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sezione I civile; sentenza 18 ottobre 1984, n. 5265; Pres. Sandulli, Est. Lipari, P.M. Paolucci...

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sezione I civile; sentenza 18 ottobre 1984, n. 5265; Pres. Sandulli, Est. Lipari, P.M. Paolucci (concl. conf.); Annunziata (Avv. Bruni) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Salimei). Conferma Comm. trib. centrale 24 maggio 1980, n. 3304 Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 5 (MAGGIO 1985), pp. 1407/1408-1413/1414 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177895 . Accessed: 28/06/2014 13:24 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.80 on Sat, 28 Jun 2014 13:24:48 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 18 ottobre 1984, n. 5265; Pres. Sandulli, Est. Lipari, P.M. Paolucci(concl. conf.); Annunziata (Avv. Bruni) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Salimei). ConfermaComm. trib. centrale 24 maggio 1980, n. 3304Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 5 (MAGGIO 1985), pp. 1407/1408-1413/1414Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177895 .

Accessed: 28/06/2014 13:24

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1407 PARTE PRIMA 1408

in contrasto logico giuridico con le premesse di diritto, e risulta

adeguatamente motivata in aderenza agli accertamenti di fatto in

concreto compiuti, che possono cosi sintetizzarsi: incidente stra

dale imputabile al ten. col. Balzano verificatosi il giorno 29 luglio mentre la licenza dello stesso durava sino al 31 successivo; incidente avvenuto mentre con auto propria l'ufficiale rientrava da Maiori (località di villeggiatura) a Livorno (abituale sede di

lavoro) dove avrebbe poi dovuto, con la ripresa del servizio,

prelevare dei documenti necessari per una riunione a Roma fissata per il 1° agosto 1969.

Nella situazione descritta la mancanza del necessario collega mento tra il viaggio in questione e l'attività dell'amministrazione, affermata dalla sentenza qui impugnata, non merita rilievi critici

in quanto detto viaggio non aveva come finalità immediata e

diretta l'espletamento di un'incombenza affidata al Balzano, non

era lo strumento per portare a termine un compito istituzionale.

Non è da escludere che la circostanza della partecipazione alla

riunione a Roma del 1° agosto possa aver spinto il Balzano ad

anticipare il rientro dalla licenza per predisporre il successivo

viaggio nella capitale, ma trattasi di un'iniziativa personale, liberamente attuata con le modalità indicate, e non di un

comportamento imposto per soddisfare imprescindibili esigenze d'ufficio che, se del caso, l'ufficiale avrebbe potuto tempestiva mente rappresentare ai suoi superiori per le opportune determina

zioni.

In concreto, all'ufficiale nessun ordine di rientro era stato

notificato; ed il viaggio da lui voluto e deciso non si differenzia

sostanzialmente da quello normalmente compiuto dal dipendente

che, approssimandosi la scadenza delle ferie, rientra nella città

sede dell'ufficio liberamente scegliendo il giorno, il mezzo ed il

percorso. In definitiva un viaggio non di servizio e neppure in

attualità di servizio, non essendo ancora scaduta la licenza.

Il ricorso deve essere pertanto respinto. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 18 ottobre

1984, n. 5265; Pres. Sandulli, Est. Lipari, P.M. Paolucci

(conci, conf.); Annunziata (Avv. Bruni) c. Min. finanze (Avv.

dello Stato Salimei). Conferma Comm. trib. centrale 24 mag

gio 1980, n. 3304.

Tributi in genere — Condono fiscale — Disciplina — Ripetizione

delle maggiori somme versate a titolo di ritenute d'acconto —

Inammissibilità (D.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, t.u. delle

imposte dirette, art. 177; 1. 19 dicembre 1973 n. 823, conver

sione in legge, con modificazioni, del d.l. 5 novembre 1973 n.

660, recante norme per agevolare la definizione delle penden

ze in materia tributaria).

Va esclusa la ripetibilità delle ritenute d'acconto versate in

eccedenza rispetto all'effettivo debito risultante dall'accertamento

automatico previsto dalla legge sul condono, né tale maggior

importo rileva ai fini dell'esclusione del pagamento delle addi

zionali commisurate all'imposta scaturita dall'applicazione del

condono. (1)

(1) In senso conforme v. Cass. 29 ottobre 1981, n. 5696, Foro it.,

Rep. 1982, voce Tributi in genere, n. 1092, nonché, per la giurispru

denza della Commissione tributaria centrale, dee. 14 marzo 1983, n.

287, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1360; 2 luglio 1982, n. 5796, ibid., n.

1272; 16 marzo 1981, n. 3118, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1268; 18

giugno 1980, n. 7192, ibid., n. 1271; 15 marzo 1980, n. 3304, id., Rep.

1980, voce cit., n. 1310; nel senso, invece, dell'ammissibilità della

ripetizione, anche ove non sia stata fornita la documentazione relativa

alle ritenute di cui si chiede il rimborso, v. Comm. trib. centrale 11

marzo 1982, n. 2412, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1099; 12 gennaio

1982, n. 218, ibid., n. 1096; 28 aprile 1981, n. 4736, ibid., n. 1094; 16

febbraio 1981, n. 1866, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1269; 15 gennaio

1981, n. 378, ibid., n. 1270; 13 novembre 1980, n. 11482, id., Rep.

1982, voce cit., nn. 1095, 1097; 10 luglio 1980, n. 8222, ibid., n. 1098;

7 luglio 1980, n. 8232, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1272; 23 giugno

1980, n. 7622, ibid., n. 1273; 29 ottobre 1979, n. 11260, id., Rep.

1980, voce cit., n. 1306; 28 giugno 1979, n. 8390, ibid., n. 1307; 30

aprile 1978, n. 4746, ibid., n. 1308; 26 settembre 1978, n. 11358, ibid.,

n. 1311; 16 giugno 1979, n. 7788, id., Rep. 1979, voce cit., n. 955; 10

febbraio 1979, n. 2046, ibid., n. 956; 14 dicembre 1978, n. 11370,

ibid., n. 957; 16 novembre 1978, n. 15660, ibid., n. 958; per gli

organi di merito della giustizia tributaria v. Comm. trib. Il grado

Perugia 17 marzo 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1361; Comm. trib.

I grado Roma 10 novembre 1978, id., Rep. 1980, voce cit., n. 1312;

II Foro Italiano — 1985.

Svolgimento del processo. — Nel 1973 Antonio Annunziata

percepiva dalla s.p.a. Dosa dividendi per 400 milioni, sui quali veniva applicata una ritenuta d'acconto di lire 21.750.000 (di cui

lire 250.000 per addizionali). In data 27 marzo 1974 l'Annunziata chiese la definizione

automatica della imposta complementare, dovuta per il 1973; e i

suoi redditi furono determinati, ai sensi dell'art. 4, 5° comma, d.l. 5 novembre 1973 n. 660, come modificato dalla legge di conver

sione 19 dicembre 1973 n. 823, sulla base di un imponibile di lire

43.600.000 (mentre, secondo i normali criteri, all'imponibile di

400 milioni avrebbe dovuto corrispondere un'imposta di lire

234.800.000). Su tale imponibile l'ufficio distrettuale delle imposte di Prosinone isorisse a ruolo l'imposta di lire 9.801.280, oltre agli accessori (addizionali per lire 3.350.756), senza tenere alcun conto della menzionata ritenuta d'acconto.

Riconosciuto l'errore, a seguito di reclamo dell'interessato, l'ufficio dispose il rimborso con provvedimento di sgravio del

gennaio 1975 in ragione di litre 13.152.036 (lire 9.801.280 4- lire

3.350.756); ma rifiutò di restituire la differenza fra i maggiori acconti corrisposti in ragione di lire 21.725.000 e l'imposta risultante effettivamente dovuta.

Successivamente, peraltro, lo stesso ufficio provvedeva, con i

ruoli di settembre del 1975, alla iscrizione delle addizionali, calcolate sulla somma maggiore corrisposta a titolo di acconto

(anziché sull'ammontare della imposta liquidata automaticamente

per condono) in ragione di lire 7.968.652. Tale iscrizione in accoglimento del ricorso del contraente veni

va dichiarata (totalmente) illegittima dalla commissione di primo grado, nella considerazione che il fisco aveva incamerato la ritenuta d'acconto in misura superiore a quanto dovuto sulla base della definizione automatica operata in sede di condono ex lege n.

823/73.

La commissione di secondo grado, su ricorso del contribuente, ne

gava la legittimità della pretesa alla restituzione della eccedenza di

ritenuta d'acconto, osservando che l'imputazione a tale titolo ade

guatamente documentata non consente il rimborso per la parte ecce

dente il debito scaturente dalla definizione automatica; mentre in

ordine all'ulteriore problema delle addizionali, osservava che erano

sicuramente dovute, ma andavano commisurate alla imposta scatu

rita dall'applicazione del condono (e non all'ammontare della

ritenuta d'acconto), atteso il loro carattere di accessorietà.

Il contribuente ricorreva alla Commissione centrale, sostenendo

la infondatezza dell'assunto dell'amministrazione circa la non ripeti bilità della somma eccedente l'importo dell'imposta definitiva dovuta in base alla legge sul condono e pagata a titolo di ritenuta d'acconto; e la illegittimità della iscrizione a ruolo delle addizionali di imposta applicata sulla ritenuta d'acconto, nelle

ipotesi in cui, come nel caso di specie, era stata acquisita dal fisco somma superiore all'importo dovuto, maggiorata delle suddet te addizionali.

Ma la C.t.c. respingeva il ricorso confermando in ogni sua parte la decisione impugnata. Osservava il collegio che le questioni proposte erano due; riguardando la prima la ripetibilità di quella parte della ritenuta d'acconto risultata in eccedenza rispetto all'ammontare delle imposte liquidate per effetto deEa domanda di

condono; e la seconda l'applicazione delle addizionali. Esattamente la ripetibilità era stata esclusa poiché lo scopo

della definizione automatica delle pendenze tributarie, nella logica

Comm. trib. II grado Reggio Emilia 5 dicembre 1977, id., Rep. 1978, voce cit., n. 1045; Comm. trib. II grado Terni 11 marzo 1977, id.,

Rep. 1977, voce cit., n. 1146. Per le diverse ipotesi in cui, dopo la definizione dell'imposta

mediante l'accertamento automatico previsto dalla legge sul condono,

vengono eseguite ritenute a titolo di acconto relative a periodi d'imposta precedenti il 31 dicembre 1973, cfr. Comm. trib. centrale 11

dicembre 1979, n. 13058, id., Rep. 1980, voce cit., n. 1313, a cui dire vanno restituite le somme versate a tale titolo.

Circa l'ammissibilità del ricorso contro il ruolo per divergenza tra l'ammontare dell'imposta dovuta a seguito di condono e l'ammontare della ritenuta effettuata a titolo d'acconto, v. Comm. trib. centrale 16

giugno 1979, n. 7788, id., Rep. 1979, voce cit., n. 320, e 30 aprile 1978, n. 4746, cit.

La circolare min. fin., dir. gen. imp. dir., 23 gennaio 1975, n.

9/196, ricordata in motivazione, si legge in Bollettino trib., 1975, 307; Nuova riv. trib., 1975, 181; Legislazione e giur. trib., 1975, 151; Giust.

trib., 1975, 137; Rass. iva, 1975, 333; Iva e trib. erariali, 1975, suppl. 4, 145; Imp. dir. erariali, 1975, III, 36; Riv. fise., 1975, 978.

In dottrina cons. Correale, Notazioni in tema di condono fiscale, in Riv. dir. fin., 1979, II, 65; Pietrantonio, Scomputo delle ritenute d'acconto e condono ex d.l. 660/73, in Imp. dir. erariali, 1978, II, 145; Spaziani Testa, Condono e rimborso di ritenuta d'imposta in acconto, in Comm. trib. centr., 1977, II, 760.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

delle disposizioni di cui al di. 5 novembre 1973 n. 660, era stato

quello di contenere le obbligazioni tributarie nell'ambito delle

situazioni che si erano manifestate in epoca anteriore alla data di

efficacia della legge stessa, con rinuncia da parte del fisco alla

propria potestà di pervenire alla determinazione dai tributi con i

consueti mezzi di accertamento dei redditi, dovendo essere questi stabiliti sulla base degli elementi acquisiti agli atti; e poiché era

stata perseguita l'esigenza di eliminare il maggior numero di

pendenze tributarie, in vista dell'entrata in vigore dei nuovi

metodi di imposizione introdotti dalle leggi di riforma tributaria,

andavano considerate definite le situazioni tributarie aventi carat

tere di certezza, risultanti da decisioni in sede contenziosa, da

provvedimenti di iscrizione a ruolo delle imposte sulla base degli

imponibili dichiarati dai contribuenti, nonché (estensivamente) dalle ritenute d'acconto operate su emolumenti ad esse sottoposti, o su utili distribuiti (dovendosi tener conto al riguardo, integran

dola, della norma dell'ult. comma dell'art. 2 1. n. 823/73). In

ordine alla addizionale, trattandosi di tributi accessori alla impo sta principale, il loro ammontare andava calcolato sulla misura di

questa, determinata alla stregua delle norme sul condono (e cioè, nel caso di specie, la somma di lire 9.801.280, e non su quella di

oltre 20 milioni, di cui alla ritenuta d'acconto versata il 29

dicembre 1973).

Contro la riassunta decisione il contribuente ha presentato ricorso per cassazione articolato su due motivi. Resiste l'ammini

strazione finanziaria con controricorso.

Motivi della decisione. — 1. - Come risulta dalla narrazione

che precede la materia del contendere sottoposta al collegio

riguarda due problemi fra loro connessi.

Si tratta, in primo luogo, di stabilire se, in applicazione delle

norme sul condono, di cui al d.l. 5 novembre 1973 n. 669, convertito, con modificazioni, nella 1. 19 dicembre 1973 n. 823, il

contribuente possa pretendere la differenza rispetto a quanto versato in più per ritenuta d'acconto; ed in secondo luogo di

accertare e di verificare se si possa quantomeno imputare sulla

suddetta differenza l'ammontare delle addizionali.

Sia la commissione di secondo grado che quella tributaria

centrale hanno dato risposta negativa ad entrambi i quesiti, che formano oggetto dei due motivi del presente ricorso, con i quali il contribuente ripropone e sviluppa le ragioni giuridiche prospettate, senza fortuna, ai giudici tributari.

Con il primo mezzo, denunciando la violazione dell'art. 10 1. 19 dicembre 1973 n. 823, degli art. 143 e 177 d.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, 3, 5° comma, 1. 29 dicembre 1962 n. 1745, nonché della 1. 19 maggio 1967 n. 336, si censura la decisione della C.t.c. per avere negato la ripetibilità delle maggiori ritenute d'acconto

versate, rispetto all'effettivo debito risultato in applicazione del

l'accertamento automatico previsto dalla legge sul condono, in

adesione all'orientamento dell'amministrazione secondo cui l'impu tazione delle ritenute alla fonte, adeguatamente documentate, non

potrebbe in alcun modo portare al rimborso dell'ammontare delle

ritenute stesse, eccedenti il debito di imposta relativo agli imponi bili definiti ai sensi del provvedimento agevolativo. Secondo la

decisione impugnata, la procedura di determinazione automatica

dell'imponibile, e quindi dell'imposta, prescindendo da ogni valu

tazione analitica delle componenti dello stesso reddito, cristallizza

le situazioni pendenti, precludendo da un lato alla amministrazio

ne finanziaria la ricerca di analisi dei redditi dichiarati, e

dall'altro ai contribuenti il rimborso delle eccedenze delle ritenu

te alla fonte rispetto al debito di imposta definitivamente risultan

te dall'applicazione delle norme sul condono, per il fatto stesso

che, con il loro comportamento, richiedendo appunto il condono,

costoro hanno rinunciato all'esame analitico della loro posizione fiscale.

Assume il ricorrente che l'automatismo dell'ingranaggio determi

nativo dell'imponibile, alla stregua dello strumento del condono,

resta circoscritto, e si esaurisce, in tale determinazione, non

potendo travolgere le posizioni debitorie e creditorie che discen

dono dal rapporto tributario nel suo complesso, continuando la

ritenuta d'acconto a svolgere la funzione sua propria di predeter

minare, in via provvisoria, il tributo per essere rimborsata par

zialmente, o integrata, a seconda dell'ammontare definitivo della

obbligazione tributaria. Pertanto, cosi come l'erario ha diritto alla

integrazione ove l'acconto sia risultato insufficiente, al contribuente

correlativamente spetta il rimborso della differenza ove l'acconto

sia risultato eccedente.

La soluzione adottata dalla C.t.c. appare censurabile al ricorren

te perché determinerebbe una diversità di trattamento ingiustificata

fra contribuente e fisco, che può ottenere l'integrazione, mentre la

Il Foro Italiano — 1985 — Parte I- 91.

ripetizione è negata al debitore di imposta che abbia versato più del dovuto.

D'altra parte, si soggiunge, è significativo che la legge non

contenga alcuna statuizione espressa per escludere la ripetizione, che trova il suo fondamento normativo, di carattere generale, nell'art. 3, 5° comma, 1. 29 dicembre 1962 n. 1745. La soluzione

adottata dalla C.t.c. finisce cosi' per distorcere la funzione specifica della ritenuta d'acconto, trasformandola in imposta a carattere

definitivo.

Né giova richiamare, a sostegno di tale soluzione, l'ult. comma

dell'art. 2 1. n. 823, che si riferisce esclusivamente alle pronunce

giurisdizionali divenute definitive e agli imponibili iscritti o

iscrivibili a ruolo anteriormente alla entrata in vigore del decreto, ai isenisi degli art. 174 e 175, lett. b), t.u. n. 645/58.

Con il secondo motivo, sempre invocando a parametro le stesse

norme precedentemente richiamate, si sostiene che nessuna somma

poteva essere pretesa a titolo di addizionale, « stante la incontro

vertibile circostanza che l'imposta determinata con i criteri auto

matici è stata assorbita ad abundantiam nella ritenuta d'acconto ».

Ad avviso del contribuente non si deve riduttivamente affermare

che l'acconto versato in misura tale da coprire anche l'ammontare

delle addizionali, calcolate sulla imposta del tributo cosi come

automaticamente definito, valga comunque a soddisfare l'obbliga zione accessoria ma più radicalmente va postulata la non debenza, in assoluto, di qualsivoglia addizionale, poiché, non essendo dovu ta alcuna imposta, non sono dovute nemmeno le addizionali per il

loro carattere di accessorietà.

Le ritenute alia fonte devono essere prese in considerazione fino

alla concorrenza del debito di imposta, scaturente dagli imponibili definiti (inteso per debito di imposta quello scaturente dalla

imposta base maggiorata dagli accessori). Le addizionali non possono essere corrisposte due volte; ed in

ogni caso non sarebbe dovuta quella pro Calabria (in ragione di

lire 5.821.660) essendone già scaduto il termine ultimo di applica zione. La non debenza di questa specifica addizionale comporte rebbe la oarenza .di titolo alla riscossione dell'intero ammontare

delle addizionali.

Conclusivamente, secondo il contribuente, nel sistema della

legge di condono del 1973 l'imposta che scaturisce dall'imponibile automaticamente determinato, maggiorata dalle eventuali addizio

nali, rappresenta il solo ed unico onere tributario; e le maggiori ritenute di acconto rispetto all'anzidetto onere debbono essere

rimborsate.

2. - Il ricorso è infondato in entrambe le censure in cui si

articola.

Anche se al momento della sua notificazione questa Suprema corte non aveva avuto modo di pronunciare sul problema di cui

al primo mezzo, e la giurisprudenza della C.t.c. appariva oscillan

te (essendosi espressa a favore della tesi del fisco la sez. Vili con

decisione 14 luglio 1978, n. 11642; ed a favore della tesi del

contribuente altra decisione della medesima sezione 26 settembre

1978, n. 11358, Foro it., Rep. 1980, voce Tributi in genere, n.

1311, nonché la sez. V con decisione 29 ottobre 1979, n. 11260,

ibid., n. 1306), successivamente la questione della riperibilità delle ritenute alla fonte eccedenti il debito di imposta diretta (per r.m. e per complementare), corrispondente all'imponibile definito

in applicazione delle norme agevolative contenute nella normativa

sul condono fiscale del 1973, è stata affrontata e risolta dalla

sentenza di questa I sezione 29 ottobre 1981, n. 5696 (id., Rep. 1982, voce cit., n. 1092) la quale ha stabilito, dando adeguato

supporto argomentativo alla tesi dell'amministrazione finanziaria

(di cui alla nota 7 settembre 1974, n. 1543, alle risoluzioni 9/437 del 5 settembre 1974, 9/2125 del 21 gennaio 1975, ed alla

circolare del 23 gennaio 1975 n. 9/196) che il diritto del contribuen

te al rimborso delle ritenute effettuate in eccedenza rispetto

all'imposta dovuta, sancito dall'art. 177 d.p.r. 29 gennaio 1958 n.

645, resta neutralizzato e non può essere invocato, quando

l'imponibile sia stato calcolato automaticamente in applicazione delle nonne agevolative di cui alla legge sul condono del 1973.

Ritiene il collegio di condividere la soluzione cui la corte è

pervenuta con la ricordata sentenza e non reputa adeguate ad un

mutamento di indirizzo giurisprudenziale le notazioni del ricorren

te le quali nei loro spunti validi censurano talune argomentazioni dei giudici di merito, senza intaccare la esattezza della soluzione

raggiunta che va confermata, integrando, per quanto possa occor

rere, la motivazione, ai sensi dell'art. 384, 2° comma, c.p.c. La C.t.c. non ha risolto la controversia attraverso una applica

zione diretta dell'art. 2 1. n. 823/73, ma l'ha postulata in coerenza

con le implicazioni del sistema scaturente dalla legge sul condono.

Il problema si pone, infatti, perché il d.l. n. 660 (e la

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1411 PARTE PRIMA 1412

successiva legge di conversione) non l'ha risolto con disposizione espressa, diversamente da quanto stabilito in tema di imposte indirette (per le quali si precisa puntualmente che il contribuente

è ammesso a godere della definizione agevolata mediante il

pagamento di una aliquota di imposta: cfr. Cass. 3515/76, id.,

Rep. 1976, voce oit., n. 934, in motivazione; nonché successiva

mente numerosi precedenti conformi, fra cui Cass. 470/81, id.,

Rep. 1981, voce eit., n. 1280; 4873/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 1240; 4190/80, ibid., n. 1241; 1308/80, ibid., n. 1244, ecc.).

Essendo fuori discussione (anche nella presente controversia) che le ritenute d'acconto valgono per conguagliare l'imposta risultante dall'applicazione dell'aliquota sull'imponibile determinato

alla stregua del calcolo automatico indicato dalla legge di condo

no, si tratta di stabilire se è conciliabile con tale meccanismo, e

più in generale con le finalità della legge, la persistente operativi tà del principio per cui le ritenute d'acconto, presentandosi come

veri e propri « acconti » del futuro ed effettivo debito di imposta, restano soggette a conguaglio, anche rispetto alla determinazione

dell'imponibile effettuata in applicazione dell'art. 3 d.l. n. 660/73.

Ritiene il collegio che, in coerenza allo scopo perseguito dal

provvedimento di condono, il meccanismo posto in essere median

te calcolo automatico e non analitico dei redditi, escluda che vi

sia spazio per la persistente operatività dell'art. 177 t.u. n.

645/58. 3. - Il condono disciplinato dal d.l. 5 novembre n. 660, come

modificato dalla legge di conversione 19 dicembre 1973 n. 823, si

caratterizza, nella sua genesi, per la coincidenza con la riforma

tributaria cui, nello stesso contesto temporale, si poneva mano.

Nel momento in cui detta riforma diveniva operante, si volle

offrire al contribuente l'opportunità di chiudere le passate contro

versie in modo che la riforma potesse decollare senza che gli uffici restassero intasati dalle numerosissime controversie pendenti, iniziando ex novo un rapporto più corretto fra contribuente e

fisco alla stregua di una più sensibile coscienza tributaria (facendo

corrispondere al condono l'amnistia per i reati tributari).

Sulla « novità » del provvedimento del 1973 ha avuto modo di

soffermarsi la stessa Corte costituzionale (cfr. le sentenze 32 del

1976, id., 1976, I, 900; 96 del 1980, id., 1980, I, 2100; 119 del 1980,

ibid., 2378). Si tratta di provvedimento che intende creare le

migliori condizioni per l'avvio della riforma tributaria, agevolando,

prima ancora che la regolarizzazione di situazioni contra legem, la

definizione con metodo semplificato delle controversie esistenti

all'entrata in vigore del decreto legge. A tal fine — ed è questa la fondamentale circostanza che preme sottolineare — a differenza

di quanto era previsto nei precedenti provvedimenti di condono,

non si condiziona l'abbandono delle sanzioni alla definizione in

regime ordinario dei redditi, attesi gli obiettivi di rapidità, anzi

automaticità, che si intendevano raggiungere. Il contribuente può

soltanto presentare domanda irrevocabile (art. 10) per l'applica

zione del provvedimento, quando ritiene che la definizione cosi

realizzata sia più conveniente di quella conseguibile in regime

ordinario; l'amministrazione, dal canto suo, deve limitarsi ad

applicare gli schemi di definizione all'uopo predisposti, con tutte

le implicazioni logico-giuridiche che l'automatismo postula.

Questo dominante ed essenziale criterio dell'automatismo, corre

lato al venir meno rispetto alle fattispecie disciplinate dal condo

no della normale procedura di accertamento, comporta che, come

effetto conseguenziale del trattamento agevolato, entrambe le parti del rapporto tributario restino assoggettate alla specifica disciplina dettata per l'accertamento automatico, con tutti i corollari che ne

conseguono. Fra essi la non invocabilità dell'ingranaggio « com

pensativo » che correla l'acconto all'accertamento definitivo del

debito d'imposta attraverso un conguaglio che, secondo il segno aritmetico delle « poste » raffrontate, si risolve nella pretesa

integrativa del fisco, ovvero in quella restitutoria del contribuente.

La inerenza del conguaglio al « tipo » di accertamento analitico

comporta che l'abbandono di detta tipologia per quella dell'auto

matismo, prescelta dal contribuente perché ritenuta più convenien

te, spezza la corrispettività fra acconto e tributo definitivo, nel

senso che mentre quel che è stato pagato in prevenzione concorre

alla solutio del debito tributario, cosi come risulta automaticamen

te determinato, resta irripetibile l'eventuale supero correlato alla

analiticità dell'ordinario accertamento, non essendo più possibile

determinare, con effetti giuridici vincolanti, quanto si sarebbe

dovuto pagare, secondo il metodo analitico a titolo di imposta (e

di correlativa addizionale). Di un rimborso si potrebbe infatti

parlare legittimamente solo se il procedimento acoertativo, fosse

andato innanzi secondo il modello tipico di diritto comune. La

sostituzione del modello comporta l'abbandono al fisco del quid

Il Foro Italiano — 1985.

pluris che potrebbe venire a risultare, come ineluttabile conse

guenza della operata scelta.

L'equivoco di fondo della difesa del contribuente sta, appunto, nel non aver colto l'elemento per cosi dire transattivo, che

caratterizza l'istituto del condono, attraverso l'integrale sostituzione

del modello accertativo e nel pretendere di cumulare un doppio

vantaggio: quello in ipotesi riconducibile alla procedura normale

di accertamento e quello scaturente dalla determinazione automa

tica dell'imponibile. Nel sistema normale la ritenuta d'acconto è una quota del

futuro tributo; e quindi ne va tenuto conto secondo la doppia valenza dell'insufficienza o dell'eccesso, con l'effetto che se a

seguito di definizione dell'accertamento risulta un « attivo » o un « passivo » si procede al conguaglio. Ma questa bivalenza della

ritenuta d'acconto, proprio perché si collega al normale accerta mento analitico (con tutte le lungaggini ed incertezze determinati ve che vi si riconnettono e le numerose frange di contenzioso che

normalmente ne conseguono) non opera più quando il contribuen te sceglie irrevocabilmente la via dell'accertamento automatico,

reputando, a ragion veduta, che gli convenga comunque (fra l'altro) abbandonare il supero della ritenuta d'acconto, cristallizza ta in termini di definitività, rispetto all'imposta automaticamente

determinata di gran lunga inferiore a quella che si sarebbe dovuta

corrispondere sulla base dell'imponibile determinato col normale

regime impositivo di accertamento, depurato dalla integrale utiliz zazione della ritenuta stessa.

A questo riguardo il caso di specie è addirittura paradigmatico

perché il contribuente è stato gravato in definitiva di un carico

tributario di lire 21.750.000 (a parte le addizionali dovute, come

si dirà tra breve, sul più ridotto ammontare della imposta automaticamente definita) a fronte di una imposta che con il

sistema ordinario di accertamento avrebbe eroso l'imponibile di

400 milioni di oltre il 50 %. Il contribuente, optando per il condono, sa (o dovrebbe sapere,

attraverso un procedimento esegetico, il rischio della cui esattezza

sta a suo carico, cosi come avviene per qualsiasi interpretazione di leggi che incidono sulla sfera patrimoniale dei sottoposti) che il « prezzo » del condono, quando si tratti di tributi cui viene riferi

ta la ritenuta d'acconto, è dato dal « tetto » di questa ritenuta, di cui potrà giovarsi per intero per l'adempimento dell'obbligazio ne, restando acquisita l'eventuale differenza al fisco.

4. - L'art. 177 t.u. n. 645/58 risulta, pertanto, incompatibile con

il sistema dell'accertamento automatico postulato dalla legge di

condono, perché presuppone per la sua operatività un rapporto diretto fra le somme che hanno concorso a formare l'imponibile ed i versamenti in acconto effettuati sulle somme stesse (questo rapporto di corrispettività biunivoca emerge con assoluta chiarezza dal testo del 2° comma della legge in esame).

La corrispondenza fra somme concorrenti a formare l'imponibile ed acconti versati man mano che vengano percepite, non è, invece,

ipotizzabile alla stregua del sistema del calcolo automatico con

templato dalla legge agli effetti del condono, dal momento

che non vengono in considerazione le somme effettivamente

acquisite al patrimonio del contribuente nel periodo di imposta con

siderato, ma si fa riferimento ad imponibili accertati o dichiarati

per un periodo di imposta precedente. Risulta, quindi, evidente che nessun rapporto sussiste fra le

componenti dell'imponibile automaticamente determinato, senza

alcun effettivo riferimento ai redditi del contribuente, e le ritenute

d'acconto la cui ragion d'essere sta nel riferirsi volta a volta a

specifiche componenti di quei redditi.

L'art. 177 si colloca necessariamente nella logica di un sistema

di accertamento analitico dei redditi che concorrono a formare

l'imponibile. Se tale accertamento analitico non può operare, per scelta dello stesso contribuente, non è pensabile che il contribuen

te stesso si avvalga ad un tempo di componenti dell'accertamento

automatico (e quindi necessariamente presuntivo) per maggiorazio ne predeterminata degli imponibili degli anni precedenti, e di

componenti del sistema di accertamento analitico.

Negando la ripetitibilità delle ritenute d'acconto versate in

eccedenza rispetto all'imponibile accertato con il sistema automati co non si verifica un indebito oggettivo di cui, contra ius, si

negherebbe razionabilità con violazione dei principi che governa no l'istituto.

Un ragionamento siffatto confonde i due piani dell'accerta mento quale avrebbe potuto essere alla stregua delle regole generali e quale è stato per effetto del sistema automatico

presuntivo: ed in tanto ha un minimo di plausibilità in quanto si dimostri che gli acconti versati sarebbero stati eccedenti rispetto ad un normale accertamento riferito ai redditi effettivamente

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

conseguiti dal contribuente nel periodo considerato (e si è già osservato che nel caso di specie se non si fosse avvalso del

condono l'Annunziata avrebbe dovuto corrispondere un'imposta di

gran lunga maggiore dell'acconto versato). Ma quand'anche in

ipotesi, per un errore di calcolo, il contribuente avesse scelto la

strada meno favorevole del condono (il ragionamento viene svolto

ad abundantiam e per completezza di motivazione, perché non è

questo il caso di cui il collegio è investito) per concretare gli estremi dell'indebito oggettivo occorrerebbe (come messo in evi

denza nella richiamata sentenza 5696/81) che questi previamente facesse valere l'annullabilità della dichiarazione, con la quale è

stata chiesta l'applicazione delle disposizioni sul condono, nei

limiti in cui l'annullabilità è ammessa, dimostrando, sottoponendo si all'accertamento analitico delle componenti del proprio reddito

imponibile, che lo stesso è inferiore a quello che risulta dalla

applicazione del cosiddetto condono fiscale, o che le somme

corrisposte a titolo di ritenuta d'acconto superano quelle effetti

vamente dovute a titolo di imposta. In difetto di tale accertamen

to non è concettualmente possibile ravvisare alcun « indebito », in

difetto di omogeneità dei termini dell'operato raffronto.

La soluzione cui il collegio perviene ribadendo le conclusioni

precedentemente raggiunte (con la ricordata sentenza n. 5696/81)

risponde ai canoni della logica comune, e si inserisce armonica

mente nella ratio del condono sui generis introdotto con i

provvedimenti legislativi del 1973, senza prestare il fianco a dubbi

di costituzionalità: né per quanto attiene al principio di egua

glianza, poiché tutti i contribuenti si trovano sottoposti al mede

simo trattamento rispetto alla negazione della ripetibilità della

eccedenza; né per quanto riguarda la capacità contributiva, ex

art. 53, 1° comma, Cost., perché se effettivamente la scelta del

condono risultasse pregiudizievole al contribuente (ma si tratta di

ipotesi assolutamente marginali) sussiste, come si è appena

rilevato, lo strumento dell'annullamento della dichiarazione unila

terale in tal senso resa al fine di accertare l'effettivo indebito

negli estremi oggettivi evidenziati « all'interno » del sistema di

■accertamento analitico.

5. - Anche il secondo mezzo è privo di giuridico fondamento.

La C.t,c. ha precisato che la ritenuta d'acconto non può venire

in considerazione ai fini del conguaglio con le addizionali da

commisurare all'importo dell'imposta quale è risultato dall'applica

zione dell'aliquota all'imponibile determinato alla stregua della

legge sul condono, perché per sua natura tale ritenuta costituisce

una quota dell'imposta base, è cioè ritenuta d'imposta, e non

anche ritenuta di addizionale d'imposta.

Trattasi di notazione determinante per respingere la tesi princi

pale del ricorrente che pretenderebbe di operare una sorta di

interversione del titolo giuridico e di operare una compensazione fra entità non omogenee, non potendo il quid pluris versato a

titolo d'acconto sull'imposta definitiva, risultata di ammontare

inferiore per effetto dell'applicazione dell'ingranaggio del condono,

che resta cristallizzato a favore del fisco, essere opposto al fisco

medesimo per neutralizzare la pretesa qualitativamente diversa

dall'addizionale.

In effetti il ricorrente, se ben se ne è intesa la doglianza, non

sostiene la tesi dell'assorbimento facendo rientrare il debito per

addizionale nel maggior importo residuato dopo l'imputazione di

parte della ritenuta di acconto a soddisfo dell'obbligazione

tributaria principale (e ad ogni buon fine tale tesi resterebbe

confutata dalle precedenti osservazioni), ma assume più radical

mente che, non essendo dovuto alcun tributo, non sono dovute

nemmeno le addizionali, quali imposte meramente accessorie.

Il discorso impeccabilmente sillogistico, si regge tutto sulla

singolare tesi della non debenza dell'imposta che si presenta come

proposizione diacronica, assolutamente non condivisibile perché confonde la non debenza deEa imposta stessa in astratto con gii effetti della intervenuta solutio che rende non più dovuta ulte

riormente l'obbligazione tributaria già assolta.

Se in effetti il contribuente volesse paradossalmente sostenere

che non avrebbe dovuto corrispondere alcunché a tìtolo di

complementare per l'anno 1973 sarebbe agevole contestargli la

preclusione che nasce dalla richiesta di condono e dal pagamento

del debito che alla applicazione di condono si correlava trattando

si di obbligazione tributaria ormai definita e rispetto alla quale,

del resto, non è stata presentata in questo giudizio alcuna

richiesta restitutork, la restituzione essendo limitata al quid pluris

differenziale risultante dalle contrapposizioni della imposta, ed

eventualmente delle addizionali calcolate su tale imposta, all'am

montare della ritenuta.

L'unico discorso plausibile da svolgere non può quindi innestar

si sulla « attuale » inesistenza del debito principale d'imposta, per

Il Foro Italiano — 1985.

negate ingresso alla obbligazione accessoria per addizionali, giac ché per escludere la debenza dell'addizionale non basta invocare

il pagamento dell'imposta principale ma bisogna dimostrare, ap

punto, l'inesistenza di tale obbligazione « madre »,

Ma, una volta ribadito che un'obbligazione per imposta è

venuta in essere ed è stata adempiuta, il contribuente non può sottrarsi alla regola della accessorietà, sforzandosi di dimostrare

l'adempimento anche di tale obbligazione accessoria « riportando

la » al maggiore importo residuale della ritenuta d'acconto che se

valeva per la solutio del minor debito a titolo di imposta

principale, non vale per l'imputazione a titolo di imposta addi

zionale, poiché sicuramente di questa non ha costituito anticipa

zione, sicché l'assunto della doppia imposizione risulta assoluta

mente privo di fondamento.

In altre parole, rapportata la ritenuta d'acconto alla sola

imposta principale e negata la ripetibilità del supero che resta

acquisito al fisco (per le ragioni esposte nel precedente paragrafo), tale supero non è più nella sfera di disponibilità del contribuente

che non può imputare il diverso credito per addizionale che

scaturisce de plano dalla indiscussa debenza dell'imposta principa le. Ne consegue che, non essendo state corrisposte le addizionali

(salve le 250.000 di cui è cenno nella narrazione del fatto, secondo modalità che sfuggono all'esame del collegio, non essen

dovi comunque imputazione specifica sul punto) correttamente la

C.t.c. ha riconosciuto la fondatezza della iscrizione per lire

7.968.652 nei ruoli di settembre del 1975.

Né varrebbe dedurre, come si fa nella parte finale del motivo,

che il titolo esecutivo 'rappresentato dal ruolo sarebbe nullo

perché una delle componenti iscritte, e precisamente l'addizionale

pro Calabria, non sarebbe stata più dovuta con riferimento al

periodo di imposta corrispondente all'anno solare 1973.

Osserva al riguardo il collegio che si tratta di tesi giuridiche nuove, come tali insuscettibili di trovare ingresso in questa sede

di legittimità, dal momento che davanti alla C.t.c. il contribuente

in tema di addizionale si era limitato a sostenere la loro non

debenza perché assorbite dalla maggior somma della ritenuta

d'acconto residuata dopo l'imputazione dell'imposta di lire

9.801.280.

6. - In conclusione il ricorso, essendo risultato infondato in

entrambi i motivi in cui si articola, deve essere respinto. (Omis

sis■)

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 17

ottobre 1984, n. 5233; Pres. Mirabelli, Est. Panzarani, P.M.

Sgroi V. (conci, conf.); Esposito (Avv. Ciabattini) c. Soc. S.i.a.d.

(Avv. Iannotta) e Soc. Cosida in liquidazione coatta ammini

strativa (Avv. Spadafora). Conferma Trib. Napoli 27 ottobre

1982.

Assicurazione (imprese di) — Impresa assicuratrice in liquidazione coatta amministrativa — Impresa cessionaria del portafoglio —

Riassunzione di personale dell'impresa in liquidazione — Azio

ne del dipendente — Giurisdizione ordinaria (D.l. 26 set

tembre 1978 n. 576, agevolazioni al trasferimento del porta

foglio e del personale delle imprese di assicurazione poste in

liquidazione coatta amministrativa, art. 5).

Assicurazioni (imprese di) — Impresa assicuratrice in liquidazione coatta amministrativa — Trasferimento del portafoglio — Im

presa cessionaria — Riassunzione di personale — Dirigenti —

Esclusione (D.l. 23 dicembre 1976 n. 857, modifica della disci

plina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile de

rivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, art.

10, 11; 1. 26 febbraio 1977 n. 39, conversione in legge, con modifi

cazioni, del d.l. 23 dicembre 1976 n. 857, art. unico; d.l. 26 settem

bre 1978 n. 576, art. 5; d.p.r. 16 gennaio 1981 n. 45, modificazio ni al regolamento sull'assicurazione obbligatoria della responsabi lità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei

natanti, art. 23, 24).

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda con la quale il dipendente di impresa assicuratrice posta in liquida zione coatta amministrativa chieda, all'impresa cessionaria del

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