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Sezione I civile; sentenza 18 ottobre 1982, n. 5407; Pres. U. Miele, Est. R. Sgroi, P. M. Martinelli...

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Sezione I civile; sentenza 18 ottobre 1982, n. 5407; Pres. U. Miele, Est. R. Sgroi, P. M. Martinelli (concl. conf.); Abate ed altri (Avv. Cogliandolo) c. Albanesi (Avv. Briguglio). Conferma App. Messina 29 settembre 1979 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 2 (FEBBRAIO 1983), pp. 385/386-389/390 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23174229 . Accessed: 24/06/2014 22:59 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.107 on Tue, 24 Jun 2014 22:59:05 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione I civile; sentenza 18 ottobre 1982, n. 5407; Pres. U. Miele, Est. R. Sgroi, P. M. Martinelli (concl. conf.); Abate ed altri (Avv. Cogliandolo) c. Albanesi (Avv. Briguglio).

Sezione I civile; sentenza 18 ottobre 1982, n. 5407; Pres. U. Miele, Est. R. Sgroi, P. M.Martinelli (concl. conf.); Abate ed altri (Avv. Cogliandolo) c. Albanesi (Avv. Briguglio).Conferma App. Messina 29 settembre 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 2 (FEBBRAIO 1983), pp. 385/386-389/390Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174229 .

Accessed: 24/06/2014 22:59

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

avrebbero potuto, comunque, essere esaminati, perché avrebbero

potuto essere prodotti non al giudice del merito ma solo al giudi ce cui era stato chiesto il provvedimento autorizzativo della de

scrizione. Conseguentemente, non compete a questa corte stabi

lire quali più opportuni provvedimenti avrebbero potuto (o pos

sano, in prosieguo) essere adottati per ovviare al mancato rinve

nimento del brevetto tedesco.

Per quanto riguarda la denunciata falsa applicazione dell'art.

84, conviene ricordare che il provvedimento di descrizione pre visto dalla legge sulle invenzioni industriali è riconducibile ai

provvedimenti di istruzione preventiva; ed al pari di quelli analo

ghi previsti dal codice di rito, prendano bensì vita nell'ambito di

uno speciale sommario procedimento, formalmente autonomo, ma

non esaurisca con esso la sua efficacia. Il suo carattere mera

mente strumentale implica, ovviamente, che esso sia utilizzato

nel giudizio di merito (che secondo l'art. 82 della detta legge deve

essere promosso, a pena di decadenza del provvedimento, entro

otto giorni dalla sua esecuzione) e che sia dal giudice di merito

verificato quanto all'esistenza dei requisiti che ne giustificano la

concessione, per potere essere dichiarato ammissibile nel processo

(v., in genere, Cass. 10 marzo 1970, n. 616, Foro it., Rep. 1970,

voce Istruzione preventiva, n. 2). E poiché alla verifica di tali re

quisiti il detto giudice procede con autonomia di giudizio e nel

l'ambito di un processo formalmente autonomo, ne deriva che,

se dinanzi a lui sorgono contestazioni sull'esistenza dei requisiti di cui sopra, possano dinanzi a lui prodursi le ulteriori prove rese necessarie dal tipo e dai motivi delle contestazioni. Tali

principi non ricevono deroghe dall'art. 84 in esame, ed in parti colare dalla norma del 2° comma, a tenore del quale l'istante,

per ottenere la descrizione, « deve dimostrare di essere titolare

del brevetto ».

A parte il fatto che l'onere di dimostrare non coincide con

l'onere di esibire immediatamente il titolo brevettuale (onere,

quest'ultimo, che, peraltro, mal si concilierebbe con l'urgenza del

provvedimento richiesto), l'art. 84 va coordinato con il prece

dente art. 81, del quale costituisce applicazione ad un caso parti

colare. Secondo l'art. 81, l'autorità giudiziaria provvede sull'istan

za di descrizione « assunte sommarie informazioni e sentite, ove

lo creda opportuno, le persone contro cui il ricorso è proposto » :

cioè sulla base di quegli accertamenti che sono tipici dei procedi

menti di urgenza e che siano ritenuti idonei dal giudice a de

terminare il convincimento circa l'esistenza del fumus boni iuris.

Nulla ovviamente impedisce che il detto giudice possa chiedere

la prova più appagante costituita dalla produzione del titolo bre

vettuale; e non sarebbe certamente configurabile un giudizio di

merito volto a sindacare un suo eventuale provvedimento nega

tivo, motivato dalla mancata produzione di quel titolo. Ma una

volta che egli, in base alle motivate allegazioni dell'istante, al ri

sultato delle informazioni che ritenga di assumere ed alle dedu

zioni del controinteressato, ritenga sussistenti le condizioni per

la pronunzia del provvedimento, e vi faccia concretamente luogo,

sarebbe privo di qualsiasi giustificazione ritenere che nel giudi

zio di merito in cui, a seguito delle contestazioni del controinte

ressato, si rende necessaria una più penetrante verifica di quelle

condizioni, l'istante non possa meglio dimostrare che queste real

mente sussistevano. In tali sensi i ricorsi vanno accolti, con rin

vio della causa da altro giudice, che si uniformerà al seguente

principio: « ai sensi degli art. 81 e 84, 2° comma, 1. sulle inven

zioni industriali, nel testo di cui al r. d. 29 giugno 1939 n. 1127,

la titolarità dei diritti di brevetto a cui tutela venga chiesta la

descrizione, non deve essere necessariamente dimostrata median

te l'esibizione del titolo brevettuale al giudice al quale la descri

zione viene domandata, potendo tale titolo essere prodotto an

che nel giudizio di merito, in sede di verifica della legittimità

formale e sostanziale del provvedimento di urgenza ».

Spetterà ovviamente allo stesso giudice valutare sotto ogni al

tro profilo la ritualità della produzione dei documenti conside

rati, nonché i limiti oggettivi e soggettivi della loro efficacia

probatoria.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 18 otto

bre 1982, n. 5407; Pres. U. Miele, Est. R. Sgroi, P. M. Mar

tinelli (conci, conf.); Abate ed altri (Avv. Cogliandolo) c.

Albanesi (Avv. Briguglio). Conferma App. Messina 29 settem

bre 1979.

Società — Società di capitali — Aumento inscindibile di capitale

sociale — Sottoscrizione parziale — Acquisto della qualità di

socio — Esclusione — Limiti (Cod. civ., art. 2439).

Nel caso di aumento inscindibile del capitale sociale, la sottoscri

zione parziale dell'aumento non basta a far acquistare la qua lità di socio, all'uopo occorrendo che l'assemblea, a modifica

della originaria deliberazione di aumento, decida di aumentare

il capitale nella misura parziale sottoscritta. (1)

Svolgimento del processo. — Con citazione 20 dicembre 1976

Santo Abate, Gaetano D'Agata e Carmelo Pappalardo convenivano

in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina il dott. Ferruccio Al

banesi, esponendo che essi, avendo appreso che la società italia

na Distribuzione (S.i.d.) s.p.a. aveva deliberato di aumentare il

capitale sociale da lire 1.000.000 a lire 400.000.000, con delibera

zione del 16 luglio 1974, in data 17 luglio 1974 avevano sotto

scritto rispettivamente 1.200.800 e 750 azioni nominative da lire

10.000, per complessive lire 27.500.000 e ne avevano versato l'in

tero importo; che gli amministratori della società avevano prov veduto alla loro iscrizione nel libro dei soci, promettendo di con

segnare le azioni non appena emesse; che, avendo già partecipato a varie assemblee della società anche dopo il fallimento del so

cio Antonello Giostra, le cui azioni erano entrate in possesso del

curatore fallimentare, successivamente il tribunale aveva deciso

di revocare l'amministratore unico Alfio Nicotra e di nominare

un amministratore giudiziario nella persona del dott. Ferruccio Al

banesi, il quale, nel corso dell'assemblea dell'I 1 dicembre 1976

tenutasi sotto la sua presidenza — in accoglimento della richiesta

del curatore del fallimento Giostra — assumendo che i sotto

scrittori di azioni, nella mora del completamento della sottoscri

zione del capitale sociale aumentato non assumevano la qualità di soci e che il loro diritto a partecipare alla vita della società

era condizionato alla completa attuazione dell'aumento già dispo sto, aveva invitato gli esponenti ad allontanarsi ed a far valere

le loro eventuali ragioni nella sede opportuna; che tale decisione

dell'Albanesi costituiva atto arbitrario ed illegittimo. Tutto ciò

premesso, chiedevano che venisse dichiarato che il convenuto non

aveva il diritto di escludere gli attori dalla cennata assemblea;

ovvero, subordinatanjente, che l'Albanesi, subito dopo la nomina

ad amministratore giudiziario, avrebbe dovuto provvedere a re

golarizzare la posizione dei sottoscrittori dell'aumento del capi tale sociale, con la conseguente condanna al risarcimento dei dan

ni ed al pagamento delle spese di causa.

L'Albanesi si costituiva, chiedendo che le domande fossero di

chiarate inammissibili e fossero rigettate.

(1) Con questa importante sentenza, la Cassazione affronta — per la prima volta, a quanto consta — il problema dell'efficacia dell'aumen to di capitale parzialmente sottoscritto aderendo alla tesi (in giurispru denza già accolta da Pret. Genova 20 aprile 1975, Foro it., 1976, I, 253, riformata da Trib. Genova 23 febbraio 1976, id.. Rep. 1976, voce Società, n. 264) che la subordina all'assunzione di altra deliberazione assembleare di «accettazione» (art. 1326 c. c.) della sottoscrizione

parziale. In dottrina in senso conforme cfr. F. Bonelli, Aumento di capi

tale, sottoscrizione parziale e responsabilità degli amministratori, in Giur. comm., 1976, II, 490; F. Chiomenti, La revoca delle delibera zioni assembleari, 1969, 175; A. De Gregorio, Corso di diritto com

merciale, 1969, 320; F. Ferrara jr., Gli imprenditori e le società

1971, 527; Frè, Società per azioni5, in Commentario, a cura di Scia

loja e Branca, 1982, 781; A. Giuliani, Questioni in tema di opzione e di conferimento in natura per aumento di capitale nelle società azio

narie, in Riv. not., 1957, 681; C. Grassetti, Questioni sull'aumento di

capitale non integralmente sottoscritto, in Giur. comm., 1976, II, 486; lo., Diritto di voto in pendenza di aumento di capitale, in Riv. dir.

comm., 1953, I, 52; A. Graziani, Diritto delle società5, 1963, 308; G. L. Pellizzi, Note sulla sottoscrizione parziale di aumento di capi

tale, in Riv. società, 1979, 1245; G. Tantini, Le modificazioni del l'atto costitutivo della società per azioni, 1973, 254; Id., Capitale e pa trimonio nella società per azioni, 1980, 154. Contra, G. Cottino, Società per azioni, voce del Novissimo digesto, 1970, XVII, 657; F.

Galgano, Aumento di capitale solo parzialmente eseguito, in Giur.

comm., 1976, II, 499; A. Pesce, Diritto di voto in pendenza di aumento

di capitale, in Riv. società, 1957, 696. L'art. 28 della II direttiva CEE in materia societaria (n. 77/91 del

13 dicembre 1976, Giur. comm., 1977, I, 504: il progetto di norma

tiva di attuazione elaborato da una commissione di nomina ministe

riale presieduta da G. Ferri, leggesi id., 1979, I, 955) prevede che « se l'aumento di capitale non è integralmente sottoscritto, il capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se

le condizioni di emissione hanno espressamente previsto tale possibi lità ». Per un commento a tale disposizione cfr. G. Marasà, La seconda

direttiva CEE in materia di società per azioni, in Riv. dir. civ., 1978,

li, 674, lett. e. Sui limiti di applicabilità della disciplina contenuta nell'art. 18sufc

art. 1 1. 7 giugno 1974 n. 216 (Le leggi, 1974, 963) alle offerte in

sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, v. P. Marchetti, Le

offerte pubbliche di sottoscrizione e la legge 216, in Riv. società, 1981, 1137.

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PARTE PRIMA

Con sentenza del 30 dicembre 1977 il tribunale respingeva le

domande e condannava gli attori al pagamento delle spese di

causa.

L'Abate, il D'Agata ed il Pappalardo proponevano appello, al

quale resisteva l'Albanesi.

La Corte d'appello di Messina con sentenza 29 settembre 1979

rigettava l'appello, osservando che i sottoscrittori di parte del l'aumento inscindibile del capitale deliberato dalla società non

acquistano la qualità di soci, fino a quando l'assemblea non di

chiari, con apposita deliberazione, di accettare detta sottoscrizio ne con esplicita rinuncia alla parte dell'aumento di capitale non

sottoscritto. Secondo la corte, la dizione letterale della delibera del 16 luglio 1974 non lasciava adito.a dubbi sulla inscindibilità dell'aumento in parola, in quanto non aveva previsto alcun ter

mine per la sottoscrizione dell'intero aumento, né considerato il

caso che l'aumento non fosse integralmente sottoscritto, per il che

era dato ritenere che il raggiungimento delle finalità sociali pro grammate avrebbe potuto conseguirsi soltanto con il globale au

mento del capitale deliberato.

Rettamente, secondo la corte d'appello, l'Albanesi aveva esclu so gli appellanti dalla assemblea dell'I 1 dicembre 1976, a nulla rilevando che i predetti avessero partecipato ad alcune adunan

ze precedenti con espressione di voto, perché privi del formale

riconoscimento della qualità di soci, unicamente desumibile dalla

corretta iscrizione nell'apposito libro. Né all'Albanesi, quale am

ministratore giudiziario, incombeva l'obbligo di regolarizzare la

posizione dei sottoscrittori, col promuovere ad esempio un'assem blea che ratificasse la parziale sottoscrizione delle nuove azioni, in quanto si sarebbe trattato di un potere e non di un obbligo, senza considerare che il dichiarato fallimento del più grosso azio

nista e le gravi irregolarità amministrative accertate sconsiglia vano che sul tema si prendessero iniziative di sorta, data l'esi

genza di adottare criteri di amministrazione cautelativi. La corte

aggiungeva che il presidente del tribunale aveva con ordinanza del 5 febbraio 1977 disposto la cancellazione temporanea degli

appellanti dal libro dei soci ed autorizzato il sequestro conserva

tivo di tutte le somme indebitamente intestate per pretese sotto scrizioni di aumento di capitale anche a nome degli appellanti. La corte di Messina concludeva affermando che l'insussistenza di

colpa in capo all'Albanesi non consentiva alcun risarcimento a

favore degli appellanti. Avverso detta sentenza l'Abate, il D'Agata ed il Pappalardo

hanno proposto ricorso per cassazione, illustrato con memoria. L'Albanesi ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo i ricorrenti de ducono la violazione e falsa applicazione degli art. 2439 e 2444 c. c. in relazione all'art. 360, n. 3, c. p. c., assumendo che la corte d'appello ha erroneamente ritenuto che l'aumento del capi tale sociale deliberato dall'assemblea dei soci del 16 luglio 1974 dovesse considerarsi inscindibile perché la delibera non aveva

previsto alcun termine per la sottoscrizione dell'intero aumento, né considerato il caso che l'aumento non fosse integralmente sot

toscritto, in tal modo dando un'interpretazione non corretta degli art. 2439 e 2444 c. c. Infatti, proprio in forza del 2° comma del l'art. 2439 i sottoscrittori non sono liberati dall'obbligo assunto con la sottoscrizione di parte dell'aumento, a meno che nella deliberazione non sia stato altrimenti disposto; il che significa che, fatto salvo il caso che la delibera dichiari espressamente inscindibile l'aumento e fissi quindi un termine entro il quale la sottoscrizione debba essere completata, i versamenti richiesti ed effettuati in forza della delibera di aumento si devono considerare come apporti definitivi al capitale sociale con la conseguenza che, se i sottoscrittori non possono più recedere dall'obbligo di con

ferire, la società ha l'obbligo di considerarli soci a tutti gli ef

fetti fin dal momento della sottoscrizione, non essendo necessaria alcuna ulteriore deliberazione assembleare.

Infatti, secondo i ricorrenti, fatta salva una diversa statuizione

della delibera di aumento di capitale che preveda espressamente l'inefficacia dell'aumento parziale, i sottoscrittori delle nuove azioni acquistano la qualità di soci dal momento della sottoscri zione.

Il motivo è infondato. Il controricorrente ha eccepito che lo

stabilire, attraverso l'esame della delibera dell'assemblea del 17

luglio 1974, se l'aumento deliberato avesse carattere inscindibile

0 meno, costituisce un accertamento squisitamente di merito, che

1 ricorrenti non hanno censurato, essendosi limitati a dedurre la

violazione di norma di legge. Osserva in contrario questa corte

che l'oggetto della censura è costituito proprio dall'interpretazio ne della suddetta delibera, che — secondo i ricorrenti — non ha

tenuto conto della norma del 2° comma dell'art. 2439 c. c. la quale

prevederebbe che dalla deliberazione debba risultare la volontà

di escludere la sottoscrizione parziale, perché il « tipo » legale

di aumento di capitale è configurato dalla legge come efficace

anche nel caso di sottoscrizione parziale. È un assunto che, seb

bene ispirato a recente ed autorevole dottrina, non può essere

condiviso.

Esso parte dalla natura contrattuale dell'incontro fra la volontà

della società che delibera l'aumento e dei soggetti che la sotto

scrivono; natura contrattuale che non può essere negata ed è sta

ta affermata già (sotto diversi profili) da questa corte (sent. 27

febbraio 1976, n. 639, Foro it., 1976, I, 1233; 7 ottobre 1981,

n. 5261, id., Rep. 1981, voce Contratto in genere, n. 90, in moti

vazione), ma non giustifica quella conseguenza.

Infatti, la tesi si articola nei seguenti passaggi: a) la delibera

zione assembleare di aumento di capitale è una proposta contrat

tuale (offerta al pubblico ex art. 1336 c. c.) e le sottoscrizioni delle

azioni di nuova emissione equivalgono ad altrettante dichiara

zioni di accettazione della proposta; esse valgono a modificare

l'originario contratto di società, modificazione che si attua pro

gressivamente, a misura che le azioni di nuova emissione ven

gono sottoscritte; b) l'ammontare del capitale in aumento, quale è fissato dalla deliberazione, è la misura di quanto il capitale può essere aumentato e — di regola — non di quanto debba essere

aumentato e quindi non costituisce un essentìale negotii della

proposta contrattuale (salvo che tale essenzialità non sia espressa mente enunciata); c) ciò corrisponde all'art. 2439, 2° comma,

perché l'obbligo al quale tale norma fa riferimento non può avere altra fonte che il contratto di società e non è concepibile se non in capo a chi sia divenuto già socio. Se i sottoscrittori

non sono liberati, quantunque non sia stato sottoscritto l'intero

capitale in aumento, ciò significa che il vincolo sociale si era già costituito ed aveva prodotto l'obbligazione di conferimento al

l'atto stesso della sottoscrizione delle azioni di nuova emissione.

Il collegio osserva che proprio la natura contrattuale dell'incon

tro fra le volontà della società e dei nuovi sottoscrittori esclude

l'esattezza di alcuni dei suddetti passaggi. Invero, dall'art. 1326

c. c. risulta in modo indubbio l'esigenza della conformità fra

l'accettazione e la proposta, perché si abbia la conclusione del

contratto, tanto è vero che un'accettazione non conforme alla pro

posta equivale a nuova proposta. Proprio l'ammontare dell'au

mento del capitale costituisce l'oggetto della proposta, sicché è

arbitrario affermare che tale ammontare è essenziale soltanto se

la delibera lo dica espressamente. Inoltre, il 2° comma dell'art.

2439 c. c. sancisce una permanenza dell'obbligo assunto dai sot

toscrittori che non sarebbe stato necessario prevedere, proprio al

la luce della concezione contrattualistica. Una volta formato il

contratto, è ovvio infatti che gli obblighi assunti con esso si de

vono osservare. L'art. 2439, T comma, male si spiega come una

norma puramente ricognitiva di un obbligo nascente già dal con

tratto di società, piuttosto che come una norma che sancisca essa

stessa in via primaria un obbligo che senza di esso sarebbe stato

dubbio o controvertibile. Infatti, l'origine storica della norma ri

sale al dubbio sorto sotto il vigore del codice precedente sul

punto se i nuovi sottoscrittori dovessero considerarsi sciolti da

ogni obbligo in caso di mancanza di sottoscrizione integrale. La

norma ha inteso sciogliere tale dubbio, ma non ha espressamente considerato quale sia la posizione della società, e se cioè essa ri

manga vincolata alla sottoscrizione parziale, ovvero se rimanga libera di accettare e no la sottoscrizione parziale.

La soluzione di tale ulteriore problema non può essere data

postulando quell'acquisito della qualità di socio che si deve di

mostrare e che non è dimostrabile, proprio alla luce della con

cezione contrattuale, nel caso in cui l'auhiento non sia integral mente sottoscritto (a meno che la deliberazione non preveda

espressamente tale caso di aumento fino ad un certo limite). In

fatti, non si saprebbe come costruire la congruenza fra proposta

della società ed accettazione della pluralità di sottoscrittori, a

meno di postulare tante offerte quante sono le azioni emesse e

cioè di supporre che la società intenda fare tante offerte quante sono le azioni emesse. Ma quest'ultima tesi non può essere con

divisa, perché,perde di vista l'inserimento della emissione di nuo

ve azioni (art. 2438) nella modificazione del capitale, che è og

getto di una delibera unitaria (argomento ex art. 2443 c. c.). Considerando la circostanza che l'offerta al pubblico prevede

un'accettazione da parte di una pluralità di soggetti che fra di

loro non sono normalmente in alcuna relazione, la conformità di cui all'art. 1326 c. c. fra proposta ed accettazione non può essere

vista che nel complesso dell'operazione, di modo che nulla osta

a configurare tale conformità come una condizione di efficacia

delle singole accettazioni. Le singole sottoscrizioni saranno effi

caci se nell'insieme esse sono conformi alla deliberazione di au

mento del capitale. In mancanza di tale conformità, fermo l'ef

fetto legale posto dall'art. 2439, T comma, la società potrà — con nuova deliberazione — accettare il parziale aumento di capitale.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

L'art. 2439, 2° comma, è posto, pertanto, a salvaguardia di tale

interesse della società, e cioè tende ad evitare che nel frattempo i sottoscrittori si ritirino. La costruzione proposta non cade nel

l'antinomia di considerare incondizionato l'obbligo dei sottoscrit

tori e condizionato quello della società: la condizione di cui si

è parlato, infatti, riguarda il contratto nel suo complesso e cioè

entrambe le parti. La condizione non può considerarsi inerente

alla proposta o all'accettazione, ma è un elemento esterno di ef

ficacia del contratto nel suo complesso. Il vincolo fra i singoli sottoscrittori e società si forma per ef

fetto della sottoscrizione, ma se tale sottoscrizione non riguarda l'intero capitale di cui all'aumento deliberato (contenuto nella

proposta mediante offerta al pubblico), non potrà verificarsi quel la congruenza fra proposta ed accettazione che è essenziale per la conclusione del contratto. Poiché è nella struttura stessa del

l'offerta che essa possa essere accettata da una pluralità di sog

getti del tutto distinti fra di loro, la legge consente che la con

gruenza di cui si è detto riguardi la proposta e le accettazioni nel

loro complesso, che pertanto diverranno efficaci non appena si

verifichi tale congruenza. Se essa non si realizza, in deroga al

l'inefficacia del contratto che ne conseguirebbe secondo i principi, l'art. 2439, 2° comma, mantiene l'obbligatorietà del vincolo dei

sottoscrittori, a tutela dell'interesse della società ad un aumento

parziale; che potrà essere valutato soltanto dall'assemblea in re

lazione alla misura di esso.

I sottoscrittori potranno interpellare la società di pronunciarsi entro un termine sull'accettazione o meno della sottoscrizione par ziale o fare fissare un termine per liberarsi dai loro obblighi ex art. 1183 c. c. Infatti l'art. 2439 prevede, al 1° comma, il ver

samento dei tre decimi, sicché la situazione da cui parte la legge è quella della mera assunzione dell'obbligo del (completamento

del) versamento; mentre la liberazione immediata delle azioni sot

toscritte è un'ipotesi di specie. Naturalmente, la delibera della società potrà prevedere il caso

espressamente, sia nel senso di escludere l'efficacia dell'aumento

parziale, come è fatto salvo dall'art. 1439, 2° comma, sia nel senso

di prevederne espressamente l'efficacia; ed allora dalla stessa de

libera si trarranno gli elementi per risolvere il problema. Non può però porsi — come sostengono i ricorrenti — come

criterio di interpretazione della delibera il principio che la legge consideri i sottoscrittori già soci al momento della parziale sot

toscrizione, sicché tale loro qualità debba essere espressamente esclusa dalla delibera stessa. E poiché i ricorrenti non deducono

altri errori di diritto che inficiano l'interpretazione della corte di

Messina secondo la quale la deliberazione prevedeva un aumento

inscindibile, tale interpretazione — coinvolgendo un apprezza mento di fatto i— non può essere censurata da questa corte. In

fatti, l'attestazione effettuata dall'amministratore ex art. 2444 c. c.

riguarda un'esecuzione dell'aumento di capitale conforme a legge ed alla delibera societaria; e tale attestazione è quindi priva di

efficacia né tale conformità non sussiste. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 16 set

tembre 1982, n. 4889; Pres. Renda, Est. Micali, P. M. Cate

lani (conci, conf.); Ceccatelli (Avv. Agostini, Bellotti) c.

Ditta Gival (Avv. Calabrese, Testoni). Conferma Trib. Pisa

26 agosto 1977.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Questioni ri

levabili d'ufficio — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 416; 1. 20

maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità

dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale

nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 18. 35).

Il numero minimo dei dipendenti richiesto per l'applicazione del

l'art. 18 l. 300/1970 costituisce questione rilevabile d'ufficio da

parte del giudice e pertanto non è soggetta alle preclusioni pre

viste dall'art. 416 c. p. c. riguardo alle eccezioni proponibili

solo dalle parti. (1)

(1) Esplicitamente, in senso contrario v., richiamata in motivazio

ne, Cass. 7 aprile 1981, n. 1957, Foro it., Rep. 1981, voce Lavoro

(rapporto), n. 1689. La formulazione della massima riflette le molte incertezze della mo

tivazione della sentenza in epigrafe, la quale mostra di non avere

chiarezza in ordine: a) alla distinzione tra questioni di diritto e

questioni di fatto rilevabili d'ufficio, ed in particolare fra questioni di diritto ed eccezioni rilevabili d'ufficio; b) alla distinzione tra alle

gazione al giudizio di fatti impeditivi modificativi o estintivi e potere del giudice di rilevarne d'ufficio gli effetti sul diritto fatto valere in

Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Pisa con sentenza in data 26 agosto 1977 riformava la decisione adottata da quel pretore nella controversia vertente tra Dario Ceccatelli e la ditta

Gival, sui rilievi seguenti: 1) che l'attore, a norma dell'art. 13 del c.c.n.l. per gli addetti all'industria del legno e del sughero sti

pulato in data 1° settembre 1973, aveva, si, l'obbligo di comuni care al datore di lavoro il suo stato di malattia, ma non era obbli

gato, del pari, a tenerlo informato del suo prolungamento oltre il periodo di prognosi formulato nel primo certificato medico,

per cui il licenziamento intimatogli per tale motivo doveva essere ritenuto illegittimo, con conseguente obbligo di reintegrazione nel

posto di lavoro; 2) che, per contro, il primo giudice aveva errato

nell'aver ritenuto proposta tardivamente, ex art. 416, 2° comma, c. p. c. la deduzione fatta dalla ditta convenuta all'udienza di

discussione secondo cui essa occupava una media permanente di

cinque o dieci dipendenti, onde non le era applicabile né l'art. 18 1. 20 maggio 1970 n. 300 né l'art. 8 1. 15 luglio 1966 n. 604; 3) che, pertanto, il licenziamento intimato per la giusta causa as serita e non sussistente, doveva esser ritenuto convertibile in re cesso ad nutum, secondo quanto disposto dall'art. 2118 c. c.

Avverso tale decisione il Ceccarelli ha proposto ricorso per cas

sazione e vi ha resistito la ditta Gival con controricorso e conte stuale ricorso incidentale.

Motivi della decisione. — Il ricorrente, con l'unico motivo di

cassazione proposto, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 416, 2° comma, c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., ha sostenuto che il tribunale aveva errato nell'aver ritenuto pro posta tempestivamente l'eccezione sollevata dalla ditta convenuta

all'udienza di discussione dinanzi al pretore, secondo cui non le

era applicabile il sistema di tutela reale previsto dall'art. 18 1. 20

giudizio anche indipendentemente da una istanza (implicita o espli cita in tal senso) del convenuto; c) alla distinzione tra poteri istrut tori d'ufficio del giudice e potere del giudice di rilevare d'ufficio gli effetti di fatti impeditivi modificativi o estintivi allegati al giudizio.

La mancanza di chiarezza su tali questioni (su cui v. per tutti Fab erini, L'eccezione di merito nello svolgimento del processo di cogni zione, in Studi in memoria di C. Fumo, Milano, 1973, 247; E. Grasso, La pronuncia d'ufficio, Milano, 1967, I; Id., Dei poteri del giudice, in Commentario del cod. proc. civ., diretto da E. Allorio, Torino, 1973, I, 2, 1269) priva di forza di convincimento la decisione in epi grafe la quale nulla dice: aa) in ordine al se il requisito del numero minimo dei dipendenti richiesto dall'art. 35 1. 300/1970 per l'appli cabilità dell'antecedente art. 18 vada configurato come fatto impedi tivo ovvero come fatto costitutivo rispetto alla domanda con cui si fa valere in giudizio l'illegittimità di un licenziamento; bb) in ordine al se, una volta ricostruito tale requisito come fatto impeditivo, e la relativa eccezione come eccezione rilevabile d'ufficio, l'allegazione di tale fatto al giudizio debba avvenire solo ad opera delle parti entro i termini di preclusione di cui agli art. 414, 416 e 420 o no, ov vero possa avvenire anche ad opera di soggetti diversi dalle parti ma anche dal giudice (testimoni, associazioni sindacali chiamate a rendere informazioni od osservazioni ex art. 425 o 421, 2° comma, c.p.c.), ovvero ancora possa avvenire anche ad opera del giudice con un sostanziale superamento del principio della domanda, inteso in senso

ampio. In giurisprudenza sul regime delle eccezioni nel rito del lavoro,

v., da ultimo, Cass. 17 marzo 1981, n. 1571 (Foro it., 1981, I, 981, con nota di richiami) secondo cui la difesa del convenuto concernente la sottrazione di un licenziamento, in quanto collettivo, dalla disci

plina limitativa dei licenziamenti, non costituisce eccezione in senso proprio con la quale si alleghi un fatto impeditivo od estintivo bensì una mera difesa attinente alla contestazione dello stesso fatto costi tutivo della domanda e pertanto non soggetta a! termine di preclu sione di cui all'art. 416 c.p.c.; Cass. 11 luglio 1981, n. 4536 (ibid., 2402, con nota di A. Proto Pisani, In tema di prova nel processo del lavoro: temperamenti al principio di eventualità), che nella motivazione svolge una corretta distinzione teorica fra eccezio ni rilevabili solo su istanza di parte ed eccezioni rilevabili d'uffi cio da un lato, e mere difese dall'altro lato; Cass. 4 dicembre

1981, n. 6423 {id., 1982, I, 1339, con nota di richiami) secondo cui

nel rito del lavoro, a differenza del rito ordinario, non sono ammesse nel giudizio di primo grado nuove eccezioni, non rilevabili d'ufficio, che non siano state proposte tempestivamente nella memoria difen

siva di costituzione, senza che rilevi l'eventuale mancata opposizione delle altre parti alla tardiva formulazione dell'eccezione, salvo sol tanto il potere per il giudice di autorizzare anche implicitamente, ove ricorrano gravi motivi, la modifica delle eccezioni già formulate: nella

specie si discuteva circa la tardività o no di una eccezione di prescri zione; nonché, con riferimento ad una fattispecie particolare, Cass. 13 marzo 1982, n. 1652, ibid., 2531, con ulteriore nota di richiami.

Sulla nozione di eccezione in genere v. Cass. 10 gennaio 1981, n.

146, id., 1981, I, 1640, ed ivi l'ampia nota di richiami di L. Lotti. Sull'ambito di applicazione dell'art. 18 1. 300/1970, v., da ultimo,

l'efficace sintesi di F. Pirelli, In tema di campo d'applicazione della

disciplina dei licenziamenti individuali, in Riv. it. dir. lav., 1982, 65: F. Mazziotti, Il licenziamento illegittimo. Napoli, 1982, 74 ss.

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