Sezione I civile; sentenza 19 agosto 1983, n. 5410; Pres. Brancaccio, Est. Sensale, P. M. Minetti(concl. conf.); Soc. Petrosino parati (Avv. L. Montesano, Altomano) c. Petrosino; Petrosino (Avv.Pazzaglia, Rossano, Ferrareis) c. Soc. Petrosino parati. Conferma App. Lecce 12 gennaio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 9 (SETTEMBRE 1984), pp. 2297/2298-2303/2304Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177322 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Gon la decisione ora impugnata la Commissione tributaria centrale, giudicando sul ricorso proposto da Schiano Giuseppe contro la decisione 24 gennaio 1077 emessa dalla G.P.A., sezione speciale tributi locali, di Roma in materia di imposta di famiglia, accertata dal comune di Roma, ha dichiarato inammissibile il ricorso stesso perché presentato oltre il termine di trenta giorni previsto dall'art. 284 bis t.u. per la finanza locale: norma, ritenuta ancora vigente per effetto del
disposto degli art. 25 d.p.r. 636/72 e 19, 4° e 5° comma, d.p.r. 638/72.
Lo Schiano ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Resiste il comune di Roma con controricorso.
Motivi della decisione. — Col primo motivo il ricorrente, premesso che la decisione, da lui impugnata dinanzi alla Commis sione tributaria centale, era stata notificata il 10 giugno 1977 e che il ricorso al detto organo era stato da lui inviato a mezzo
posta in data 29 luglio 1977, sostiene che l'impugnazione era da ritenersi tempestiva a norma dell'art. 25 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636. Soggiunge che, a tenore dell'art. 19 d.p.r. 26 ottobre 1972 n.
638, i temini per i ricorsi in materia tributaria locale sono
disciplinati dal t.u. 14 settembre 1931 n. 1175 per quanto riguar da le impugnazioni proposte fino al 31 dicembre 1972, mentre sono disciplinati dal d.p.r. n. 636/72 per il periodo successivo.
Col secondo motivo afferma che la disposizione da ultimo
citata, se interpretata nel senso attribuitole dalla Commissione tributaria centrale, sarebbe contraria al principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost, perché creerebbe disparità di trattamento tra i contribuenti soggetti all'osservanza del termine di trenta
giorni previsto dal t.u. per la finanza locale, e quelli che possono utilizzare il più ampio termine assegnato dall'art. 25 d.p.r. 636/72.
Il ricorso è privo di fondamento. L'art. 19 d.p.r. 638/72, nel
prevedere la facoltà dei comuni di procedere entro il 30 giugno 1975 ad accertamenti relativi ai tributi, di loro spettanza, soppres si, dispone al 4° comma che per la definizione delle relative controversie (oltre che di quelle relative a ricorsi pendenti o ad atti notificati entro il 31 dicembre 1973, anche se concernenti tributi non soppressi) si applicano le disposizioni degli art. 277 ss. t.u. n. 1175/31.
Prevede poi all'ultimo comma il potere degli organi preesistenti del contenzioso tributario locale di decidere le controversie relati ve agli accertamenti di cui sopra e dispone infine che, dopo l'insediamento della Commissione tributaria centrale nella nuova
composizione, le sezioni di essa conosceranno delle controversie stesse in terzo grado, con l'applicazione delle procedure vigenti alla data di esso d.p.r. n. 638.
Le norme e le procedure cui la disposizione fa riferimento sono quelle — vigenti appunto alla data considerata — di cui
agli art. 277-298 t.u. 14 settembre 1931 n. 1175; tra esse, la norma dell'art. 284 bis, che dichiara le decisioni della G.P.A., sezione speciale per i tributi locali, impugnabili dinanzi alla Commissione centrale per le imposte dirette, con ricorso da
proporsi entro trenta giorni dalla notificazione delle decisioni stesse e da decidersi (dalla speciale sezione di quel consesso
previsto dagli art. 2 d.l. 26 dicembre 1936 n. 2394 e 3 d.1.1. 12
finanza locale, norma ancora io vigore grazie al richiamo effettuato dall'art. 19 d.p.r. 638/72, il termine per impugnare le decisioni della giunta provinciale amministrativa, sezione tributi locali, di fronte alla Commissione tributaria centrale, in materia di controversie inerenti agli accertamenti relativi ad tributi soppressi di spettanza comunale, è di trenta giorni decorrenti dalla notificazione della decisione impugnata e non di sessanta.
A tale proposito va ricordato preliminarmente che in numerose altre occasioni la giurisprudenza ha ritenuto ancora in vigore sia il t.u. della finanza locale per intero, sia espressamente l'art. 284 bis del medesimo; v., in tal senso, Comm. >trib. centrale 13 dicembre 1979, n. 13382, id., Rep. 1981, voce Tributi locali, n. 84; 9 marzo 1976, n. 3720, id., Rep. 1976, voce cit., n. 118.
Va ricordato inoltre che in precedenza la Commissione tributaria contraile aveva già avuto occasione di esprimere il principio qui riassunto dalla prima massima: v. dee. 9 ottobre 1980, n. 9542, id., Rep. 1981, voce cat., n. 83.
c) Per quanto riguarda il punto c) numerosi e di vario genere sono
gli interrogativi che, sul pi-ano della legittimità costituzionale, sono sorti a seguito della revisione del contenzioso tributario; v., per una
panoramica generale, A. Proto Pisani, In tema di costituzionalità del contenzioso tributario, in Foro it., 1983, I, 533. A tale proposito con la seconda massima della sentenza in epigrafe la Cassazione per la prima volta ha ritenuto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 284 bis t.u. finanza locale in riferimento all'art. 3 Cost, manifestamente in fondata.
Sempre in materia <ii termini nel contenzioso tributario si sono avute però altre dispute alcune delle quali sono state rimesse all'esame della Corte costituzionale: sent. 9 dicembre 1982, n. 214, id., 1983, I, 533, con nota di A. Proto Pisani, cit.; 20 aprile 1977, n. 63, id., 1977, I, 1052; App. Roma 25 marzo 1982, id., 1983, I, 1490.
ottobre 1944 n. 334) secondo la procedura di cui al r.d. 5
settembre 1938 n. 1530. Dopo l'insediamento della Commissione
tributaria centrale, nella composizione prevista dal d.p.r. 26
ottobre 1973 n. 636, è venuta meno la predetta sezione come
organo speciale, ma — giusta quanto dispone l'ultima parte del
citato art. 19 — le controversie relative ai tributi locali soppressi continuano ad essere decise secondo le norme e le procedure di
cui innanzi. Le quali norme e procedure, pertanto, quando si
tratti di controversie relative a tributi comunali soppressi (ed
accertati, s'intende, nei termini di cui al 3° comma del ripetuto art. 19: ciò che nella specie non è controverso) sono applicabili dinanzi alla Commissione tributaria centrale indipendentemente dalla data di proposizione del relativo ricorso.
La disciplina che ne risulta non viola in alcun modo il
principio costituzionale di eguaglianza, ma, anzi, conservando in
vigore le norme processuali applicabili nella specifica materia dei tributi locali, assicura, nella stessa materia, parità di trattamento
tra i contribuenti che si trovino ad adire gli organi del contenzio
so tributario per identiche controversie. È pertanto manifestamen te infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata nel ricorso.
In conclusione, poiché è tuttora operante la norma dell'art. 284 bis t.u. per la finanza locale, e poiché non è controverso che l'impugnazione dinanzi alla Commissione centrale è stata
proposta dallo Schiano dopo i trenta giorni dalla notificazione della decisione della G.P.A., la pronunzia della detta commis sione è legittima, onde il rigetto del ricorso in esame, con le
conseguenze di legge.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 19 ago sto 1983, n. 5410; Pres. Brancaccio, Est. Sensale, P.M. Minetti (conci, conf.); Soc. Petrosino parati (Avv. L. Monte
sano, Altomano) c. Petrosino; Petrosino (Avv. Pazzaglia, Rossano, Ferrareis) c. Soc. Petrosino parati. Conferma App. Lecce 12 gennaio 1982.
Società — Società per azioni — Deliberazione assembleare —
Conflitto d'interessi tra socio e società — Configurabilità —
Fattispecie (Cod. civ., art. 2373).
È configurabile conflitto fra l'interesse del socio e quello della società nella deliberazione con cui l'assemblea di società per azioni decida la proposizione dell'azione di responsabilità nei
confronti dell'amministratore, allorché tale deliberazione sia in concreto preordinata ad impedire l'espansione commerciale del la società, contrastante con gli interessi personali del socio
dominante, quale maggiore azionista ed amministratore di altra
società, concorrente con la prima (nella specie: la deliberazione dell'azione di responsabilità contro il socio-amministratore mi rava a creare un dissidio tra i soci che determinasse l'impossi bilità di funzionamento della società). (1 )
li
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 19 ago sto 1983, n. 5404; Pres. Brancaccio, Est. Sensale, P.M. Minetti (conci, conf.); Soc. Petrosino parati (Aw. L. Mon
tesano, Altomano) c. Petrosino; Petrosino (Avv. Pazzaglia, Rossano, Ferrareis) c. Soc. Petrosino parati. Conferma App. Lecce 12 gennaio 1982.
Società — Società per azioni — Deliberazione del consiglio di amministrazione — Conflitto di interessi tra società ed ammi nistratore — Configurabilità — Fattispecie (Cod. civ., art.
2391).
È configurabile conflitto d'interessi tra società ed amministratore nella deliberazione del consiglio d'amministrazione di società
per azioni con cui venga sostituito il consigliere delegato in
carica, allorché tale deliberazione sia in concreto preordinata ad impedire l'espansione commerciale della società, contrastante con gli interessi personali del socio dominante e componente del consiglio d'amministrazione, quale maggiore azionista ed amministratore di altra società, concorrente con la prima. (2)
(1-2) La Cassazione, nel formulare il principio di dirótto delle due massime in epigrafe, ha ribadito una posizione già assunta in passato, secondo cui ogni società di capitali, in quanto persona giuridica e quindi soggetto autonomo dell'ordinamento, è portatrice di un proprio,
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2299 PARTE PRIMA 2300
I
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato il
15 gennaio 1979 Antonio Petrosino chiedeva annullarsi la delibe
razione in data 27 ottobre 1978 dell'assemblea dei soci della s.p.a. Pretrosino parati, con la quale era stata decisa la proposizione dell'azione di responsabilità nei suoi confronti per atti da lui
compiuti nella qualità di amministratore delegato della società.
Il Tribunale di Taranto rigettava la domanda e il Petrosino
proponeva appello, (omissis) La corte d'appello ha, invece, ritenuto fondata la censura
dell'appellante nella parte in cui si deduce la esistenza di un
conflitto di interessi del Maggioni, quale vizio del processo formativo della volontà dell'organo deliberante, in quanto la
deliberazione di proposizione dell'azione di responsabilità nei
confronti del Petrosino costituiva il secondo tempo di attuazione
del programma del Maggioni di demolizione della società, il
primo tempo essendo costituito dalla revoca dei poteri di ammi
nistratore delegato al Petrosino. Secondo la corte d'appello, il
Maggioni aveva costituito la s.p.a. Petrosino parati per lucrare sia come socio preponderante della s.p.a. Nervi e Maggioni (che aveva affidato l'agenzia di vendita dei propri prodotti alla Petrosino
parati), sia come socio di quest'ultima: scopo frustato dall'azione dell'amministratore Petrosino, intesa all'espansione dell'attività in
Calabria, dove la Nervi e Maggioni vendeva i propri prodotti attraverso altro agente. Per ciò il Maggioni aveva provocato prima la revoca dei poteri di amministratore delegato incautamen
te conferiti al Petrosino, poi posto in essere una condizione
d'insanabile contrasto tra i due soli soci al fine di pervenire allo
scioglimento della Petrosino parati, come risultava dalla istanza di
liquidazione della pur florida società pochi giorni dopo le dimis
sioni della moglie del Maggioni dal consiglio di amministrazione.
Chiara era, dunque, la pretestuosità delle accuse, mosse al Petro
sino, di compera per la Pretosino parati a basso prezzo di
prodotti della Nervi e Maggioni (prodotti acquistati, invece, in
base allo sconto speciale accordato alla società agente) e di
imputazione alla società delle riparazioni dei locali dell'azienda e
della spesa occorsa per una notte di permanenza di lui nell'alber
go di Roma, Cicerone.
Contro tale sentenza la s.p.a. Petrosino parati ha proposto
autonomo interesse, superiore e distinto rispetto a quello dei singoli soci, e oggetto, come tale, dii autonoma tutela giuridica; in particolare, la preferenza per d'ora ricordata concezione istituaionialistica rispetto a
quella cosi detta contrattualistica — secondo la quale l'interesse della società si risolve nell'interesse della globalità o quanto memo della
maggioranza dei soci — era stata manifestata da Cass. 25 ottobre
1958, n. 3471, e 20 giugno 1958, n. 2148, Foro it., 1959, I, 1150, con nota di richiami; e merita di essere rilevato il fatto che mentre nelle due sentenze in epigrafe si è riconosciuto configurable il conflitto d'interessi tra 11 socio dominante e la società, nelle due sentenze ora richiamate si è riconosciuto astrattamente confìgurabile il conflitto d'interessi addirittura tra la totalità dei sooi — unanimemente concordi in ordine ad una determinata operazione — e la società di capitali.
Nello stesso senso delle sentenze in epigrafe si veda altresì App.
Bologna 9 maggio 1975, id., Rep. 1975, voce Società, n. 294, secondo cui sono annullabili le deliberazioni assembleari di società per azioni
che, pur formalmente regolari, tendano intenzionalmente a ledere la
posizione di uno o pili soci di minoranza, deviando dalle finalità sociali.
Non constano altri precedenti in termini sull'argomento, mia la casistica in materia di conflitto d'interessi fra società e soci o fra società ed amministratori è assai varia; in particolare, per quanto attiene al problema dei rapporti fra art. 2391 e art. 1394 c.c., cfr. Oass. 26 settembre 1969, n. 3136, id., Rep. 1969, voce oit., n. 207, nonché Oass. 16 giugno 1961, n. 1407, id., 1961, I, 1691, con nota di
richiami. Sul potere dell'autorità giudiziaria di sindacare il merito della
deliberazione impugnata per conflitto di interessi si vedano, in senso
favorevole, Trib. Milano 20 marzo 1980, id., Rep. 1980, voce cit., n.
271, e in Giur. comm., 1980, II, 396, con osservazioni di Jaeger (in obiter), e Oass. 4 marzo 1963, n. 511, Foro it., 1963, I, 684, con nota di richiami, cui adde Trib. Belluno 5 giugno 1950, id., Rep. 1951, voce
cit., n. 279. In dottrina, le teorie formulate e le posizioni assunte dai divedisi
autori che hanno affrontato il tema del conflitto d'interessi in materia sooietaria sono — anche a causa della varietà dei problemi cui
l'argomento dà vita — assai articolate: cfr., oirca il conflitto d'interessi fra società ed amministratore, Angelici, Amministratori di società, conflitto di interessi e art. 1394 c.c., in Riv. dir. comm., 1970, I, 104; Borgioli, La delega di attribuzioni amministrative, in Riv. società, 1981, 17 ss., spec. 57-66; Ferrara jr, Gli imprenditori e le società, 1978, 480 s., 484 s., 494; G. Ferri, Le società, 1971, 505 s.; Frè, Società per azioni, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, 1972, 465 ss.; circa il conflitto d'interessi fra società e socio cfr.,
invece, Ferrara, op. cit., 450 ss.; Ferri, op. cit., 450 ss.; Frè, op. cit., 345 ss.; Gambino, La disciplina del conflitto d'interessi del socio, in Riv. dir. comm., 1969, I, 371.
ricorso per cassazione in base ad un motivo, cui ha resistito con
controricorso, proponendo anche ricorso incidentale condizionato,
fondato su tre motivi, il Petrosino. Al ricorso incidentale la s.p.a. Petrosino parati ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — Deve preliminarmente procedersi alla
riunione del ricorso principale della società Petrosino parati e di
quello incidentale di Antonio Petrosino, proposti contro la sen
tenza in data 12 gennaio 1982 dalla Corte d'appello di Lecce.
Con l'unico motivo del ricorso principale, si denuncia, da parte della società Petrosino parati, la violazione e falsa applicazione
degli art. 2373 e 2393 c.c., nonché il vizio di omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia
(art. 360, n. 5, c.p.c.), deducendosi che l'oggetto della deliberazio
ne (azione di responsabilità contro l'amministratore) era tale da
escludere ogni possibilità di conflitto d'interessi tra soci deliberan
ti e società. Secondo la tesi della ricorrente principale non si
trattava, invero, di deliberare sull'attuale o futura gestione della
società o su singole operazioni sociali che potessero nuocere alla
società nell'interesse di singoli soci, ma di provocare un giudizio
sulla pregressa gestione dell'amministratore. E pertanto, anche se
motivo determinante della deliberazione societaria fosse stato
quello indicato dalla corte leccese con riferimento agli interessi del
socio dominante Maggioni, non ne sarebbe derivata la illegittimità della deliberazione stessa, in relazione alla quale occorrerebbe
solo verificare la correttezza del Petrosino, come amministratore.
Il ricorso principale è infondato. L'art. 2373 c.c. stabilisce che
il diritto di voto non può essere esercitato dal socio nelle
deliberazioni in cui egli abbia, per conto proprio o di terzi, un
interesse in conflitto con quello della società; e che, in caso
d'inosservanza di tale disposizione, la deliberazione, qualora possa recare danno alla società, è impugnabile a norma dell'art. 2377
se, senza il voto dei soci che si sarebbe dovuti astenere dalla
votazione, non si sarebbe raggiunta la necessaria maggioranza. Posto che, nel caso concreto gli unici soci della Petrosino parati erano Antonio Petrosino ed il Maggioni e che, senza la partecipa zione del secondo alla deliberazione, questa non si sarebbe potuta adottare, il problema da esaminare è se sia configurabile un
conflitto di interessi, nel senso previsto dall'art. 2373 c.c., in
relazione ad una deliberazione con la quale si decida la proposi zione dell'azione di responsabilità nei confronti dell'amministrato
re. Lo esclude la ricorrente, osservando che l'azione di responsa bilità t(nel caso, contro il Petrosino), riguardando la passata gestione, non potrebbe essere viziata dal conflitto d'interessi con il Maggioni.
Orbene, se nella ipotesi di deliberazione avente ad oggetto l'azione di responsabilità contro l'amministratore, non si vuole adottare una configurazione riduttiva di deliberazione impugnabile per conflitto d'interessi — che sarebbe contraria alla ratio della
norma, individuata nello scopo di proteggere la società da forme
concorrenziali, spesso occulte, e dai pregiudizi che possono deri varle dalla deviazione dei suoi fini istituzionali per un interesse contrastante di chi intende promuovere l'azione — deve ritenersi
che, al fine della applicabilità della norma in esame, non può prescindersi dal reale scopo della deliberazione che traspaia con un grado di sufficiente certezza, nel senso che il conflitto è
configurabile, oppure no, secondo gli scopi che la deliberazione si
propone di conseguire, si che l'azione di responsabilità, prevista in astratto a favore e a tutela della società, sì riveli, in concreto, deliberata nell'interesse particolare dei soci che intendono pro muoverla.
Ciò che, piuttosto, si richiede è che il conflitto risulti da fatti obiettivi e non già da meri atteggiamenti psicologici; e, nel caso in esame, la corte d'appello ha correttamente tratto il convinci mento della esistenza del conflitto d'interessi, dandone conto con
adeguata e logica motivazione, da obiettive circostanze di fatto, rivelatrici del vero scopo della deliberazione, che trascendeva l'a zione di responsabilità e che realizzava l'intento del Maggioni di
avviare la società alla liquidazione, neutralizzando il contrario
avviso del Petrosino.
Ha infatti osservato la corte d'appello che il conflitto d'interes
si era reso manifesto da una serie di circostanze, nell'ambito delle
quali l'azione di responsabilità contro il Petrosino si poneva come
un momento del disegno perseguito dal Maggioni; e che non sono senza significato il fatto che, con deliberazione del consiglio di amministrazione (del quale facevano parte, oltre al Petrosino e
al Maggioni, la moglie di quest'ultimo), fosse stata già deliberata
la revoca del Petrosino dalla carica di amministratore delegato e
la sua sostituzione con il Maggioni allo scopo di far cessare
l'attività commerciale della società in Calabria (dove la soc. Nervi e Maggioni operava per mezzo di altro agente); la messa in
liquidazione della società, ad opera del Maggioni, malgrado l'accertata floridezza economica di essa; la pretestuosità delle
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ragioni addotte a giustificazione dell'azione di responsabilità, rivelata anche dal fatto che la deliberazione fu, in realtà, presa dal solo Maggioni, non essendovi altri soci ed essendo al Pe trosino inibito votare sulla proposta azione contro di lui
(art. 2373, 3° comma, c.c.) elementi, questi, che la corte d'ap pello ha inquadrato nel più ampio contesto dei rapporti tra la soc. Nervi e Maggioni (della quale il Maggioni era socio domi nante e amministratore) e la soc. Petrosino parati, che il Maggio ni aveva costituito con il Petrosino con il proposito che essa
dovesse operare in posizione di subordinazione rispetto alla Nervi e Maggioni, finché non avesse leso gli interessi commerciali di
questa e che, per iniziativa del Petrosino, andava via via am
pliando la sua sfera di attività anche in contrasto con gli interessi
commerciali della Nervi e Maggioni, donde il disegno — realizza
to — dal Maggioni di condurre la soc. Petrosino parati alla
anticipata messa in liquidazione, attraverso la creazione di un dissidio tra i soci che determinasse l'impossibilità di funziona mento della società.
Consegue che la sentenza impugnata sfugge sia sul piano della correttezza giuridica, sia su quello della congruità della motiva
zione, alle censure formulate dalla ricorrente principale, e che il ricorso dev'essere, quindi, rigettato. (Omissis)
II
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato il 1° agosto 1978 Antonio Petrosino chiedeva annullarsi la delibera zione del consiglio di amministrazione della s.p.a. Petrosino
parati, adottata il 24 luglio 1978, con la quale egli era stato revocato dalla carica di consigliere delegato e sostituito col socio Carlo Maggioni, presidente del consiglio di amministrazione.
Sosteneva che la deliberazione impugnata era viziata dal con trasto d'interessi tra la società e il Maggioni, il quale — coa diuvato dalla moglie (altra componente del consiglio di ammini
strazione) — intendeva impedire l'espansione dell'attività com merciale in Calabria, dove altra società — la Nervi e Maggioni s.p.a. (di cui lo stesso Maggioni era amministratore e maggiore azionista) — aveva un proprio agente esclusivista della vendita
degli stessi prodotti. A seguito della messa in liquidazione della società, il Tribunale
di Taranto dichiarava cessata la materia del contendere, ritenendo
tuttavia non fondato l'assunto del Petrosino e condannandolo alla
rifusione delle spese processuali. Contro tale sentenza il soccombente proponeva appello, chie
dendo dichiararsi la fondatezza della domanda « ai soli fini della
condanna al pagamento delle spese e competenze del giudizio » e
deducendo che la qualifica di atto neutro data dal tribunale alla
revoca impugnata era da ritenere del tutto formalistica di fronte
al programma, dichiarato, del socio di impedire l'espansione della
società in quelle regioni dove la Nervi e Maggioni operava a
mezzo di altro agente e dove il Maggioni, attraverso quest'ultima società, realizzava maggiori utili, sf da indursi, poi, a promuovere la liquidazione della pur florida Petrosino parati.
Con la sentenza impugnata in questa sede, la corte d'appello ha accolto il gravame, dichiarando fondata la originaria domanda
e condannando, per ciò, la convenuta società al pagamento delle
spese del doppio grado. Ha osservato la corte d'appello che la
qualificazione di « atto neutro », data dal tribunale alla revoca dei poteri del Petrosino, dipendeva dall'essere stato isolato —
quell'atto — dal contesto della deliberazione contenente il confe rimento degli stessi poteri al Maggioni, atto, quest'ultimo, che per sé solo rivelava la effettiva finalità operativa della revoca (impe dire la penetrazione della Petrosino parati in Calabria). Ha poi precisato — la corte — che la società non aveva alcun obbligo nei confronti della Nervi e Maggioni, tanto più per i prodotti fornitile da altre imprese, di limitare la propria attività alle
Puglie e alla Lucania, non risultando esso dal contratto di
agenzia stipulato tra la Petrosino parati e la Nervi e Maggioni; e
che un analogo obbligo non avesse nei confronti dell'agente in
Calabria della Nervi e Maggioni, derivava dalla natura meramen
te obbligatoria dei rispettivi rapporti, dato che il contratto di
agenzia assicurava alla Petrosino parati la esclusiva per Puglie e
Lucania ma non le imponeva il rispetto di analoghe esclusive
attribuite ad altri agenti, tanto meno in relazione a prodotti similari di provenienza diversa. In realtà il Maggioni si era
indotto al contratto di società col Petrosino allo scopo di fruire
del duplice vantaggio dello smercio dei prodotti della Nervi e
Maggioni attraverso la Petrosino parati e del dividendo che da
quest'ultima avrebbe ricevuto, ma non aveva perfettamente « ca
librato » l'oggetto sociale della Petrosino parati, sf ché, per
impedire la naturale espansione promossa dal socio disinteressato, aveva dovuto far ricorso alla revoca dei poteri incautamente
conferitigli.
Contro tale sentenza la Petrosino parati ricorre per cassazione
in base a due motivi. 11 Petrosino resiste con controricorso e
propone ricorso incidentale condizionato con unico mezzo, cui la
Petrosino parati resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — Deve preliminarmente procedersi alla
riunione del ricorso principale della società Petrosino parati e di
quello incidentale di Antonio Petrosino, proposti contro la sen
tenza in data 12 gennaio 1982 della Corte d'appello di Lecce.
Con il primo motivo, la ricorrente principale denuncia viola
zione e falsa applicazione dell'art. 2391 c.c., deducendo che la
deliberazione di revoca e di nomina del consigliere delegato da
parte del consiglio di amministrazione è, per il suo contenuto e
la sua funzione, estranea alla previsione dell'art. 2391, non
avendo ad oggetto il compimento di una « operazione », in
relazione alla quale, soltanto, potrebbe realizzarsi quel conflitto
di interessi tra società e amministratori, che la norma intende
evitare. Pertanto — conclude la ricorrente principale — seppure il Maggioni avesse inteso gestire e liquidare la società Petrosino
parati, al fine di favorire l'altra società concorrente, della quale era socio ed amministratore, le deliberazioni da impugnare sareb
bero state quelle in cui si fosse concretato il suo disegno, in
quanto effettivamente viziate da conflitto d'interessi, e non già
quella avente ad oggetto l'atto di nomina dell'amministratore
delegato. Con il secondo motivo si denunzia il vizio di insufficienza della
motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, n.
5, c.p.c.), in quanto la corte del merito, senza alcuna argomenta zione di replica alle difese svolte dalla società, non avrebbe considerato che illegittimo era non già l'operato del Maggioni, volto ad impedire l'espansione dell'attività della società in Cala
bria, ma il comportamento di Antonio Petrosino che agiva nella direzione opposta, giacché la soc. Petrosino parati era stata costituita per il solo fine di vendere prodetti già confezionati dalla società Nervi e Maggioni, con esclusiva esplicitamente limitata alla Puglia e alla Lucania.
Entrambe le censure sono infondate. L'art. 2391 c.c. dispone che l'amministratore, il quale in una determinata operazione abbia — per conto proprio o di terzi — interesse in conflitto con
quello della società, deve darne notizia agli altri amministratori e
al collegio sindacale e deve astenersi dal partecipare alle delibe
razioni riguardanti l'operazione stessa; e che la deliberazione del consiglio, qualora possa recare danno alla società, può, entro
tre mesi dalla sua data, essere impugnata dagli amministratori
assenti o dissenzienti e dai sindaci se, senza il voto dell'ammini
stratore che doveva astenersi, non si sarebbe raggiunta la mag
gioranza richiesta. Se è vero che oggetto d'impugnazione dev'esse re la deliberazione riguardante l'operazione in relazione alla quale si può configurare il conflitto di interessi (e trattasi dell'unica
ipotesi in cui la deliberazione del consiglio di amministrazione
può essere impugnata), tuttavia, nel caso di revoca dell'ammini
stratore delegato e di contestuale nomina di altro amministratore
(come di ogni altra ipotesi analoga), se non si vuole adottare una
configurazione riduttiva di deliberazione impugnabile — che sa rebbe contraria alla ratio della norma, individuata nello scopo di
proteggere la società da forme concorrenziali, spesso occulte, e dai pregiudizi che possono derivarle dalla deviazione dei suoi fini
istituzionali per un interesse contrastante degli amministratori —
deve ritenersi che, al fine dell'applicabilità della norma in esame, non può prescindersi dal reale scopo della deliberazione che
traspaia con un grado di sufficiente certezza, nel senso che alla
deliberazione medesima deve riconoscersi carattere « neutro » o,
per cosi dire, « operativo », secondo gli scopi che essa si
propone di conseguire. E, nel caso concreto, il carattere neutro della deliberazione (nella quale non solo era stata disposta la revoca del Petrosino e la sua sostituzione con il Maggioni, ma si era anche deliberata la cessazione dell'attività in Calabria) è stato correttamente escluso nella sentenza impugnata, avendo la corte del merito insindacabilmente accertato che la cessazione dell'atti
vità in Calabria fu non solo lo scopo, ma anche l'oggetto della deliberazione. Risulta, infatti, dalla sentenza impugnata (la cui
motivazione non è stata censurata, con il primo motivo, sotto il
profilo della congruità e logicità), che tale deliberazione non
aveva avuto ad oggetto il semplice trasferimento delle funzioni
delegate da un consigliere di amministrazione all'altro, ma la
modificazione della attività operativa della società, impedendone la espansione commerciale in Calabria, cui il Maggioni era
controinteressato quale amministratore e azionista della società
Nervi e Maggioni. Non si era trattato, dunque, di una semplice ridistribuzione delle cariche in seno al consiglio di amministra
zione, ma la revoca del Petrosino e la attribuzione dell'incarico al
Maggioni costituivano, secondo l'accertamento compiuto dal giu dice del merito, lo strumento per attuare quello che, del resto, fu
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2303 PARTE PRIMA 2304
anche espressamente deciso, e cioè la cessazione della vendita delle merci di proprietà della società in Calabria.
Ciò è sostanzialmente ammesso dalla società ricorrente, allor
ché, nel secondo motivo, sostiene la legittimità di tale obiettivo, in quanto diretto a far rientrare l'attività della Petrosino parati, nei limiti del contratto di agenzia che la legava alla società Nervi e Maggioni, per escludere che la deliberazione impugnata potesse recare danno alla prima e per censurare la motivazione della
sentenza della corte leccese ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. nella
parte in cui ha, invece, ritenuto l'esistenza, nel caso concreto, della condizione posta dal 3° comma dell'art. 2391.
Senonché, la corte del merito ha accertato in punto di fatto
(e tale accertamento è sorretto da adeguata e logica motivazione) che la deliberazione impugnata era idonea a recare danno alla
società, in quanto diretta ad impedirne l'espansione commerciale, che a termini di statuto e in base al menzionato contratto di
agenzia era da ritenersi consentita.
Ha osservato, in proposito, la corte del merito che la società Petrosino parati non aveva — tanto più per i prodotti fornitile da altra impresa — alcun obbligo di limitare la propria attività alla Puglia e alla Lucania, poiché tale limitazione non risultava dal contratto di agenzia, che, se concedeva alla Petrosino parati, la esclusiva per la vendita in Puglia e Lucania dei prodotti della Nervi e Maggioni, non imponeva limiti con riguardo ad altri territori, anche se vi avessero operato altri agenti, tanto meno in relazione a prodotti similari di provenienza diversa, che la Petrosino parati era libera di smerciare senza limitazioni territo riali. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 16
aprile 1983, n. 2632; Pres. Mazzacane, Est. Sensale, P. M. Dettori (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Mari) c. Luiso e altri (Avv. Anzaldi, Luiso). Conferma Comm. trib. centrale 17 dicembre 1979, n. 2705.
Successioni e donazioni (imposta sulle) — Legato in favore di un ente non riconosciuto — Imposta pagata dall'erede sull'intero asse — Rimborso della quota relativa al legato — Tardiva domanda di risarcimento da parte dell'ente — Irrilevanza
(Cod. civ., art. 600; r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270, legge tri butaria sulle successioni, art. 16).
Spetta all'erede, il quale abbia pagato l'imposta di successione sull'intero asse ereditario, il rimborso della quota relativa al
legato disposto in favore di un ente non riconosciuto, senza che l'amministrazione finanziaria possa eccepire l'inefficacia del
legato in conseguenza del mancato rispetto del termine stabilito dall'art. 600 c.c. (1)
Svolgimento del processo. — Nel proprio testamento olografo, Vincenzo Massoni, deceduto il 17 febbraio 1952, disponeva, tra l'altro: « Nella mia tenuta del Casone denominata S. Vincenzo, e che tal nome deve conservarsi, sia eretto un istituto guidato dalle rr. madri, che possono occuparsi dei bambini di ambo i sessi
(1) Non risultano precedenti in termina. La decisione trova nondimeno riscontro nella vigente disciplina
dell'imposta sulle successioni e, segnatamente nell'art. 47, n. 6, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 637. Sulla disciplina tributaria delle eredità e dei legati devoluti in favore di enti non riconosciuti v., da ultimo, F. Mazzarella, Sul trattamento delle disposizioni testamentarie a favore di enti non ancora riconosciuti nella vigente disciplina dell'imposta sulle successioni, in margine alita sentenzia qui riportata, in Rass.
tributaria, 1983, II, 166. Cfr., ailtresf, G. Gallo-Orsi, L'imposta sulle successioni, Torino, 1976, 347, 350.
In tema di azione di risoluzione delle disposizioni testamentarie modali, v. Cass. 11 giugno 1975, ti. 2306, Foro it., 1976, I, 759, la quale ha riconosciuto la legittimazione ad agire dell'erede legittimo o di quello testamentario quali beneficiari della risoluzione stessa.
Più in generale, sulla successione degli enti non ancora esistenti al momento dell'eseguibilità del testamento, cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 1969, n. 1030, id., 1970, III, 69.
Sulla capaoità a succedere degli enti non riconosciuti e sulle condizioni di efficacia delle disposizioni testamentarie in loro favore, v., fra te opere più recenti, G. Caramazza, Delle successioni testamen
tarie2, sub art. 600, in Commentario teorico-pratico al codice civile, diretto da De Martino, 1982, 112 s.; L. Bigliazzi Gerì, Il testamen
to, im Trattato di diritto privato, a cura di Rescigno, 6, Tortino, 1982, 65 s.; G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 1983, I, 115 s.; F. S. Azzariti, G. Martinez, G. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni7, Padova, 1979, 344-347; C. Giannattasio, Successio ni testamentarie'1, in Commentario Utet, Torino, 1978, 78 ss.
affinché crescano devoti a Dio, alla patria e alla famiglia, con
dieci ettari intorno alla loro dimora ».
Solo quattro anni dopo la morte del Massoni, il prefetto di
Lucca comunicava al comune di Massarosa che, in esito alla
richiesta di autorizzazione all'accettazione del legato, poteva esse
re promossa la erezione in ente morale della fondazione dell'asilo
infantile della frazione di Piano di Mammio.
11 consiglio comunale, con deliberazione del 25 febbraio 1956,
costituiva un comitato provvisorio di amministrazione, quale esecutore testamentario del legato, onde provvedere, in particola
re, alla presa in consegna di tutti i valori mobili ed immobili
costituenti il legato stesso e promuovere l'emanazione del decreto
per la erezione in ente morale della fondazione; e con atto
notarile del 29 maggio 1956 gli eredi del Massoni consegnavano al presidente pro tempore del comitato provvisorio di amministra
zione (che accettava) i beni immobili oggetto del legato.
Avendo saldato in data 20 aprile 1956 l'imposta di successione
sull'intero asse ereditario, gli eredi, al fine di ottenere il rimborso
della quota relativa ai beni oggetti del legato, presentavano istanza all'ufficio del registro di Lucca, che però la respingeva, ritenendo che, divenuto eseguibile dal 21 febbraio 1952 il testa
mento del Massoni e non potendo la istanza di riconoscimento
essere stata presentata che dopo la costituzione del comitato
provvisorio di amministrazione, il legato de quo doveva ritenersi
non più efficace ai sensi dell'art. 600 c.c.
Il ricorso degli eredi, respinto dalla commissione provinciale,
sezione di diritto, è stato accolto dalla Commissione tributaria
centrale, la quale ha osservato che legittimato a far dichiarare
l'inefficacia della disposizione testamentaria in favore di un ente
non riconosciuto, ove la istanza per ottenere il riconoscimento
non sia stata presentata entro l'anno dal giorno in cui il
testamento è eseguibile, è esclusivamente chi affermi di essere
titolare di una posizione soggettiva suscettibile di essere soddisfat
ta con una pronunzia giudiziale favorevole, ossia il soggetto a
favore del quale saranno devoluti i beni oggetto della disposizio ne dichiarata inefficace, che s'identifica o in chi riveste la
qualità di erede (legittimo o testamentario) oppure in chi sia
onerato del legato o in chi sia chiamato in sostituzione dell'ente
riconosciuto.
La Commissione tributaria centrale ha, quindi, concluso che
l'amministrazione, essendo estranea alla successione del de cuius, non potesse invocare l'inopponibilità nei suoi confronti della
disciplina testamentaria a favore dell'erigendo asilo infantile.
Contro tale decisione l'amministrazione delle finanze ricorre per cassazione, ai sensi dell'art. Ill Cost., in base ad un unico
motivo. Resistono con controricorso e hanno depositato memoria
Giuseppe Luiso, Maria Adorni Braccesi e Fabrizio Massoni.
Motivi della decisione. — L'amministrazione delle finanze de
nuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 16 r.d. 30
dicembre li923 n. 3270 (vigente al momento dell'apertura della
successione), in relazione all'art. 600 c.c., sostenendo che la
disposizione testamentaria a favore di un ente non riconosciuto è
soggetta alla condizione impropria, sospensiva, della proposizione, entro l'anno dal giorno di eseguibilità del testamento, dell'istanza di riconoscimento ed è perciò soggetta alla disciplina dell'art. 16
del citato decreto. In conseguenza ed in coerenza con i principi dell'immediatezza e della certezza del rapporto d'imposta anche
sul valore del legato, salvo conguaglio nel momento in cui si
verifichi la condizione e si realizzi il trasferimento del legato in
dipendenza della soggettivazione dell'ente beneficiario e, non
verificandosi la condizione nel termine previsto dalla legge, egli
perderebbe il diritto alla restituzione del tributo afferente l'oggetto del legato; ciò per la diversità di disciplina del rapporto privati stico e di quello tributario, rispetto ai quali la condicio iuris
rileva autonomamente, e perché la successiva situazione, concer
nente l'oggetto del legato, di non operatività dell'eccezione d'i
nefficacia della disposizione, in quanto non fatta valere dal sogget to legittimato, non incide su un rapporto tributario ormai definito
con la liquidazione e la percezione del tributo.
Il ricorso è infondato. L'art. 16 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270
(applicabile al caso concreto), dopo avere stabilito che nei trasfe
rimenti per causa di morte subordinati a condizione, che siano
soggetti a tassa ai sensi degli art. 10, 11 e 12, è dovuta, nei
termini stabiliti dagli art. 64 e 71, la minore delle tasse applicabi li, salvo il pagamento della maggiore tassa che divenisse esigibile
dopo che la condizione si sia o s'intenda avverata, e dopo avere
precisato che, ove taluno degli eredi sia esente da tassa, questa è
dovuta quando la condizione si sia o s'intenda avverata a favore
di persone che vi siano soggette, occupandosi della ipotesi di
legato sottoposto a condizione sospensiva, dispone che la tassa è
dovuta quando si sia o s'intenda avverata la condizione, ma che, se anche sul valore del legato sia stata già pagata la tassa
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