deciderà la causa applicando il

seguente principio: ai fini retributivi la coesistenza nello stesso

soggetto della qualità di socio di cooperativa di produzione e

lavoro e di lavoratore subordinato alle dipendenze della medesi

ma (a meno che non ne siano stati sovvertiti lo schema tipico ed

il fine mutualistico) è confìgurabile soltanto quando sia prestata attività lavorativa diversa ed estranea rispetto a quella che, formando oggetto specifico dell'esercizio collettivo dell'impresa, il

socio lavoratore sia obbligato a conferire in base all'atto costitu

tivo. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 18 marzo

1982, n. 1763; Pres. Brancaccio, Est. Corda, P. M. Leo (conci,

conf.); Ditta Cinti (Avv. De Luca, Terpin) c. Min. finanze

(Aw. dello Stato Braguglia). Conferma App. Trieste 3 mag

gio 1979.

Dogana — Dazi doganali — Esenzione per i materiali occorrenti

al primo impianto di stabilimenti industriali — Imposte di

fabbricazione e corrispondenti sovrimposte di confine — Esten

sione — Esclusione (L. 8 luglio 1904 n. 351, provvedimenti

per il risorgimento economico della città di Napoli, art. 7;

d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, t. u. delle disposizioni legislative in materia doganale, art. 34).

L'esenzione dal pagamento dei « dazi doganali » prevista dall'art.

7 l. 8 luglio 1904 n. 351, concernente provvedimenti a favore della città di Napoli, per i materiali da costruzione, macchinari

e tutto quanto può occorrere al primo impianto degli stabili

menti industriali, non può intendersi automaticamente estensibi

le all'imposta di fabbricazione gravante sul gasolio consumato

nell'uso dei mezzi adoperati per l'esecuzione dei lavori relativi

al detto primo impianto. (1)

(1) Non risultano precedenti specifici editi. La decisione affronta i rapporti intercorrenti tra il dazio doganale e

tutti gli altri tributi che, in base al 2° comma dell'art. 34 t.u. 23 gennaio 1973 n. 43, sono inclusi nella categoria dei cosiddetti « diritti di confine », facente parte, a sua volta, della più generale categoria dei « diritti doganali ».

Le argomentazioni svolte a sostegno della decisione sono essen zialmente basate su due assunti: l'uno, di carattere generale, concerne la distinzione tra dazi doganali e tutti gli altri « diritti di confine »; l'altro, di carattere particolare, concerne la distinzione tra dazio do

ganale e imposte di fabbricazione. Per quanto riguarda il primo, viene rilevato che l'inclusione nell'u

nica categoria dei « diritti di confine » non fa perdere ai singoli tributi la propria identità, sicché essi conservano natura e regolamentazione giuridiche autonome. I dazi di importazione e di esportazione, i

prelievi e le altre imposizioni all'importazione e all'esportazione previ sti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione, vanno quindi tenuti distinti dai diritti di monopolio (Cass. 13 febbraio

1940, n. 538, Foro it., Rep. 1940, voce Dogana, n. 12), dalle

sovrimposte di confine ed ogni altra imposta di consumo a favore

dello Stato. I primi, infatti, sono tributi che colpiscono le merci estere

(nel caso di importazione) o nazionali (nel caso di esportazione) o per motivi fiscali o, nella maggioranza dei casi, per aggravarne il costo ai

fini della tutela dell'economia nazionale. Essi sono pertanto riscossi a

ragione, rispettivamente, dell'importazione o dell'esportazione. L'appli cazione dei secondi, invece, costituisce una manifestazione del potere

impositivo « interno » dello Stato, in virtù del quale le merci prodotte all'estero, all'atto dell'importazione — del fatto, cioè, in conseguenza del quale esse sono immesse nel circuito economico/commerciale nazionale — vengono gravate degli stessi tributi che colpiscono le similari merci prodotte all'interno dello Stato. La riscossione di tali

tributi, pertanto, avviene non a ragione ma in occasione della impor tazione.

Questa distinzione fra fiscalità « esterna » (imposizione di tributi a

ragione dell'importazione) e fiscalità « interna » (imposizione in occa sione dell'importazione) ha trovato in sede internazionale un esplicito riconoscimento nel paragrafo 2 dell'art. II dell'accordo generale sul commercio e le tariffe (G.A.T.T.) col quale, nel mentre viene sancito

per le parti contraenti l'obbligo della reciproca concessione di riduzio ni daziarie, è riconosciuto alle parti stesse il diritto di percepire, in

qualsiasi momento, sull'importazione di un prodotto, « una imposizione equivalente ad una tassa interna che colpisca un prodotto nazionale

similare ».

Sempre sul piano internazionale, e precisamente nella normativa

comunitaria, è operata una distinzione tra « immissione in libera

pratica » nella Comunità e « immissione in consumo » nei singoli Stati membri. La prima riguarda l'entrata delle merci originarie di paesi terzi nel territorio della Comunità e comporta solo il pagamento dei

dazi, dei prelievi e di ogni altra tassa prevista per l'importazione nella Comunità nel suo complesso, qualunque sia il paese membro di destinazione. La seconda, invece, riguarda l'importazione nei singoli Stati membri ed esige pertanto l'applicazione (non discriminatoria) delle

disposizioni nazionali, in particolare di quelle di ordine fiscale: v., tra le altre, Corte giustizia CE 29 aprile 1982, causa 17/81, id., 1983, IV, 412; 15 luglio 1982, causa 216/81, ibid., 285; 25 maggio 1977, causa 105/77, id., 1977, IV, 329; 18 giugno 1975, causa 94/74, id.,

1975, IV, 157; cfr. inoltre il quinto «considerando» del preambolo alla direttiva del consiglio delle Comunità europee del 24 luglio 1979 re lativa all'armonizzazione delle procedure di immissione in libera pra tica delle merci.

Con tale direttiva — che è in corso di recepimento nell'ordina mento giuridico nazionale e per la cui immediata applicazione, pe raltro, sono già state impartite istruzioni agli uffici doganali italiani con circolare prot. 1451/3507/div. VI del 16 aprile 1983 della dire zione generale delle dogane e II.II. — è fissata in modo chiaro la differenza tra « immissione in libera pratica » nella Comunità della merce originaria di paesi terzi e « immissione in consumo » della merce stessa nei singoli paesi membri. Detta differenza comporta una netta separazione tra dazi doganali e/o prelievi agricoli e/o tasse di effetto equivalente, che riguardano le « risorse proprie » comunita rie ed il cui pagamento è dovuto « a ragione » della immissione in libera pratica della merce nel territorio comunitario e i diritti di mono polio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta di consumo facenti parte della fiscalità interna dei singoli Stati membri e da questi riscossi « in occasione » della « immissione in consumo » della merce nel loro territorio.

Per quanto riguarda il secondo assunto — quello relativo in particolare alla distinzione tra dazi doganali e imposte di fabbricazione — viene rilevato che la tesi secondo la quale le seconde sono assimilabili ai primi avendo con questi in comune la natura di imposte indirette sui consumi, non ha alcun fondamento giuridico. Se dal

punto di vista economico, infatti, possono apparire come tributi che in

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PARTE PRIMA

Motivi della decisione. — (Omissis). 3. - Dei motivi che residuano (primo, terzo e quinto) va inizialmente esaminato il

terzo, poiché dall'eventuale rigetto di esso deriverebbe l'assorbimento

della questione proposta col primo motivo. Infatti, qualora do

vesse ritenersi che l'imposta di cui è stato domandato il rimborso

sia diversa da quella per la quale la legge concede l'esenzione,

sarebbe del tutto inutile accertare se anche il gasolio adoperato come fonte energetica per il funzionamento delle macchine debba

ricomprendersi nell'oggetto dell'imposta per la quale l'esenzione

era stata disposta. La norma esentiva invocata ai fini del domandato rimborso è

quella contenuta nell'art. 7 1. 8 luglio 1904 n. 351 (c.d. «legge di

Napoli », richiamata dall'art. XVII dell'ordine 18 aprile 1953 n. 66

del governo militare alleato), il quale prevede l'esenzione dal

pagamento dei « dazi doganali » (oltre che per i materiali da

costruzione e le macchine) per « tutto quanto potrà occorrere al

primo impianto degli stabilimenti industriali ». In relazione ad

essa il ricorrente sostiene — col terzo motivo di ricorso in esame — che l'imposta di fabbricazione gravante sul gasolio (inglobata

nel prezzo di acquisto) sarebbe un « dazio doganale »; e, con

evidente riferimento alle « definizioni » enunciate nell'art. 34 t.u.

delle disposizioni legislative in materia doganale (d.p.r. 23 gen naio 1974 n. 43), tenta la dimostrazione dell'assunto sostenendo

che l'imposta di consumo sarebbe « dazio doganale », in quanto:

a) è imposta « di consumo »; b) sui prodotti petroliferi ricavati

dalla raffinazione del greggio importato, l'imposta predetta grava come « sovraimposta di confine ». Il citato art. 34, infatti, dopo aver

dato la definizione di « dazi doganali », chiarisce che si conside

rano « diritti di confini »: i dazi di importazione e quelli di

esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all'importazione o

all'esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relati

ve norme di applicazione; e, inoltre, per quanto concerne le

merci di importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di

confine e ogni imposta di consumo a favore dello Stato.

Tale assunto è, però, infondato anzitutto nella prima proposi

zione, contenente l'affermazione che l'imposta di fabbricazione

sarebbe, dal punto di vista giuridico, un'imposta di consumo.

Infatti, se anche può ritenersi che oggetto indiretto dell'imposta di fabbricazione è, per il fenomeno della inevitabile traslazione

del carico fiscale dal produttore al consumatore, il « consumo »

dei prodotti colpiti (si che, dal punto di vista della politica

tributaria, ovvero dal punto di vista economico, l'imposta predet ta può anche ritenersi rientrante dell'ampia categoria delle imposte indirette sui consumi), è certo, comunque, che oggetto diretto di

essa è solo la « fabbricazione » del prodotto colpito, si che

soggetto passivo di essa è il fabbricante e non il consumatore.

Né ciò è contraddetto dal fatto che, nel caso dei prodotti

petroliferi (come, del resto, in molti degli altri oasi legislativa mente disciplinati), il momento genetico del debito d'imposta è

non già quello della ultimazione del processo di fabbricazione, bensì quello della effettiva estrazione della partita dallo stabili

mento (raffineria) o deposito. Anche in questo caso, infatti,

l'imposta viene scontata non già per effetto della effettiva messa in commercio del prodotto finito, bensì per effetto del completa mento del processo di « fabbricazione », spostato, quindi, per evidenti ragioni di facilità dell'accertamento, al momento dell'e

strazione predetta. È, in sostanza, il momento dell'accertamento

che viene spostato nel tempo, perché posticipato al momento

dell'estrazione dalla raffineria o dal deposito; ma il soggetto

passivo dell'imposta continua a rimanere il fabbricante, proprio

perché il tributo colpisce la fabbricazione, non già il consumo

(di modo che l'imposta predetta, dal punto di vista giuridico, non può affatto essere considerata come imposta di consumo). E

già questo rilievo appare risolutivo, ai fini della controversia, non

potendosi neppure configurare che il rimborso di un'imposta di

fabbricazione venga domandato da colui che ha semplicemente

pagato il prezzo di acquisto del prodotto, non già dal fabbricante

che aveva pagato l'imposta (ed è proprio in base a questo

rilievo, non più curato già in grado di appello, che l'amministra

zione aveva, in primo grado, fatto rilevare il « difetto di legitti mazione » del Cinti a domandare il rimborso). Allo stesso ricor

rente, del resto, non sfugge la decisività del rilievo predetto, allorché tenta di superarlo con l'osservazione che, di fatto, l'amministrazione gli aveva rimborsato l'importo dell'i.g.e. inglo

definitiva colpiscono il consumo, da un punto di vista strettamente giuridico le imposte di fabbricazione non sono imposte di consumo in

quanto loro soggetto passivo non è il consumatore ma il produttore e suo oggetto è la fabbricazione e non il « consumo » dei prodotti (v. Alessi, Monopoli fiscali — Imposta di fabbricazione — Dazi dogana li, Torino, 1956, II, cap. 1, § 1; in senso parzialmente contrario, v. Amendola, Imposta di fabbricazione e dazi doganali, in Rass. dir. tecnica dog., anno I, fase. 1).

bato nel prezzo di acquisto del gasolio. Ma siffatta osservazione

perde ogni pregio se si considera che quella dell'i.g.e. è una

fattispecie del tutto diversa, poiché (a parte i rilievi che, in

proposito, saranno svolti più avanti), se in relazione ad essa si

ammette la legittimazione del « consumatore » a domandare il

rimborso, ciò è dovuto al fatto che, per il particolare meccani

smo di traslazione di quell'imposta, specificamente considerato

dalla legge, il consumatore finisce per essere il vero e proprio debitore d'imposta.

Infondato è, però, anche l'assunto contenuto nella seconda

delle prospettazioni come sopra enunciate, ossia la tesi secondo

cui l'imposta di fabbricazione dovrebbe essere considerata come

« dazio doganale » allorché grava, come « sovrimposta di con

fine », sui greggi d'importazione. Tesi, questa, che il ricorrente si

sforza di integrare con l'osservazione secondo cui l'imposta di

fabbricazione sugli olii minerali — a differenza di quelle che

colpiscono analoghe « qualità merceologiche » — dovrebbe essere

considerata come « diritto di confine » (e, quindi, rientrante sem

pre nella previsione di esenzione dell'art. 7 1. 8 luglio 1904 n.

351), in quanto la « nazionalizzazione » del prodotto importato

(olio greggio) avverrebbe solo in conseguenza dell'assolvimento

dell'imposta di fabbricazione.

Anche questo assunto è, però, privo di solida base giuridica

perché non tiene conto, anzitutto, che la « nazionalizzazione »

predetta (che attualmente avviene con il pagamento dell'i.v.a., ai sensi degli art. 67, 68, 69 e 70 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633,

liquidata con le tariffe proprie del dazio doganale) avveniva —

nel periodo in cui è sorto il rapporto per cui è causa — col

pagamento dell'i.g.e. e della sovrimposta di confine (art. 1 r.d.l.

23 febbraio 1939 n. 33). Ora è vero che la sovrimposta di confine (intesa come species)

è dall'art. 34 t.u. delle disposizioni legislative in materia doganale di cui al d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43 (che ha aggiornato,

ricalcandolo, il testo dell'art. 7 1. doganale 25 settembre 1940 n.

1424) definita come rientrante — al pari dei dazi di importazione e di esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all'importazione e all'esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle

relative norme di applicazione e, inoltre, per quanto concerne le

merci di importazione, i diritti di monopolio, e ogni altra

imposta di consumo a favore dello Stato — in quanto « diritto di

confine », nel più ampio genus dei « diritti doganali » (ed è,

appunto, da ciò che il ricorrente trae argomento per sostenere

l'inapplicabilità dell'agevolazione prevista — dall'art. 7 1. 8 luglio 1904 n. 351 — per i « dazi doganali »). Il fatto, però, che le due

species (dazi di importazione e sovrimposta di confine) apparten

gano, per definizione legislativa, a un unico genus (diritti dogana

li), non significa, di per sé solo, che perfettamente identica debba

essere la loro natura giuridica e, quindi, in definitiva, che

l'esenzione disposta per uno di essi debba, sempre e necessariamen

te, ritenersi disposta anche per l'altro. Occorre, perciò, soffermar

si sull'esame della natura giuridica di tali tributi.

La sovrimposta di confine, com'è noto, è il tributo istituito ai

fini dell'unità di trattamento tributario tra i prodotti « fabbrica

ti » in Italia e quelli, analoghi, importati dall'estero come già « fabbricati » (di modo che, con riferimento all'argomento specifico che interessa, è ovvio che se l'olio minerale viene estratto dal

sottosuolo italiano, su di esso graverà l'imposta di fabbricazione

nella misura tabellare corrispondente al grado di raffinazione

riscontrabile al momento dell'estrazione dalla raffineria; se però, al contrario, l'olio minerale predetto viene importato dall'estero,

graverà su di esso la sovrimposta di confine corrispondente al

grado di raffinazione riscontrabile al momento dell'importazione, tenuto conto che anche « l'olio minerale greggio naturale » scon

tava la sovrimposta predetta, evidentemente essendo, quest'ultima, simmetrica all'imposta di fabbricazione cui sarebbe oggetto il

prodotto italiano nella fase di estrazione dal sottosuolo). Si tratta, come è evidente, di un tributo doganale « interno », in quanto deve essere corrisposto solo in occasione dell'importazione, non

già in ragione dell'importazione stessa.

Nella memoria difensiva, il ricorrente sembra negare la validità

attuale della distinzione tra tributi doganali « interni » e « non in

terni », la quale avrebbe trovato la propria ragione solo nell'ambito

delle legislazioni passate; ma tale impostazione non può essere

condivisa, soprattutto se si considera che, anche nel diritto comu

nitario, è ben netta la differenza tra dazi doganali (o tasse

d'effetto ad essi equivalente) e imposte interne, anche se riscosse in dogana. E tale differenza assume (sempre nell'ambito di quel diritto) fondamentale importanza, perchè i dazi doganali (veri o

propri), a norma degli art. 9 e 13 del trattato CEE, vanno

soppressi negli scambi intercomunitari, mentre le imposte interne

(anche se riscosse in dogana) vanno invece applicate senza di scriminare il prodotto comunitario importato, rispetto a quello nazionale. Dalle numerosissime decisioni della Corte di giustizia

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

(v., per tutte, le sentenze 18 giugno 1975, Foro it., 1975, IV, 157, e 25 maggio 1977, id., 1977, IV, 329) emerge che il dazio

doganale vero e proprio è quel tributo riscosso in ragione

dell'importazione (o dell'esportazione), il quale colpisce esclusi

vamente la merce importata e non quella nazionale. Il dazio

doganale, quindi, sia esso di natura protettivo-economica, ovvero di natura fiscale, presenta la caratteristica di aggravare le merci

importate con un tributo che non viene percepito sulle similiari

merci nazionali. Non costituiscono, quindi, dazi doganali i tributi

che, anche se riscossi in dogana, gravano tanto sul prodotto

importato quanto sul corrispondente prodotto nazionale. Anche la

resistente amministrazione, la quale nel controricorso si era limi

tata ad osservare che l'imposta di fabbricazione sul prodotto nazionale era, comunque, altra cosa rispetto alla sovrimposta di

confine, ha opportunamente posto in risalto, nella discussione

orale, la decisività dell'osservazione che l'art. 7 1. del 1904, esentando dai « dazi doganali », si riferisce ai veri e propri « dazi » e non, quindi, alle sovrimposte di confine o a quegli altri

diritti di confine che fanno parte di un sistema di tributi interni, in quanto imposti al prodotto importato non già per aggravarlo, ma per equipararlo, quanto a carico tributario, al corrispondente

prodotto nazionale.

Riaffermata, quindi, la validità della distinzione predetta, non

sembra possa fondatamente negarsi che il raggruppamento operato dal citato art. 34 del nuovo t.u. sulle dogane abbia riguardo non

già alla natura dei tributi (costituenti il coacervo del « diritti

doganali », in quanto « diritti di confine »), bensì al fatto —

desumibile, peraltro, anche dalla collocazione della norma e

rilevante per gli scopi che con l'emanazione di tale t.u. il

legislatore si era prefisso — che i tributi predetti devono essere

pagati « in dogana », cioè al momento dell'importazione. In altri

termini, quel « raggruppamento » di imposte doganali di eteroge nea natura (imposte riscosse in ragione dell'importazione e im

poste riscosse semplicemente in occasione dell'importazione; im

poste che « aggravano » il prodotto importato e imposte che

equiparano il carico fiscale gravante sui prodotti importati a

quelli nazionali) ha la sua unica ratio nel fatto che il momento

genetico tributario è quello del passaggio in dogana. Ma il solo

fatto che tutte quelle imposte debbano essere pagate al momento

dell'importazione (cioè « in dogana ») non impedisce di distingue re fra esse quelle che devono essere pagate a cagione dell'impor

tazione, le quali rientrano nella categoria dei dazi doganali veri e

propri, e quelle che devono essere pagate semplicemente in

occasione dell'importazione: ed è chiaro che se queste ultime

sono da considerare (come la sovrimposta di confine di che

trattasi) imposte doganali interne (cosi come, del resto, sono

attualmente considerate dalle norme comunitarie), non sussiste

ragione alcuna per estendere ad esse un trattamento di favore

previsto per le altre, cioè per quelle — quali i « dazi doganali »

— che imposte interne non sono. In altri termini, se le due

imposte hanno in comune solo il fatto che entrambe devono

essere pagate « in dogana », non può certo, da questo, desumersi

che l'esenzione stabilita per una di essa debba, sic et simpliciter,

essere estesa anche all'altra.

Poste queste premesse, resta quindi da osservare che l'imposta

di fabbricazione sugli olii minerali non era ancora istituita allor

ché fu emanata la norma di esenzione qui esaminata (art. 7 1. 8

luglio 1904 n. 351); di modo che è lecita la conclusione che

allorquando il compilatore di tale norma stabili l'esenzione per i

« dazi doganali » (cioè per tributi che avevano, sicuramente,

natura « esterna », come inequivocabilmente si evince dal dispo sto degli art. 7 e 9 t.u. delle leggi doganali 8 settembre 1889 n.

3687, approvato col r.d. 26 gennaio 1896 n. 20, vigente nel 1904), non poteva, certo, avere previsto che l'esenzione stessa potesse estendersi anche alla « sovrimposta di confine », cioè a un'impo sta « interna » avente la sola funzione di riequilibrare un tratta

mento tributario che, a quell'epoca, non era ancora conosciuto.

In altri termini, se pure la sovrimposta di confine è da ricom

prendere (per la definizione datane dall'art. 34 t.u. del 1973) fra

i « diritti doganali », deve tuttavia escludersi (proprio con riguar do alle finalità perseguite dal legislatore del 1904) che alla stessa

possa essere attribuita natura giuridica identica a quella dei

« dazi doganali », considerati dal legislatore predetto; e cioè — giova ripeterlo — proprio perchè il tributo in questione (la

sovrimposta di confine) è legislativamente previsto in funzione di

un'imposta di fabbricazione non ancora istituita nell'epoca in cui

fu prevista l'esenzione di che trattasi. A quell'epoca, peraltro,

l'imposta di fabbricazione cominciava appena ad essere introdotta

nel sistema tributario (v., ad es., la 1. 8 agosto 1895 n. 486, ali.

E, sulla fabbricazione dei fiammiferi); è certo, comunque, che

l'imposta di fabbricazione non veniva in considerazione come

tributo doganale, tanto che la stessa non è mai menzionata nel

citato t.u. delle leggi doganali del 1889. È principio basilare, del

resto, che le norme contenenti un'agevolazione tributaria sono di

stretta interpretazione, e se pure è ammessa, in relazione ad esse,

l'interpretazione estensiva, quest'ultima deve, tuttavia, ritenersi

preclusa quando da essa deriverebbe lo sconvolgimento del sistema

(proprio perchè l'interpretazione estensiva finirebbe per tradursi

in una — non consentita — interpretazione analogica). E non v'è

dubbio che, accedendo all'interpretazione proposta dal ricorrente, il sistema ne risulterebbe sconvolto, se non altro perchè dovrebbe ritenersi che il prodotto della raffinazione sarebbe esente da

imposta (sovrimposta di confine) qualora provenisse da importa

zione, e ne sarebbe, invece, gravato (imposta di fabbricazione) se

proveniente da estrazione dal sottosuolo nazionale.

Va, da ultimo, osservato come sia priva di rilevanza anche

concreta, ai fini della risoluzione del problema in esame, la già ricordata circostanza che l'amministrazione avrebbe, a suo tempo, accolto la domanda (dell'odierno ricorrente) di rimborso dell'i.g.e. Se, infatti, ciò è avvenuto, la ragione va ricercata non già nel

fatto dell'esistenza di un preteso « sistema » di esenzione com

prensivo anche delle importe doganali « interne », bensì per effetto o degli art. XVIII e XIX del citato ordine del 18 aprile 1953 n. 66, ovvero dell'art. II dell'ordine 3 novembre 1950 n. 206,

sempre del governo militare alleato.

In conclusione, quindi, la tesi del ricorrente secondo cui

l'imposta in questione sarebbe da ricomprendere fra quei « dazi

doganali » per i quali è prevista l'esenzione va respinta per due

ordini di considerazioni: 1) in primo luogo, perchè siffatta

assimilazione non può passare attraverso l'identificazione dell'im

posta di fabbricazione come imposta di consumo (identificazione che sarebbe utile al ricorrente, in quanto l'art. 34 t.u. del 1973

definisce « diritto di confine » ogni imposta o sovrimposta di

consumo a favore dello Stato), dato che l'imposta di fabbricazio

ne è diversa per oggetto, soggetti e struttura dall'imposta di

consumo; 2) in secondo luogo, perchè le « sovrimposte di con

fine » sono tributi diversi da quei « dazi doganali » per i quali la 1. del 1904 aveva previsto l'esenzione. (Omissis)

TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 8 luglio 1982; Pres. Lo

Cascio, Est. Ciampi; Soc. Liquichimica it. in amministra

zione straordinaria, Soc. immob. Liquigas in amministrazione

straordinaria (Avv. Sena, L. C. Ubertazzi, Ambrosio) c. Soc.

Assicuratrice industriale e Soc. Pratolina (Aw. Dalmartello,

Cesqui).

TRIBUNALE DI MILANO;

Liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordi

naria — Azione revoeatoria c.d. aggravata — Presupposti —

Questioni manifestamente infondate di costituzionalità (D. 1. 30

gennaio 1979 n. 26, provvedimenti urgenti per l'amministrazione

straordinaria delle grandi imprese in crisi, art. 3; 1. 3 aprile 1979 n. 95, conversione in legge, con modificazioni, del d.i.

30 gennaio 1979 n. 26, art. unico).

Ai fini dell'esperimento dell'azione revoeatoria aggravata di

sciplinata dall'art. 3, 3" comma, d.l. n. 26/79, cosi come con

vertito in l. n. 95/79, è sufficiente che i rapporti di collega mento di cui al 1" comma dello stesso art. 3 sussistessero al

momento di compimento dell'atto revocando. (1) Sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costi

tuzionale dell'art. 3, 3° comma, d.l. n. 26/79, cosi come con

vertito in l. n. 95/79, sollevate in riferimento agli art. 3 e 24

Cost., e relative a) ad asserite disparità di trattamento derivanti

dalla disciplina della revoeatoria fallimentare aggravata e b) al

l'applicazione retroattiva di tale normativa. (2)

(1-2) 1. - La sentenza affronta per la prima volta, a quanto consta, il problema relativo al momento in cui devono sussistere i rapporti di collegamento previsti dall'art. 3 d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, con

vertito in 1. 3 aprile 1979 n. 95 ai fini dell'esercizio dell'azione re

voeatoria cosiddetta «aggravata». In proposito sono ipotizzabili le seguenti soluzioni: 1) è sufficiente

che i suddetti legami siano presenti al momento di compimento dell'atto che si intende revocare; 2) bisogna che essi sussistano in un

momento diverso e successivo, che potrebbe essere quello in cui

viene giudizialmente accertato lo stato di insolvenza dell'impresa, ovvero viene disposta con decreto l'amministrazione straordinaria, ovvero ancora viene esperita l'azione revoeatoria; 3) occorre che i

rapporti siano presenti in entrambi i momenti in cui ai punti 1 e 2,

perdurando anche nel lasso di tempo fra essi intercorrente. Il Tribunale di Milano ha optato per la prima di queste

ipotesi, suscitando i consensi di buona parte della dottrina (ed in

particolare di Alessi, L'azione revoeatoria speciale nell'amministra

zione straordinaria, in Fallimento, 1983, 174 ss.; di Bonsignori

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