Sezione I civile; sentenza 18 ottobre 1982, n. 5407; Pres. U. Miele, Est. R. Sgroi, P. M.Martinelli (concl. conf.); Abate ed altri (Avv. Cogliandolo) c. Albanesi (Avv. Briguglio).Conferma App. Messina 29 settembre 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 2 (FEBBRAIO 1983), pp. 385/386-389/390Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174229 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
avrebbero potuto, comunque, essere esaminati, perché avrebbero
potuto essere prodotti non al giudice del merito ma solo al giudi ce cui era stato chiesto il provvedimento autorizzativo della de
scrizione. Conseguentemente, non compete a questa corte stabi
lire quali più opportuni provvedimenti avrebbero potuto (o pos
sano, in prosieguo) essere adottati per ovviare al mancato rinve
nimento del brevetto tedesco.
Per quanto riguarda la denunciata falsa applicazione dell'art.
84, conviene ricordare che il provvedimento di descrizione pre visto dalla legge sulle invenzioni industriali è riconducibile ai
provvedimenti di istruzione preventiva; ed al pari di quelli analo
ghi previsti dal codice di rito, prendano bensì vita nell'ambito di
uno speciale sommario procedimento, formalmente autonomo, ma
non esaurisca con esso la sua efficacia. Il suo carattere mera
mente strumentale implica, ovviamente, che esso sia utilizzato
nel giudizio di merito (che secondo l'art. 82 della detta legge deve
essere promosso, a pena di decadenza del provvedimento, entro
otto giorni dalla sua esecuzione) e che sia dal giudice di merito
verificato quanto all'esistenza dei requisiti che ne giustificano la
concessione, per potere essere dichiarato ammissibile nel processo
(v., in genere, Cass. 10 marzo 1970, n. 616, Foro it., Rep. 1970,
voce Istruzione preventiva, n. 2). E poiché alla verifica di tali re
quisiti il detto giudice procede con autonomia di giudizio e nel
l'ambito di un processo formalmente autonomo, ne deriva che,
se dinanzi a lui sorgono contestazioni sull'esistenza dei requisiti di cui sopra, possano dinanzi a lui prodursi le ulteriori prove rese necessarie dal tipo e dai motivi delle contestazioni. Tali
principi non ricevono deroghe dall'art. 84 in esame, ed in parti colare dalla norma del 2° comma, a tenore del quale l'istante,
per ottenere la descrizione, « deve dimostrare di essere titolare
del brevetto ».
A parte il fatto che l'onere di dimostrare non coincide con
l'onere di esibire immediatamente il titolo brevettuale (onere,
quest'ultimo, che, peraltro, mal si concilierebbe con l'urgenza del
provvedimento richiesto), l'art. 84 va coordinato con il prece
dente art. 81, del quale costituisce applicazione ad un caso parti
colare. Secondo l'art. 81, l'autorità giudiziaria provvede sull'istan
za di descrizione « assunte sommarie informazioni e sentite, ove
lo creda opportuno, le persone contro cui il ricorso è proposto » :
cioè sulla base di quegli accertamenti che sono tipici dei procedi
menti di urgenza e che siano ritenuti idonei dal giudice a de
terminare il convincimento circa l'esistenza del fumus boni iuris.
Nulla ovviamente impedisce che il detto giudice possa chiedere
la prova più appagante costituita dalla produzione del titolo bre
vettuale; e non sarebbe certamente configurabile un giudizio di
merito volto a sindacare un suo eventuale provvedimento nega
tivo, motivato dalla mancata produzione di quel titolo. Ma una
volta che egli, in base alle motivate allegazioni dell'istante, al ri
sultato delle informazioni che ritenga di assumere ed alle dedu
zioni del controinteressato, ritenga sussistenti le condizioni per
la pronunzia del provvedimento, e vi faccia concretamente luogo,
sarebbe privo di qualsiasi giustificazione ritenere che nel giudi
zio di merito in cui, a seguito delle contestazioni del controinte
ressato, si rende necessaria una più penetrante verifica di quelle
condizioni, l'istante non possa meglio dimostrare che queste real
mente sussistevano. In tali sensi i ricorsi vanno accolti, con rin
vio della causa da altro giudice, che si uniformerà al seguente
principio: « ai sensi degli art. 81 e 84, 2° comma, 1. sulle inven
zioni industriali, nel testo di cui al r. d. 29 giugno 1939 n. 1127,
la titolarità dei diritti di brevetto a cui tutela venga chiesta la
descrizione, non deve essere necessariamente dimostrata median
te l'esibizione del titolo brevettuale al giudice al quale la descri
zione viene domandata, potendo tale titolo essere prodotto an
che nel giudizio di merito, in sede di verifica della legittimità
formale e sostanziale del provvedimento di urgenza ».
Spetterà ovviamente allo stesso giudice valutare sotto ogni al
tro profilo la ritualità della produzione dei documenti conside
rati, nonché i limiti oggettivi e soggettivi della loro efficacia
probatoria.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 18 otto
bre 1982, n. 5407; Pres. U. Miele, Est. R. Sgroi, P. M. Mar
tinelli (conci, conf.); Abate ed altri (Avv. Cogliandolo) c.
Albanesi (Avv. Briguglio). Conferma App. Messina 29 settem
bre 1979.
Società — Società di capitali — Aumento inscindibile di capitale
sociale — Sottoscrizione parziale — Acquisto della qualità di
socio — Esclusione — Limiti (Cod. civ., art. 2439).
Nel caso di aumento inscindibile del capitale sociale, la sottoscri
zione parziale dell'aumento non basta a far acquistare la qua lità di socio, all'uopo occorrendo che l'assemblea, a modifica
della originaria deliberazione di aumento, decida di aumentare
il capitale nella misura parziale sottoscritta. (1)
Svolgimento del processo. — Con citazione 20 dicembre 1976
Santo Abate, Gaetano D'Agata e Carmelo Pappalardo convenivano
in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina il dott. Ferruccio Al
banesi, esponendo che essi, avendo appreso che la società italia
na Distribuzione (S.i.d.) s.p.a. aveva deliberato di aumentare il
capitale sociale da lire 1.000.000 a lire 400.000.000, con delibera
zione del 16 luglio 1974, in data 17 luglio 1974 avevano sotto
scritto rispettivamente 1.200.800 e 750 azioni nominative da lire
10.000, per complessive lire 27.500.000 e ne avevano versato l'in
tero importo; che gli amministratori della società avevano prov veduto alla loro iscrizione nel libro dei soci, promettendo di con
segnare le azioni non appena emesse; che, avendo già partecipato a varie assemblee della società anche dopo il fallimento del so
cio Antonello Giostra, le cui azioni erano entrate in possesso del
curatore fallimentare, successivamente il tribunale aveva deciso
di revocare l'amministratore unico Alfio Nicotra e di nominare
un amministratore giudiziario nella persona del dott. Ferruccio Al
banesi, il quale, nel corso dell'assemblea dell'I 1 dicembre 1976
tenutasi sotto la sua presidenza — in accoglimento della richiesta
del curatore del fallimento Giostra — assumendo che i sotto
scrittori di azioni, nella mora del completamento della sottoscri
zione del capitale sociale aumentato non assumevano la qualità di soci e che il loro diritto a partecipare alla vita della società
era condizionato alla completa attuazione dell'aumento già dispo sto, aveva invitato gli esponenti ad allontanarsi ed a far valere
le loro eventuali ragioni nella sede opportuna; che tale decisione
dell'Albanesi costituiva atto arbitrario ed illegittimo. Tutto ciò
premesso, chiedevano che venisse dichiarato che il convenuto non
aveva il diritto di escludere gli attori dalla cennata assemblea;
ovvero, subordinatanjente, che l'Albanesi, subito dopo la nomina
ad amministratore giudiziario, avrebbe dovuto provvedere a re
golarizzare la posizione dei sottoscrittori dell'aumento del capi tale sociale, con la conseguente condanna al risarcimento dei dan
ni ed al pagamento delle spese di causa.
L'Albanesi si costituiva, chiedendo che le domande fossero di
chiarate inammissibili e fossero rigettate.
(1) Con questa importante sentenza, la Cassazione affronta — per la prima volta, a quanto consta — il problema dell'efficacia dell'aumen to di capitale parzialmente sottoscritto aderendo alla tesi (in giurispru denza già accolta da Pret. Genova 20 aprile 1975, Foro it., 1976, I, 253, riformata da Trib. Genova 23 febbraio 1976, id.. Rep. 1976, voce Società, n. 264) che la subordina all'assunzione di altra deliberazione assembleare di «accettazione» (art. 1326 c. c.) della sottoscrizione
parziale. In dottrina in senso conforme cfr. F. Bonelli, Aumento di capi
tale, sottoscrizione parziale e responsabilità degli amministratori, in Giur. comm., 1976, II, 490; F. Chiomenti, La revoca delle delibera zioni assembleari, 1969, 175; A. De Gregorio, Corso di diritto com
merciale, 1969, 320; F. Ferrara jr., Gli imprenditori e le società
1971, 527; Frè, Società per azioni5, in Commentario, a cura di Scia
loja e Branca, 1982, 781; A. Giuliani, Questioni in tema di opzione e di conferimento in natura per aumento di capitale nelle società azio
narie, in Riv. not., 1957, 681; C. Grassetti, Questioni sull'aumento di
capitale non integralmente sottoscritto, in Giur. comm., 1976, II, 486; lo., Diritto di voto in pendenza di aumento di capitale, in Riv. dir.
comm., 1953, I, 52; A. Graziani, Diritto delle società5, 1963, 308; G. L. Pellizzi, Note sulla sottoscrizione parziale di aumento di capi
tale, in Riv. società, 1979, 1245; G. Tantini, Le modificazioni del l'atto costitutivo della società per azioni, 1973, 254; Id., Capitale e pa trimonio nella società per azioni, 1980, 154. Contra, G. Cottino, Società per azioni, voce del Novissimo digesto, 1970, XVII, 657; F.
Galgano, Aumento di capitale solo parzialmente eseguito, in Giur.
comm., 1976, II, 499; A. Pesce, Diritto di voto in pendenza di aumento
di capitale, in Riv. società, 1957, 696. L'art. 28 della II direttiva CEE in materia societaria (n. 77/91 del
13 dicembre 1976, Giur. comm., 1977, I, 504: il progetto di norma
tiva di attuazione elaborato da una commissione di nomina ministe
riale presieduta da G. Ferri, leggesi id., 1979, I, 955) prevede che « se l'aumento di capitale non è integralmente sottoscritto, il capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se
le condizioni di emissione hanno espressamente previsto tale possibi lità ». Per un commento a tale disposizione cfr. G. Marasà, La seconda
direttiva CEE in materia di società per azioni, in Riv. dir. civ., 1978,
li, 674, lett. e. Sui limiti di applicabilità della disciplina contenuta nell'art. 18sufc
art. 1 1. 7 giugno 1974 n. 216 (Le leggi, 1974, 963) alle offerte in
sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, v. P. Marchetti, Le
offerte pubbliche di sottoscrizione e la legge 216, in Riv. società, 1981, 1137.
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PARTE PRIMA
Con sentenza del 30 dicembre 1977 il tribunale respingeva le
domande e condannava gli attori al pagamento delle spese di
causa.
L'Abate, il D'Agata ed il Pappalardo proponevano appello, al
quale resisteva l'Albanesi.
La Corte d'appello di Messina con sentenza 29 settembre 1979
rigettava l'appello, osservando che i sottoscrittori di parte del l'aumento inscindibile del capitale deliberato dalla società non
acquistano la qualità di soci, fino a quando l'assemblea non di
chiari, con apposita deliberazione, di accettare detta sottoscrizio ne con esplicita rinuncia alla parte dell'aumento di capitale non
sottoscritto. Secondo la corte, la dizione letterale della delibera del 16 luglio 1974 non lasciava adito.a dubbi sulla inscindibilità dell'aumento in parola, in quanto non aveva previsto alcun ter
mine per la sottoscrizione dell'intero aumento, né considerato il
caso che l'aumento non fosse integralmente sottoscritto, per il che
era dato ritenere che il raggiungimento delle finalità sociali pro grammate avrebbe potuto conseguirsi soltanto con il globale au
mento del capitale deliberato.
Rettamente, secondo la corte d'appello, l'Albanesi aveva esclu so gli appellanti dalla assemblea dell'I 1 dicembre 1976, a nulla rilevando che i predetti avessero partecipato ad alcune adunan
ze precedenti con espressione di voto, perché privi del formale
riconoscimento della qualità di soci, unicamente desumibile dalla
corretta iscrizione nell'apposito libro. Né all'Albanesi, quale am
ministratore giudiziario, incombeva l'obbligo di regolarizzare la
posizione dei sottoscrittori, col promuovere ad esempio un'assem blea che ratificasse la parziale sottoscrizione delle nuove azioni, in quanto si sarebbe trattato di un potere e non di un obbligo, senza considerare che il dichiarato fallimento del più grosso azio
nista e le gravi irregolarità amministrative accertate sconsiglia vano che sul tema si prendessero iniziative di sorta, data l'esi
genza di adottare criteri di amministrazione cautelativi. La corte
aggiungeva che il presidente del tribunale aveva con ordinanza del 5 febbraio 1977 disposto la cancellazione temporanea degli
appellanti dal libro dei soci ed autorizzato il sequestro conserva
tivo di tutte le somme indebitamente intestate per pretese sotto scrizioni di aumento di capitale anche a nome degli appellanti. La corte di Messina concludeva affermando che l'insussistenza di
colpa in capo all'Albanesi non consentiva alcun risarcimento a
favore degli appellanti. Avverso detta sentenza l'Abate, il D'Agata ed il Pappalardo
hanno proposto ricorso per cassazione, illustrato con memoria. L'Albanesi ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo i ricorrenti de ducono la violazione e falsa applicazione degli art. 2439 e 2444 c. c. in relazione all'art. 360, n. 3, c. p. c., assumendo che la corte d'appello ha erroneamente ritenuto che l'aumento del capi tale sociale deliberato dall'assemblea dei soci del 16 luglio 1974 dovesse considerarsi inscindibile perché la delibera non aveva
previsto alcun termine per la sottoscrizione dell'intero aumento, né considerato il caso che l'aumento non fosse integralmente sot
toscritto, in tal modo dando un'interpretazione non corretta degli art. 2439 e 2444 c. c. Infatti, proprio in forza del 2° comma del l'art. 2439 i sottoscrittori non sono liberati dall'obbligo assunto con la sottoscrizione di parte dell'aumento, a meno che nella deliberazione non sia stato altrimenti disposto; il che significa che, fatto salvo il caso che la delibera dichiari espressamente inscindibile l'aumento e fissi quindi un termine entro il quale la sottoscrizione debba essere completata, i versamenti richiesti ed effettuati in forza della delibera di aumento si devono considerare come apporti definitivi al capitale sociale con la conseguenza che, se i sottoscrittori non possono più recedere dall'obbligo di con
ferire, la società ha l'obbligo di considerarli soci a tutti gli ef
fetti fin dal momento della sottoscrizione, non essendo necessaria alcuna ulteriore deliberazione assembleare.
Infatti, secondo i ricorrenti, fatta salva una diversa statuizione
della delibera di aumento di capitale che preveda espressamente l'inefficacia dell'aumento parziale, i sottoscrittori delle nuove azioni acquistano la qualità di soci dal momento della sottoscri zione.
Il motivo è infondato. Il controricorrente ha eccepito che lo
stabilire, attraverso l'esame della delibera dell'assemblea del 17
luglio 1974, se l'aumento deliberato avesse carattere inscindibile
0 meno, costituisce un accertamento squisitamente di merito, che
1 ricorrenti non hanno censurato, essendosi limitati a dedurre la
violazione di norma di legge. Osserva in contrario questa corte
che l'oggetto della censura è costituito proprio dall'interpretazio ne della suddetta delibera, che — secondo i ricorrenti — non ha
tenuto conto della norma del 2° comma dell'art. 2439 c. c. la quale
prevederebbe che dalla deliberazione debba risultare la volontà
di escludere la sottoscrizione parziale, perché il « tipo » legale
di aumento di capitale è configurato dalla legge come efficace
anche nel caso di sottoscrizione parziale. È un assunto che, seb
bene ispirato a recente ed autorevole dottrina, non può essere
condiviso.
Esso parte dalla natura contrattuale dell'incontro fra la volontà
della società che delibera l'aumento e dei soggetti che la sotto
scrivono; natura contrattuale che non può essere negata ed è sta
ta affermata già (sotto diversi profili) da questa corte (sent. 27
febbraio 1976, n. 639, Foro it., 1976, I, 1233; 7 ottobre 1981,
n. 5261, id., Rep. 1981, voce Contratto in genere, n. 90, in moti
vazione), ma non giustifica quella conseguenza.
Infatti, la tesi si articola nei seguenti passaggi: a) la delibera
zione assembleare di aumento di capitale è una proposta contrat
tuale (offerta al pubblico ex art. 1336 c. c.) e le sottoscrizioni delle
azioni di nuova emissione equivalgono ad altrettante dichiara
zioni di accettazione della proposta; esse valgono a modificare
l'originario contratto di società, modificazione che si attua pro
gressivamente, a misura che le azioni di nuova emissione ven
gono sottoscritte; b) l'ammontare del capitale in aumento, quale è fissato dalla deliberazione, è la misura di quanto il capitale può essere aumentato e — di regola — non di quanto debba essere
aumentato e quindi non costituisce un essentìale negotii della
proposta contrattuale (salvo che tale essenzialità non sia espressa mente enunciata); c) ciò corrisponde all'art. 2439, 2° comma,
perché l'obbligo al quale tale norma fa riferimento non può avere altra fonte che il contratto di società e non è concepibile se non in capo a chi sia divenuto già socio. Se i sottoscrittori
non sono liberati, quantunque non sia stato sottoscritto l'intero
capitale in aumento, ciò significa che il vincolo sociale si era già costituito ed aveva prodotto l'obbligazione di conferimento al
l'atto stesso della sottoscrizione delle azioni di nuova emissione.
Il collegio osserva che proprio la natura contrattuale dell'incon
tro fra le volontà della società e dei nuovi sottoscrittori esclude
l'esattezza di alcuni dei suddetti passaggi. Invero, dall'art. 1326
c. c. risulta in modo indubbio l'esigenza della conformità fra
l'accettazione e la proposta, perché si abbia la conclusione del
contratto, tanto è vero che un'accettazione non conforme alla pro
posta equivale a nuova proposta. Proprio l'ammontare dell'au
mento del capitale costituisce l'oggetto della proposta, sicché è
arbitrario affermare che tale ammontare è essenziale soltanto se
la delibera lo dica espressamente. Inoltre, il 2° comma dell'art.
2439 c. c. sancisce una permanenza dell'obbligo assunto dai sot
toscrittori che non sarebbe stato necessario prevedere, proprio al
la luce della concezione contrattualistica. Una volta formato il
contratto, è ovvio infatti che gli obblighi assunti con esso si de
vono osservare. L'art. 2439, T comma, male si spiega come una
norma puramente ricognitiva di un obbligo nascente già dal con
tratto di società, piuttosto che come una norma che sancisca essa
stessa in via primaria un obbligo che senza di esso sarebbe stato
dubbio o controvertibile. Infatti, l'origine storica della norma ri
sale al dubbio sorto sotto il vigore del codice precedente sul
punto se i nuovi sottoscrittori dovessero considerarsi sciolti da
ogni obbligo in caso di mancanza di sottoscrizione integrale. La
norma ha inteso sciogliere tale dubbio, ma non ha espressamente considerato quale sia la posizione della società, e se cioè essa ri
manga vincolata alla sottoscrizione parziale, ovvero se rimanga libera di accettare e no la sottoscrizione parziale.
La soluzione di tale ulteriore problema non può essere data
postulando quell'acquisito della qualità di socio che si deve di
mostrare e che non è dimostrabile, proprio alla luce della con
cezione contrattuale, nel caso in cui l'auhiento non sia integral mente sottoscritto (a meno che la deliberazione non preveda
espressamente tale caso di aumento fino ad un certo limite). In
fatti, non si saprebbe come costruire la congruenza fra proposta
della società ed accettazione della pluralità di sottoscrittori, a
meno di postulare tante offerte quante sono le azioni emesse e
cioè di supporre che la società intenda fare tante offerte quante sono le azioni emesse. Ma quest'ultima tesi non può essere con
divisa, perché,perde di vista l'inserimento della emissione di nuo
ve azioni (art. 2438) nella modificazione del capitale, che è og
getto di una delibera unitaria (argomento ex art. 2443 c. c.). Considerando la circostanza che l'offerta al pubblico prevede
un'accettazione da parte di una pluralità di soggetti che fra di
loro non sono normalmente in alcuna relazione, la conformità di cui all'art. 1326 c. c. fra proposta ed accettazione non può essere
vista che nel complesso dell'operazione, di modo che nulla osta
a configurare tale conformità come una condizione di efficacia
delle singole accettazioni. Le singole sottoscrizioni saranno effi
caci se nell'insieme esse sono conformi alla deliberazione di au
mento del capitale. In mancanza di tale conformità, fermo l'ef
fetto legale posto dall'art. 2439, T comma, la società potrà — con nuova deliberazione — accettare il parziale aumento di capitale.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
L'art. 2439, 2° comma, è posto, pertanto, a salvaguardia di tale
interesse della società, e cioè tende ad evitare che nel frattempo i sottoscrittori si ritirino. La costruzione proposta non cade nel
l'antinomia di considerare incondizionato l'obbligo dei sottoscrit
tori e condizionato quello della società: la condizione di cui si
è parlato, infatti, riguarda il contratto nel suo complesso e cioè
entrambe le parti. La condizione non può considerarsi inerente
alla proposta o all'accettazione, ma è un elemento esterno di ef
ficacia del contratto nel suo complesso. Il vincolo fra i singoli sottoscrittori e società si forma per ef
fetto della sottoscrizione, ma se tale sottoscrizione non riguarda l'intero capitale di cui all'aumento deliberato (contenuto nella
proposta mediante offerta al pubblico), non potrà verificarsi quel la congruenza fra proposta ed accettazione che è essenziale per la conclusione del contratto. Poiché è nella struttura stessa del
l'offerta che essa possa essere accettata da una pluralità di sog
getti del tutto distinti fra di loro, la legge consente che la con
gruenza di cui si è detto riguardi la proposta e le accettazioni nel
loro complesso, che pertanto diverranno efficaci non appena si
verifichi tale congruenza. Se essa non si realizza, in deroga al
l'inefficacia del contratto che ne conseguirebbe secondo i principi, l'art. 2439, 2° comma, mantiene l'obbligatorietà del vincolo dei
sottoscrittori, a tutela dell'interesse della società ad un aumento
parziale; che potrà essere valutato soltanto dall'assemblea in re
lazione alla misura di esso.
I sottoscrittori potranno interpellare la società di pronunciarsi entro un termine sull'accettazione o meno della sottoscrizione par ziale o fare fissare un termine per liberarsi dai loro obblighi ex art. 1183 c. c. Infatti l'art. 2439 prevede, al 1° comma, il ver
samento dei tre decimi, sicché la situazione da cui parte la legge è quella della mera assunzione dell'obbligo del (completamento
del) versamento; mentre la liberazione immediata delle azioni sot
toscritte è un'ipotesi di specie. Naturalmente, la delibera della società potrà prevedere il caso
espressamente, sia nel senso di escludere l'efficacia dell'aumento
parziale, come è fatto salvo dall'art. 1439, 2° comma, sia nel senso
di prevederne espressamente l'efficacia; ed allora dalla stessa de
libera si trarranno gli elementi per risolvere il problema. Non può però porsi — come sostengono i ricorrenti — come
criterio di interpretazione della delibera il principio che la legge consideri i sottoscrittori già soci al momento della parziale sot
toscrizione, sicché tale loro qualità debba essere espressamente esclusa dalla delibera stessa. E poiché i ricorrenti non deducono
altri errori di diritto che inficiano l'interpretazione della corte di
Messina secondo la quale la deliberazione prevedeva un aumento
inscindibile, tale interpretazione — coinvolgendo un apprezza mento di fatto i— non può essere censurata da questa corte. In
fatti, l'attestazione effettuata dall'amministratore ex art. 2444 c. c.
riguarda un'esecuzione dell'aumento di capitale conforme a legge ed alla delibera societaria; e tale attestazione è quindi priva di
efficacia né tale conformità non sussiste. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 16 set
tembre 1982, n. 4889; Pres. Renda, Est. Micali, P. M. Cate
lani (conci, conf.); Ceccatelli (Avv. Agostini, Bellotti) c.
Ditta Gival (Avv. Calabrese, Testoni). Conferma Trib. Pisa
26 agosto 1977.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Questioni ri
levabili d'ufficio — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 416; 1. 20
maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità
dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale
nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 18. 35).
Il numero minimo dei dipendenti richiesto per l'applicazione del
l'art. 18 l. 300/1970 costituisce questione rilevabile d'ufficio da
parte del giudice e pertanto non è soggetta alle preclusioni pre
viste dall'art. 416 c. p. c. riguardo alle eccezioni proponibili
solo dalle parti. (1)
(1) Esplicitamente, in senso contrario v., richiamata in motivazio
ne, Cass. 7 aprile 1981, n. 1957, Foro it., Rep. 1981, voce Lavoro
(rapporto), n. 1689. La formulazione della massima riflette le molte incertezze della mo
tivazione della sentenza in epigrafe, la quale mostra di non avere
chiarezza in ordine: a) alla distinzione tra questioni di diritto e
questioni di fatto rilevabili d'ufficio, ed in particolare fra questioni di diritto ed eccezioni rilevabili d'ufficio; b) alla distinzione tra alle
gazione al giudizio di fatti impeditivi modificativi o estintivi e potere del giudice di rilevarne d'ufficio gli effetti sul diritto fatto valere in
Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Pisa con sentenza in data 26 agosto 1977 riformava la decisione adottata da quel pretore nella controversia vertente tra Dario Ceccatelli e la ditta
Gival, sui rilievi seguenti: 1) che l'attore, a norma dell'art. 13 del c.c.n.l. per gli addetti all'industria del legno e del sughero sti
pulato in data 1° settembre 1973, aveva, si, l'obbligo di comuni care al datore di lavoro il suo stato di malattia, ma non era obbli
gato, del pari, a tenerlo informato del suo prolungamento oltre il periodo di prognosi formulato nel primo certificato medico,
per cui il licenziamento intimatogli per tale motivo doveva essere ritenuto illegittimo, con conseguente obbligo di reintegrazione nel
posto di lavoro; 2) che, per contro, il primo giudice aveva errato
nell'aver ritenuto proposta tardivamente, ex art. 416, 2° comma, c. p. c. la deduzione fatta dalla ditta convenuta all'udienza di
discussione secondo cui essa occupava una media permanente di
cinque o dieci dipendenti, onde non le era applicabile né l'art. 18 1. 20 maggio 1970 n. 300 né l'art. 8 1. 15 luglio 1966 n. 604; 3) che, pertanto, il licenziamento intimato per la giusta causa as serita e non sussistente, doveva esser ritenuto convertibile in re cesso ad nutum, secondo quanto disposto dall'art. 2118 c. c.
Avverso tale decisione il Ceccarelli ha proposto ricorso per cas
sazione e vi ha resistito la ditta Gival con controricorso e conte stuale ricorso incidentale.
Motivi della decisione. — Il ricorrente, con l'unico motivo di
cassazione proposto, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 416, 2° comma, c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., ha sostenuto che il tribunale aveva errato nell'aver ritenuto pro posta tempestivamente l'eccezione sollevata dalla ditta convenuta
all'udienza di discussione dinanzi al pretore, secondo cui non le
era applicabile il sistema di tutela reale previsto dall'art. 18 1. 20
giudizio anche indipendentemente da una istanza (implicita o espli cita in tal senso) del convenuto; c) alla distinzione tra poteri istrut tori d'ufficio del giudice e potere del giudice di rilevare d'ufficio gli effetti di fatti impeditivi modificativi o estintivi allegati al giudizio.
La mancanza di chiarezza su tali questioni (su cui v. per tutti Fab erini, L'eccezione di merito nello svolgimento del processo di cogni zione, in Studi in memoria di C. Fumo, Milano, 1973, 247; E. Grasso, La pronuncia d'ufficio, Milano, 1967, I; Id., Dei poteri del giudice, in Commentario del cod. proc. civ., diretto da E. Allorio, Torino, 1973, I, 2, 1269) priva di forza di convincimento la decisione in epi grafe la quale nulla dice: aa) in ordine al se il requisito del numero minimo dei dipendenti richiesto dall'art. 35 1. 300/1970 per l'appli cabilità dell'antecedente art. 18 vada configurato come fatto impedi tivo ovvero come fatto costitutivo rispetto alla domanda con cui si fa valere in giudizio l'illegittimità di un licenziamento; bb) in ordine al se, una volta ricostruito tale requisito come fatto impeditivo, e la relativa eccezione come eccezione rilevabile d'ufficio, l'allegazione di tale fatto al giudizio debba avvenire solo ad opera delle parti entro i termini di preclusione di cui agli art. 414, 416 e 420 o no, ov vero possa avvenire anche ad opera di soggetti diversi dalle parti ma anche dal giudice (testimoni, associazioni sindacali chiamate a rendere informazioni od osservazioni ex art. 425 o 421, 2° comma, c.p.c.), ovvero ancora possa avvenire anche ad opera del giudice con un sostanziale superamento del principio della domanda, inteso in senso
ampio. In giurisprudenza sul regime delle eccezioni nel rito del lavoro,
v., da ultimo, Cass. 17 marzo 1981, n. 1571 (Foro it., 1981, I, 981, con nota di richiami) secondo cui la difesa del convenuto concernente la sottrazione di un licenziamento, in quanto collettivo, dalla disci
plina limitativa dei licenziamenti, non costituisce eccezione in senso proprio con la quale si alleghi un fatto impeditivo od estintivo bensì una mera difesa attinente alla contestazione dello stesso fatto costi tutivo della domanda e pertanto non soggetta a! termine di preclu sione di cui all'art. 416 c.p.c.; Cass. 11 luglio 1981, n. 4536 (ibid., 2402, con nota di A. Proto Pisani, In tema di prova nel processo del lavoro: temperamenti al principio di eventualità), che nella motivazione svolge una corretta distinzione teorica fra eccezio ni rilevabili solo su istanza di parte ed eccezioni rilevabili d'uffi cio da un lato, e mere difese dall'altro lato; Cass. 4 dicembre
1981, n. 6423 {id., 1982, I, 1339, con nota di richiami) secondo cui
nel rito del lavoro, a differenza del rito ordinario, non sono ammesse nel giudizio di primo grado nuove eccezioni, non rilevabili d'ufficio, che non siano state proposte tempestivamente nella memoria difen
siva di costituzione, senza che rilevi l'eventuale mancata opposizione delle altre parti alla tardiva formulazione dell'eccezione, salvo sol tanto il potere per il giudice di autorizzare anche implicitamente, ove ricorrano gravi motivi, la modifica delle eccezioni già formulate: nella
specie si discuteva circa la tardività o no di una eccezione di prescri zione; nonché, con riferimento ad una fattispecie particolare, Cass. 13 marzo 1982, n. 1652, ibid., 2531, con ulteriore nota di richiami.
Sulla nozione di eccezione in genere v. Cass. 10 gennaio 1981, n.
146, id., 1981, I, 1640, ed ivi l'ampia nota di richiami di L. Lotti. Sull'ambito di applicazione dell'art. 18 1. 300/1970, v., da ultimo,
l'efficace sintesi di F. Pirelli, In tema di campo d'applicazione della
disciplina dei licenziamenti individuali, in Riv. it. dir. lav., 1982, 65: F. Mazziotti, Il licenziamento illegittimo. Napoli, 1982, 74 ss.
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