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sezione I civile; sentenza 19 agosto 1994, n. 7455; Pres. Corda, Est. Proto, P.M. Di Salvo (concl....

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sezione I civile; sentenza 19 agosto 1994, n. 7455; Pres. Corda, Est. Proto, P.M. Di Salvo (concl. conf.); Soc. Cooperativa edificatrice Castello (Avv. De Martini) c. Min. finanze; Min. finanze (Avv. dello Stato La Porta) c. Soc. coop. edificatrice Castello. Cassa Comm. trib. centrale 16 maggio 1989, n. 3440 Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 2 (FEBBRAIO 1995), pp. 561/562-565/566 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188833 . Accessed: 28/06/2014 13:29 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.106 on Sat, 28 Jun 2014 13:29:26 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 19 agosto 1994, n. 7455; Pres. Corda, Est. Proto, P.M. Di Salvo (concl.conf.); Soc. Cooperativa edificatrice Castello (Avv. De Martini) c. Min. finanze; Min. finanze(Avv. dello Stato La Porta) c. Soc. coop. edificatrice Castello. Cassa Comm. trib. centrale 16maggio 1989, n. 3440Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 2 (FEBBRAIO 1995), pp. 561/562-565/566Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188833 .

Accessed: 28/06/2014 13:29

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Con il quinto motivo si deduce violazione del provvedimento del Cip nonché vizio di motivazione.

La ricorrente sostiene che non si poteva escludere che vi fosse stata l'attivazione dell'utente per ottenere il trattamento tariffa

rio di maggior favore disposto dal Cip poiché l'opzione costi tuiva una manifestazione di volontà in applicazione di norme

imperative e non una mera richiesta.

I motivi, che devono essere esaminati congiuntamente perché

connessi, sono infondati.

II provvedimento del Cip n. 47 del 1981, cui fanno riferimen

to i motivi di ricorso, attribuiva (punto 2 del § B) agli utilizza

tori di energia elettrica la facoltà di ottenere la modifica della

potenza impegnata e di scegliere il trattamento tariffario corri

spondente alla utilizzazione (bassa, media, alta o altissima) del

la quantità di energia elettrica posta a loro disposizione dal som

ministrante in conformità alla richiesta. Ma disponeva che la

detta facoltà doveva essere esercitata «stipulando con l'impresa fornitrice un nuovo contratto di fornitura con effetto anche re

troattivo».

Questo «nuovo contratto» doveva farsi necessariamente per iscritto non già, come ha ritenuto la corte territoriale, ai sensi

dell'art. 12 d.p.r. 21 dicembre 1965 n. 1720, che non contiene

disposizioni in ordine alla forma dei contratti di utenza, ma

a causa della natura di ente pubblico riconosciuta all'Enel dal

l'art. 1 del detto d.p.r. e del compito ad esso attribuito di prov vedere alla stipulazione dei contratti di somministrazione di ener

gia elettrica.

Infatti, tutti i contratti degli enti pubblici, compreso il con

tratto privatistico nei casi in cui ne è consentita la stipulazione alla pubblica amministrazione, devono farsi per iscritto a pena di nullità (v. sent. 16 maggio 1983, n. 3373, Foro it., Rep. 1983,

costanza che la stessa giurisprudenza della Cassazione, pur se con alcu ne oscillazioni, ha ritenuto l'obbligo di contrarre del monopolista su scettibile di esecuzione in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 (Cass. 6 dicembre 1968, n. 3914, id., 1971, I, 3035; 3 luglio 1979, n. 3723, id., 1980, I, 1076, con nota di Silvestrini; contra, Cass. 23 gennaio 1978, n. 298, id., 1978, I, 2850. L'argomentazione patrocinata da que st'ultima sentenza — di 'sapore' ancora una volta formalistico giacché basata sul rilievo, anche qui normativamente infondato, che l'art. 2932 concerne un obbligo convenzionale e non «puramente legale» di con cludere il contratto — è ora ripresa da Trib. Udine 17 ottobre 1987, id., Rep. 1988, voce Contratto in genere, n. 352).

È proprio nell'ottica della par condicio che va letta l'attribuzione all'utente del 'potere' di «fissare impegni di potenza diversi... e sceglie re il trattamento tariffario preferito... senza attendere la scadenza del contratto in corso». Ed è quindi in tale ottica che occorre valutare,

più in specie, se allo stesso sia stato conferito, dal provvedimento in

esame, un mero diritto di proposta contrattuale ovvero un diritto d'op zione. Al riguardo, si deve osservare che l'idea di una proposta contrat

tuale, come tale rifiutabile, mal si concilia con l'obbligo legale a con trarre. Tale contraddizione, tuttavia, sfuma se si considera che l'utente non è semplicemente facilitato a proporre la stipula di un nuovo con tratto — ciò che sarebbe un'inutile superfetazione, essendo tale facoltà

già regolata dalla normativa codicistica — in quanto gli è conferito, di contro, un espresso diritto di proposta «senza attendere la scadenza del contratto in corso».

Ciò peraltro non vale a chiarire, in difetto di una inequivoca formu lazione precettiva, se di proposta contrattuale o di opzione si tratti.

Orbene, se l'Enel è obbligato ex lege a stipulare il contratto di sommi nistrazione (ciò che è stato di recente portato alle estreme, assurde con

seguenze di negare all'Enel medesimo il diritto di risolvere il contratto

per inadempimento dell'utente, giacché, ottenuta la risoluzione, vi sa rebbe comunque l'obbligo di procedere alla stipula di un nuovo con tratto: cosi Trib. Lecce 8 marzo 1990, id., 1991, I, 853, con nota di

Mazzia) e se nessun ostacolo si frappone alla conclusione del contratto de quo persino per facta concludentia, una volta esclusa la necessità

di una forma ad substantiam, ragioni di tutela dell'utente — quale 'contraente debole' — conducono a prediligere la tesi dell'opzione. L'u tente infatti potrebbe fruire, in tal modo, non solo del trattamento ta

riffario più conveniente — ciò che, come detto, conseguirebbe anche

all'ipotesi di ultrattività del contratto originario —, ma potrebbe altresì

fissare impegni di potenza diversi per ciascuna fascia oraria. Sarebbe

inoltre possibile realizzare quella par condicio, regolata ed imposta dal

l'art. 2597, fornendo all'utente stesso (senza la necessità di far ricorso — posto che ciò sia possibile — al 'rimedio' di cui all'art. 2932) uno strumento contrattuale eguale a quello a disposizione, a parità di circo

stanze, di coloro che fruiscono ex novo del 'servizio' di somministrazio

ne di energia elettrica.

Giorgio Lener

li Foro Italiano — 1995 — Parte I-11.

Giorgio Lener

voce Contratti della p.a., n. 101; 25 ottobre 1991, n. 11384,

id., Rep. 1992, voce Mediazione, n. 10). Ne consegue che, in mancanza di un nuovo contratto di uten

za in forma scritta, avente effetto estintivo delle precedenti ob

bligazioni delle parti e costitutivo di nuovi obblighi concernenti

l'impegno di potenza e il corrispettivo della somministrazione, l'utente non acquistava il diritto di pretendere che l'Enel met

tesse a sua disposizione un quantitativo di energia elettrica di

verso da quello originariamente pattuito e applicasse ad esso

il trattamento tariffario prescelto. Cosi integrata e corretta la motivazione della sentenza impu

gnata, non è censurabile il convincimento espresso dalla corte

territoriale in ordine alla inidoneità della richiesta di aumento

della potenza impegnata a vincolare l'Enel e a precludere la

prosecuzione del rapporto di utenza del 1969, giacché il provve dimento del Cip non disponeva la modifica automatica dei con

tratti in corso per effetto delle scelte consentite all'utente ma

attribuiva all'opzione l'efficacia di una mera proposta contrat tuale che doveva essere accettata nella forma prescritta dall'ente

fornitore, cui spettava la valutazione della possibilità tecnica

di impegnare la quantità di energia elettrica richiesta. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 19 agosto

1994, n. 7455; Pres. Corda, Est. Proto, P.M. Di Salvo

(conci, conf.); Soc. Cooperativa edificatrice Castello (Avv. De Martini) c. Min. finanze; Min. finanze (Avv. dello Stato

La Porta) c. Soc. coop, edificatrice Castello. Cassa Comm.

trib. centrale 16 maggio 1989, n. 3440.

Valore aggiunto (imposta sul) — Cooperativa edilizia a proprie tà indivisa — Assegnazione in godimento di alloggi ai soci — Operazione non soggetta ad Iva (R.d. 28 aprile 1938 n.

1165, approvazione del testo unico delle disposizioni sull'edi

lizia popolare ed economica, art. 114; d.p.r. 26 ottobre 1972

n. 633, istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiun to, art. 2, 3, 10, 19; d.p.r. 29 gennaio 1979 n. 24, disposizio ni integrative e correttive del d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, e successive modificazioni, anche in attuazione della delega

prevista dalla 1. 13 novembre 1978 n. 765, riguardante l'ade

guamento della disciplina dell'imposta sul valore aggiunto al

la normativa comunitaria, art. 1).

Le assegnazioni in godimento di alloggi ai soci di cooperative edilizie a proprietà indivisa non sono equiparabili alle loca

zioni, pertanto, non vanno considerate operazioni esenti, ai

sensi dell'art. 10, 1° comma, n. 1, d.p.r. 26 ottobre 1972

n. 633, bensì operazioni non soggette ad Iva, ai sensi dell'art.

2, 3° comma, lett. g), d.p.r. 633/72. (1)

(1) I. - In ordine al regime Iva dell'assegnazione in godimento di

alloggio al socio di cooperativa edilizia a proprietà indivisa, la Suprema corte, non avendo dubbi circa la natura non locativa della stessa, non

la considera «operazione esente», ex art. 10, 1° comma, n. 1, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, bensì «operazione esclusa» dal campo di appli cazione dell'imposta (la differenza, in punto di detraibilità dell'Iva as

solta «a monte», è chiaramente desumibile dall'art. 19 d.p.r. n. 633). In giurisprudenza, dello stesso avviso — oltre alla sentenza ora cassata

Comm. trib. centrale 16 maggio 1989, n. 3440, Foro it., Rep. 1989, voce Valore aggiunto (imposta sul), n. 126 — v. Comm. trib. II grado Ferrara 15 aprile 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 138, e 12 luglio 1984, Bollettino trib., 1985, 511 (m). Sul presupposto della assimilabili

tà della concessione in godimento di alloggi popolari effettuati dagli

Iacp alle assegnazioni in godimento di case di abitazione ai soci di coo

perative edilizie, Comm. trib. centrale 27 marzo 1992, n. 2324,

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PARTE PRIMA

Svolgimento del processo. — La s.r.l. Cooperativa edificatri

ce Castello presentò per gli anni 1976-1979 le dichiarazioni an

nuali Iva, con cui chiese, ai sensi dell'art. 19, ultimo comma,

d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, il rimborso dell'imposta pagata al momento degli acquisti effettuati per la realizzazione della

propria attività. L'ufficio provinciale Iva di Ferrara rettificò le

dichiarazioni, ritenendo che le assegnazioni ai soci del godimen to degli alloggi costruiti fossero operazioni esenti (art. 10, n.

1, d.p.r. cit.), e la cooperativa non avesse, perciò, titolo a de

trarre l'imposta assolta sugli acquisti. La società si oppose, ad

ducendo che, quale cooperativa a proprietà indivisa, essa aveva

assegnato ai soci gli alloggi costruiti in godimento anziché in

Foro it.. Rep. 1992, voce cit., n. 228, esclude che le prime possano essere considerate esenti e quindi limitare il diritto alla detrazione di cui all'art. 19.

A differenza di quest'ultima decisione, la Corte di cassazione ha rite nuto di ascrivere tale operazione, anziché a quelle di cui all'art. 3, 4°

comma, lett. g), d.p.r. 633/72, a quelle di cui all'art. 2, 3° comma, lett. g), d.p.r. 633/72, a tenore del quale «non sono considerate cessio ni di beni (. . .) le assegnazioni di case di abitazione fatte ai soci di

cooperative edilizie a norma del d.p.r. 28 aprile 1938 n. 1165».

Inquadrando l'operazione de qua nell'ambito di detta norma, la Su

prema corte non deve risolvere espressamente la questione circa la natu ra innovativa o meno della modifica apportata, dal d.p.r. 29 gennaio 1979 n. 24, all'art. 3 d.p.r. 633/72. Sulla innovatività della modifica dell'art. 3, 4° comma, lett. g), e sulla conseguente applicabilità dell'Iva alle operazioni di assegnazione in godimento effettuate prima del 1979, v. Comm. trib. centrale 16 maggio 1989, n. 3440, cit.; per la natura meramente interpretativa della norma, v. Comm. trib. II grado Ferrara 15 aprile 1986, cit., e 12 luglio 1984, cit.; nello stesso senso, in dottrina, v. M. C. Capponi, Sulla disciplina Iva della assegnazione in godimento di alloggio al socio da parte di società cooperativa edilizia e in margine a un dubbio di costituzionalità, in Dir. e pratica trib., 1990, II, 315

ss., spec. 322; in argomento, v. G. Colantonio, Cooperative e loro consorzi nel diritto tributario, voce del Digesto privato (sez. commer

ciale), Torino, 1989, IV, 139 ss.; G. D'Errico, Assegnazione di allog gio a socio di cooperativa edilizia - regolamentazione tributaria indiret

ta, in Bollettino trib., 1976, 202 ss. La relazione al d.p.r. 24/79 cit. nella sentenza si rinviene in id., 1979,

304; nella stessa si afferma che il vigente testo del 3° comma, lett.

g), dell'art. 2, risulta cosi meglio precisato nella sua portata: «sistemati camente le operazioni relative alle assegnazioni in godimento di case di abitazione trovano collocazione più puntuale nella lett. g) del 3° comma dell'art. 3, non considerandosi tali assegnazioni prestazioni di servizi». Su tale d.p.r., v. anche circ. 3 agosto 1979, n. 25, Dir. e pratica trib., 1979, I, 1413, spec. 1418.

Occorre ricordare che l'art. 2, 3° comma, lett. g), e l'art. 3, 4° com

ma, lett. g), d.p.r. 633/72 sono stati abrogati dall'art. 34 d.l. 2 marzo 1989 n. 69, convertito in 1. 27 aprile 1989 n. 154, in vigore dal 1°

gennaio 1990 per effetto della 1. 28 luglio 1989 n. 263; sul punto, v. circ. min. fin. 31 maggio 1989, n. 25, Fisco, 1989, 3591.

II. - Le conclusioni in punto di disciplina ai fini Iva delle assegnazio ni in godimento di alloggi ai soci di cooperative edilizie a proprietà indivisa — disciplina che la corte riconduce all'art. 2, in tema di cessio ni di beni, anziché all'art. 3 d.p.r. n. 633, in tema di prestazioni di servizi — si fondano sulla qualificazione dell'operazione alla stregua della cessione di diritto reale di abitazione.

Sulla natura del rapporto nascente dall'assegnazione dell'alloggio al socio da parte della cooperativa a proprietà indivisa, v. Cass. 21 aprile 1964, n. 947, Foro it., Rep. 1964, voce Case popolari ed economiche, n. 47, che considera l'alloggio attribuito al socio non in proprietà, ma in godimento, ossia a titolo di diritto di abitazione, diritto inerente alla

persona del socio e alla morte di questo, a quelle del coniuge e dei figli; sulla differenza tra assegnazione in godimento e locazione, v. an che Cass. 12 aprile 1980, n. 2334, id., 1980, I, 1311. In dottrina, v. S. Bargellini, Brevi considerazioni a margine della sentenza della Cor te costituzionale n. 155/88, in Arch, locazioni, 1990, 787, ad avviso del quale l'assegnazione in godimento di alloggi da parte di cooperative a proprietà indivisa e locazione sono «istituti radicalmente diversi»; nel senso, invece, che i singoli soci assegnatari di alloggi di cooperative edilizie a proprietà indivisa siano semplicemente titolari di un diritto

personale di godimento sull'alloggio che viene loro assegnato dietro cor

rispettivo di un canone, v. Trib. Piacenza 30 novembre 1988, Foro it., Rep. 1989, voce Comunione e condominio, n. 107.

In generale, sulle problematiche inerenti all'assegnazione degli alloggi di cooperative edilizie, v. G. Roehrssen, Edilizia popolare ed economi

ca, voce deli'Enciclopedia del diritto, Milano, 1965, XIV, 325 ss., spec. 327 e 343; G. Vigneri, Le cooperative edilizie a proprietà indivisa, in Vita not., 1978, 308 ss.

Il Foro Italiano — 1995.

locazione e che, pertanto, le assegnazioni costituivano operazio ni estranee al regime dell'Iva, giusta l'art. 2, lett. g), d.p.r. n.

633, cit., il cui ambito di applicazione era stato chiarito dal

sopravvenuto d.p.r. 29 gennaio 1979 n. 24, che, all'art. 3, lett.

g), aveva espressamente escluso l'operatività del tributo per le

assegnazioni in godimento. Costituitosi il contraddittorio, la com

missione tributaria di secondo grado accolse i ricorsi, nella con

siderazione che la cooperativa aveva effettuato operazioni non

già esenti, ma al di fuori del campo di applicazione dell'Iva.

Le pronunce furono confermate in secondo grado. Su gravame dell'ufficio, con decisione del 16 maggio 1989

la Commissione centrale, riuniti i ricorsi, li accolse, argomen tando: a) che le assegnazioni in godimento degli alloggi da par te della cooperativa ai soci non integravano rapporti di locazio

ni e, quindi, operazioni esenti dall'imposta, ai sensi dell'art.

10, n. 1, d.p.r. n. 633; b) che l'art. 3, lett. g), d.p.r. n. 24

del 1979 aveva carattere innovativo rispetto alla disciplina pre

cedente, che contemplava tra le operazioni non imponibili sol

tanto le assegnazioni in proprietà e, pertanto, erano assoggetta bili ad imposta le assegnazioni in godimento prima all'entrata

in vigore del d.p.r. n. 24, cit.

Avverso questa pronuncia la cooperativa ha proposto ricorso

per cassazione in base a quattro motivi, che ha illustrato con

memorie. Il ministero delle finanze ha resistito con controricor

so ed ha proposto ricorso incidentale condizionato con un uni

co motivo.

Motivi della decisione. — 1. - I due ricorsi devono essere

riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c. 2. - Col primo motivo del ricorso principale la cooperativa

ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2, lett. g), e dell'art. 10 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 e carenza

di motivazione. Sostiene che la commissione, avendo corretta

mente escluso l'equiparabilità delle «assegnazioni in godimen to» alle locazioni e che, quindi, potessero essere considerate

«esenti» le operazioni poste in essere dalla cooperativa, avrebbe

dovuto, coerentemente, inferirne il diritto della cooperativa a detrarre l'Iva sugli acquisti, posto che un divieto in tal senso

è stabilito soltanto per chi abbia effettuato operazioni esenti.

Aggiunge che, riconosciuto erroneo il presupposto in base al

quale si era proceduto a rettifica, sarebbe sostanzialmente im

motivato il divieto di detrazione dell'Iva, in base al carattere

innovativo del d.p.r. del 1979. Col secondo motivo, denuncian do violazione e falsa applicazione dell'art. 3, lett. g), d.p.r. 26

ottobre 1972 n. 633, come modificato dal d.p.r. 29 gennaio 1979, n. 24, la cooperativa deduce, inoltre, che la decisione impugna ta ha incongruamente ed erroneamente basato la ratio deciden

di sulla natura innovativa della disposizione intervenuta nel 1979.

3. - I due motivi — che, proponendo questioni logicamente connesse, vanno esaminati congiuntamente — sono fondati.

La decisione impugnata ha stabilito che le assegnazioni in

godimento di case, effettuate dalla cooperativa ai propri soci ai sensi dell'art. 114 r.d. 28 aprile 1938 n. 1165, non costituiva no operazioni esenti e che esse erano assoggettabili ad imposta, sulla base di due considerazioni. Ha, prima, escluso che le asse

gnazioni integrassero un rapporto di locazione; ed ha, quindi, basato la ratio decidendi sul carattere innovativo, rispetto alla

disciplina anteriore, della disposizione introdotta col d.p.r. 29

gennaio 1979 n. 24, che per la prima volta ha menzionato (art. 1), nel regime dell'imposta sul valore aggiunto, «le assegnazioni in godimento di case di abitazioni fatte ai soci da cooperativa a proprietà indivisa a norma del testo unico sull'edilizia popola re ed economica», non considerandole quali prestazioni di ser vizi (art. 3, lett. g).

In questo quadro si deve convenire con la ricorrente che la

commissione, una volta riconosciuta l'erroneità del presupposto sul quale era basata la rettifica dell'ufficio — la classificazione delle operazioni compiute dalla cooperativa tra quelle previste dall'art. 10, n. 1, d.p.r. n. 633 (che contempla le locazioni tra le operazioni esenti), e la conseguente indetraibilità dell'Iva su

gli acquisti — avrebbe dovuto dichiarare l'illegittimità della ret tifica stessa, indipendentemente dal carattere innovativo o me no della disposizione introdotta col d.p.r. del 1979.

Ma, al di là del vizio riscontrato nell'iter argomentativo della

decisione, le conclusioni cui è pervenuta la Commissione tribu taria centrale, in ordine al regime cui all'epoca erano assogget tate le assegnazioni in godimento delle cooperative a proprietà indivisa, è insostenibile per più ordini di considerazioni.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Come ha sottolineato la stessa commissione, non c'è dubbio

che l'attribuzione dell'alloggio al socio, effettuato dalla coope rativa a norma dell'art. 114 r.d. n. 1165, cit., non ha carattere

di locazione, in quanto essa comporta la proprietà comune del

bene ed è trasmissibile ai familiari secondo la speciale disciplina ivi prevista. Trattasi, come questa corte ha già avuto occasione

di stabilire in passato, di trasferimento a titolo di diritto di abi tazione (Cass. 21 aprile 1964, n. 947, Foro it., Rep. 1964, voce

Case popolari ed economiche, n. 47), che nella disciplina tribu

taria, è assimilata alle «assegnazioni di case di abitazioni fatte

ai soci di cooperative edilizie, a norma del r.d. 28 aprile 1938

n. 1165», comprese tra le operazioni che (non) possono essere

considerate «cessioni di beni» (art. 2, lett. g, d.p.r. n. 633, cit.). In entrambi i casi, infatti, si realizza una cessione di beni me

diante il trasferimento di un diritto reale. D'altronde, non si

spiegherebbe come l'attribuzione di un diritto di abitazione, per

giunta trasmissibile entro determinati limiti temporali a terzi, e che comporta anche la cessione di una quota indivisa del pa trimonio, possa essere configurata una prestazione di servizi.

Si aggiunga che una interpretazione del disposto di cui al cit.

art. 2, lett. g), che postuli un diverso regime tributario per l'as

segnazione in godimento rispetto alla cessione in proprietà, com

porterebbe, in contrasto col dettato costituzionale, una ingiusti ficata disparità di trattamento tra due ipotesi sostanzialmente

omologhe, perché sottrarrebbe irragionevolmente dal campo di

applicazione dell'Iva soltanto le assegnazioni in proprietà a soci

da parte di cooperative a proprietà divisa.

D'altra parte, in tal senso il legislatore si è chiaramente espresso nel d.p.r. del 1979, come è reso palese dalla relazione ministe

riale allo schema del provvedimento, che, richiamando «il vi

gente testo del 3° comma, lett. g), dell'art. 2», ha sottolineato

la unitarietà della disciplina delle due operazioni, precisando che l'ipotesi dell'assegnazione in godimento deve ritenersi com

presa nell'ambito della disciplina prevista dall'art. 2, lett. g),

sopra richiamato.

Infine, la sostanziale omogeneità delle due fattispecie ha tro

vato ulteriore conferma nelle disposizioni della 1. 27 aprile 1989

n. 154, avendo il legislatore, anche in tal caso, previsto (art.

1, 2° comma) una regolamentazione comune per entrambe le

ipotesi. 4. - Alla stregua delle considerazioni che precedono, è evi

dente l'infondatezza del ricorso incidentale — proposto, condi

zionatamente, dall'amministrazione — col quale si deduce che, una volta riconosciuta la estraneità delle assegnazioni in godi mento all'ambito delle cessioni di cui agli art. 1 e 2 del decreto

istitutivo dell'Iva, il relativo regime dovrebbe desumersi da quello di esenzione dettato per le locazioni, stante la identità di fun

zioni dei due istituti. Come, infatti, si è già osservato, nella disciplina positiva sul

l'imposta del valore aggiunto, la struttura giuridica dell'asse

gnazione in godimento a proprietà indivisa non è rapportabile alla locazione.

5. - In conclusione, devono essere accolti il primo ed il secon

do motivo del ricorso principale, e vanno dichiarati assorbiti

gli altri due motivi dello stesso ricorso. Va, invece, rigettato il ricorso incidentale. Conseguentemente, la decisione impugna ta deve essere cassata, con rinvio alla stessa Commissione tribu

taria centrale, che deciderà adeguandosi ai suenunciati principi di diritto.

Il Foro Italiano — 1995.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 29 luglio

1994, n. 7144; Pres. Paterno, Est. Calfapietra, P.M. Car

nevali (conci, conf.); Moramarco e altri (Aw. Giancaspero) c. Palmisano (Avv. Russo Frattasi). Cassa App. Lecce 15

ottobre 1991.

Vendita — Preliminare — Immobili a corpo — Indicazione del

l'estensione — Rettifica del prezzo — Configurabilità (Cod.

civ., art. 1538).

Nella vendita, cosi come nel preliminare di vendita di immobili

a corpo la menzione nel contratto della misura del bene con

sente, in presenza di uno scarto superiore al ventesimo tra

la misura reale e quella indicata, la rettifica del prezzo ai sen si dell'art. 1538 c.c., salvo che le parti abbiano manifestato la volontà di derogare alla norma stessa, avente carattere di

spositivo. (1)

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato

il 15/17 settembre 1980, Michele Moramarco, Rocco Martino, Franca Popolizio e Nicola Lorusso convennero in giudizio, da

vanti al Tribunale di Brindisi, i fratelli Michele e Vito Palmisa no, e dichiararono che, con scrittura privata del 1° luglio 1970, avevano promesso di acquistare dai convenuti, i quali avevano

loro promesso di vendere, un appezzamento di terreno agricolo di loro proprietà sito in agro di Fasano, località Torre Canne, esteso mq. 6.981 ed opportunamente individuato con l'indica

zione dei confini, per il prezzo di lire 86.000.000, parte del qua

le, ammontante a lire 10.000.000, subito versata a titolo di ca

parra; a seguito di misurazione, il terreno oggetto del contratto

preliminare era risultato di estensione pari a mq. 4.776; chiese

ro pertanto al tribunale la riduzione proporzionale del prezzo convenuto ai sensi dell'art. 1538 c.c. ed il trasferimento del fon

do a loro nome ai sensi dell'art. 2932 c.c., oltre al risarcimento

del danno per il suo mancato godimento. Nel costituirsi in giudizio i promittenti contestarono la do

manda e ne chiesero il rigetto, sostenendo l'inapplicabilità del

l'art. 1538 c.c. In via riconvenzionale chiesero l'annullamento

del contratto per errore, dato che in esso era stata riprodotta

(1) La sentenza si aggancia alla precedente Cass. 9 luglio 1991, n.

7594, Foro it., Rep. 1992, voce Vendita, n. 93 (annotata da De Tuia in Giust. civ., 1992, I, 1555), opponendosi al diverso (e dominante) orientamento giurisprudenziale accolto, da ultimo, in Trib. Napoli 10

maggio 1989, (Foro it., 1990, I, 2325, con richiami di dottrina e giuris prudenza). Secondo quest'ultima pronuncia, nella vendita immobiliare a corpo l'eventuale indicazione della misura del fondo non è sufficiente ai fini della rettifica del prezzo quando costituisce un mezzo ulteriore

per l'individuazione dell'immobile o, comunque, non ha funzione es senziale nella determinazione del prezzo (nello stesso senso: Cass. 18

gennaio 1984, n. 422, id., Rep. 1984, voce cit., n. 73; 29 gennaio 1983, n. 827, id., Rep. 1983, voce cit., n. 42; 5 gennaio 1983, n. 576, ibid., n. 41; 25 febbraio 1982, n. 1196, id., Rep. 1982, voce cit., n. 84. Più risalente Cass. 5 aprile 1971, n. 974, id., 1972, I, 755, con nota di

Branca). Il nuovo indirizzo, espresso dalla presente pronuncia concordemente

alla pressoché unanime dottrina, allarga invece l'ambito di applicazione del rimedio della rettifica del prezzo, escludendo la necessità di verifica re l'esistenza di uno specifico collegamento tra estensione dell'immobile e prezzo.

Si osserva, infatti, che nella vendita a corpo per definizione il prezzo non è determinato in funzione della misura. D'altra parte, quest'ultima può essere comunque indicata dalle parti con il valore di una descrizio ne ulteriore del bene e senza alcuna connessione con il prezzo. È ap punto a tale fattispecie che deve riferirsi il rimedio della rettifica di

cui all'art. 1538 c.c. (tali argomentazioni si trovano in Greco, Cotti

no, La vendita, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981,

499). Richiedere, come fa la giurisprudenza citata, che la miura abbia

funzione essenziale ai fini della determinazione del prezzo significa evi

dentemente rovesciare la prescrizione normativa in esame, portandola nel diverso ambito della vendita a misura (Gardani Contorsi Lisi, La

compravendita, Torino, 1985, 385). Per una rassegna sulla disputa, si veda, da ultimo, Lepri, La com

pravendita immobiliare, Milano, 1993, 373 s.

Infine, va segnalato Trib. Napoli 18 febbraio 1964, Foro it., Rep.

1964, voce cit., n. 116, secondo cui la richiesta di rettifica del prezzo ex art. 1538 c.c., presupponendo la definitività del contratto di compra vendita e l'avvenuto trasferimento del bene al compratore, non è pro

ponibile nel caso di promessa di vendita. Per l'applicazione del rimedio

anche al preliminare, v. invece Cass. 9 giugno 1981, n. 3721, id., Rep. 1981, voce cit., n. 120.

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