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Sezione I civile; sentenza 19 aprile 1983, n. 2677; Pres. Scanzano, Est. Contu, P. M. Morozzo Della...

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Sezione I civile; sentenza 19 aprile 1983, n. 2677; Pres. Scanzano, Est. Contu, P. M. Morozzo Della Rocca (concl. parz. diff.); Società it. assicurazioni danni (Avv. Iannotta) c. Giudetti (Avv. Picarozzi, Pala). Conferma App. Lecce 28 dicembre 1979 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1983), pp. 1889/1890-1895/1896 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175340 . Accessed: 24/06/2014 21:22 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.72.20 on Tue, 24 Jun 2014 21:22:25 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 19 aprile 1983, n. 2677; Pres. Scanzano, Est. Contu, P. M. MorozzoDella Rocca (concl. parz. diff.); Società it. assicurazioni danni (Avv. Iannotta) c. Giudetti (Avv.Picarozzi, Pala). Conferma App. Lecce 28 dicembre 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1983), pp. 1889/1890-1895/1896Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175340 .

Accessed: 24/06/2014 21:22

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Motivi della decisione. — L'istante deduce che, nella fattispe cie, il rapporto assicurativo si è instaurato a seguito di contratto di natura privatistica e che, pertanto, esso non rientra tra le forme di assistenza e previdenza obbligatorie né tra quelle di as sistenza e previdenza derivanti dall'applicazione di contratti od

accordi collettivi; che la domanda è di valore indeterminabile ed è di competenza territoriale del foro di Genova per espressa pat tuizione contrattuale specificamente approvata per iscritto ed an

che in forza del criterio generale ex art. 19 c.p.c. Chiede, quindi, che venga dichiarata la competenza del Tribunale di Genova.

Il resistente osserva che l'assicurazione in oggetto, per quanto facoltativa, è regolata ad ogni effetto ed in via esclusiva dalle

norme delle leggi generali e speciali che disciplinano l'assicura

zione obbligatoria degli equipaggi arruolati su navi battenti ban

diera italiana; che, pertanto, la controversia in esame è di com

petenza del giudice del lavoro, rientrando tra quelle previste ex

art. 442 c.p.c. e che, in ogni caso, la scelta del foro di Genova

di cui al contratto 26 luglio 1979 stipulato tra l'armatore e la

cassa marittima non è opponibile al marittimo, in quanto terzo

rispetto a quell'accordo (art. 1372 c.c.). L'istanza è ammissibile. Vero che il provvedimento impugnato

assume la forma dell'ordinanza ma è anche vero che esso, nella

sostanza, integra una pronuncia decisoria affermativa della com

petenza, ossia ha i caratteri della sentenza e, come tale, è impu

gnabile con istanza di regolamento di competenza a norma del

l'art. 42 c.p.c. Quanto al merito, il nucleo centrale del problema consiste nel

vedere se la controversia dedotta in giudizio abbia natura giuri dica di controversia previdenziale ai sensi e per gli effetti di cui

all'art. 442 c.p.c. Nella specie, il marittimo Nunzio Conte ebbe a

subfre un infortunio con postumi invalidanti a carattere permanen te a bordo della m/n « Eugenio », battente bandiera panamense e

di proprietà della California Shipping Corporation. Questa società, in data 24 luglio 1979, aveva stipulato in Genova, a mezzo di un

proprio agente, un contratto di assicurazione con la Cassa maritti ma Tirrena in favore dei membri dell'equipaggio di nazionalità italiana imbarcati su detta motonave.

Il rapporto assicurativo dedotto in giudizio si è, pertanto, co

stituito, nella fattispecie, a mezzo di contratto di natura privati stica, ed in via facoltativa, non essendovi alcuna norma, né di

legge né di atto di, autonomia collettiva, che facesse obbligo al l'armatore di provvedere a tanto. Quest'ultimo punto è precisato nel testo del contratto, ove si legge, tra l'altro: «...resta, tutta

via, esplicitamente chiarito che trattandosi, nel caso, di assicura zione da noi assunta in via facoltativa, la validità dell'assicura zione stessa — anche agli effetti dell'obbligo da parte nostra del

l'erogazione delle prestazioni assicurative — è strettamente su bordinata al pagamento delle somme ... dovute a titolo di con tributi ... ». È altresì prevista la disdetta del contratto stesso, da entrambe le parti, con semplice preavviso di sessanta giorni a mezzo raccomandata.

Alla stregua di quanto precede, è agevole cogliere un tratto caratteristico del rapporto in esame: nella concreta fattispecie, il rapporto assicurativo trova la sua fonte genetica nel contratto di diritto privato tra la società California Shipping Corporation e la cassa marittima, contratto disdettabile da ciascuna parte con

semplice preavviso. Ma il profilo più decisivo riguarda la previ sione contrattuale che testualmente condizionava l'operatività dell'assicurazione al versamento dei contributi.

Tale disciplina contrattuale si armonizza con l'art. 291 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, il quale, dopo aver previsto che le casse marittime di cui all'art. 127 dello stesso t.u. sono autorizzate ad assicurare contro gli infortuni e le malattie, su richiesta dell'arma

tore, gli equipaggi di navi battenti bandiera estera in quanto com

posti, per almeno due terzi, da marittimi di cittadinanza italiana

(1° comma), dispone che l'assicurazione comprende le stesse pre stazioni previste per i marittimi delle navi italiane e che la sua

validità è in ogni momento subordinata al regolare versamento

dei contributi da parte dell'armatore (2° comma).

Quest'ultima proposizione normativa esclude l'automaticità del

la prestazione, che è la caratteristica tipica dell'assicurazione

sociale.

Non si riscontra, cioè, quell'automaticità che individua e ca

ratterizza ogni forma di assicurazione obbligatoria, stabilita in

via generale dall'art. 2116 c.c., il quale dispone che le prestazioni

previdenziali ed assistenziali sono dovute al prestatore di lavoro

nonché D. Napoletano, Il contenzioso della previdenza sociale, in Nuovo trattato di diritto del lavoro, diretto da Riva Sansevlrino e

G. Mazzoni, Padova 1975, IV, 488; Cinelli, Le controversie della

sicurezza sociale, Milano, 1978, 193; e Pellettieri, Cassa marittima, voce del Novissimo digesto, appendice, Torino, 1980, I, 1058.

anche quando l'imprenditore non ha versato regolarmente i con tributi dovuti.

Nella specie, invece, l'obbligo di corrispondere la prestazione si pone in un rapporto di sinallagmaticità con il corrispondente obbligo di versamento dei contributi e tanto l'uno quanto l'altro trovano la loro fonte immediata e diretta non già nella legge — come si ha in ogni forma di assicurazione obbligatoria — ma solo nel contratto. Non è dato cioè rinvenire nella specie quel l'automatica costituzione del rapporto, che si ha allorché la sua

insorgenza è connessa al verificarsi di dati presupposti richiesti dalla legge, né vi è stipulazione di polizza in esecuzione di impe gni derivanti da accordi o contratti collettivi.

Vi è poi da aggiungere che il richiamo contenuto nel contratto alle norme delle leggi generali e speciali che disciplinano l'assicu razione obbligatoria degli equipaggi arruolati su navi battenti bandiera italiana, ai fini della regolamentazione del rapporto as

sicurativo, non incide sulla natura dello stesso — che resta pri vatistica — e conferma anzi che si è al di fuori dello schema del l'assicurazione obbligatoria.

Da quanto dianzi esposto discende che i caratteri della presta zione dedotta non sono quelli dell'assicurazione sociale (nelle sue

varie forme che questa può assumere) ma quelli tipici dell'assi curazione privata.

E la più notevole differenza si coglie non soltanto nella fonte

costitutiva del rapporto — che è negoziale in quelle private (art. 1882 c.c.) e legale in quelle sociali — ma anche e soprattutto nel

fatto che le assicurazioni sociali — a differenza di quelle pri vate — sono disciplinate dalla legge in tutti i loro aspetti (istitu to assicuratore, ammontare del contributo, specie ed entità delle

prestazioni, ecc.) con principi e norme inderogabili, tra i quali è

da segnalare quello cosiddetto di automaticità delle prestazioni

(art. 2116 c.c.), che si pone in netto contrasto con il principio che

l'art. 1901 c.c. detta per le varie forme di assicurazione privata. Trattasi, in definitiva, di una comune assicurazione privata, an

corché con talune peculiarità, che non rientra tra le forme di assi

stenza e previdenza derivanti dall'applicazione di contratti ed accordi collettivi di cui all'art. 442 c.p.c.

Resta pertanto esclusa l'applicabilità dell'art. 444 c.p.c. che

disciplina la competenza per territorio nelle controversie previ denziali.

Trattandosi di causa ordinaria, trovano viceversa applicazione le regole generali ex art. 38, 3° comma, c.p.c., le quali prescri vono che l'incompetenza territoriale del giudice adito deve essere

eccepita, in limine litis, sotto tutti i possibili profili, restando al trimenti radicata la competenza del giudice adito in relazione a quello non specificamente contestato.

Da ciò consegue che nelle cause relative a diritti di obbliga zione — come nella specie — il convenuto, che eccepisca l'in

competenza territoriale, ha l'onere di fare espresso riferimento, nel primo atto difensivo del giudizio di primo grado, a ciascuno dei diversi criteri di collegamento previsti dagli art. 18, 19 e 20

c.p.c., nonché eventualmente al foro convenzionale ove sia stata

pattuita la clausola di deroga. Nel presente caso la convenuta ha contestato nel primo atto

difensivo la competenza territoriale del foro di Palermo, con esclusivo riferimento all'art. 19 c.p.c. La incompletezza della ec

cezione, nella originaria prospettazione, ha fatto si che la compe tenza per territorio restasse definitivamente radicata presso il foro adito. E pertanto è affatto priva di fondamento la tesi della ricorrente volta a dedurre per la prima volta in questa sede di

regolamento di competenza la localizzazione in Genova del foro convenzionale.

Essendo di valore indeterminabile — o comunque di valore ec cedente la competenza pretorile, come è pacifico in causa — la controversia va rimessa al tribunale. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 19 aprile 1983, n. 2677; Pres. Scanzano, Est. Contu, P. M. Morozzo

Della Rocca (conci, parz. diff.); Società it. assicurazioni dan ni (Avv. Iannotta) c. Giudetti (Avv. Picarozzi, Pala). Con

ferma App. Lecce 28 dicembre 1979.

Assicurazione (contratto di) — Assicurazione r.c.a. — Liquida zione coatta amministrativa — Trasferimento del portafoglio ad altra impresa — Giudizi pendenti — Prosecuzione — Chia mata in causa dell'impresa cessionaria — Ammissibilità (L. 24 novembre 1978 n. 738, conversione in legge con modificazioni del d. 1. 26 settembre 1978 n. 576, concernente agevolazioni al

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1891 PARTE PRIMA 1892

trasferimento del portafoglio e del personale delle imprese po ste in liquidazione coatta amministrativa).

Nell'ipotesi di liquidazione coatta amministrativa dell'impresa assicuratrice della responsabilità civile per la circolazione dei veicoli nel corso del giudizio promosso per il risarcimento dei

danni, è ammissibile sia la prosecuzione del giudizio nel caso

di trasferimento d'ufficio del portafoglio dell'impresa relativo

all'assicurazione contro i danni, sia la chiamata in causa del

l'impresa cessionaria in nome del fondo di garanzia, senza ne cessità di osservare le modalità ed i termini di cui all'art. 8 l. 24 novembre 1978 n. 738. (1)

Motivi della decisione. — (Omissis). La seconda parte del pri mo motivo ed il secondo motivo attengono alla posizione proces suale assunta dalla S.i.a.d. e riconosciuta legittima dalla corte di

merito, ed investono parte della problematica inerente alla sorte dei giudizi pendenti nei confronti di un'impresa assicuratrice

della r.c.a. posta in liquidazione coatta amministrativa, qualora, per effetto del d.l. n. 576 del 1978, convertito nella 1. 24 novembre

(1) 'Prima pronuncia della Cassazione, che avalla l'orientamento espresso dalla più recente giurisprudenza di merito: cfr. Trib. Napoli 22 giugno 1982 ed App. Cagliari 10 luglio 1981, Assicurazioni, 1982, li, 2, 240 e 263, che ritengono ammissibile la riassunzione del giu dizio, interrotto per la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa assicuratrice, nei confronti dell'impresa cessionaria; nonché Pret. Rieti 20 maggio 1980, Foro it., Rep. 1981, voce Assicurazione (contratto), n. 325, a cui dire l'art. 8 1. 738/78 — che impone la richiesta stra giudiziale ed il decorso infruttuoso del termine di sei mesi dall'in vio della richiesta per la proposizione della domanda di risarcimento nei confronti dell'impresa cessionaria — « regola soltanto il caso in cui l'azione di risarcimento venga proposta ab initio nei confronti

dell'impresa cessionaria e non anche il caso in cui il giudizio sia, poi, riassunto nei confronti dell'impresa cessionaria ». Di diverso avviso Trib. Salerno 17 giugno 1981, ibid., n. 327, secondo il quale è inammissibile la riassunzione del giudizio « nei confronti dell'impresa cessionaria, in quanto è necessario far valere la pretesa risarcitoria con un nuovo giudizio, distinto da quello in precedenza promosso nei

riguardi dell'impresa poi posta in liquidazione »; v., altresì, Pret. Sarno 12 dicembre 1980, ibid., n. 326, che dichiara improponibile la domanda di risarcimento « se il giudizio stesso sia stato riassunto nei confronti dell'impresa cessionaria, prima del decorso di sei mesi dal la richiesta a quest'ultima rivolta, ex art. 8 1. n. 738/78 ss.

Anche la dottrina è divisa circa l'ammissibilità della riassunzione del giudizio pendente al momento della liquidazione coatta: per la soluzione positiva v. C. De Marco, Liquidazione coatta amministrativa

dell'impresa di assicurazione della responsabilità civile automobili stica e risarcimento danno, in Resp. civ., 1980, 135, 179, che ritiene applicabile all'ipotesi del giudizio pendente (posta l'impossibilità di far riferimento in tale caso alla normativa prevista dall'art. 8 1. 738/78: sul punto v., dello stesso a., Liquidazione coatta amministrativa del

l'impresa assicuratrice della r.c.a.: alcuni temi giuridici al vaglio delle sezioni unite civili, in Assicurazioni, 1982, II, 2, 105) la disciplina dettata dall'art. 25, 2° comma, 1. 990/69, in tema di prosecuzione del giudizio iniziato nei confronti dell'impresa in liquidazione coatta; nonché G. Buquicchio, Sorte dei giudizi pendenti nei confronti di imprese assicuratrici sottoposte a provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, id., 1980, I, 471, 479; contra, v., da ultimo, C. Caia niello, Liquidazione coatta amministrativa di imprese assicuratrici: ancora in tema di legittimazione passiva dell'azione di danno e di proseguibilità dei giudizi in corso, in Dir. e pratica assic., 1982, 581, 587 ss., che esclude la possibilità di distinguere, nell'applicazione della disciplina ex art. 8 1. 738/78, tra giudizi già iniziati e giudizi ancora da promuovere, sottolineando come « appaia fuori luogo prestare pe dissequo ossequio al principio dell'economia dei giudizi, anche lad dove dalla stessa legge si intende dare preminente interesse alle pos sibilità transattive che possono trovare attuazione in sede stragiudizia le »; E. Pasanisi, Chiarezza giurisprudenziale in tema di liquidazione coatta di imprese assicuratrici, id., 1981, 422, 430, a cui dire «nel re gime della 1. 738/78, il problema di una riassunzione contro l'impre sa cessionaria, o contro il fondo, dei giudizi pendenti contro l'impresa in bonis, non si può porre », dal momento che la « riassunzione vale a far riprendere il giudizio interrotto, ma sempre fra le parti origi narie » mentre il fondo non è stato parte di un tale giudizio {la posi zione era già stata assunta dallo stesso a, in « Noterelle minime » sui rapporti fra giurisdizione ordinaria e procedura concorsuale nelle li quidazioni coatte amministrative, id., 1980, fase. 5, 50, 67); G. Bel lussi, Azione risarcitoria in regime di assicurazione obbligatoria ed assicuratore in liquidazione coatta amministrativa, in Assicurazioni, 1981, I, 186 ed Alcune riflessioni sull'art. 8 l. n. 738 del 1978, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1980 , 36, secondo il quale « la ratio della norma non si riferisce soltanto ad un processo da evitare ma anche alla possibilità di evitare il prolungarsi del giudizio ».

Sulla proseguibilità del giudizio nei confronti dell'impresa liqui data per il conseguimento di una sentenza opponibile all'impresa de signata al pagamento del danno ex art. 25, 2° comma, I. 990/69, v. Cass., sez. un., 25 febbraio 1982, n. 1185 e 3 febbraio 1982, n. 638, Foro it., 1982, I, 2883, con ampia nota di richiami.

1978 n. 738, sia stato disposto il trasferimento d'ufficio del porta

foglio relativo alle assicurazioni contro i danni ad altra impresa. Con le suddette censure la ricorrente deduce violazione e falsa

applicazione degli art. 110 e 111 c.p.c., degli art. 207, 208 e 209

1. fall, e dei principi che regolano l'accertamento di ragioni cre

ditorie nei confronti di un'impresa posta in liquidazione coatta

amministrativa, degli art. 4 ed 8 d.l. 26 settembre 1978 n. 576 e

dell'art. 95 1. fall., nonché vizi di motivazione.

Sostiene, al riguardo, che non si verificò la successione nel

processo, né a titolo universale né a titolo particolare, non es

sendo essa subentrata nei rapporti che facevano capo alla « Co

sida », ma avendo semplicemente assunto, a norma di legge e per effetto della cessione a suo favore del portafoglio della società

posta in liquidazione, degli obblighi limitati e ben individuati, che

non potevano farle acquistare la veste di successore dell'impresa

posta in liquidazione coatta amministrativa.

A suo avviso il sistema introdotto dal d.l. n. 576 del 1978 do

vrebbe essere inteso nel senso che a seguito del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa con cessione del portafo

glio, ai sensi dell'art. 1 dello stesso decreto, si verificherebbe l'im

procedibilità di tutti i giudizi di risarcimento del danno pen denti nei confronti dell'impresa posta in liquidazione, con con

seguente devoluzione al commissario liquidatore dell'accertamen

to dei crediti fatti valere nei suoi confronti, salva la possibilità di proporre una nuova domanda contro l'impresa cessionaria,

subordinata però alla preventiva richiesta stragiudiziale prevista dall'art. 8, ed al decorso infruttuoso del termine di sei mesi dal

l'invio della richiesta, previsto dalla stessa norma. Tale sistema

riguarderebbe anche i giudizi pendenti in appello, dovendosi ri

tenere che l'art. 95 1. fall, abbia subito una deroga per effetto

degli art. 4 ed 8 del decreto in esame.

La stessa ricorrente, perciò, lamenta che la corte di Lecce non

solo non abbia dichiarato l'inammissibilità della chiamata in

causa e l'improcedibilità del giudizio, ma abbia anche omesso di

applicare le norme sopra citate, relative alla necessità della nuova

richiesta stragiudiziale nei confronti dell'impresa cessionaria.

Tali doglianze non sono fondate. La normativa in materia di

assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante

dalla circolazione dei veicoli mira a tutelare le vittime della stra

da anche nell'ipotesi di successiva liquidazione coatta amministra

tiva dell'impresa assicuratrice. A tale scopo l'art. 19 1. 24 dicem

bre 1969 n. 990 prevede l'istituzione, presso lT.n.a., di un fondo

di garanzia per assicurare il risarcimento alle vittime della strada

in alcune situazioni tipiche, ed in particolare quando il veicolo

o natante risulti assicurato, con polizza facente parte del porta

foglio italiano, presso un'impresa la quale, al momento del sini

stro, si trovi in stato di liquidazione coatta o vi venga posta suc

cessivamente.

Secondo l'originario sistema legislativo (art. 19 ss.), la liquida zione ed il pagamento degli indennizzi a causa di sinistri erano

affidati alle imprese designate ai sensi dello stesso art. 19 della

legge, le quali si insinuavano poi al passivo della liquidazione coatta (art. 29). In tale regime normativo si è poi inserito l'art.

13 d.l. 23 dicembre 1976 n. 857 (convertito nella 1. 26 febbraio 1977 n. 39), il quale prevede la possibilità di far valere il cre

dito direttamente nei confronti del fondo di garanzia (e per esso

dell'impresa designata ex art. 20 1. n. 990 del 1969) a favore non soltanto del danneggiato, secondo l'originaria previsione dell'art.

19, ma anche dell'assicurato, sicché l'accertamento della esisten za e della misura dei crediti avviene in contraddittorio dell'im

presa designata. Ulteriori modifiche al sistema legislativo sono state apportate

dal d.l. n. 576 del 1978, secondo cui « con il decreto che promuo ve la liquidazione coatta amministrativa di un'impresa autorizza ta ad esercitare le assicurazioni della responsabilità civile per i danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei na tanti può essere disposto il trasferimento di ufficio del portafo glio dell'impresa relativo alle assicurazioni contro i danni ad al tra impresa che abbia manifestato preventivamente il suo con senso » (art. 1), ed in tale ipotesi l'impresa cessionaria provvede, per conto dell'I .n.a., gestione autonoma del « fondo di garanzia per le vittime della strada », alla liquidazione dei danni verifi

catisi, anteriormente alla data di pubblicazione del decreto di li

quidazione coatta (art. 4). Contrariamente a quanto previsto dalla

precedente legislazione, però, il 2° comma del citato art. 4 dispone che la somma determinata nella liquidazione, se accettata dal

creditore, deve essere corrisposta direttamente dall'I .n.a., gestio ne autonoma del « fondo di garanzia per le vittime della strada ».

Tali norme hanno posto numerosi problemi, la maggior parte dei quali sono estranei allo specifico thema decidendum. Occorre

perciò rilevare che ai fini della presente decisione e sotto il pro filo squisitamente processuale interessa unicamente l'ipotesi che

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

la domanda giudiziale sia stata proposta nei confronti dell'im

presa in bonis e che la sua liquidazione coatta sia intervenuta in corso di giudizio.

A siffatta situazione fa riferimento l'art. 25 1. n. 990 del 1969, secondo cui se il provvedimento di liquidazione coatta interviene in corso di giudizio e questo prosegua nei confronti dell'impresa in liquidazione coatta, le pronunce relative sono opponibili, en tro i limiti di risarcibilità fissati dall'art. 21, ult. comma, alla im

presa designata a condizione che la pendenza del giudizio le sia stata comunicata da chi vi abbia interesse con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario.

Sulla base di tale norma si ritiene prevalentemente, in dottrina ed in giurisprudenza, che, in deroga al principio generale secon

do cui i crediti nei confronti dell'impresa sottoposta a liquida zione coatta amministrativa devono essere fatti valere dinanzi al

commissario liquidatore, la legge ammetta la « proseguibilità »

del giudizio dinanzi al giudice ordinario.

Tale interpretazione è stata accolta anche dalle sezioni unite di questa Corte suprema, le quali hanno tuttavia precisato che la sentenza di condanna non può essere posta in esecuzione con

tro l'impresa in liquidazione coatta, nei cui confronti può aver

valore solo come sentenza di mero accertamento del credito,

analogamente a quanto avviene allorché una sentenza di condan

na al pagamento di una somma di danaro sia stata emessa in

sede di appello nei confronti del commissario liquidatore (Cass., sez. un., 3 febbraio 1982, n. 636, Foro it., Rep. 1982, voce Assicu

razione (contratto), n. 316). Il citato art. 25 prevede, inoltre, la legittimazione dell'impresa

designata ad intervenire nel giudizio, anche in grado d'appello, cosi come la possibilità d'intervento è prevista per l'I.n.a., gestio ne autonoma del « fondo di garanzia », nella causa promossa contro l'impresa designata, anche se pendente in grado d'appel lo. Per quanto concerne l'impresa cessionaria del portafoglio, l'art. 4 d.l. n. 576 del 1978 dispone che, in caso di mancato accor

do sulla somma liquidata, il creditore ha azione nei confronti del « fondo di garanzia » gestito dall'I.n.a., e sancisce espressamente che l'azione si esercita convenendo in giudizio, in suo nome,

l'impresa cessionaria ed il commissario liquidatore. Nulla è pre visto, però, circa la posizione che, relativamente ai giudizi pen denti, assume la stessa impresa cessionaria, e le questioni che al

riguardo possono sorgere devono essere evidentemente risolte in base ai principi generali del nostro ordinamento processuale, fer mo restando il principio della « proseguibilità » del giudizio, di cui non vi è ragione per escludere l'applicabilità anche nella fat

tispecie. Il problema si pone, ovviamente, per le liquidazioni coatte

amministrative disposte dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 576 del 1978, non contenendo esso disposizioni transitorie né essen

dogli stata attribuita efficacia retroattiva, ed investe la possibilità di partecipazione dell'impresa cessionaria ad un giudizio pen dente, posto che la sua legittimazione relativa ad un giudizio da instaurare ex novo è prevista espressamente dalla legge, come

si è già rilevato. Sul punto occorre considerare anzitutto che tale legittimazione

è attribuita per la tutela di un interesse altrui e precisamente del « fondo di garanzia per le vittime della strada », nei cui con fronti la sentenza è destinata ad acquistare efficacia diretta. Sono

perciò irrilevanti le osservazioni della ricorrente sui limitati ob

blighi che le sono imposti dalla legge, in quanto, pur non es sendo essa titolare del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, le è ugualmente riconosciuta legislativamente la possibilità di ac

quistare la qualità di parte in giudizio, tant'è che in dottrina si

è sostenuto che la fattispecie vada inquadrata nell'ambito della

sostituzione processuale.

Acquistano pertanto rilevanza non tanto i rapporti fra impresa in liquidazione ed impresa cessionaria, quanto quelli fra la pri ma ed il « fondo di garanzia », ed al riguardo questa corte ritiene

che, per effetto della liquidazione coatta amministrativa di un'im

presa assicuratrice automobilistica, si realizzi ope legis una mo

dificazione soggettiva dei rapporti giuridici pendenti aventi per

oggetto un'obbligazione risarcitoria, nel senso che, a norma del

l'art. 19 1. n. 990 del 1969, la qualità di debitore viene assunta

dal «fondo di garanzia». Sul piano processuale tale situazione dà luogo indubbiamente

ad una successione a titolo particolare nel diritto controverso, ai

sensi dell'art. Ili c.p.c., la quale si ha non soltanto quando sia

alienato l'identico diritto che forma oggetto della controversia,

ma ogni volta che l'alienazione importi, per un rapporto di deri

vazione sostanziale, il subentrare dell'acquirente nella posizione

attiva o passiva cui inerisce la pretesa dedotta in giudizio (Cass.

n. 415/73, id., 1973, I, 3191, in motivazione).

Ciò posto non vi è difficoltà ad ammettere che la posizione

Il Foro Italiano — 1983 — Parte I-121.

processuale dell'impresa cessionaria vada vista nell'ottica del

l'istituto in discorso, precisandosi che la successione avviene nei confronti del « fondo di garanzia » il quale, peraltro, pur essen do parte in senso sostanziale, non sta in giudizio in proprio ma tramite l'impresa cessionaria, la quale si trova perciò a gestire una controversia relativa ad un rapporto nel quale è intervenuta in corso di causa una modificazione soggettiva.

Discende da tali considerazioni che nella fattispecie la chia mata in causa della S.i.a.d., in nome del « fondo di garanzia per le vittime della strada » era pienamente ammissibile, posto che il citato art. Ili c.p.c., pur prevedendo che in caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso il processo prosegua fra le parti originarie, ammette non solo l'intervento ma anche la chiamata in causa del successore; ed è stato precisato dalla

giurisprudenza che il principio contenuto in tale norma trova

applicazione anche in grado d'appello (Cass. 12 gennaio 1973, n.

415, cit.; 29 dicembre 1952, n. 3272, id., Rep. 1952, voce Inter

vento in causa, n. 35). La tesi qui seguita risponde anche ad esigenze sistematiche, in

quanto consente la opponibilità del giudicato ai soggetti interes sati alla liquidazione del danno e all'adempimento dell'obbliga zione risarcitoria, cioè all'impresa cessionaria ed al « fondo di

garanzia ». Risponde inoltre ad esigenze pratiche perché favori sce una rapida definizione delle vertenze, agevolando e semplifi cando la realizzazione dei diritti di credito dei danneggiati anche

in presenza della liquidazione coatta amministrativa delle impre se assicuratrici, in perfetta armonia con la ratio della legislazio ne sull'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile auto

mobilistica.

Altro argomento a favore di detta tesi è costituito, infine, dalla

perfetta analogia esistente fra il meccanismo processuale qui de

lineato e quello previsto dall'art. 25 1. n. 990 del 1969 e già esa

minato in precedenza; in ambedue i casi, infatti, si realizza lo

scopo di salvare il processo in corso e nello stesso tempo di ren

dere opponibile la sentenza ai soggetti tenuti al pagamento. Le ragioni di economia processuale sopra evidenziate induco

no a ritenere che i giudizi pendenti possano essere proseguiti con la chiamata in causa anche dell'impresa cessionaria, senza

necessità di proporre una nuova richiesta di risarcimento e di

attendere la scadenza del termine di sei mesi dall'invio della rela

tiva istanza, ai sensi dell'art. 8 d.l. n. 576 del 1978. Dall'interpre tazione letterale di tale norma discende, infatti, che il cosiddetto

spatium cogitationis si riferisce unicamente alla « proposizione »

dell'azione, e non riguarda l'ipotesi diversa della chiamata in causa in un processo già pendente. L'esattezza di tale interpre tazione è poi confermata dal rilievo già formulato secondo cui il

decreto in esame non contiene norme sui giudizi pendenti all'atto

della sottoposizione di una impresa assicuratrice a liquidazione coatta amministrativa e non può, pertanto, regolare un'ipotesi estranea al sistema legislativo, la quale deve trovare, invece, la

sua disciplina normativa nella legislazione ordinaria. E poiché nel vigente ordinamento processuale gli ostacoli legislativi al li

bero esercizio dei diritti nel processo sono di carattere ecceziona

le, non può estendersi la limitazione di cui trattasi al di fuori

della fattispecie prevista dalla legge.

D'altronde, se lo scopo della norma in esame è quello di favo

rire la possibilità di una sollecita liquidazione stragiudiziale del

danno, evitando, per quanto possibile, il costo ed il ritardo delle vie contenziose, è evidente che tale finalità non è più realizzabile

dopo l'inizio dell'azione giudiziaria, e diventerebbe allora ingiu stificata la frapposizione di nuovi ostacoli al libero esercizio di

un diritto, tanto più che in tal modo la tutela del danneggiato verrebbe ad essere ritardata anziché accelerata, con conseguente

stravolgimento della ratio legis. La tesi qui accolta ha il pregio di non vanificare una com

plessa attività processuale e di essere compatibile con il dispo sto dell'art. 95 1. fall., che sancisce la proseguibilità dei processi

pendenti in grado di appello, nei quali sia parte un'impresa nei

cui confronti intervenga il provvedimento di liquidazione coatta

amministrativa. Per seguire la tesi opposta, invece, la ricorrente

deve necessariamente pervenire a conclusioni aberranti: sostie

ne, infatti, che dovrebbe essere addirittura dichiarato improcedi bile in via definitiva il giudizio in corso ed iniziato quello nuovo

nei confronti dell'impresa cessionaria con il rispetto delle moda

lità e dei termini di cui al citato art. 8. In tal modo, però, si ren

derebbe inefficace una sentenza senza che la stessa sia stata ri

formata in appello od annullata a seguito di giudizio di cassazio

ne, e tale conseguenza, peraltro del tutto estranea al dettato le

gislativo, appare senz'altro inaccettabile perché contraria ai prin

cipi generali dell'ordinamento processuale.

Resta ovviamente assorbito il terzo motivo, attinente alla pos sibilità di riassumere nei confronti della S.i.a.d., quale impresa

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1895 PARTE PRIMA 1896

cessionaria, il giudizio interrotto a seguito del provvedimento di

liquidazione coatta amministrativa della società assicuratrice « Co sida », essendo stati già affrontati in sede di esame degli altri

due motivi i problemi relativi alla posizione processuale assunta

dalla ricorrente ed alla mancanza, nei suoi confronti, di una

pronunzia di condanna nel merito.

fn sintesi, dunque, questa Corte suprema ritiene che il prin

cipio della proseguibilità del giudizio dopo la liquidazione coatta

amministrativa di un'impresa assicuratrice della responsabilità civile automobilistica trovi applicazione anche nel caso di trasfe

rimento di ufficio del portafoglio ad altra impresa, ai sensi del

d.l. n. 576 del 1978, e che in tale giudizio sia ammissibile la chia

mata in causa dell'impresa cessionaria in nome dell'I .n.a., gestio ne autonoma del fondo di garanzia per le vittime della strada, senza necessità di osservare le modalità ed i termini di cui all'art.

8 del citato decreto.

Il ricorso va, pertanto, rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 19 aprile

1983, n. 2673; Pres. Santosuosso, Est. R. Sgroi, P. M. Gri

maldi (conci, conf.); Corritore (Avv. Scirè Risichella) c. Cir

nigliaro (Avv. Cocuzza). Conferma App. Catania 3 aprile 1980.

Titoli di credito — Cambiale — Coobbligati — Pagamento da

parte di uno dei coobbligati principali — Possesso del titolo —

Prova di pagamento da parte del solo possessore — Insufficien

za (R. d. 14 dicembre 1933 n. 1669, legge cambiaria, art.

62, 57).

Il mero possesso del titolo cambiario da parte di uno dei coob

bligati principali non fa presumere che il pagamento sia avve

nuto con denaro proprio del solo possessore, sul quale incom

be pertanto l'onere di provare tale circostanza, ove agisca in

rivalsa nei confronti di altro coobbligato di pari grado. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso al presidente del

Tribunale di Siracusa del gennaio 1975 Giuseppe Cirnigliaro

esponeva che ai primi del 1969 si era unito in società con Alfio

Corritore, allo scopo di fare delle ricerche di acqua per irriga zione nei fondi di loro proprietà; che la società aveva contratto

delle obbligazioni in forza delle quali i soci avevano sottoscritto

delle cambiali, e precisamente una creata il 3 giugno 1969 e

scaduta il 3 ottobre 1969, portante la valuta di lire 900.000; una

creata il 14 luglio 1969 scaduta il 16 novembre 1969, portante la valuta di lire 250.000; una creata il 20 agosto 1969 scaduta

il 16 novembre 1969, portante la valuta di lire 250.000; una

creata il 28 agosto 1969 scaduta il 16 novembre 1969, portante la valuta di lire 200.000; una creata l'8 ottobre 1969 scaduta il

3 febbraio 1970, portante la valuta di lire 936.000. Alla scadenza

dette cambiali erano state tutte pagate dall'esponente, in quanto il Corritore in quel momento era a corto di liquido. Da allora

(1) In termini Cass. 20 aprile 1968, n. 1194, Foro it., Rep. 1969, voce Titoli di credito, n. 71; in senso opposto, invece, per il valore di presunzione iuris tantum di pagamento con denaro proprio da parte del coobbligato in possesso della cambiale, cfr. App. L'Aquila 22 giugno 1950, id., Rep. 1950, voce Effetto cambiario, n. 40.

La questione affrontata dalla sentenza in epigrafe è invero un pro filo del più ampio problema relativo alla distribuzione dell'onere pro batorio nell'azione di regresso tra obbligati pari gradu: posto che tale azione ha natura extracambiaria (cosi Cass. 31 maggio 1979, n. 3134, id., Rep. 1979, voce Titoli di credito, n. 33; App. Bari 30 lu glio 1937, id., Rep. 1938, voce Effetto cambiario, n. 159; Trib. Pe rugia 4 settembre 1936, id., Rep. 1937, voce cit., n. 172; Trib. Pesaro 18 novembre 1936, ibid., n. 173; App. Bologna 16 gennaio 1936, id., Rep. 1936, voce cit., n. 166; App. Trieste 28 febbraio 1935, id., Rep. 1935, voce cit., n. 53), occorre stabilire se gravi sul coobbligato con venuto in regresso l'onere di provare il fatto estintivo del debito, per ciò solo che l'attore sia in possesso del titolo cambiario riscattato

(cosi Trib. Trani 7 novembre 1961, id., Rep. 1962, voce-cit., nn. 97, 98, e in Banca, borsa, ecc., 1961, II, 592, con nota di De Semo).

In dottrina, in quest'ultimo senso, e dunque in avviso contrario alla sentenza qui riportata, da ultimo Pavone La Rosa, La cambiale, 1982, 642, nota 203, il quale purtuttavia nega al titolo riscattato il valore processuale di documento « cambiario », ai fini dell'art. 642 c.p.c., nel giudizio di regresso (op. cit., 643; contra, De Semo, Trattato di diritto cambiario, 1963, 522). Sul regresso tra coobbligati, in generale, cfr. De Acutis, Coobbligati cambiari di pari grado e azione di ulte riore regresso, in Riv. dir. civ., 1978, LI, 544; Campobasso, Coobbliga zione cambiaria e solidarietà disuguale, 1974; Pollerà Orsucci, L'onere della prova nell'azione tra coobbligati cambiari di pari grado, in Nuovo diritto, 1941, 15.

il Corritore non aveva voluto adempiere la sua obbligazione, per cui l'esponente chiedeva che gli fosse ingiunto di pagare la som

ma di lire 1.268.000 quale quota di sua competenza, oltre le

spese. Il presidente del tribunale accoglieva il ricorso e contro il de

creto ingiuntivo proponeva opposizione il Corritore con atto no

tificato il 18 febbraio 1975, assumendo che le cambiali erano ille

galmente possedute dal Cirnigliaro. Infatti, per i lavori di ricer

ca delle acque indicati nel ricorso, erano state date a Monte

vergine Sebastiano delle cambiali per l'importo di lire 1.600.000

che alla scadenza erano state rinnovate più volte, sempre a firma

di Cirnigliaro e Corritore. Avvicinandosi la scadenza di uno degli effetti il Corritore aveva firmato altri due effetti cambiari e li

aveva consegnati al Montevergine perché provvedesse a farli fir

mare al Cirnigliaro, ma quest'ultimo si era appropriato dei due

effetti suddetti, tanto da essere stato denunciato in sede penale.

Dopo tale episodio, e visto che il Cirnigliaro non intendeva più fare fronte alla propria firma, il Corritore si era accollato il pa

gamento di tutto il debito nei confronti del Montevergine. Il Cir

nigliaro aveva avuto dal Montevergine gli effetti scaduti e rin

novati con altri e ne era rimasto in possesso anche dopo lo scio

glimento della società con il Corritore e a distanza di tempo aveva

creduto, illegalmente, di servirsi di tali effetti. A comprova però che tutto il debito era stato pagato dal Corritore, questi dichia

rava che sarebbero stati prodotti tutti gli assegni di conto cor

rente che il Corritore rilasciava per decurtare e rinnovare le

cambiali; e controllando tutti gli effetti a firma Corritore-Cirni

gliaro si poteva vedere, dalle date di creazione e di scadenza, come essi costituissero rinnovo di altri. Il Cirnigliaro era posses sore illegittimo delle cambiali a firma del Corritore in quanto, avendole ricevute dal Montevergine in cambio di altre firmate a

rinnovo, le aveva trattenute invece di consegnarle al Corritore

o di distruggerle.

Il Cirnigliaro si costituiva con comparsa in cui deduceva che — come risultava dalla prodotta dichiarazione a firma del Mon

tevergine — le spese di perforazione dei pozzi erano state pa

gate da lui; mentre — se l'opponente aveva fatto dei pagamenti al Montevergine — questi nulla avevano a che vedere con le

spese di perforazione dei pozzi. Chiedeva pertanto il rigetto

dell'opposizione.

Il Tribunale di Siracusa con sentenza 10 dicembre 1977, in

accoglimento dell'opposizione, revocava il decreto ingiuntivo os

servando che incombeva sul Cirnigliaro l'onere di fornire la

prova di aver pagato le cambiali; tale prova non era stata data con la prodotta dichiarazione a firma del Montevergine, nella

quale non era contenuta alcuna indicazione né dell'importo né del numero delle cambiali ritirate dal Cirnigliaro, e ciò senza

dire che l'espressione « ritirati » non era univoca al fine di sta bilire se gli effetti fossero stati riconsegnati al Cirnigliaro pre vio pagamento dell'importo dallo stesso seguito o non invece a

seguito di rinnovazione con altri rilasciati sempre a firma con

giunta sua e del coobbligato Corritore, come quest'ultimo soste

neva; tesi che non poteva ritenersi prima facie infondata, consi derando la successione cronologica delle cambiali ed in partico lare di quella creata l'8 ottobre 1969 per l'importo di lire 936.000 che corrispondeva alla sorte capitale, maggiorata degli interessi,

portata dalla cambiale scaduta il 3 ottobre 1969.

Avverso la suddetta sentenza il Cirnigliaro proponeva appello, sostenendo che il tribunale avrebbe dovuto tener conto che il

possesso del titolo di credito indica normalmente, sia pure con il valore probatorio di una presunzione semplice, che l'obbliga zione portata dal titolo è stata estinta dal possessore, tanto più che nella specie i titoli erano stati pagati in banca. Inoltre dalla dichiarazione a firma del Montevergine risultava che le cambiali erano state ritirate dal Cirnigliaro e l'unico modo per ritirarle dalla banca era quello di pagarle. L'opponente si era impegnato a produrre avanti al primo giudice tutti i tagliandi relativi agli assegni di conto corrente dati al Montevergine per decurtare il

debito, ma tali assegni non erano stati prodotti. Inoltre il tribu nale aveva errato nel presumere che le cambiali prodotte in atti erano rinnovate, perché tale prova non esisteva.

Il Corritore non si costituiva in appello e, nella sua contuma

cia, la Corte d'appello di Catania con sentenza 3 aprile 1980, in riforma dell'impugnata sentenza, rigettava l'opposizione al de

creto ingiuntivo e condannava il Corritore alle spese dei due

gradi, osservando in motivazione che in fatto era assodato che il Cirnigliaro, con la produzione in giudizio dei titoli quietan zati aveva fornito la prova di aver saldato, con denaro proprio, il debito solidalmente contratto con il Corritore nei confronti del Montevergine, e, conseguentemente, la prova del credito —

pari alla metà dell'importo cambiario — vantato nei confronti

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