sezione I civile; sentenza 18 ottobre 1984, n. 5265; Pres. Sandulli, Est. Lipari, P.M. Paolucci(concl. conf.); Annunziata (Avv. Bruni) c. Min. finanze (Avv. dello Stato Salimei). ConfermaComm. trib. centrale 24 maggio 1980, n. 3304Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 5 (MAGGIO 1985), pp. 1407/1408-1413/1414Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177895 .
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1407 PARTE PRIMA 1408
in contrasto logico giuridico con le premesse di diritto, e risulta
adeguatamente motivata in aderenza agli accertamenti di fatto in
concreto compiuti, che possono cosi sintetizzarsi: incidente stra
dale imputabile al ten. col. Balzano verificatosi il giorno 29 luglio mentre la licenza dello stesso durava sino al 31 successivo; incidente avvenuto mentre con auto propria l'ufficiale rientrava da Maiori (località di villeggiatura) a Livorno (abituale sede di
lavoro) dove avrebbe poi dovuto, con la ripresa del servizio,
prelevare dei documenti necessari per una riunione a Roma fissata per il 1° agosto 1969.
Nella situazione descritta la mancanza del necessario collega mento tra il viaggio in questione e l'attività dell'amministrazione, affermata dalla sentenza qui impugnata, non merita rilievi critici
in quanto detto viaggio non aveva come finalità immediata e
diretta l'espletamento di un'incombenza affidata al Balzano, non
era lo strumento per portare a termine un compito istituzionale.
Non è da escludere che la circostanza della partecipazione alla
riunione a Roma del 1° agosto possa aver spinto il Balzano ad
anticipare il rientro dalla licenza per predisporre il successivo
viaggio nella capitale, ma trattasi di un'iniziativa personale, liberamente attuata con le modalità indicate, e non di un
comportamento imposto per soddisfare imprescindibili esigenze d'ufficio che, se del caso, l'ufficiale avrebbe potuto tempestiva mente rappresentare ai suoi superiori per le opportune determina
zioni.
In concreto, all'ufficiale nessun ordine di rientro era stato
notificato; ed il viaggio da lui voluto e deciso non si differenzia
sostanzialmente da quello normalmente compiuto dal dipendente
che, approssimandosi la scadenza delle ferie, rientra nella città
sede dell'ufficio liberamente scegliendo il giorno, il mezzo ed il
percorso. In definitiva un viaggio non di servizio e neppure in
attualità di servizio, non essendo ancora scaduta la licenza.
Il ricorso deve essere pertanto respinto. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 18 ottobre
1984, n. 5265; Pres. Sandulli, Est. Lipari, P.M. Paolucci
(conci, conf.); Annunziata (Avv. Bruni) c. Min. finanze (Avv.
dello Stato Salimei). Conferma Comm. trib. centrale 24 mag
gio 1980, n. 3304.
Tributi in genere — Condono fiscale — Disciplina — Ripetizione
delle maggiori somme versate a titolo di ritenute d'acconto —
Inammissibilità (D.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, t.u. delle
imposte dirette, art. 177; 1. 19 dicembre 1973 n. 823, conver
sione in legge, con modificazioni, del d.l. 5 novembre 1973 n.
660, recante norme per agevolare la definizione delle penden
ze in materia tributaria).
Va esclusa la ripetibilità delle ritenute d'acconto versate in
eccedenza rispetto all'effettivo debito risultante dall'accertamento
automatico previsto dalla legge sul condono, né tale maggior
importo rileva ai fini dell'esclusione del pagamento delle addi
zionali commisurate all'imposta scaturita dall'applicazione del
condono. (1)
(1) In senso conforme v. Cass. 29 ottobre 1981, n. 5696, Foro it.,
Rep. 1982, voce Tributi in genere, n. 1092, nonché, per la giurispru
denza della Commissione tributaria centrale, dee. 14 marzo 1983, n.
287, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1360; 2 luglio 1982, n. 5796, ibid., n.
1272; 16 marzo 1981, n. 3118, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1268; 18
giugno 1980, n. 7192, ibid., n. 1271; 15 marzo 1980, n. 3304, id., Rep.
1980, voce cit., n. 1310; nel senso, invece, dell'ammissibilità della
ripetizione, anche ove non sia stata fornita la documentazione relativa
alle ritenute di cui si chiede il rimborso, v. Comm. trib. centrale 11
marzo 1982, n. 2412, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1099; 12 gennaio
1982, n. 218, ibid., n. 1096; 28 aprile 1981, n. 4736, ibid., n. 1094; 16
febbraio 1981, n. 1866, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1269; 15 gennaio
1981, n. 378, ibid., n. 1270; 13 novembre 1980, n. 11482, id., Rep.
1982, voce cit., nn. 1095, 1097; 10 luglio 1980, n. 8222, ibid., n. 1098;
7 luglio 1980, n. 8232, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1272; 23 giugno
1980, n. 7622, ibid., n. 1273; 29 ottobre 1979, n. 11260, id., Rep.
1980, voce cit., n. 1306; 28 giugno 1979, n. 8390, ibid., n. 1307; 30
aprile 1978, n. 4746, ibid., n. 1308; 26 settembre 1978, n. 11358, ibid.,
n. 1311; 16 giugno 1979, n. 7788, id., Rep. 1979, voce cit., n. 955; 10
febbraio 1979, n. 2046, ibid., n. 956; 14 dicembre 1978, n. 11370,
ibid., n. 957; 16 novembre 1978, n. 15660, ibid., n. 958; per gli
organi di merito della giustizia tributaria v. Comm. trib. Il grado
Perugia 17 marzo 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1361; Comm. trib.
I grado Roma 10 novembre 1978, id., Rep. 1980, voce cit., n. 1312;
II Foro Italiano — 1985.
Svolgimento del processo. — Nel 1973 Antonio Annunziata
percepiva dalla s.p.a. Dosa dividendi per 400 milioni, sui quali veniva applicata una ritenuta d'acconto di lire 21.750.000 (di cui
lire 250.000 per addizionali). In data 27 marzo 1974 l'Annunziata chiese la definizione
automatica della imposta complementare, dovuta per il 1973; e i
suoi redditi furono determinati, ai sensi dell'art. 4, 5° comma, d.l. 5 novembre 1973 n. 660, come modificato dalla legge di conver
sione 19 dicembre 1973 n. 823, sulla base di un imponibile di lire
43.600.000 (mentre, secondo i normali criteri, all'imponibile di
400 milioni avrebbe dovuto corrispondere un'imposta di lire
234.800.000). Su tale imponibile l'ufficio distrettuale delle imposte di Prosinone isorisse a ruolo l'imposta di lire 9.801.280, oltre agli accessori (addizionali per lire 3.350.756), senza tenere alcun conto della menzionata ritenuta d'acconto.
Riconosciuto l'errore, a seguito di reclamo dell'interessato, l'ufficio dispose il rimborso con provvedimento di sgravio del
gennaio 1975 in ragione di litre 13.152.036 (lire 9.801.280 4- lire
3.350.756); ma rifiutò di restituire la differenza fra i maggiori acconti corrisposti in ragione di lire 21.725.000 e l'imposta risultante effettivamente dovuta.
Successivamente, peraltro, lo stesso ufficio provvedeva, con i
ruoli di settembre del 1975, alla iscrizione delle addizionali, calcolate sulla somma maggiore corrisposta a titolo di acconto
(anziché sull'ammontare della imposta liquidata automaticamente
per condono) in ragione di lire 7.968.652. Tale iscrizione in accoglimento del ricorso del contraente veni
va dichiarata (totalmente) illegittima dalla commissione di primo grado, nella considerazione che il fisco aveva incamerato la ritenuta d'acconto in misura superiore a quanto dovuto sulla base della definizione automatica operata in sede di condono ex lege n.
823/73.
La commissione di secondo grado, su ricorso del contribuente, ne
gava la legittimità della pretesa alla restituzione della eccedenza di
ritenuta d'acconto, osservando che l'imputazione a tale titolo ade
guatamente documentata non consente il rimborso per la parte ecce
dente il debito scaturente dalla definizione automatica; mentre in
ordine all'ulteriore problema delle addizionali, osservava che erano
sicuramente dovute, ma andavano commisurate alla imposta scatu
rita dall'applicazione del condono (e non all'ammontare della
ritenuta d'acconto), atteso il loro carattere di accessorietà.
Il contribuente ricorreva alla Commissione centrale, sostenendo
la infondatezza dell'assunto dell'amministrazione circa la non ripeti bilità della somma eccedente l'importo dell'imposta definitiva dovuta in base alla legge sul condono e pagata a titolo di ritenuta d'acconto; e la illegittimità della iscrizione a ruolo delle addizionali di imposta applicata sulla ritenuta d'acconto, nelle
ipotesi in cui, come nel caso di specie, era stata acquisita dal fisco somma superiore all'importo dovuto, maggiorata delle suddet te addizionali.
Ma la C.t.c. respingeva il ricorso confermando in ogni sua parte la decisione impugnata. Osservava il collegio che le questioni proposte erano due; riguardando la prima la ripetibilità di quella parte della ritenuta d'acconto risultata in eccedenza rispetto all'ammontare delle imposte liquidate per effetto deEa domanda di
condono; e la seconda l'applicazione delle addizionali. Esattamente la ripetibilità era stata esclusa poiché lo scopo
della definizione automatica delle pendenze tributarie, nella logica
Comm. trib. II grado Reggio Emilia 5 dicembre 1977, id., Rep. 1978, voce cit., n. 1045; Comm. trib. II grado Terni 11 marzo 1977, id.,
Rep. 1977, voce cit., n. 1146. Per le diverse ipotesi in cui, dopo la definizione dell'imposta
mediante l'accertamento automatico previsto dalla legge sul condono,
vengono eseguite ritenute a titolo di acconto relative a periodi d'imposta precedenti il 31 dicembre 1973, cfr. Comm. trib. centrale 11
dicembre 1979, n. 13058, id., Rep. 1980, voce cit., n. 1313, a cui dire vanno restituite le somme versate a tale titolo.
Circa l'ammissibilità del ricorso contro il ruolo per divergenza tra l'ammontare dell'imposta dovuta a seguito di condono e l'ammontare della ritenuta effettuata a titolo d'acconto, v. Comm. trib. centrale 16
giugno 1979, n. 7788, id., Rep. 1979, voce cit., n. 320, e 30 aprile 1978, n. 4746, cit.
La circolare min. fin., dir. gen. imp. dir., 23 gennaio 1975, n.
9/196, ricordata in motivazione, si legge in Bollettino trib., 1975, 307; Nuova riv. trib., 1975, 181; Legislazione e giur. trib., 1975, 151; Giust.
trib., 1975, 137; Rass. iva, 1975, 333; Iva e trib. erariali, 1975, suppl. 4, 145; Imp. dir. erariali, 1975, III, 36; Riv. fise., 1975, 978.
In dottrina cons. Correale, Notazioni in tema di condono fiscale, in Riv. dir. fin., 1979, II, 65; Pietrantonio, Scomputo delle ritenute d'acconto e condono ex d.l. 660/73, in Imp. dir. erariali, 1978, II, 145; Spaziani Testa, Condono e rimborso di ritenuta d'imposta in acconto, in Comm. trib. centr., 1977, II, 760.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
delle disposizioni di cui al di. 5 novembre 1973 n. 660, era stato
quello di contenere le obbligazioni tributarie nell'ambito delle
situazioni che si erano manifestate in epoca anteriore alla data di
efficacia della legge stessa, con rinuncia da parte del fisco alla
propria potestà di pervenire alla determinazione dai tributi con i
consueti mezzi di accertamento dei redditi, dovendo essere questi stabiliti sulla base degli elementi acquisiti agli atti; e poiché era
stata perseguita l'esigenza di eliminare il maggior numero di
pendenze tributarie, in vista dell'entrata in vigore dei nuovi
metodi di imposizione introdotti dalle leggi di riforma tributaria,
andavano considerate definite le situazioni tributarie aventi carat
tere di certezza, risultanti da decisioni in sede contenziosa, da
provvedimenti di iscrizione a ruolo delle imposte sulla base degli
imponibili dichiarati dai contribuenti, nonché (estensivamente) dalle ritenute d'acconto operate su emolumenti ad esse sottoposti, o su utili distribuiti (dovendosi tener conto al riguardo, integran
dola, della norma dell'ult. comma dell'art. 2 1. n. 823/73). In
ordine alla addizionale, trattandosi di tributi accessori alla impo sta principale, il loro ammontare andava calcolato sulla misura di
questa, determinata alla stregua delle norme sul condono (e cioè, nel caso di specie, la somma di lire 9.801.280, e non su quella di
oltre 20 milioni, di cui alla ritenuta d'acconto versata il 29
dicembre 1973).
Contro la riassunta decisione il contribuente ha presentato ricorso per cassazione articolato su due motivi. Resiste l'ammini
strazione finanziaria con controricorso.
Motivi della decisione. — 1. - Come risulta dalla narrazione
che precede la materia del contendere sottoposta al collegio
riguarda due problemi fra loro connessi.
Si tratta, in primo luogo, di stabilire se, in applicazione delle
norme sul condono, di cui al d.l. 5 novembre 1973 n. 669, convertito, con modificazioni, nella 1. 19 dicembre 1973 n. 823, il
contribuente possa pretendere la differenza rispetto a quanto versato in più per ritenuta d'acconto; ed in secondo luogo di
accertare e di verificare se si possa quantomeno imputare sulla
suddetta differenza l'ammontare delle addizionali.
Sia la commissione di secondo grado che quella tributaria
centrale hanno dato risposta negativa ad entrambi i quesiti, che formano oggetto dei due motivi del presente ricorso, con i quali il contribuente ripropone e sviluppa le ragioni giuridiche prospettate, senza fortuna, ai giudici tributari.
Con il primo mezzo, denunciando la violazione dell'art. 10 1. 19 dicembre 1973 n. 823, degli art. 143 e 177 d.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, 3, 5° comma, 1. 29 dicembre 1962 n. 1745, nonché della 1. 19 maggio 1967 n. 336, si censura la decisione della C.t.c. per avere negato la ripetibilità delle maggiori ritenute d'acconto
versate, rispetto all'effettivo debito risultato in applicazione del
l'accertamento automatico previsto dalla legge sul condono, in
adesione all'orientamento dell'amministrazione secondo cui l'impu tazione delle ritenute alla fonte, adeguatamente documentate, non
potrebbe in alcun modo portare al rimborso dell'ammontare delle
ritenute stesse, eccedenti il debito di imposta relativo agli imponi bili definiti ai sensi del provvedimento agevolativo. Secondo la
decisione impugnata, la procedura di determinazione automatica
dell'imponibile, e quindi dell'imposta, prescindendo da ogni valu
tazione analitica delle componenti dello stesso reddito, cristallizza
le situazioni pendenti, precludendo da un lato alla amministrazio
ne finanziaria la ricerca di analisi dei redditi dichiarati, e
dall'altro ai contribuenti il rimborso delle eccedenze delle ritenu
te alla fonte rispetto al debito di imposta definitivamente risultan
te dall'applicazione delle norme sul condono, per il fatto stesso
che, con il loro comportamento, richiedendo appunto il condono,
costoro hanno rinunciato all'esame analitico della loro posizione fiscale.
Assume il ricorrente che l'automatismo dell'ingranaggio determi
nativo dell'imponibile, alla stregua dello strumento del condono,
resta circoscritto, e si esaurisce, in tale determinazione, non
potendo travolgere le posizioni debitorie e creditorie che discen
dono dal rapporto tributario nel suo complesso, continuando la
ritenuta d'acconto a svolgere la funzione sua propria di predeter
minare, in via provvisoria, il tributo per essere rimborsata par
zialmente, o integrata, a seconda dell'ammontare definitivo della
obbligazione tributaria. Pertanto, cosi come l'erario ha diritto alla
integrazione ove l'acconto sia risultato insufficiente, al contribuente
correlativamente spetta il rimborso della differenza ove l'acconto
sia risultato eccedente.
La soluzione adottata dalla C.t.c. appare censurabile al ricorren
te perché determinerebbe una diversità di trattamento ingiustificata
fra contribuente e fisco, che può ottenere l'integrazione, mentre la
Il Foro Italiano — 1985 — Parte I- 91.
ripetizione è negata al debitore di imposta che abbia versato più del dovuto.
D'altra parte, si soggiunge, è significativo che la legge non
contenga alcuna statuizione espressa per escludere la ripetizione, che trova il suo fondamento normativo, di carattere generale, nell'art. 3, 5° comma, 1. 29 dicembre 1962 n. 1745. La soluzione
adottata dalla C.t.c. finisce cosi' per distorcere la funzione specifica della ritenuta d'acconto, trasformandola in imposta a carattere
definitivo.
Né giova richiamare, a sostegno di tale soluzione, l'ult. comma
dell'art. 2 1. n. 823, che si riferisce esclusivamente alle pronunce
giurisdizionali divenute definitive e agli imponibili iscritti o
iscrivibili a ruolo anteriormente alla entrata in vigore del decreto, ai isenisi degli art. 174 e 175, lett. b), t.u. n. 645/58.
Con il secondo motivo, sempre invocando a parametro le stesse
norme precedentemente richiamate, si sostiene che nessuna somma
poteva essere pretesa a titolo di addizionale, « stante la incontro
vertibile circostanza che l'imposta determinata con i criteri auto
matici è stata assorbita ad abundantiam nella ritenuta d'acconto ».
Ad avviso del contribuente non si deve riduttivamente affermare
che l'acconto versato in misura tale da coprire anche l'ammontare
delle addizionali, calcolate sulla imposta del tributo cosi come
automaticamente definito, valga comunque a soddisfare l'obbliga zione accessoria ma più radicalmente va postulata la non debenza, in assoluto, di qualsivoglia addizionale, poiché, non essendo dovu ta alcuna imposta, non sono dovute nemmeno le addizionali per il
loro carattere di accessorietà.
Le ritenute alia fonte devono essere prese in considerazione fino
alla concorrenza del debito di imposta, scaturente dagli imponibili definiti (inteso per debito di imposta quello scaturente dalla
imposta base maggiorata dagli accessori). Le addizionali non possono essere corrisposte due volte; ed in
ogni caso non sarebbe dovuta quella pro Calabria (in ragione di
lire 5.821.660) essendone già scaduto il termine ultimo di applica zione. La non debenza di questa specifica addizionale comporte rebbe la oarenza .di titolo alla riscossione dell'intero ammontare
delle addizionali.
Conclusivamente, secondo il contribuente, nel sistema della
legge di condono del 1973 l'imposta che scaturisce dall'imponibile automaticamente determinato, maggiorata dalle eventuali addizio
nali, rappresenta il solo ed unico onere tributario; e le maggiori ritenute di acconto rispetto all'anzidetto onere debbono essere
rimborsate.
2. - Il ricorso è infondato in entrambe le censure in cui si
articola.
Anche se al momento della sua notificazione questa Suprema corte non aveva avuto modo di pronunciare sul problema di cui
al primo mezzo, e la giurisprudenza della C.t.c. appariva oscillan
te (essendosi espressa a favore della tesi del fisco la sez. Vili con
decisione 14 luglio 1978, n. 11642; ed a favore della tesi del
contribuente altra decisione della medesima sezione 26 settembre
1978, n. 11358, Foro it., Rep. 1980, voce Tributi in genere, n.
1311, nonché la sez. V con decisione 29 ottobre 1979, n. 11260,
ibid., n. 1306), successivamente la questione della riperibilità delle ritenute alla fonte eccedenti il debito di imposta diretta (per r.m. e per complementare), corrispondente all'imponibile definito
in applicazione delle norme agevolative contenute nella normativa
sul condono fiscale del 1973, è stata affrontata e risolta dalla
sentenza di questa I sezione 29 ottobre 1981, n. 5696 (id., Rep. 1982, voce cit., n. 1092) la quale ha stabilito, dando adeguato
supporto argomentativo alla tesi dell'amministrazione finanziaria
(di cui alla nota 7 settembre 1974, n. 1543, alle risoluzioni 9/437 del 5 settembre 1974, 9/2125 del 21 gennaio 1975, ed alla
circolare del 23 gennaio 1975 n. 9/196) che il diritto del contribuen
te al rimborso delle ritenute effettuate in eccedenza rispetto
all'imposta dovuta, sancito dall'art. 177 d.p.r. 29 gennaio 1958 n.
645, resta neutralizzato e non può essere invocato, quando
l'imponibile sia stato calcolato automaticamente in applicazione delle nonne agevolative di cui alla legge sul condono del 1973.
Ritiene il collegio di condividere la soluzione cui la corte è
pervenuta con la ricordata sentenza e non reputa adeguate ad un
mutamento di indirizzo giurisprudenziale le notazioni del ricorren
te le quali nei loro spunti validi censurano talune argomentazioni dei giudici di merito, senza intaccare la esattezza della soluzione
raggiunta che va confermata, integrando, per quanto possa occor
rere, la motivazione, ai sensi dell'art. 384, 2° comma, c.p.c. La C.t.c. non ha risolto la controversia attraverso una applica
zione diretta dell'art. 2 1. n. 823/73, ma l'ha postulata in coerenza
con le implicazioni del sistema scaturente dalla legge sul condono.
Il problema si pone, infatti, perché il d.l. n. 660 (e la
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1411 PARTE PRIMA 1412
successiva legge di conversione) non l'ha risolto con disposizione espressa, diversamente da quanto stabilito in tema di imposte indirette (per le quali si precisa puntualmente che il contribuente
è ammesso a godere della definizione agevolata mediante il
pagamento di una aliquota di imposta: cfr. Cass. 3515/76, id.,
Rep. 1976, voce oit., n. 934, in motivazione; nonché successiva
mente numerosi precedenti conformi, fra cui Cass. 470/81, id.,
Rep. 1981, voce eit., n. 1280; 4873/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 1240; 4190/80, ibid., n. 1241; 1308/80, ibid., n. 1244, ecc.).
Essendo fuori discussione (anche nella presente controversia) che le ritenute d'acconto valgono per conguagliare l'imposta risultante dall'applicazione dell'aliquota sull'imponibile determinato
alla stregua del calcolo automatico indicato dalla legge di condo
no, si tratta di stabilire se è conciliabile con tale meccanismo, e
più in generale con le finalità della legge, la persistente operativi tà del principio per cui le ritenute d'acconto, presentandosi come
veri e propri « acconti » del futuro ed effettivo debito di imposta, restano soggette a conguaglio, anche rispetto alla determinazione
dell'imponibile effettuata in applicazione dell'art. 3 d.l. n. 660/73.
Ritiene il collegio che, in coerenza allo scopo perseguito dal
provvedimento di condono, il meccanismo posto in essere median
te calcolo automatico e non analitico dei redditi, escluda che vi
sia spazio per la persistente operatività dell'art. 177 t.u. n.
645/58. 3. - Il condono disciplinato dal d.l. 5 novembre n. 660, come
modificato dalla legge di conversione 19 dicembre 1973 n. 823, si
caratterizza, nella sua genesi, per la coincidenza con la riforma
tributaria cui, nello stesso contesto temporale, si poneva mano.
Nel momento in cui detta riforma diveniva operante, si volle
offrire al contribuente l'opportunità di chiudere le passate contro
versie in modo che la riforma potesse decollare senza che gli uffici restassero intasati dalle numerosissime controversie pendenti, iniziando ex novo un rapporto più corretto fra contribuente e
fisco alla stregua di una più sensibile coscienza tributaria (facendo
corrispondere al condono l'amnistia per i reati tributari).
Sulla « novità » del provvedimento del 1973 ha avuto modo di
soffermarsi la stessa Corte costituzionale (cfr. le sentenze 32 del
1976, id., 1976, I, 900; 96 del 1980, id., 1980, I, 2100; 119 del 1980,
ibid., 2378). Si tratta di provvedimento che intende creare le
migliori condizioni per l'avvio della riforma tributaria, agevolando,
prima ancora che la regolarizzazione di situazioni contra legem, la
definizione con metodo semplificato delle controversie esistenti
all'entrata in vigore del decreto legge. A tal fine — ed è questa la fondamentale circostanza che preme sottolineare — a differenza
di quanto era previsto nei precedenti provvedimenti di condono,
non si condiziona l'abbandono delle sanzioni alla definizione in
regime ordinario dei redditi, attesi gli obiettivi di rapidità, anzi
automaticità, che si intendevano raggiungere. Il contribuente può
soltanto presentare domanda irrevocabile (art. 10) per l'applica
zione del provvedimento, quando ritiene che la definizione cosi
realizzata sia più conveniente di quella conseguibile in regime
ordinario; l'amministrazione, dal canto suo, deve limitarsi ad
applicare gli schemi di definizione all'uopo predisposti, con tutte
le implicazioni logico-giuridiche che l'automatismo postula.
Questo dominante ed essenziale criterio dell'automatismo, corre
lato al venir meno rispetto alle fattispecie disciplinate dal condo
no della normale procedura di accertamento, comporta che, come
effetto conseguenziale del trattamento agevolato, entrambe le parti del rapporto tributario restino assoggettate alla specifica disciplina dettata per l'accertamento automatico, con tutti i corollari che ne
conseguono. Fra essi la non invocabilità dell'ingranaggio « com
pensativo » che correla l'acconto all'accertamento definitivo del
debito d'imposta attraverso un conguaglio che, secondo il segno aritmetico delle « poste » raffrontate, si risolve nella pretesa
integrativa del fisco, ovvero in quella restitutoria del contribuente.
La inerenza del conguaglio al « tipo » di accertamento analitico
comporta che l'abbandono di detta tipologia per quella dell'auto
matismo, prescelta dal contribuente perché ritenuta più convenien
te, spezza la corrispettività fra acconto e tributo definitivo, nel
senso che mentre quel che è stato pagato in prevenzione concorre
alla solutio del debito tributario, cosi come risulta automaticamen
te determinato, resta irripetibile l'eventuale supero correlato alla
analiticità dell'ordinario accertamento, non essendo più possibile
determinare, con effetti giuridici vincolanti, quanto si sarebbe
dovuto pagare, secondo il metodo analitico a titolo di imposta (e
di correlativa addizionale). Di un rimborso si potrebbe infatti
parlare legittimamente solo se il procedimento acoertativo, fosse
andato innanzi secondo il modello tipico di diritto comune. La
sostituzione del modello comporta l'abbandono al fisco del quid
Il Foro Italiano — 1985.
pluris che potrebbe venire a risultare, come ineluttabile conse
guenza della operata scelta.
L'equivoco di fondo della difesa del contribuente sta, appunto, nel non aver colto l'elemento per cosi dire transattivo, che
caratterizza l'istituto del condono, attraverso l'integrale sostituzione
del modello accertativo e nel pretendere di cumulare un doppio
vantaggio: quello in ipotesi riconducibile alla procedura normale
di accertamento e quello scaturente dalla determinazione automa
tica dell'imponibile. Nel sistema normale la ritenuta d'acconto è una quota del
futuro tributo; e quindi ne va tenuto conto secondo la doppia valenza dell'insufficienza o dell'eccesso, con l'effetto che se a
seguito di definizione dell'accertamento risulta un « attivo » o un « passivo » si procede al conguaglio. Ma questa bivalenza della
ritenuta d'acconto, proprio perché si collega al normale accerta mento analitico (con tutte le lungaggini ed incertezze determinati ve che vi si riconnettono e le numerose frange di contenzioso che
normalmente ne conseguono) non opera più quando il contribuen te sceglie irrevocabilmente la via dell'accertamento automatico,
reputando, a ragion veduta, che gli convenga comunque (fra l'altro) abbandonare il supero della ritenuta d'acconto, cristallizza ta in termini di definitività, rispetto all'imposta automaticamente
determinata di gran lunga inferiore a quella che si sarebbe dovuta
corrispondere sulla base dell'imponibile determinato col normale
regime impositivo di accertamento, depurato dalla integrale utiliz zazione della ritenuta stessa.
A questo riguardo il caso di specie è addirittura paradigmatico
perché il contribuente è stato gravato in definitiva di un carico
tributario di lire 21.750.000 (a parte le addizionali dovute, come
si dirà tra breve, sul più ridotto ammontare della imposta automaticamente definita) a fronte di una imposta che con il
sistema ordinario di accertamento avrebbe eroso l'imponibile di
400 milioni di oltre il 50 %. Il contribuente, optando per il condono, sa (o dovrebbe sapere,
attraverso un procedimento esegetico, il rischio della cui esattezza
sta a suo carico, cosi come avviene per qualsiasi interpretazione di leggi che incidono sulla sfera patrimoniale dei sottoposti) che il « prezzo » del condono, quando si tratti di tributi cui viene riferi
ta la ritenuta d'acconto, è dato dal « tetto » di questa ritenuta, di cui potrà giovarsi per intero per l'adempimento dell'obbligazio ne, restando acquisita l'eventuale differenza al fisco.
4. - L'art. 177 t.u. n. 645/58 risulta, pertanto, incompatibile con
il sistema dell'accertamento automatico postulato dalla legge di
condono, perché presuppone per la sua operatività un rapporto diretto fra le somme che hanno concorso a formare l'imponibile ed i versamenti in acconto effettuati sulle somme stesse (questo rapporto di corrispettività biunivoca emerge con assoluta chiarezza dal testo del 2° comma della legge in esame).
La corrispondenza fra somme concorrenti a formare l'imponibile ed acconti versati man mano che vengano percepite, non è, invece,
ipotizzabile alla stregua del sistema del calcolo automatico con
templato dalla legge agli effetti del condono, dal momento
che non vengono in considerazione le somme effettivamente
acquisite al patrimonio del contribuente nel periodo di imposta con
siderato, ma si fa riferimento ad imponibili accertati o dichiarati
per un periodo di imposta precedente. Risulta, quindi, evidente che nessun rapporto sussiste fra le
componenti dell'imponibile automaticamente determinato, senza
alcun effettivo riferimento ai redditi del contribuente, e le ritenute
d'acconto la cui ragion d'essere sta nel riferirsi volta a volta a
specifiche componenti di quei redditi.
L'art. 177 si colloca necessariamente nella logica di un sistema
di accertamento analitico dei redditi che concorrono a formare
l'imponibile. Se tale accertamento analitico non può operare, per scelta dello stesso contribuente, non è pensabile che il contribuen
te stesso si avvalga ad un tempo di componenti dell'accertamento
automatico (e quindi necessariamente presuntivo) per maggiorazio ne predeterminata degli imponibili degli anni precedenti, e di
componenti del sistema di accertamento analitico.
Negando la ripetitibilità delle ritenute d'acconto versate in
eccedenza rispetto all'imponibile accertato con il sistema automati co non si verifica un indebito oggettivo di cui, contra ius, si
negherebbe razionabilità con violazione dei principi che governa no l'istituto.
Un ragionamento siffatto confonde i due piani dell'accerta mento quale avrebbe potuto essere alla stregua delle regole generali e quale è stato per effetto del sistema automatico
presuntivo: ed in tanto ha un minimo di plausibilità in quanto si dimostri che gli acconti versati sarebbero stati eccedenti rispetto ad un normale accertamento riferito ai redditi effettivamente
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
conseguiti dal contribuente nel periodo considerato (e si è già osservato che nel caso di specie se non si fosse avvalso del
condono l'Annunziata avrebbe dovuto corrispondere un'imposta di
gran lunga maggiore dell'acconto versato). Ma quand'anche in
ipotesi, per un errore di calcolo, il contribuente avesse scelto la
strada meno favorevole del condono (il ragionamento viene svolto
ad abundantiam e per completezza di motivazione, perché non è
questo il caso di cui il collegio è investito) per concretare gli estremi dell'indebito oggettivo occorrerebbe (come messo in evi
denza nella richiamata sentenza 5696/81) che questi previamente facesse valere l'annullabilità della dichiarazione, con la quale è
stata chiesta l'applicazione delle disposizioni sul condono, nei
limiti in cui l'annullabilità è ammessa, dimostrando, sottoponendo si all'accertamento analitico delle componenti del proprio reddito
imponibile, che lo stesso è inferiore a quello che risulta dalla
applicazione del cosiddetto condono fiscale, o che le somme
corrisposte a titolo di ritenuta d'acconto superano quelle effetti
vamente dovute a titolo di imposta. In difetto di tale accertamen
to non è concettualmente possibile ravvisare alcun « indebito », in
difetto di omogeneità dei termini dell'operato raffronto.
La soluzione cui il collegio perviene ribadendo le conclusioni
precedentemente raggiunte (con la ricordata sentenza n. 5696/81)
risponde ai canoni della logica comune, e si inserisce armonica
mente nella ratio del condono sui generis introdotto con i
provvedimenti legislativi del 1973, senza prestare il fianco a dubbi
di costituzionalità: né per quanto attiene al principio di egua
glianza, poiché tutti i contribuenti si trovano sottoposti al mede
simo trattamento rispetto alla negazione della ripetibilità della
eccedenza; né per quanto riguarda la capacità contributiva, ex
art. 53, 1° comma, Cost., perché se effettivamente la scelta del
condono risultasse pregiudizievole al contribuente (ma si tratta di
ipotesi assolutamente marginali) sussiste, come si è appena
rilevato, lo strumento dell'annullamento della dichiarazione unila
terale in tal senso resa al fine di accertare l'effettivo indebito
negli estremi oggettivi evidenziati « all'interno » del sistema di
■accertamento analitico.
5. - Anche il secondo mezzo è privo di giuridico fondamento.
La C.t,c. ha precisato che la ritenuta d'acconto non può venire
in considerazione ai fini del conguaglio con le addizionali da
commisurare all'importo dell'imposta quale è risultato dall'applica
zione dell'aliquota all'imponibile determinato alla stregua della
legge sul condono, perché per sua natura tale ritenuta costituisce
una quota dell'imposta base, è cioè ritenuta d'imposta, e non
anche ritenuta di addizionale d'imposta.
Trattasi di notazione determinante per respingere la tesi princi
pale del ricorrente che pretenderebbe di operare una sorta di
interversione del titolo giuridico e di operare una compensazione fra entità non omogenee, non potendo il quid pluris versato a
titolo d'acconto sull'imposta definitiva, risultata di ammontare
inferiore per effetto dell'applicazione dell'ingranaggio del condono,
che resta cristallizzato a favore del fisco, essere opposto al fisco
medesimo per neutralizzare la pretesa qualitativamente diversa
dall'addizionale.
In effetti il ricorrente, se ben se ne è intesa la doglianza, non
sostiene la tesi dell'assorbimento facendo rientrare il debito per
addizionale nel maggior importo residuato dopo l'imputazione di
parte della ritenuta di acconto a soddisfo dell'obbligazione
tributaria principale (e ad ogni buon fine tale tesi resterebbe
confutata dalle precedenti osservazioni), ma assume più radical
mente che, non essendo dovuto alcun tributo, non sono dovute
nemmeno le addizionali, quali imposte meramente accessorie.
Il discorso impeccabilmente sillogistico, si regge tutto sulla
singolare tesi della non debenza dell'imposta che si presenta come
proposizione diacronica, assolutamente non condivisibile perché confonde la non debenza deEa imposta stessa in astratto con gii effetti della intervenuta solutio che rende non più dovuta ulte
riormente l'obbligazione tributaria già assolta.
Se in effetti il contribuente volesse paradossalmente sostenere
che non avrebbe dovuto corrispondere alcunché a tìtolo di
complementare per l'anno 1973 sarebbe agevole contestargli la
preclusione che nasce dalla richiesta di condono e dal pagamento
del debito che alla applicazione di condono si correlava trattando
si di obbligazione tributaria ormai definita e rispetto alla quale,
del resto, non è stata presentata in questo giudizio alcuna
richiesta restitutork, la restituzione essendo limitata al quid pluris
differenziale risultante dalle contrapposizioni della imposta, ed
eventualmente delle addizionali calcolate su tale imposta, all'am
montare della ritenuta.
L'unico discorso plausibile da svolgere non può quindi innestar
si sulla « attuale » inesistenza del debito principale d'imposta, per
Il Foro Italiano — 1985.
negate ingresso alla obbligazione accessoria per addizionali, giac ché per escludere la debenza dell'addizionale non basta invocare
il pagamento dell'imposta principale ma bisogna dimostrare, ap
punto, l'inesistenza di tale obbligazione « madre »,
Ma, una volta ribadito che un'obbligazione per imposta è
venuta in essere ed è stata adempiuta, il contribuente non può sottrarsi alla regola della accessorietà, sforzandosi di dimostrare
l'adempimento anche di tale obbligazione accessoria « riportando
la » al maggiore importo residuale della ritenuta d'acconto che se
valeva per la solutio del minor debito a titolo di imposta
principale, non vale per l'imputazione a titolo di imposta addi
zionale, poiché sicuramente di questa non ha costituito anticipa
zione, sicché l'assunto della doppia imposizione risulta assoluta
mente privo di fondamento.
In altre parole, rapportata la ritenuta d'acconto alla sola
imposta principale e negata la ripetibilità del supero che resta
acquisito al fisco (per le ragioni esposte nel precedente paragrafo), tale supero non è più nella sfera di disponibilità del contribuente
che non può imputare il diverso credito per addizionale che
scaturisce de plano dalla indiscussa debenza dell'imposta principa le. Ne consegue che, non essendo state corrisposte le addizionali
(salve le 250.000 di cui è cenno nella narrazione del fatto, secondo modalità che sfuggono all'esame del collegio, non essen
dovi comunque imputazione specifica sul punto) correttamente la
C.t.c. ha riconosciuto la fondatezza della iscrizione per lire
7.968.652 nei ruoli di settembre del 1975.
Né varrebbe dedurre, come si fa nella parte finale del motivo,
che il titolo esecutivo 'rappresentato dal ruolo sarebbe nullo
perché una delle componenti iscritte, e precisamente l'addizionale
pro Calabria, non sarebbe stata più dovuta con riferimento al
periodo di imposta corrispondente all'anno solare 1973.
Osserva al riguardo il collegio che si tratta di tesi giuridiche nuove, come tali insuscettibili di trovare ingresso in questa sede
di legittimità, dal momento che davanti alla C.t.c. il contribuente
in tema di addizionale si era limitato a sostenere la loro non
debenza perché assorbite dalla maggior somma della ritenuta
d'acconto residuata dopo l'imputazione dell'imposta di lire
9.801.280.
6. - In conclusione il ricorso, essendo risultato infondato in
entrambi i motivi in cui si articola, deve essere respinto. (Omis
sis■)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 17
ottobre 1984, n. 5233; Pres. Mirabelli, Est. Panzarani, P.M.
Sgroi V. (conci, conf.); Esposito (Avv. Ciabattini) c. Soc. S.i.a.d.
(Avv. Iannotta) e Soc. Cosida in liquidazione coatta ammini
strativa (Avv. Spadafora). Conferma Trib. Napoli 27 ottobre
1982.
Assicurazione (imprese di) — Impresa assicuratrice in liquidazione coatta amministrativa — Impresa cessionaria del portafoglio —
Riassunzione di personale dell'impresa in liquidazione — Azio
ne del dipendente — Giurisdizione ordinaria (D.l. 26 set
tembre 1978 n. 576, agevolazioni al trasferimento del porta
foglio e del personale delle imprese di assicurazione poste in
liquidazione coatta amministrativa, art. 5).
Assicurazioni (imprese di) — Impresa assicuratrice in liquidazione coatta amministrativa — Trasferimento del portafoglio — Im
presa cessionaria — Riassunzione di personale — Dirigenti —
Esclusione (D.l. 23 dicembre 1976 n. 857, modifica della disci
plina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile de
rivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, art.
10, 11; 1. 26 febbraio 1977 n. 39, conversione in legge, con modifi
cazioni, del d.l. 23 dicembre 1976 n. 857, art. unico; d.l. 26 settem
bre 1978 n. 576, art. 5; d.p.r. 16 gennaio 1981 n. 45, modificazio ni al regolamento sull'assicurazione obbligatoria della responsabi lità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei
natanti, art. 23, 24).
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda con la quale il dipendente di impresa assicuratrice posta in liquida zione coatta amministrativa chieda, all'impresa cessionaria del
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