Sezione I civile; sentenza 18 ottobre 1983, n. 6110; Pres. Santosuosso, Est. Tilocca, P. M. Nicita(concl. conf.); Sara (Avv. Rubini) c. Fall. soc. Indel (Avv. Riscossa). Regolamento di competenzaavverso Trib. Torino 22 luglio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 12 (DICEMBRE 1983), pp. 3027/3028-3031/3032Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176922 .
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3027 PARTE PRIMA 3028
Il tribunale, quale giudice d'appello, per stabilire quali fossero
i suoi poteri in conseguenza della dichiarazione della nullità della
sentenza di primo grado, avrebbe dovuto, invece, accertare prima quali effetti fossero conseguiti al vizio di nullità inficiente il
procedimento svoltosi davanti al pretore.
In tale ottica non poteva sfuggire al tribunale che, a norma
dell'art. 164, 1° comma, c.p.c., la violazione dei termini mini
mi di comparizione comporta la nullità della citazione che la
costituzione del convenuto può sanare, ma soltanto con effetti ex
nunc, poiché restano salvi (art. 164, ult. comma) i diritti ante
riormente quesiti. Le conseguenze processuali, peraltro, non pos sono che essere identiche sia nel caso in cui la vocatio in ius
venga effettuata dalla parte con l'atto introduttivo, sia che a
questa concorra l'attività del giudice (com'è nel caso di specie),
poiché 1'err or in procedendo del giudice si riflette sul diritto della
parte, la quale avrebbe potuto chiedere la modificazione del
decreto con la fissazione di una udienza che consentisse il
rispetto del termine minimo di comparizione. Il motivo cosi proposto deve essere disatteso.
Il problema che il caso sottoposto al collegio solleva si incentra
nella soluzione della questione se alla nullità determinata dalla
assegnazione al convenuto di un termine minore di quello pre scritto dall'art. 415 c.p.c., consegua, nel caso che la nullità venga fatta valere solo in appello, la esecutorietà del decreto ingiuntivo
opposto, o se non rientri, invece, nei poteri del giudice dell'im
pugnazione disporre la rinnovazione degli atti nulli e procedere al riesame del merito della controversia.
Non può sfuggire la diversità e particolarità del caso in cui
l'opposizione a decreto ingiuntivo debba effettuarsi con ricorso, ai sensi dell'art. 415 c.p.c., rispetto al caso in cui l'opposizione debba
effettuarsi invece con citazione a norma dell'art. 645 c.p.c., per
ché, con le modificazioni introdotte dal nuovo rito del lavoro, la vocatio in ius del convenuto (opposto) non è più compito attribuito all'opponente, ma è effetto di un provvedimento del
giudice, che fissa con decreto l'udienza di discussione alla quale le parti sono tenute a comparire.
In tal modo l'atto introduttivo è costituito da una fattispecie
complessa e progressiva che: inizia col ricorso, atto di parte che
deve contenere tutti gli elementi prescritti per l'atto di citazione
a norma dell'art. 163 c.p.c., e deve essere depositato nella can
celleria del giudice competente nel termine di venti giorni dalla
notificazione del decreto ingiuntivo; prosegue con la emissione,
entro cinque giorni dal deposito, del decreto del giudice che
fissa l'udienza di discussione alla quale le parti devono comparire; si conclude, infine, con la notificazione del ricorso e del decreto
al convenuto, entro il termine di dieci giorni. Tra la data di
notificazione al convenuto e quella della udienza di discussione
deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni.
Ciò posto, se il provvedimento del giudice non ha osservato il
termine minimo di comparizione, tale provvedimento è nullo,
essendo quella osservanza prescritta a pena di nullità dall'art. 164
c.p.c.; ma non pare che tale nullità possa riflettersi sull'attività
validamente compiuta prima dalla parte la quale entro i venti
giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo abbia depositato in
cancelleria il ricorso contenente tutti i requisiti richiesti dall'art.
163 c.p.c.
Con il deposito in cancelleria di un valido ricorso l'opponente
ha, infatti, dato quell'impulso processuale idoneo a realizzare la
complessa fattispecie prevista dall'art. 415 c.p.c., ed è quanto
basta, intanto, ad impedire che, ai sensi dell'art. 641 c.p.c., il
decreto ingiuntivo divenga esecutivo, giacché la decorrenza del
termine di venti giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo, per
proporre opposizione, non può che essere logicamente collegata all'attività della parte nei limiti in cui è suo compito di dare
impulso al procedimento di opposizione.
L'ulteriore iter relativo alla vocatio in ius, demandata ad un
provvedimento distinto e successivo del giudice, non riguarda la
parte né interferisce, in alcun modo, sulla precedente attività
valida della parte stessa: utile per inutile non vitiatur.
Consegue dalle considerazioni suesposte che il giudice di appel lo al quale sia denunciata la nullità della sentenza di primo
grado per non essere stato osservato il termine minimo di
comparizione di cui all'art. 415 c.p. non può dichiarare l'esecuto
rietà del decreto ingiuntivo, essendo stato impedito questo effetto
dal tempestivo deposito in cancelleria di un valido ricorso, ma
deve dichiarare la nullità della sentenza derivante dalla nullità
del provvedimento del giudice di primo grado viziato da inosser
vanza del termine minimo di comparizione; e poiché è possibile rinnovare il provvedimento di assegnazione del termine minimo,
dovrà al tempo stesso disporre, a norma dell'art. 162 c.p.c., la
rinnovazione dell'atto, e trattenere, com'è conseguente, la causa
per la decisione del merito, non potendo rinviarla al primo giudice in un caso che non rientra tra quelli previsti dall'art. 354
c.p.c. È questo ora delineato il procedimento seguito dalla sen tenza impugnata che, per ciò, sul punto va esente da censura.
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 18 otto
bre 1983, n. 6110; Pres. Santosuosso, Est. Tilocca, P. M. Ni
cita (conci, conf.); Sara (Avv. Rubini) c. Fall. soc. Indel (Avv.
Riscossa). Regolamento di competenza avverso Trib. Torino
22 luglio 1982.
Fallimento — Presunzione muciana — Azione avente ad oggetto beni immobili — Competenza del tribunale fallimentare (Cod.
civ., art. 167; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del
fallimento, art. 24, 64, 67, 70).
Appartiene alla competenza del tribunale fallimentare la cogni zione dell'azione, di carattere personale, diretta a far accertare
l'operatività della presunzione muciana ex art. 70 l. fall., avente ad oggetto un bene immobile, al fine di far dichiarare l'ineffi cacia dell'atto di conferimento in fondo patrimoniale, ai sensi
dell'art. 167 c.c., della quota di proprietà del coniuge del
fallito, come pure rientra in detta competenza funzionale l'op posizione volta a contrastare la pretesa della massa dei credi
tori di assoggettare all'esecuzione concorsuale l'immobile nei
confronti del quale opera la presunzione muciana. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso 22 settembre 1980, Giovanna Cisero, sia in proprio che nell'interesse della figlia minore Cristina Sara, proponeva opposizione, davanti al Tribuna le di Torino, alla vendita — disposta con ordinanza 5 luglio 1980 dal giudice delegato al fallimento della s.a.s. Indel e di Sara
Eliseo — dell'immobile sito nel comune, frazione S. Marizio, intestato ad essa ricorrente e al di lei coniuge, fallito, Sara Eliseo, in ragione della metà per ciascuno.
La ricorrente premetteva che il fabbricato (con annesso terre
no) non era intestato per metà a Sara Eliseo e per metà a Cisero
Giovanna, come detto in ordinanza, ma era invece costituito in fondo patrimoniale, ai sensi degli art. 167 ss. c.c., per atto notaio
Grassi, registrato a Torino il 21 luglio 1976 al n. 25648 e
trascritto all'ufficio ipoteche di Casale Monferrato il 13 luglio 1976 al n. 3250. Indi sosteneva che trattandosi, appunto, di un
(1) In senso conforme v. Cass. 26 aprile 1969, n. 1357, Foro it., 1969, I, 2932, con nota di richiami di G. Pezzano, che ha ritenuto l'azione diretta a vincere la presunzione di cui all'art. 70 1. fall. « pienamente e istituzionalmente compresa nella competenza funzionale del tribunale fallimentare». Per un remoto precedente contrario cfr. Trib. Lucca 4
giugno 1948, id., 1949, I, 83, con nota di Monaco, che sembra orientata a favore della qualificazione come azione reale immobiliare. In dottrina è pressoché unanime l'opinione che attribuisce carattere personale all'azione volta a contrastare la presunzione muciana, onde viene generalmente riconosciuta la competenza del tribunale fallimenta re anche quando la domanda riguarda beni immobili: cfr. Salanitro, Gli acquisti del coniuge del fallito, Milano, 1969, 117; Vaselli, La presunzione muciana, Padova, 1953, 87; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, ili, 1168; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1981, 411.
Sul fondamento oggettivo della presunzione muciana v. Cass. 6 ottobre 1977, n. 4257, Foro it., 1978, il, 72, secondo cui la fattispecie ex art. 70 prescinde da eventuali accordi fraudolenti tra i coniugi e dà vita ad una finzione ex lege da cui deriva un'ipotesi di surrogazione legale del bene che si presume acquistato con danaro del coniuge fallito. Per le varie posizioni della dottrina v. Maffei Alberti, Il fallimento, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, fondata da Bigiavi, Torino, 1978, II, 468 ss.
Sulla presunzione muciana e sui problemi conseguenti all'entrata in vigore della legge sul diritto di famiglia v. Jannarelli, La presunzione muciana tra interessi dei creditori e interessi dei coniugi (nota a Cass. 6 ottobre 1977, n. 4257, cit.), in Foro it., 1978, I, 73.
Sull'inefficacia degli atti di costituzione del patrimonio familiare di cui all'art. 167 c.c. (sostituito dall'art. 49 1. n. 151/75, che ha introdotto l'istituto del fondo patrimoniale) v. Cass. 16 gennaio 1970, n. 93, id., 1970, 1, 1137, e 29 agosto 1963, n. 2406, id., 1964, I, 2278, che hanno ricondotto tali atti nella previsione dell'art. 64 1. fall., precisando che essi costituiscono adempimento di doveri morali e sono quindi sottratti alla sanzione dell'inefficacia ex art. 64 quando risultino proporzionati al patrimonio del donante. Sull'argomento cons, in dottrina, Maffei Alberti, op. cit., 194 ss., e, con riguardo allo specifico problema dei beni acquistati dal coniuge del fallito e costituiti in patrimonio familiare, Salanitro, op. cit., 201 ss.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
bene costituito in patrimonio autonomo, vincolato tra l'altro
nell'interesse della figlia minore, non poteva essere sottoposto ad
esecuzione per debiti che i creditori conoscevano essere stati
contratti con scopi estranei ai bisogni della famiglia. La Cisero chiedeva, pertanto, in via preliminare, la sospensione
del processo esecutivo, e, nel inerito, in via principale dichiararsi
l'estraneità dell'immobile de quo alle attività fallimentari e la non
assoggettabiltà all'esecuzione e, in via subordinata, disporsi la
divisione dell'immobile in due lotti uguali, limitando la esecuzio
ne al solo lotto attribuito a Sara Eliseo.
Il fallimento, costituitosi, resisteva alle domande azionate ex
adverso ed osservava, in merito all'immobile, che la quota inte
stata a Cisero Giovanna risultava assoggettabile alla presunzione muciana ex art. 70 1. fall., essendo stata acquistata dalla predetta in periodo sospetto, e, inoltre, che il successivo conferimento
dell'immobile nel fondo patrimoniale era revocabile quale atto a
titolo gratuito o comunque effettuato in pregiudizio dei creditori.
Con citazione 19 febbraio 1981, il fallimento medesimo conve
niva in giudizio — dinanzi allo stesso Tribunale di Torino — i
coniugi Sara/Cisero, in proprio e quali legali rappresentanti della
figlia minore Cristina, deducendo che con atto 14 novembre 1980,
debitamente trascritto, notificato alla Cisero e non opposto nei
modi di legge, il curatore aveva acquisito ex art. 70 1. fall, la
quota di comproprietà indivisa dell'immobile de quo intestata alla
moglie del fallito e che la costituzione in patrimonio familiare era
comunque revocabile essendo avvenuta allorché il fallimento era
già oberato di debiti sia aziendali che personali (attinenti alla
costruzione della casa).
I convenuti, costituitisi, eccepivano l'incompetenza per territorio
del Tribunale di Torino a pronunciare sulle istanze attrici concre
tando queste un'azione reale immobiliare di competenza del
Tribunale di Casale Monferrato nel cui circondario è ubicato il
fabbricato. Inoltre contestavano la fondatezza della domanda del
fallimento diretta all'accertamento dell'avvenuta acquisizione della
quota della Cisero sull'immobile de quo ex art. 70 cit., avendo la
Cisero proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento che disponeva l'acquisizione, e non essendo più l'acquisizione medesima ammissibile perché la detta quota dell'immobile non
era più del coniuge fallito ma era stata costituita in patrimonio autonomo. Negavano, ancora, l'applicabilità dell'art. 64 1. fall,
perché nell'atto di costituzione del fondo patrimoniale non poteva ravvisarsi un atto a titolo gratuito, bensì un contratto plurilatera le essendo il patrimonio separato costituito con apporti di en
trambi i coniugi; assumevano, infine, che all'atto della costituzio
ne in fondo patrimoniale Sara Eliseo non era in istato di
insolvenza e che la costruzione dell'immobile e l'acquisto del
terreno erano avvenuti prevalentemente con denaro della moglie,
proveniente parte dall'eredità del padre e parte dalle attività dalla
stessa svolte per conto proprio. Con ordinanza 16 luglio 1981, il g.i. disponeva la riunione delle
due cause.
Con sentenza 18 maggio-11 luglio 1982, l'adito tribunale rileva
va che entrambe le domande del fallimento risultavano già introdotte con la comparsa di costituzione nella causa di opposi zione promossa da Cisero Giovanna, la quale non aveva sollevato
alcuna eccezione di incompetenza con la successiva memoria di
replica; riteneva che comunque l'eccezione di incompetenza terri
toriale era infondata in quanto le predette domande non concre
tavano alcuna delle azioni previste a difesa del diritto di proprie tà o degli altri diritti reali su beni immobili per le quali operava la riserva di competenza prevista dall'art. 24 1. fall. Rigettava,
quindi tale eccezione e decideva nel merito.
Contro questa sentenza Eliseo e Cristina Sara hanno proposto ricorso per regolamento di competenza. Il fallimento si è costitui
to ed ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione. — Il ricorso investe, con riguardo al
profilo della competenza per territorio, entrambe le questioni di
merito controverse fra le parti e cioè quella concernente l'appli cabilità della presunzione muciana (art. 70 1. fall.) e quella sulla
revocabilità della costituzione in fondo patrimoniale (art. 167 c.c.)
dell'immobile, intestato al fallimento Sara Eliseo e alla di lui
moglie Cisero Giovanna in ragione della metà per ciascuno di
essi. I ricorrenti Sara Eliseo e la figlia Cristina, nell'interesse
della quale, allora minorenne, era stato vincolato il bene costitui
to in fondo patrimoniale, censurano la sentenza impugnata per avere rigettato l'eccezione di incompetenza per territorio so
stenendo che entrambe le questioni, in quanto hanno per og
getto un immobile, esulano dalla competenza del Tribunale di
Torino che ha dichiarato il fallimento di esso Sara Eliseo ed
appartengono, invece, in base all'inciso finale dell'art. 24 1. fall., alla competenza del Tribunale di Casale Monferrato, nel cui circondario lè ubicato l'immobile (art. 21 c.p.c.).
Il Foro Italiano — 1983 — Parte I-195.
Con riferimento alla prima questione — quella sulla sussistenza
o meno dei presupposti della presunzione muciana — il fallimen
to resistente, premesso che la Cisero Giovanna, l'unica legittimata a contrastare l'attuazione della detta presunzione (in quanto
coniuge del fallito Sara Eliseo), non ha proposto il ricorso,
eccepisce il difetto di interesse dei due odierni ricorrenti, ossia di
Sara Eliseo (« per di più fallito in proprio e quale accomandata
rio » della fallita s.a.s. Indel) e di Sara Cristina (ora maggioren ne), « interessata al solo atto (revocando e revocato) di costitu zione in fondo patrimoniale ».
L'eccezione è infondata. Perché la costituzione della quota (sull'immobile) di Cisero Giovanna (coniuge del fallito) nel fondo
patrimoniale (quale atto dispositivo a contenuto patrimoniale: Cass. 24 giugno 1968, n. 2109, Foro it., Rep. 1968, voce Frode e
simulazione, n. 10) possa essere dichiarata inefficace ai sensi dell'art. 64 1. fall, o possa essere revocata ai sensi dell'art. 70, 2°
comma, 1. fall, (secondo l'orientamento di quella parte della dottrina che ritiene applicarsi tale ultima norma anche agli atti di alienazione a titolo gratuito), è necessario che sussistano anche le condizioni per l'applicabilità della presunzione muciana. Altrimen ti quell'atto, cosi' come qualsiasi altro atto di alienazione del
coniuge fallito, sarebbe da ritenersi legittimo ed efficace in quanto posto in essere da soggetto non fallito ed intestatario del bene che ne è oggetto. Pertanto, al pari, in genere, di ogni avente causa dal coniuge del fallito, Sara Eliseo e Sara Cristina, legittimati a resistere alla domanda del curatore circa la declaratoria di inefficacia della predetta costituzione nel fondo patrimoniale, possono evitare siffatta declaratoria anche contestando (come in effetti hanno contestato) che il denaro impiegato dalla Cisero per l'acquisto fosse del marito e dimostrando perciò che non è
applicabile la presunzione muciana (Cass. 20 marzo 1972, n. 845, id., 1972, I, 3438). Di conseguenza appare evidente che gli odierni ricorrenti, che hanno già eccepito (congiuntamente alla
Cisero) nel giudizio di primo grado l'incompetenza del Tribunale di Torino senza che ne fosse contestata dal fallimento ed esclusa dal tribunale la loro legittimazione, hanno interesse a riproporre, in via autonoma, l'eccezione con il regolamento di competenza perché venga definitivamente ed immediatamente risolto il profilo della competenza riguardo alla domanda sull'applicabilità della
presunzione muciana, dalla cui decisione dipenderà, come si è
detto, quella sulla declaratoria di inefficacia dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale.
Il ricorso, con riguardo alla questione sulla sussistenza dei
presupposti della presunzione muciana, pur se ammissibile, è tuttavia infondato.
È esatto che il bene acquistato, per la metà indiviso, dalla Cisero e dalla medesima poi costituito in fondo patrimoniale ha natura immobiliare. Tuttavia la pretesa del curatore di ritenere tale acquisto soggetto alla presunzione muciana e la correlativa contestazione della Cisero e degli odierni ricorrenti non implicano l'esercizio di azioni reali immobiliari e pertanto la loro cognizione non si sottrae, ai sensi dell'inciso finale dell'art. 24 1. fall., alla
competenza esclusiva del Tribunale di Torino che ha pronunciato il fallimento di Sara Eliseo.
In realtà nella dottrina formatasi nella vigenza del codice di commercio del 1865 (art. 675) e del codice di commercio del 1882 (art. 782) si attribuiva alle azioni connesse alla presunzione muciana natura reale e si ravvisava nell'onere posto a carico della moglie di vincere la presunzione sulla provenienza del denaro occorso per l'acquisto del bene un onere di rivendicare la
proprietà del bene medesimo. Tale tesi trovava un qualche sostegno nella formulazione letterale delle due predette norme le
quali disponevano entrambe, con qualche lieve variante formale, «... si presume che i beni acquistati dalla moglie del fallito
appartengano al marito e che siano stati pagati con danaro di lui; perciò quei beni devono essere riuniti alla massa del falli mento, ma la moglie è ammessa a provare il contrario ». Perciò, si argomentava, se i beni acquistati dalla moglie « devono essere riuniti alla massa del fallimento » automaticamente, per effetto della sola dichiarazione di fallimento e senza un'ulteriore pronun cia giudiziaria, la moglie, proponendo l'opposizione, viene ad esercitare un'azione di rivendicazione, nei confronti della massa, che ha già consentito l'acquisizione dei beni. In sostanza si sosteneva che con l'opposizione della moglie s'instaurava una causa sull'appartenenza della proprietà.
Correlativamente, la dottrina ravvisava il fondamento delle due norme nello scopo di impedire accordi fraudolenti fra i coniugi a danno dei creditori del coniuge commerciante e spiegava il meccanismo delle norme medesime affermando che esse presume vano che, ove la moglie non dimostrava di aver impiegato mezzi non provenienti dal patrimonio del fallito, i beni da essa acqui stati dovevano ritenersi effettuati con denaro del fallito e per
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3031 PARTE PRIMA 3032
conto di lui, per cui la dichiarazione di fallimento, eliminando automaticamente l'interposizione della moglie, attribuiva la loro
proprietà al fallito. In effetti, però, tale teoria non si avvedeva che finiva con il qualificare di natura non reale l'azione della
moglie, in quanto diretta a contrastare il presunto carattere fiduciario dell'intestazione dei beni al suo nome e quindi la
sussistenza del diritto personale del marito a pretendere da essa
l'adempimento dell'obbligazione di trasferirgli il bene.
Negli ultimi tempi della vigenza del codice di commercio del
1882 veniva proposta un'altra teoria (oggi largamente prevalente nella dottrina), detta oggettiva perché prescinde da ogni possibile intento dei coniugi, secondo la quale il legislatore, con la
presunzione muciana, riconosce al fallito nei confronti del coniu
ge un diritto di credito conseguente alla presunzione (non supera ta) che quest'ultimo avrebbe impiegato nell'acquisto del bene
denaro del primo e surroga il diritto di credito del fallito (e
quindi della massa) alla proprietà del bene acquistato dal coniuge ai fini della sola esecuzione copcorsuale. È evidente che in base a
tale teoria l'azione eventualmente spiegata dal curatore per otte
nere la declaratoria di applicabilità della presunzione muciana e
quella contrapposta del coniuge, diretta a contrastare tale appli
cabilità, vengono ad avere per oggetto, come si afferma dagli studiosi che accolgono la detta teoria, l'accertamento, positivo o
negativo, di un diritto di credito e, quindi, a qualificarsi come
azioni di natura personale.
Il testo del vigente art. 70, pur ricalcando genericamente quello delle norme corrispondenti dei codici dell'800, per l'influenza
della teoria oggettiva riferita e per l'evoluzione registratasi nel
pensiero giuridico ha avuto una formulazione alquanto diversa
sotto vari riflessi: per quanto qui interessa, va sottolineato che
l'art. 70 precisa che i beni acquistati dal coniuge del fallito si
presumono « di fronte ai creditori », « salvo prova contraria »,
acquistati con danaro del fallito e « si considerano » proprietà di
lui. Perciò la prova contraria può investire soltanto la presunzio ne sulla provenienza del denaro occorso per l'acquisto del bene e, se essa non viene vinta, la presunzione spiega efficacia soltanto di
fronte ai creditori del fallito e la proprietà si considera del
medesimo sempre nei confronti di costoro. Sembra perciò alla
corte che l'art. 70, 1° comma, 1. fall, attribuisca ai creditori del
fallito nient'altro che il diritto di soddisfarsi esecutivamente
anche sui beni del coniuge, da questi acquistati a titolo oneroso
nel quinquennio anteriore al fallimento, come se fossero del fal
lito, ma senza incidere affatto sulla proprietà del bene, che rimane
in capo al coniuge.
In sostanza, la norma include nella garanzia dei creditori del
fallito (art. 2740 c:c.) anche i beni del coniuge (che siano stati da
esso acquistati a titolo oneroso nel quinquennio anteriore al falli
mento), da considerarsi, a tal fine soltanto, come di proprietà del
fallito. L'effetto pratico dell'operatività della presunzione muciana
è identico a quello previsto negli art. 64 e 65 1. fall, e a quello
ricollegato dalla legge alla revocatoria, seppure ne è diverso lo
strumento tecnico-giuridico (a quest'ultimo riguardo, Cass. 3 apri le 1973, n. 899, id., 1973, I, 3110).
Pertanto, l'azione del curatore diretta a far dichiarare l'applica bilità dell'art. 70, 1° comma, concerne in via immediata l'accerta
mento dell'operatività della presunzione sulla provenienza del
denaro impiegato nell'acquisto ed in via mediata quello del
diritto dei creditori del fallito di soddisfarsi sul bene del coniuge, e correlativamente l'opposizione del coniuge mira a vincere la
detta presunzione e a contrastare la pretesa della massa di
assoggettare all'esecuzione concorsuale il proprio bene. Si tratta, di conseguenza, di azioni personali e non reali, rientranti nella
competenza funzionale del tribunale fallimentare (in tal senso, sia pure incidentalmente, già Cass. 26 aprile 1969, n. 1357, id.,
1969, I, 2932) e tale attribuzione della competenza trova conforto, ancorché incisamente ma chiaramente, nella relazione ministeriale
alla legge fallimentare ed è inoltre condivisa, con motivazioni
varie, da quasi tutta la dottrina.
Occorre anche osservare che, avendo la Cisero conferito la sua
quota sull'immobile nel fondo patrimoniale, non si tratta più in
ogni caso di « considerare » attualmente del fallito la proprietà di
tale quota o di contrastare siffatta « considerazione », bensì,
soltanto, di far accertare o escludere l'inefficacia del conferimen to. L'applicabilità o meno della presunzione muciana rileva come
presupposto dell'azione di inopponibilità nei confronti dei credi
tori del fallito dell'atto di costituzione nel fondo patrimoniale e
perciò, una volta che tale ultima azione rientra, senza dubbio, nella competenza del tribunale fallimentare, ne deriva che questo deve, altresì, ritenersi competente ad esaminare se quel presup posto in concreto ricorra o no.
In sostanza il petitum è uno solo, quello relativo all'efficacia
dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale, seppure si ponga
rispetto ad esso come questione pregiudiziale l'accertamento se sarebbero esistite o meno le condizioni richieste per l'applicazione della presunzione muciana.
Va da sé, poi, che appartengono pure alla competenza del tribunale fallimentare le domande circa l'efficacia o meno del conferimento da parte del fallito della propria quota sull'immobi le nel fondo patrimoniale. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 5 otto bre 1983, n. 5793; Pres. G. Caleca, Est. Rotunno, P. M. Ca telani (conci, conf.); Gelati '(Avv. Petrucci) c. Condominio
piazza Roma 6, Lecce (Aw. Dente). Cassa App. Lecce 30
giugno 1980.
Comunione e condominio — Condominio negli edifìci — Delibe razione assembleare — Ripartizione delle spese comuni —
Contrasto con la disciplina del regolamento condominiale —
Mancata approvazione all'unanimità — Nullità — Conseguenze (Cod. civ., art. 1135, 1137, 1138).
La deliberazione assembleare che, in difetto di totale accordo dei
condomini, imponga per la ripartizione delle spese comuni (nella specie, di portierato) criteri diversi da quelli contenuti nel regolamento condominiale è affetta da nullità assoluta e, come tale, non assoggettata ai termini indicati dall'art. 1137 c.c.
per la relativa impugnazione. (1)
(1) In senso conforme v. Cass. 8 novembre 1977, n. 4774, Foro it., Rep. 1978, voce Comunione e condominio, n. 137 (con la precisazione che la delibera in questione è affetta da nullità relativa); cfr., inoltre, la risalente decisione di Trib. Milano 29 agosto 1960, id., Rep. 1961, voce cit., n. 150, che affermò la nullità delle deliberazioni con cui era stata disposta la ripartizione delle spese di riscaldamento « in base al numero degli elementi radianti esistenti in ogni appartamento, anziché in proporzione ai millesimi di proprietà di ciascun condomino, risul tante contrattualmente convenuto negli atti di acquisto di ogni singola proprietà » (ma, come osserva Salis, Deliberazione di assemblea sul riparto delle spese per il riscaldamento, in Riv. giur. edilizia, 1961, T, 740, annotando la su citata decisione, nel caso di specie non era dato individuare un regolamento condominiale già in vigore, in quanto gli acquirenti si erano impegnati « solo all'osservanza di un regolamento ancora da emanare », e, in ogni caso, in tale *
progetto ' di regola
mento mancava « una qualunque disposizione che regolasse] il riparto tra i condomini delle spese di riscaldamento »); contra, Cass. 25 ottobre 1975, n. 3558, Foro it., Rep. 1975, voce cit., n. 105, a cui dire è annullabile la deliberazione concernente le spese di manutenzione e riparazione dell'ascensore che vengano imposte solo ad alcuni condo mini, « in asserito contrasto con le clausole del regolamento condomi niale»; Cass. 5 dicembre 1963, n. 3087, id., Rep. 1964, voce cit., n. 226, che ha ritenuto annullabile la deliberazione assembleare con cui si esonerava il proprietario di un lastrico solare dalle partecipazioni alle spese di manutenzione delle scale, pur in presenza di diverse disposi zioni contenute nel regolamento.
Va da sé come il regime delle impugnazioni di un siffatto modello di deliberazioni assembleari rifletta il valore ' sostanziale '
assegnato alle disposizioni regolamentari che dettano i criteri di ripartizione delle spese tra i condomini (con un'analoga argomentazione la decisione a sezioni unite 5 maggio 1980, n. 2928, id., 1980, I, 1627, con nota di richiami di Branca, ha regolato il contrasto giurisprudenziale sorto in margine all'individuazione del tipo di invalidità afferente alle delibera zioni che avessero ripartito le spese comuni in modo diverso da quello legale, avallando l'orientamento che affermava la nullità di siffatte deliberazioni; la Cassazione, infatti sottolineando l'impossibilità per l'assemblea di incidere sui diritti dei singoli, ha precisato che « assume rilievo decisivo per la questione in esame la considerazione che la misura della contribuzione alle spese per le cose comuni dell'edificio condominiale costituisce un aspetto del diritto di ciascuno di essi, in quanto spesa costante, superiore a quella dovuta, si risolve in una diminuzione del valore della parte di edificio di proprietà del singolo condomino, diminuzione pari alla capitalizzazione della maggiore con tribuzione »); sicché, ove si ritenga che le disposizioni del regolamento condominiale in esame costituiscano semplici norme regolamentari, si dovrà ammettere la loro modificabilità anche a mezzo di deliberazione assembleare non approvata all'unanimità, mentre ove si acceda all'opi nione che individua nelle clausole suddette delle clausole che limitano i diritti dei condomini sulle cose comuni, sarà giocoforza sostenere la modificabilità di tali norme esclusivamente col consenso di tutti i condomini, pena la nullità della relativa delibera. La giurisprudenza non sembra avere dubbi al riguardo; la modificazione delle clausole relative alla ripartizione delle spese comuni richiede l'unanimità dei consensi dei condomini (cosi Cass. 6 dicembre 1978, n. 5769, id., Rep. 1978, voce cit., n. 104; 3 aprile 1970, n. 882, id., 1970, I, 1371, con nota di Branca, ove ulteriori richiami), e lo stesso vale per le modifiche da apportare a quelle clausole che regolano la struttura e l'utilizzazione delle cose comuni (v. Cass. 9 dicembre 1982, n. 6725,
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