+ All Categories
Home > Documents > sezione I civile; sentenza 19 febbraio 2003, n. 2472; Pres. Olla, Est. Fioretti, P.M. Uccella...

sezione I civile; sentenza 19 febbraio 2003, n. 2472; Pres. Olla, Est. Fioretti, P.M. Uccella...

Date post: 29-Jan-2017
Category:
Upload: vuongmien
View: 223 times
Download: 7 times
Share this document with a friend
4
sezione I civile; sentenza 19 febbraio 2003, n. 2472; Pres. Olla, Est. Fioretti, P.M. Uccella (concl. conf.); Comune di Mazzarrone (Avv. Pappalardo, Tringali) c. Sacco e altri. Conferma App. Catania 12 ottobre 1998 Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 3 (MARZO 2003), pp. 745/746-749/750 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23197945 . Accessed: 28/06/2014 17:53 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.176 on Sat, 28 Jun 2014 17:53:06 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript

sezione I civile; sentenza 19 febbraio 2003, n. 2472; Pres. Olla, Est. Fioretti, P.M. Uccella (concl.conf.); Comune di Mazzarrone (Avv. Pappalardo, Tringali) c. Sacco e altri. Conferma App.Catania 12 ottobre 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 3 (MARZO 2003), pp. 745/746-749/750Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197945 .

Accessed: 28/06/2014 17:53

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 46.243.173.176 on Sat, 28 Jun 2014 17:53:06 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

parlamentari - camera dei deputati, X legislatura

- discussioni -

seduta del 12 maggio 1988) di un emendamento sostitutivo della

corrispondente norma approvata dal senato della repubblica: «L'assemblea, ove conceda l'autorizzazione, rimette gli atti al

procuratore della repubblica perché abbia corso il procedimento secondo le norme vigenti». L'innovazione, della cui ratio i

promotori non dettero spiegazione, consiste in questo: la rimes

sione degli atti al collegio, anziché al procuratore della repub blica; la,«continuazione del procedimento» anziché «l'aver cor

so del procedimento». Nella seconda «lettura» del senato, si levarono voci contrarie

all'innovazione apportata dalla camera dei deputati (Atti parla mentari - senato della repubblica

- X legislatura, 132a seduta,

assemblea, 1° luglio 1988), che riprendevano una critica, già emersa nell'altra camera, rivolta alla possibilità che — alla stre

gua della lettera della norma — il collegio «continui il procedi mento», secondo le norme vigenti. In tal modo, si disse, si veni

va a contraddire il significato generale della riforma, impostata su una deroga al diritto comune solo fino al e non oltre il mo

mento della concessione dell'autorizzazione a procedere da

parte della camera competente. Nello stesso ordine di idee si

espresse il relatore il quale, peraltro, ritenne che la criticata

espressione introdotta dalla camera dei deputati —

«perché continui il procedimento»

— potesse e dovesse leggersi: «per

ché il procedimento continui». In tal modo, sulla base della sola

lettura testuale, si veniva a sostituire il soggetto della proposi zione («il procedimento» in luogo de «il collegio») e a intendere

in senso intransitivo il significato del verbo «continuare», con

sentendo l'ingresso nel procedimento a carico dei ministri delle

norme processuali penali comuni («secondo le norme vigenti»)

già al momento immediatamente successivo alla rimessione de

gli atti da parte della assemblea parlamentare. L'apertura di

questa possibilità interpretativa nel dibattito parlamentare al se

nato fu fatta valere per superare le ragioni che avrebbero mili

tato per il ripristino del testo originario, approvato in prima let

tura del senato stesso, ciò che avrebbe peraltro comportato un

rischio, con il ritorno all'altra camera, per l'approvazione come

tale o, comunque, per l'approvazione tempestiva della legge co

stituzionale.

Da ciò risulta dunque che la lettera della disposizione dell'art.

9, 4° comma, 1. cost, non è risolutiva. E, quanto all'intenzione

del legislatore costituzionale, al non espresso intento della ca

mera dei deputati che ha introdotto l'emendamento da cui tale

disposizione è derivata, può contrapporsi all'opposto intendi

mento espresso, senza incontrare dissensi, da parte del senato

della repubblica e dal relatore della legge in particolare. Né può attribuirsi — come fatto nella sentenza n. 265 del 1990 di questa corte —

peso eccessivo alla circostanza che il senato, nella se

duta predetta, ebbe a respingere senza esplicite motivazioni un

emendamento volto a ripristinare l'originario art. 9, 4° comma:

la spiegazione di tale rigetto può ragionevolmente trovarsi in

quella stessa esigenza di conclusività del procedimento legisla tivo che aveva indotto ad approvare comunque il testo che pro veniva dalla camera dei deputati.

4.5. - L'obiettiva incertezza derivante dalla lettera della legge e dall'intenzione del legislatore induce allora a far prevalere le

ragioni sistematiche che sopra si sono dette e a ritenere conclu

sivamente che, una volta concessa l'autorizzazione dall'assem

blea parlamentare, nella forma prevista dal 3° comma dello stes

so art. 9, gli atti siano restituiti al collegio che a essa li aveva

inviati, affinché il procedimento prosegua secondo le norme or

dinarie, vale a dire per impulso del pubblico ministero e davanti

agli ordinari organi giudicanti competenti. Ciò è per l'appunto

quanto risulta pianamente dall'impugnato art. 3 1. n. 219 del

1989, la cui compatibilità con l'interpretazione fino a ora data

alla corrispondente norma della legge costituzionale non risulte

rebbe invece evidente. Tale art. 3, 1° e 2° comma, infatti, stabi

lisce che «quando gli atti siano stati rimessi ai sensi del 4°

comma dell'art. 9 1. cost. 16 gennaio 1989 n. 1, al collegio ivi

indicato, il procedimento continua secondo le norme ordinarie

vigenti al momento della rimessione» e aggiunge che, in tal ca

so, «il collegio provvede senza ritardo a trasmettere gli atti al

procuratore della repubblica presso il tribunale indicato nell'art.

111. 16 gennaio 1989 n. 1».

5. - Così ricostruito il sistema e, in esso, così precisata la

portata della norma impugnata, la questione di legittimità co

stituzionale sollevata dal collegio per i procedimenti relativi ai

Il Foro Italiano — 2003 — Parte /-15.

reati previsti dall'art. 96 Cost, istituito presso il Tribunale di

Napoli deve essere dichiarata non fondata per l'erroneità del

presupposto interpretativo dal quale il giudice rimettente è par tito.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata

la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, 1° comma. 1.

5 giugno 1989 n. 219 (nuove norme in tema di reati ministeriali

e di reati previsti dall'art. 90 Cost.), sollevata, in riferimento

agli art. 3, 27, 2° comma, e 111 Cost., dal collegio per i proce dimenti relativi ai reati previsti dall'art. 96 Cost, istituito presso il Tribunale di Napoli, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 19 feb

braio 2003, n. 2472; Pres. Olla, Est. Fioretti, P.M. Uccella

(conci, conf.); Comune di Mazzarrone (Avv. Pappalardo,

Tringali) c. Sacco e altri. Conferma App. Catania 12 ottobre

1998.

CORTE DI CASSAZIONE;

Arbitrato e compromesso — Arbitrato rituale — Domanda — Mancata specificazione dei quesiti

— Nullità — Esclu

sione — Estremi (Cod. proc. civ., art. 810, 816, 829).

In mancanza di fissazione, nella clausola compromissoria, delle

regole del procedimento e in difetto di adozione, da parte de

gli arbitri rituali, della disciplina dettata per il processo or

dinario, non si delinea nullità, per violazione del principio del contraddittorio, della domanda di arbitrato carente della

specificazione dei quesiti, qualora per tale adempimento gli arbitri abbiano assegnato apposito termine ad entrambi i

contendenti riconoscendo ai medesimi anche la possibilità di

presentare successive memorie. ( 1 )

Motivi della decisione. — Con il primo motivo il ricorrente

denuncia violazione del combinato disposto degli art. 829, 1°

comma, n. 9, 810, 816, in relazione all'art. 163, 3° comma, n. 4, e 164 c.p.c., per avere la corte di appello escluso che la mancata

(1) In senso sostanzialmente conforme, ancorché priva di specifici ri ferimenti alla formulazione dei quesiti, App. Messina 12 febbraio 2002, Foro it., 2002,1, 884, con richiami e osservazioni di C.M. Barone, cui

adde, Borghesi, La domanda di arbitrato, in Arbitrato a cura di F.

Carpi, Bologna, 2001, 230 ss., per il quale «l'unico elemento essenziale ed insostituibile dell'atto introduttivo è la formulazione della doman

da»; Punzi, Disegno sistematico dell'arbitrato, Padova, 2000, I, 506,

che, con riferimento a procedimento arbitrale originato da clausola

compromissoria, non ritiene la formulazione dei quesiti elemento es senziale dell'atto di iniziativa della parte che intenda adire il collegio arbitrale; Rubino-Sammartano, Il diritto dell'arbitrato, Padova, 2002, 580 s., il quale, per un verso, afferma che l'espressione «formulazione dei quesiti» ha un sapore ottocentesco che non appare né necessario né

opportuno conservare, e, per altro verso, esclude la necessità che i que siti siano formulati nell'atto con cui viene dato impulso alla procedura.

I rilievi della riportata sentenza, al pari di quelli della citata App. Messina 12 febbraio 2002, sono stati condotti senza tenere conto alcuno della ormai definitivamente acquisita (fra le più recenti, sez. un., ord.

25 giugno 2002, n. 9281. Foro it., 2002, I, 2299, con osservazioni di

C.M. Barone) natura privata (e non giurisdizionale) dell'arbitrato ri

tuale e del lodo. Proprio in virtù di tale natura — la cui considerazione, ai fini dell'inquadramento sistematico della materia, appare ormai in

differibile tanto con riferimento a valutazioni del tipo di quella con

dotta nella specie quanto con riguardo all'individuazione dell'inizio del

procedimento arbitrale, identificato con la notifica della domanda di ar

bitrato da Cass. 25 luglio 2002, n. 10922, ibid., 2919, con nota di ri

chiami — Coli. arb. 8 marzo 2001, id., 2001, I, 1421, con osservazioni

di C.M. Barone, ha dichiarato improponibile, per difetto di accettazio

ne del contraddittorio, la riconvenzionale proposta, dal destinatario

della notifica della domanda di arbitrato rituale, per introdurre nel pro cedimento una questione diversa da quella indicata nell'oggetto della

stessa domanda, anche se da questa dipendente per il titolo. [C.M. Ba

rone]

This content downloaded from 46.243.173.176 on Sat, 28 Jun 2014 17:53:06 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

747 PARTE PRIMA 748

specificazione dei quesiti nell'atto di accesso al giudizio arbi

trale rende nullo tale atto per violazione del principio del con

traddittorio. (Omissis) Il primo motivo di ricorso è infondato.

La corte dì appello ha escluso che la m-a«ea<a formulazione

dei quesiti nell'atto, con cui i professionisti intimati hanno reso

noto al comune di Mazzarrone l'arbitro da loro nominato, invi

tando il comune a procedere alla designazione del proprio, e la

formulazione dei quesiti da sottoporre al giudizio arbitrale sol

tanto in un momento successivo comportino violazione del

principio del contraddittorio, osservando: — che l'art. 810 c.p.c. non prevede che la parte, la quale, con

atto notificato alla controparte, rende noto a questa l'arbitro o

gli arbitri da essa nominati con invito a procedere alla designa zione dei propri, proceda anche alla contestuale formulazione

dei quesiti, potendo questi essere precisati in un atto successivo, denominato «formulazione dei quesiti», posto in essere dalle

parti nei termini fissati dagli arbitri ex art. 816, 4° comma, c.p.c. e nel rispetto del principio del contraddittorio;

— che ciò era puntualmente avvenuto nella fattispecie, aven

do il collegio arbitrale, al momento della sua costituzione, con

ordinanza 19 novembre 1996, fissato alle parti termine per la

formulazione dei quesiti; avendo i professionisti provveduto a

tale adempimento con atto depositato in detta data e avendo

avuto il comune di Mazzarrone la possibilità, espressamente

prevista nella citata ordinanza 19 novembre 1996, di presentare memorie;

— che, peraltro, l'atto, notificato al comune di Mazzarrone in

data 11 ottobre 1995, conteneva un preciso ed inequivocabile ri

ferimento al provvedimento giuntale, con cui era stato conferito

ai professionisti l'incarico in questione; all'avvenuta redazione

ed approvazione del progetto ed alla controversia insorta circa il

pagamento delle competenze non potutasi definire amichevol

mente, elementi che erano sufficienti ad evidenziare quale fosse

l'oggetto del giudizio arbitrale; — che, quindi, era stato garantito il diritto di difesa del co

mune, avendo questo avuto ampia possibilità di contraddire.

Il ricorrente sostiene: — che la mancata previsione, negli art. 810 e 816 c.p.c., di

particolari formalità per l'atto di accesso al giudizio arbitrale

renderebbe applicabili i modelli e le regole codicistiche generali di cui agli art. 163, 3° comma (che disciplina il contenuto della

citazione) e 164 c.p.c. (che detta la disciplina della nullità della

citazione); — che l'ammissibilità della formulazione dei quesiti in un

atto successivo a quello di nomina degli arbitri non potrebbe ri

cavarsi dall'art. 816, 4° comma, c.p.c., non contenendo tale

norma una qualche previsione relativa alle modalità di formula

zione dei quesiti, ma soltanto l'assegnazione di termini per la

presentazione di «documenti e memorie» e l'esposizione di «re

pliche»; — che l'atto di accesso, notificato al comune di Mazzarrone,

non era sufficiente ad evidenziare l'oggetto del giudizio arbi

trale, contenendo soltanto l'esposizione frammentaria e generica di taluni fatti ed atti che, nella migliore delle ipotesi, potrebbero astrattamente costituire soltanto la causa petendi, mancando del

tutto la determinazione dell'oggetto della domanda; — che il comune di Mazzarrone aveva potuto esercitare ap

pieno il proprio diritto di difesa soltanto dopo che i professioni sti avevano formulato, per la prima volta, la domanda con l'atto da loro depositato in data 3 dicembre 1996;

— che, non conoscendo preventivamente i quesiti dei profes sionisti, con l'atto di precisazione dei propri quesiti, depositato anch'esso in data 3 dicembre 1996, il comune si era visto co

stretto a chiedere agli arbitri di decidere soltanto sulla nullità

dell'atto di accesso (e del conseguente procedimento arbitrale)

per mancanza o indeterminatezza dell'oggetto della domanda, senza poter proporre domande o questioni di merito;

— che gli arbitri avevano concesso alle parti la facoltà di

«precisare», entro la data del 3 dicembre 1996, i quesiti e le

domande e non di formulare le conclusioni per la prima volta; — che il modo di procedere adottato dagli arbitri avrebbe

violato il principio del contraddittorio, non essendo stata rispet tata la posizione di simmetrica parità delle parti.

L'assunto del ricorrente non può essere condiviso.

L'art. 829, n. 7, c.p.c. dispone che l'impugnazione per nullità è ammessa: se nel procedimento non sono state osservate le

Il Foro Italiano — 2003.

forme prescritte per i giudizi sotto pena dì nullità, quando le

parti ne avevano stabilito l'osservanza a norma dell'art. 816 e la

nullità non è stata sanata.

L'art. 816, 2° e 3° comma, c.p.c. dispone che le parti possono stabilire nei compromesso, nella clausola compromissoria o con

atto scritto separato, purché anteriore all'inizio del giudizio ar

bitrale, le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedi mento e che in mancanza di tali norme gli arbitri hanno facoltà

di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono

più opportuno. L'art. 829, n. 9, c.p.c. dispone che l'impugnazione per nullità

è ammessa se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il

principio del contraddittorio.

L'art. 816, 4° comma, dispone che gli arbitri debbono in ogni caso assegnare alle parti i termini per presentare documenti e

memorie e per esporre le loro repliche. Dalla lettura coordinata di tali disposizioni si ricavano i se

guenti principi: 1) l'inosservanza di forme prescritte per i giudizi sotto pena

di nullità può determinare la nullità del lodo soltanto se le parti,

prima del giudizio arbitrale, abbiano stabilito le regole procedi mentali, cui attenersi, eventualmente anche mediante richiamo a

quelle del giudizio ordinario;

2) nel silenzio delle parti circa le regole procedimentali da

seguire, gli arbitri possono disciplinare lo svolgimento del giu dizio nel modo che ritengono più opportuno;

3) tanto nell'ipotesi in cui siano state stabilite quanto in

quella in cui non siano state stabilite dalle parti o dagli arbitri le

regole da seguire nel procedimento, devono essere osservati la

par condicio delle parti ed il principio del contraddittorio.

Alla luce dei suesposti principi appare corretto affermare the, soltanto nell'ipotesi in cui le parti o gli arbitri abbiano disposto che il procedimento si svolga secondo la disciplina del processo ordinario, l'atto introduttivo del giudizio arbitrale può ritenersi

soggetto alle disposizioni dettate dall'art. 163 c.p.c. per la cita

zione davanti al giudice ordinario, e che, in mancanza di regole

procedimentali stabilite dalle parti o dagli arbitri a pena di nul

lità, può denunciarsi la nullità del lodo soltanto se la formula

zione dei quesiti, oggetto di giudizio, sia stata effettuata senza

rispettare il principio del contraddittorio.

Nel caso che ne occupa, pertanto, il ricorrente non può fon

datamente sostenere — non prevedendo la clausola compromis soria riportata nella sentenza impugnata regole per la disciplina del procedimento arbitrale, né avendo gli arbitri predeterminato la procedura da seguire con riferimento alla disciplina del pro cesso ordinario — la nullità del lodo per violazione degli art.

163, 3° comma, n. 4, il quale stabilisce che l'atto introduttivo

del giudizio deve contenere l'esposizione dei fatti e degli ele

menti di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le rela

tive conclusioni, e 164 c.p.c., il quale sancisce la nullità di detto

atto se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito sta

bilito nel n. 3 dell'art. 163 (cioè la determinazione della cosa

oggetto della domanda) ovvero se manca l'esposizione dei fatti

di cui al n. 4 dello stesso articolo.

Perciò l'indagine di questo collegio deve limitarsi a verificare

se la sentenza impugnata abbia correttamente escluso la viola

zione del principio del contraddittorio, nonostante la mancata

specificazione dei quesiti nell'atto di accesso al giudizio arbi

trale.

Osserva il collegio innanzitutto che l'art. 810 c.p.c., che di

sciplina la nomina degli arbitri, non prevede che l'atto con il

quale una parte rende noto all'altra l'arbitro o gli arbitri che es

sa nomina, con invito a procedere alla designazione dei propri,

contenga anche la precisa formulazione dei quesiti. Pertanto, nel caso in esame, in assenza di regole dettate dalle

parti, contenendo il c.d. atto di accesso soltanto una sommaria, ma inequivoca indicazione di quale fosse la materia del conten

dere, ben poteva il collegio arbitrale fissare un termine per la

precisazione dei quesiti. Né si può convenire con il ricorrente che fissando un unico

termine per la precisazione dei quesiti ad entrambe le parti si sia violato il principio del contraddittorio; ciò perché, come eviden

ziato dalla sentenza impugnata, con l'ordinanza del 19 novem

bre 1996 il collegio arbitrale non si limitò a concedere alle parti termine fino al 3 dicembre 1996 per la precisazione dei quesiti, ma concesse loro anche la possibilità di presentare successive

memorie.

This content downloaded from 46.243.173.176 on Sat, 28 Jun 2014 17:53:06 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Nulla impediva, pertanto, al comune ricorrente di proporre, con memoria successiva, ulteriori quesiti, la cui formulazione

fosse resa necessaria da quelli precisati dai professionisti, e di

spiegare difese e sollevare eccezioni sia di rito che di merito.

Rettamente, quindi, la sentenza impugnata ha ritenuto che in

siffatta situazione non si sia verificata alcuna violazione del

principio del contraddittorio, non potendosi ritenere violato tale

principio, quando la controparte, come avvenuto nel caso di

specie, sia stata concretamente messa in condizione di conosce

re tempestivamente le istanze formulate dall'avversario, di

esporre le proprie ragioni e di proporre eventuali domande ri

convenzionali (peraltro il ricorrente non ha mai indicato quale o

quali fossero le domande riconvenzionali che intendeva in con

creto proporre e che, secondo il suo assunto, non gli era stato

possibile proporre). (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 gen naio 2003, n. 148; Pres. De Musis, Est. Celentano, P.M.

Schirò (conci, diff.); Fall. soc. Centro alimentare Squarcia relli di Pistoni (Avv. Farina) c. De Santis e altra (Avv. Mari

no). Cassa App. Roma 21 marzo 2000.

Fallimento — Azione promossa dal curatore in via ordinaria — Domanda riconvenzionale — Riassunzione dell'intero

giudizio davanti al giudice fallimentare — Esclusione —

Separazione dei giudizi (Cod. proc. civ., art. 36, 40, 50; r.d.

16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 52, 93,

101).

Ove il debitore convenuto in un giudizio ordinario promosso dal

curatore del fallimento creditore proponga domanda ricon

venzionale per la quale opera il rito speciale dell'accerta

mento del passivo, l'intero processo non deve essere trasfe rito in sede fallimentare ma il giudice adito dal curatore in

via ordinaria deve trattenere e decidere la domanda princi

pale, previa separazione dei giudizi, salva la sospensione per

pregiudizialità. (1)

(1) Proprio nel momento in cui su più fronti, da quello ordinamentale

(cfr. Proto Pisani, Brevi note sui conati di riforma dell'ordinamento

giudiziario, in Foro it., 2002, V, 217) a quello processuale (cfr. gli atti del convegno sulla Corte di cassazione tenutosi a Roma nel mese di novembre 2002, reperibili sul sito <www.judicium.it>, con particolare riferimento al principio n. 33 elaborato dalla commissione Vaccarella

per la redazione dello schema di disegno di legge delega di riforma del codice di procedura civile) sembra volersi elevare il ruolo gerarchico della Corte di cassazione con particolare riguardo alla posizione delle sezioni unite, ecco la dimostrazione della importanza della ricchezza culturale costituita dal pluralismo delle decisioni quando questo è

espressione non di schizofrenia ma di consapevole scelta di portare sulla giusta via un orientamento consolidato di legittimità ma ritenuto — e ben a ragione — del tutto irrazionale.

La sentenza in rassegna si pone così in consapevole contrasto (em blematicamente rappresentato in questo caso anche dalle difformi con clusioni prese dal procuratore generale) con Cass., sez. un., 6 luglio 1979, n. 3878, Foro it., Rep. 1980, voce Fallimento, n. 210 (che a sua volta aveva intercettato il contrario parere del procuratore generale) cui erano seguite, senza soluzione di continuità una serie di pronunce. Si va dalla più recente, Cass. 19 aprile 2002, n. 5725, id., Mass., 418, che solo pochi mesi or sono stabiliva che «il giudizio di cognizione intro dotto dal curatore del fallimento per il recupero di un credito del fallito

postula — qualora il convenuto, invocando opposte ragioni di credito

derivanti dal medesimo rapporto, proponga domanda riconvenzionale diretta non soltanto a paralizzare la domanda creditoria del fallimento ma anche ad ottenere una pronuncia di accertamento di una pretesa ob

bligatoria da far valere nel concorso dei creditori — la devoluzione dell'intera controversia alla cognizione di un giudice unico, ex art. 36

c.p.c., da individuarsi nel tribunale fallimentare, attesane la competenza funzionale ed inderogabile»; per proseguire a ritroso con Cass. 16 giu gno 2000, n. 8231, id.. Rep. 2000, voce Arbitrato, n. 135; 13 dicembre

Il Foro Italiano — 2003.

Svolgimento del processo. — Comunicato l'intento di scio

gliersi dal contratto preliminare di compravendita immobiliare

(avente ad oggetto un immobile sito in Grottaferrata, località

Squarciarelli) a suo tempo (il 23 dicembre 1988) stipulato dalla

fallita s.n.c. Centro alimentare Squarciarelli di Omero Pistoni e

c., nella veste di promittente acquirente, il curatore convenne in

giudizio dinanzi al Tribunale di Roma i promittenti venditori

Otello De Santis e Marisa Schiraldi per la restituzione della

somma di lire 1.747.810.000, che la società fallita aveva corri

sposto quale parte del prezzo.

1999, n. 13944, ibid., voce Fallimento, n. 311; 9 aprile 1997, n. 3068, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 332; 9 ottobre 1992, n. 11021, id., Rep. 1993, voce cit., n. 256; 13 maggio 1991, n. 5333, id., Rep. 1991, voce cit., n. 343; 12 settembre 1984, n. 4791, id.. Rep. 1985, voce cit., n.

294; 21 maggio 1984, n. 3113, id., Rep. 1984, voce cit., n. 244 ; 21 febbraio 1983, n. 1302, id., Rep. 1983, voce cit., n. 208. Tutte queste decisioni avevano avallato acriticamente il precedente senza tenere in minimo conto le contrarie tesi che si diffondevano in letteratura; pro prio questa assoluta autoreferenzialità fa pensare più ad un precedente autoritario che autorevole.

Con una tecnica argomentativa davvero singolare, la decisione del 1979 viene scomposta, ricomposta e sezionata nei minimi particolari quasi che il ricorso proposto dalla curatela sia stato considerato non la causa del revirement (si può notare come solo due delle ventitré pagine della motivazione siano dedicate all'esame dei motivi di ricorso) ma solo l'occasione attesa da tempo (anche fra i giudici di merito sono po chissimi i precedenti che si discostarono dall'indirizzo affermatosi nel 1979: cfr. Trib. Trani 6 maggio 1999, id., Rep. 2001, voce cit., n. 379; Trib. Vicenza 30 marzo 1990, id., Rep. 1990, voce Procedimento civile, n. 144; Trib. Roma 20 marzo 1985, id.. Rep. 1985, voce Fallimento, n.

296). Se è vero che all'indomani di quella pronuncia vi fu chi in modo sar

castico la commentò (E.F. Ricci, Il sonno della ragione e i suoi mostri, in Giur. comm., 1980, II, 346), verrebbe da dire che la ragione si è ri

svegliata e ha fatto dileguare i mostri, cosicché oggi il nostro diritto concorsuale processuale è incanalato verso binari di normalità che tro vano oggettivo riscontro nelle norme del codice di rito.

La vicenda è così ben scandita nella motivazione che sono sufficienti

pochi passi per spiegare che cosa si è voluto cambiare. La questione sottoposta all'esame della corte era quella «classica» e cioè di una cau sa intentata dal curatore fallimentare (ma la fattispecie non muta ove si tratti di causa da questi proseguita perché già esistente il diritto sostan ziale nel patrimonio del fallito) in un giudizio ordinario a cognizione piena nella quale si innestava una domanda riconvenzionale proposta dal convenuto in bonis.

Cass. 3878/79 ebbe a dire che per garantire sia il principio del si multaneus processus che il principio della attrazione al rito speciale concorsuale di tutte le domande di credito rivolte verso il fallimento, la soluzione era quella di trasferire entrambe le domande davanti al giudi ce delegato nel procedimento speciale con l'avvertenza che se all'esito del giudizio fosse emersa una ragione di credito a favore del curatore,

questa avrebbe dovuto essere di nuovo trasferita davanti al giudice or dinario (in dottrina, aderiscono a tale opzione, Jorio, Le crisi d'impre sa. Il fallimento, Milano, 2000, 297; Russo, L'accertamento de! passi vo nel fallimento, Milano, 1988, 109).

Quella soluzione ha incontrato forti resistenze in dottrina, laddove sono emersi i diversi punti deboli della scelta operata dalla sezioni unite (oltre a Ricci, op. cit., M. Fabiani, Domande riconvenzionali, fal limento e reciprocità di posizioni processuali, in Fallimento, 2001, 890; Bonfatti, L'accertamento del passivo e dei diritti mobiliari, in Le

procedure concorsuali. Il fallimento, trattato diretto da G. Ragusa Maggiore e C. Costa, Torino, 1997, III, 182; Pastore, La riconvenzio nale nei confronti del curatore, in Giur. comm., 1995, 1, 229; Del Sar

to, Sulla competenza in caso di giudizio ordinario per il recupero di un credito del fallito e di domanda riconvenzionale per la partecipazione al concorso, in Giust. civ., 1994, I, 1 116; Bozza(-Schiavon), L'accer tamento dei crediti nel fallimento e le cause di prelazione, Milano, 1992, 178; Giù. Tarzia, Processi pendenti e fallimento, in Riv. dir.

proc., 1990, 68; Manzo, Improponibilità della (sola) domanda ricon

venzionale proposta in sede fallimentare, in Fallimento, 1985, 320; in

motivazione, si richiama anche la dottrina anteriore e il riferimento ad uno scritto del 1956 fa pensare a Pajardi, Domanda riconvenzionale

improponibile in sede extra-fallimentare, in Dir. fallim., 1956, II, 809). Ora i giudici di legittimità smentiscono la correttezza di una siffatta

soluzione e optano per la soluzione della separazione dei giudizi scan dendo le seguenti affermazioni; a) la regola del simultaneus processus si applica quando con la proposizione della domanda riconvenzionale entra in gioco una diversa competenza per territorio derogabile; b) la

norma di cui all'art. 36 c.p.c. non va invocata quando la domanda ri

convenzionale è soggetta ad un rito diverso da quello della domanda

principale; c) non trova applicazione l'art. 40 c.p.c. che è pur essa nor ma sulla competenza per connessione e comunque se tale disposizione

This content downloaded from 46.243.173.176 on Sat, 28 Jun 2014 17:53:06 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended