sezione I civile; sentenza 19 luglio 1986, n. 4653; Pres. Granata, Est. Caizzone, P. M. Paolucci(concl. conf.); Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Caserta (Avv. Palombi) c. Graziano(Avv. Marotta). Conferma App. Napoli 22 gennaio 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 3 (MARZO 1987), pp. 867/868-871/872Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179408 .
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PARTE PRIMA
la buona fede di questa, al momento dell'acquisizione del titolo,
poteva ritenersi presunta; tali accertamenti di fatto, non essendo
viziati da alcun errore logico giuridico, non possono essere sinda
cati in questa sede di legittimità per cui resta accertato che alla
Baldasserini sono stati trasferiti sia la titolarità dei diritti risul
tanti dal libretto al portatore, quanto il loro esercizio.
È, in particolare, infondata la censura attinente all'onere della
prova, che la sentenza impugnata ha ritenuto gravare sulla Bian
coni Ivana — convenuta nell'azione promossa dalla Baldasserini
di rigetto del ricorso per ammortamento, ma attrice in riconven
zionale nell'azione di rivendica del libretto — mentre quest'ulti
ma, ricorrente in questa sede, ritiene che esso sia stato
erroneamente posto a suo carico mentre doveva gravare sulla con
troparte.
Invero, a norma dell'art. 2697 c.c., ciascuna delle parti ha l'o
nere di provare i fatti che allega e dai quali pretende che derivino
conseguenze giuridiche a suo favore; l'attore, pertanto, deve pro vare i fatti posti a fondamento delle sue domande, e tale onere
non può non ritenersi sussistente anche in ordine alle domande
proposte in via riconvenzionale dal convenuto, il quale, pertanto,
quando eccepisca l'inefficacia dei fatti allegati dall'attore, ovvero
la modificazione e l'estinzione del diritto dedotto dallo stesso,
deve provare le circostanze sulle quali si fonda l'eccezione.
Nella fattispecie la Baldasserini, avendo proposto domanda ri
convenzionale di rivendica del libretto, avrebe dovuto provare i
fatti posti a fondamento della domanda, ivi compreso il requisito
soggettivo della mala fede, il cui difetto, come si è visto, impedi sce il verificarsi dell'effetto traslativo della traditio del titolo al
portatore. D'altra parte, occorre ricordare, con riferimento alla censura,
secondo cui il giudice di merito avrebbe omesso di considerare
alcuni elementi di valutazione indicati nella comparsa di risposta
(i quali, peraltro, anche nel ricorso per cassazione sono stati indi
cati solo in tale forma generica, per cui la censura è da ritenersi
priva di specificità), che il giudice del merito, avvalendosi del potere di valutazione delle prove, attribuitogli dall'art. 116 c.c., è libero di formare il proprio convincimento utilizzando ogni ele
mento probatorio a sua disposizione per la soluzione della con
troversia, ivi compresi quelli presuntivi, e non è tenuto ad
analizzare criticamente le singole argomentazioni delle parti, es
sendo sufficiente che dalla motivazione risulti che il suo convinci
mento si sia complessivamente formato sulla base dei vari elementi
processuali e che la relativa motivazione sia congrua ed immune
da vizi logici e di diritto (Cass. n. 513/77, id., Rep. 1977, voce
Prova civile, n. 55). Anche la censura proposta con il terzo motivo è priva di fon
damento. Con essa si sostiene che la sentenza impugnata sarebbe
viziata da difetto di motivazione per aver omesso di prendere in esame la domanda riconvenzionale di restituzione formulata
sotto il profilo che — ammesso che vi fosse stata la traditio del
libretto al portatore — questa dovrebbe esser qualificata dona
zione la quale, essendo di non modico valore, avrebbe dovuto
essere effettuata con atto pubblico; in difetto di questo, la pre detta donazione, ai sensi dell'art. 782 c.c., dovrebbe essere rite
nuta nulla.
La censura non può essere accolta perché, dall'esame degli atti
che questa corte può effettuare, essendo stato denunziato un vi
tium in procedendo, risulta che la Baldasserini Maria Bianca, co
stituendosi in primo grado innanzi al Tribunale di Pisa, nella
comparsa conclusionale propose «domanda riconvenzionale di ri
vendica contestando che la detentrice (avesse) ricevuto il libretto
in buona fede, nonché domanda riconvenzionale di restituzione
non essendo comunque valido il (preteso e contestato) rapporto di rilascio del libretto». Nelle domande cosi proposte e che sono
state riportate nella loro formulazione letterale, non vi è, quindi, alcun cenno alla donazione ed alla nullità di forma della stessa.
La questione è stata sollevata soltanto nella comparsa conclusio
nale e, quindi, tardivamente, perché la funzione di questa è sol
tanto quella di illustrare le domande e le eccezioni tempestivamente
proposte. Anche nell'atto d'appello la Baldasserini Maria non ha
riproposto la questione della qualificazione come donazione della
traditio del libretto al portatore e della sua nullità per difetto
di forma; essa non ha nemmeno impugnato la sentenza di primo
grado per aver dichiarato tale nullità. Sulla questione, quindi, ove fosse superabile il vizio prima rilevato, si sarebbe formato
un giudicato interno. Nessun valore può, infatti, attribuirsi alla
Il Foro Italiano — 1987.
sommaria illustrazione di tale causa di nullità della donazione
effettuata nella comparsa conclusionale di secondo grado perché la questione non aveva avuto rituale ingresso nel giudizio d'appello.
La corte di merito non aveva, quindi, acun obbligo di motivare
su di essa. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 19 luglio
1986, n. 4653; Pres. Granata, Est. Caizzone, P. M. Paoluc
ci (conci, conf.); Consorzio per l'area di sviluppo industriale
di Caserta (Avv. Palombi) c. Graziano (Avv. Marotta). Con
ferma App. Napoli 22 gennaio 1983.
Espropriazione per pubblico interesse — Mezzogiorno — Indu
strializzazione — Indennità — Normativa applicabile (L. 25
giugno 1865 n. 2359, espropriazioni per causa di pubblica utili
tà, art. 39; d.p.r. 30 giugno 1967 n. 1523, t.u. delle leggi sul
Mezzogiorno, art. 147).
Nel caso di espropriazione disposta, per fini di industrializzazio
ne del Mezzogiorno, con decreto successivo alla l. 865/71, ma
anteriore all'entrata in vigore della I. 247/74, l'indennità si de
termina in base alla l. 2359/1865 e non alla stregua dell'anzi
detta I. 865/71. (1)
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 26 ottobre
1972 Graziano Antonio, premesso che in virtù del decreto del
presidente della regione Campania n. 505/415 del 3 luglio 1972
il consorzio per l'area di sviluppo industriale di Caserta aveva
occupato un fondo di mq. 3446 di proprietà di esso istante sito
in Marcianise e riportato in catasto alla particella 10 del foglio 24 e premesso che tale decreto era da ritenersi illegittimo, tanto
che ne era stato chiesto l'annullamento al T.A.R. della Campa
nia, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di S. Maria Ca
pua Vetere il consorzio suddetto al fine di sentirlo condannare,
previa disapplicazione del decreto innanzi menzionato, al rilascio
del fondo occupato ovvero al risarcimento dei danni conseguenti
all'illegittima occupazione. Con altro atto notificato il 18 luglio 1973 lo stesso Graziano,
premesso che nelle more era stata disposta con decreto del prefet to di Caserta n. 2733 del 23 marzo 1973 la definitiva espropria zione per pubblica utilità della superficie come sopra occupata e che l'indennità offerta era inadeguata, conveniva innanzi al Tri
bunale di S. Maria Capua Vetere il consorzio per l'area di svilup
po industriale di Caserta al fine di sentir determinare nella giusta misura l'indennità dovuta per l'espropriazione del terreno.
Dopo aver disposto la riunione dei due giudizi il Tribunale di
S. Maria Capua Vetere, con sentenza del 18 novembre 1980 -
28 gennaio 1981, determinava in lire 5.769.098, oltre gli interessi
legali a far tempo dal 3 luglio 1972, l'indennità dovuta per l'e
spropriazione del terreno del Graziano, disponendo il deposito della predetta nelle forme di legge e condannando il convenuto
alla rifusione delle spese processuali. Avverso la sentenza predetta proponevano tempestiva e rituale
impugnazione in via principale il consorzio ed in via incidentale
il Graziano, chiedendo il primo la riduzione ed il secondo la mag
giorazione dell'indennità.
La Corte d'appello di Napoli accoglieva, per quanto di ragio
ne, sia l'appello principale che quello incidentale, osservando per
(1) La Cassazione ribadisce il suo precedente orientamento (sent. 30
luglio 1982, n. 4364, Foro it., Rep. 1982, voce Espropriazione per p.i., n. 106; 5 febbraio 1982, n. 655, ibid., n. 108; 2 aprile 1982, n. 2018, id., 1983, I, 2835, con nota di richiami, puntualmente ricordata nella
parte motiva della riportata sentenza) soffermandosi, nella disamina del l'art. 12 disp. sulla legge in generale, su qualche antico broccardo.
Per riferimenti, a proposito della illegittimità, per violazione dell'art. 41 Cost., dell'art. 147, 8° comma, d.p.r. 30 giugno 1967 n. 1523, nella
parte in cui esclude dal calcolo dell'indennizzo i miglioramenti eseguiti sul fondo espropriato dalla data di costituzione del consorzio (per le aree e i nuclei di sviluppo industriale nel Mezzogiorno) e non da quella di
pubblicazione del piano regolatore di quest'ultimo, Corte cost. 22 gen naio 1987, n. 14, id., 1987, I, 628, con ulteriori indicazioni.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
quanto interessa ancora il presente giudizio di cassazione, che, con riguardo ad espropriazioni per opere di industrializzazione del Mezzogiorno decretate, come nella specie, dopo l'entrata in
vigore della 1. 22 ottobre 1971 n. 865, ma prima dell'entrata in
vigore della 1. 22 giugno 1974 n. 247 l'indennità doveva determi narsi in base ai criteri fissati dalla legge fondamentale 25 giugno 1865 n. 2359. Ciò, in quanto l'art. 39 1. n. 865/71 cit. aveva
abrogato l'art. 12 1. 18 aprile 1962 n. 167 (nel testo modificato dall'art. 1 I. 21 luglio 1965 n. 904) che estendeva anche alle espro priazioni in esame (in forza del richiamo di cui all'art. 147 d.p.r. 30 giugno 1967, t.u. delle leggi sul Mezzogiorno) i criteri indenni tari fissati dalla legge sul risanamento della città di Napoli (art. 13 1. 15 gennaio 1885 n. 2892), mentre i nuovi criteri, fissati dalla stessa 1. n. 865/71 erano stati estesi a tutte le espropriazioni (com prese quelle per l'industrializzazione del Mezzogiorno) solo in forza della disposizione innovativa del 1° comma dell'art. 4 1. n. -247/74, cit. (di conversione, con modifiche, del d.l. 2 maggio 1974 n. 115).
Secondo il giudice d'appello, inoltre, era da escludere, nella
specie ultrapetizione o trasgressione del principio tantum devolu tum quantus appellatum, rientrando nei compiti istituzionali del
giudice (anche) d'appello la qualificazione giuridica della doman da dell'attore (che nel caso in esame, aveva invocato «l'applica zione dei criteri indennitari dettati dalla 1. n. 865/71, senza indicare la misura dell'indennità che riteneva dovuta sulla base di tali cri
teri»), ancorché il risultato finale della liquidazione, effettuata secondo i criteri della 1. n. 2359 del 1865, fosse più favorevole
all'espropriato di quello della liquidazione effettuata secondo quelli della 1. n. 865 del 1971.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il consorzio per due motivi. Resiste l'intimato con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria illustrativa.
Motivi della decisione. — 1. - Col primo mezzo il consorzio ricorrente — deducendo violazione dell'art. 147, 7° comma, d.p.r. 30 giugno 1957 n. 1523, dell'art. 39 1. 22 ottobre 1971 n. 865 e dell'art. 1 1. 21 luglio 1965 n. 904 — si duole che la corte del merito abbia ritenuto che la sopravvenienza, nel corso della
procedura espropriativa iniziata ai sensi dell'art. 147 d.p.r. n. 1523 del 1967 (t.u. delle leggi sul Mezzogiorno), dell'art. 39 1.
865/71 determinasse l'inapplicabilità dei criteri indennitari fissati dall'art. 13 1. n. 2897 del 1885 (sul risanamento della città di
Napoli), com'è noto riduttivi rispetto a quelli previsti dalla legge fondamentale n. 2359 del 1865 che la stessa corte ha applicato nel caso di specie.
Il ricorrente critica la giurisprudenza di questa Suprema corte
(Cass. 655/82, Foro it., Rep. 1982, voce Espropriazione per p.i., n. 108; 2018/82, id., 1983, I, 2835; 4364/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 106) — cui la sentenza impugnata ha aderito — che ha
ritenuto totalmente abrogata dal citato art. 39 1. 865/71, insieme
all'art. 12 1. 167/62, la norma modificativa di questo, cioè l'art. I 1. 904/65 che richiamava i criteri indennitari previsti dalla citata
legge sul risanamento della città di Napoli. Com'è noto, tale giurisprudenza ha affermato che dovendosi
applicare per la determinazione dell'indennità la legge vigente nel
momento del provvedimento ablatorio, con riguardo ad espro priazioni per opere di industrializzazione del Mezzogiorno, che siano state decretate dopo l'entrata in vigore della 1. n. 865 del 1971 ma prima dell'entrata in vigore della norma — contenuta
nel comma premesso all'art. 4 d.l. 2 maggio 1974 dalla legge di
conversione n. 247 del 1974 — estensiva dei criteri indennitari della 1. n. 865/71 a tutte le espropriazioni per la realizzazione di opere pubbliche, incluse quelle per l'industrializzazione del Mez
zogiorno, erano applicabili i diversi criteri indennitari previsti dalla
legge fondamentale n. 2359 del 1865.
L'errore di tale giurisprudenza — sostiene il ricorrente nel ri
corso e nella memoria illustrativa — consisterebbe nell'avere omes
so di considerare l'effetto limitativo dell'art. 9 1. n. 865/71
sull'abrogazione disposta dal successivo art. 39, abrogazione che
lo stesso ricorrente sostiene essere soltanto parziale e cioè riguar dante le espropriazioni decretate per la realizzazione delle opere
pubbliche tassativamente contemplate dal suddetto art. 9 — che
certamente non contemplava quelle di industrializzazione del Mez
zogiorno — con la conseguenza che i criteri indennitari delle espro
priazioni finalizzate a tali ultime opere dovrebbero rimanere quelli fissati dall'art. 13 1. n. 2897 del 1885, richiamato dall'art. 1 della
1. n. 904/65 sostitutivo dell'art. 12 1. n. 167/62, il quale ultimo
articolo era stato, a sua volta, richiamato dall'art. 147, 7° com
ma, d.p.r. n. 1523/67, da considerarsi tuttora in vigore.
II Foro Italiano — 1987.
Se, infatti — conclude il ricorrente — la 1. n. 865/71 avesse
voluto abrogare in foto l'art. 22 1. n. 167/62, essa avrebbe dovu
to prevedere — in presenza del precedente art. 9 o — l'abroga zione del detto art. 12 anche per le ipotesi non previste dall'art. 9 — quanto meno — avrebbe dovuto espressamente abrogare l'art.
147, 7° comma, d.p.r. n. 1523/67 (ubi lex voluit, dixit, ubi no
luit, tacuit), onde l'errore giurisprudenziale sarebbe effetto di una inesattezza semiotica della norma di cui all'art. 39 1. n. 865/71, che usa il termine «abrogazione» laddove avrebbe dovuto espri mersi con il termine «deroga» (all'art. 12 1. 167/62) in presenza delle altre norme della stessa 1. n. 865/71.
La censura è infondata. Occorre, preliminarmente ed ancora una volta, ricordare che l'interpretazione giurisprudenziale è vin colata alla regola legale di ermeneutica — cardine dell'idea —
forza della certezza del diritto — contenuta nell'art. 12 delle pre leggi, secondo la quale «nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato pro prio delle parole secondo la connessione di esse, e dall'intenzione del legislatore».
Ciò è applicazione dell'antico principio di civiltà giuridica — di solito citato in materia contrattuale ma che non può certo a
questa limitarsi: etsi prior est, quam vox, mens dicentis, tamen nemo sine voce dixisse existimatur, che, più ampiamente, è prin cipio di civiltà linguistica, esprimendo l'esigenza di comunicabili tà che si ottiene solo mediante un costante, e non arbitrario, collegamento tra significante e significato.
Nel caso di specie, se è vero che le opere pubbliche per la indu strializzazione del Mezzogiorno non sono contemplate, ai fini del
l'applicazione dei criteri indennitari per le espropriazioni, dall'art. 9 1. n. 865/71, non è men vero che il successivo art. 39 testual mente ha abrogato non solo — tra altri e per quel qui interessa — l'art. 12 1. 18 aprile 1962 n. 167, ma anche le «successive modificazioni» di esso. Orbene, il termine «modificazione», di
per sé considerato, non può limitarsi al significato di parziale mutamento della disciplina di una determinata fattispecie ma «pa lesemente» include — avendo ad oggetto una legge e specie se
rapportabile ad un'intenzione del legislatore (rectius: volontà del la norma obicttivata) aliunde manifestata, come appresso si spe cificherà — il significato delimitativo dell'ambito di operatività della norma, sicché l'effetto della delimitazione, riduttivo o (co me nel caso di specie) estensivo, non può non definirsi, anche
questo, che «modificazione».
Alla luce delle suesposte considerazioni, la norma di cui all'art.
147, 7° comma, d.p.r. n. 1523/67 — che ha ampliato, come pe raltro lo stesso ricorrente sostiene, la sfera di applicazione del
l'art. 12 1. 167/62 e della successiva norma sostitutiva (art. 1 1. n. 904/65), riconducendo sotto la disciplina di quest'ultima nor
ma i criteri di determinazione dell'indennità per le espropriazioni finalizzate all'industrializzazione del Mezzogiorno — non può con siderarsi che «successiva modificazione» del predetto art. 12 (e della sua prima modificazione «qualitativa»: l'art. 1 1. n. 904/65) che l'art. 39 1. n. 865/71 ha esplicitamente abrogato.
E che tale abrogazione del più volte citato art. 147, 7° comma, t.u. delle leggi sul Mezzogiorno sia stata intenzione del legislatore del 1971 conferma anche la partizione, nel testo della 1. n. 865, delle materie da essa disciplinate, particolarmente nei primi tre titoli dei cinque in cui essa si articola:
Titolo I: Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale
pubblica (art. 1-8). Titolo II: Norme sull'espropriazione per pubblica utilità (art.
9-25). Titolo III: Modifiche ed interpretazioni alle leggi ... 18 aprile
1962 n. 167 (art. 26-46), dove è compresa la norma abrogativa dell'art. 39.
Infatti, la distinzione tra il titolo II ed il titolo III dimostra che il contenuto di quest'ultimo è indipendente e più ampio di
quello del primo, non regolando esclusivamente la materia delle
espropriazioni finalizzate all'edilizia residenziale pubblica (titolo
II), la cui sfera di applicazione è indicata e delimitata dal prece dente art. 9 (titolo I) e manifesta che il legislatore ha voluto scinde
re la pars construens della legge, specificamente dedicata alle
espropriazioni per l'edilizia residenziale pubblica, dalla pars de
struens, modificativa ed integrativa delle leggi preesistenti (oltre che
della 1. n. 167/62, anche delle 1. 17 agosto 1942 n. 1150 e 29 settem bre 1964 n. 847), concepita come parte generale della stessa legge, in vista di quella tendenziale reductio ad unum dei criteri indenni
tari che sarebbe stata, in seguito, ormai esplicitamente manife
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PARTE PRIMA
stata con la norma estensiva in cui all'art. 1 1. n. 904/65, vera
e propria legge di interpretazione autentica della precedente 1.
n. 167/62 per ciò che concerne la irrilevanza dello scopo dell'e
spropriazione di fini della determinazione dell'indennità espro
priativa. In altri e conclusivi termini, il legislatore ha colto l'occasione
del varo di una legge disciplinante i programmi ed il coordina
mento dell'edilizia residenziale pubblica, per modificare ed inte
grare — anche mediante lo strumento dell'abrogazione delle singole norme — tutta la disciplina dei criteri indennitari che si presenta va come speciale rispetto a quella fondamentale della 1. n. 2359
del 1865 e poiché era appunto tale legge che il testo originario dell'art. 12 1. n. 167/62 richiamava, l'effetto abrogativo dell'art.
39 1. n. 865/71 ha avuto ad oggetto sul piano sostanziale, proprio le «successive modificazioni» del citato art. 12 per le espropria zioni decretate durante la vigenza della stessa 1. n. 865/71 ma
prima dell'entrata in vigore della più volte citata norma estensiva
in cui all'art. 1 1. n. 904/74, onde la giurisprudenza di questa
Suprema corte ha ritenuto — per le espropriazioni decretate nel
periodo considerato — applicabile la 1. n. 2359 del 1865, nono
stante la formale abrogazione del richiamo ad essa contenuto nel
la 1. n. 167/62, in forza del suo carattere di legge generale
dell'espropriazione e, pertanto, destinata a colmare le eventuali
ed occasionali lacune delle discipline speciali dell'espropriazione
per pubblica utilità. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 18 giugno
1986, n. 4066; Pres. Pieri, Est. Chiavetta, P. M. Dettori
(conci, conf.); Ditta Maffesanti ed altri (Avv. Gregori, Lodi
giani) c. Soc. San Pellegrino (Avv. Ciccotti, Colabi, Casel
la). Conferma App. Milano 31 dicembre 1982.
Vendita — Vendita di bevande — Cauzione per vuoti a rendere — Produzione di interessi corrispettivi — Insussistenza (Cod.
civ., art. 1470, 1782, 2791).
La pattuizione in forza della quale i distributori di bevande ver
sano al produttore una cauzione proporzionale al valore di mer
cato del vuoto a rendere va inquadrata come vendita (in funzione di garanzia) sottoposta a condizione risolutiva potestativa a fa vore del compratore; è pertanto escluso che la somma cauzio
nale sia produttiva d'interessi corrispettivi. (1)
(1) Ultimo atto di una controversia il cui esordio giudiziario era stato
segnato da Trib. Milano 19 ottobre 1981, inedita, ma egualmente nota
per il riverbero che ha avuto su altre decisioni. Stando, infatti, alla testi monianza di Trib. Milano 4 marzo 1982, Foro it., Rep. 1983, voce Depo sito, n. 2, e in Giur it., 1983, I, 2, 766, con nota di R. Pardolesi, Vuoti a rendere e deposito cauzionale, la sentenza 'apripista' aveva «sottolinea to la funzione di 'garanzia' attribuita alla somma ulteriore pagata dal
grossista al momento della consegna dei recipienti», riconducendo il «de
posito cauzionale» alla figura del pegno irregolare ex art. 1782 c.c. Per
inciso, una siffatta impostazione non sarebbe riuscita a suffragare l'esito cui preludeva (e cioè, la produzione d'interessi corrispettivi a favore del
depositante), non foss'altro perché esiste un diffuso consenso dottrinario
sull'inapplicabilità, al pegno irregolare — o cauzione in senso stretto —, dell'art. 2791 c.c. (cfr. A. Daimartello, Pegno irregolare, voce del No vissimo digesto, Torino, 1965, XII, 798, 806; D. Rubino, La responsabi lità patrimoniale. Il pegno, in Trattato, diretto da Vassalli, Torino, 1956, 218-19; A. Torrente, Pegno irregolare ed interessi, in Giur. Cass, civ., 1944, 241-42). Tant'è vero che l'unica pronunzia edita propensa a seguire tale traccia (Trib. Milano 15 marzo 1982, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 3), si senti in dovere di predicare la natura anfibia della cauzione, a mezza via tra pegno e deposito irregolare, allo scopo d'ipotizzare un
principio generale che avrebbe dovuto trovare riscontro nella disciplina speciale del deposito cauzionale in materia di locazioni urbane (e viene, invece, smentita dall'art. 4 1. 1° ottobre 1985 n. 539, che disciplina il
deposito cauzionale infruttifero a garanzia della restituzione di bombole
per G.P.L. concesse in uso gratuito). In appello, comunque — per tornare alla nostra controversia —, le
aspirazioni dei distributori andarono deluse, e l'odierna pronuncia della corte di legittimità conferma tale responso. La motivazione richiama, si,
Il Foro Italiano — 1987.
Svolgimento del processo. — Tra la San Pellegrino s.p.a. e
le ditte Be.Vi.Bi - Volpi Luigi - Fusetti Rino - Locatelli Giovanni - G. B. Gamma Bibite - Landru Agostino - Zanchi Pasquale -
Maffesanti Pier Luigi - Taccolini Remo - Betti Andrea - Fratelli
Bettinelli - Maffesanti Renato - Staga dei fratelli Fontana - Sagea - Pagani Carlo - Eredi di Valli Antonio - Sani Gianfranco - Le
vandesi Giuseppe - Pardini Renzo - Cortesi Angelo, in persona dei rispettivi titolari, si instaurava un complesso rapporto, inclu
sivo di quello ora controverso, relativo alla «movimentazione»
dei vuoti a rendere regolato dalle seguenti condizioni pattizie: ver
samento, a titolo cauzionale, da parte delle ditte acquirenti delle
bibite prodotte dalla San Pellegrino, di una somma proporziona le al valore dei relativi recipienti; restituzione di tale importo, all'atto della resa dei contenitori, entro un termine prestabilito,
oppure, in difetto, acquisizione di esso sino a copertura del valo
re venale dei vuoti non restituiti; conguaglio periodico rapportato
agli importi versati, ai quantitativi di prodotti compravenduti ed
ai contenitori movimentati.
Insorta lite, il Tribunale di Milano, adito — con atto 29 gen naio 1980 — dalle ditte sopra menzionate, con sentenza 19 otto
bre 1981, accoglieva parzialmente la domanda, dichiarando che
le somme versate a titolo di deposito cauzionale — assimilabile
alla figura del pegno irregolare — producevano interessi corri
spettivi in ragione del 5% annuo.
Proposto appello dalla società soccombente, la corte territoria
le lo accoglieva, assolvendo la San Pellegrino da ogni domanda.
Riteneva la corte che la movimentazione dei vuoti a rendere
configurava un'ipotesi di vendita sottoposta a condizione risolu
tiva potestativa ex parte emptoris in funzione di garanzia me
diante versamento di un somma di denaro infruttifera.
E non, come erroneamente affermato dal tribunale, un caso
di pegno irregolare: tesi, questa, peraltro inidonea a spiegare «a
quale titolo» veniva ceduto il materiale; cessione, comunque, sem
pre ad avviso della corte, inconciliabile con la facoltà del grossi
sta, esercitabile ad nutum, di trattenere i vuoti, pagando la
differenza tra cauzione versata e valore di mercato.
Ricorrono le ditte Volpi - Fusetti - Landru - Taccolini - Betti - Maffesanti Renato - Staga dei fratelli Fontana - Pagani - Eredi
di Valli Antonio con sette motivi, ai quali resiste, mediante con
troricorso, la San Pellegrino. Entrambe le parti hanno presentato memoria.
l'autorità di precedenti d'annata, ispirati al paradigma della vendita con
condizione risolutiva espressa in prò del compratore (Cass. 23 gennaio 1964, n. 227, id., 1964, I, 495; 7 dicembre 1962, n. 3304 e 6 marzo 1962, n. 423, id., 1963, I, 1466), ma con qualche sussiego: prova ne sia che nessuna menzione si fa di altre pronunce della Cassazione, rese a un di
presso nello stesso torno di tempo — sent. 22 ottobre 1963, n. 2800, id., 1964, I, 496, e 30 luglio 1963, n. 2163, id., 1963, I, 2281 —, che
preferivano la qualificazione alla stregua di comodato, secondo un orien tamento assai accreditato dalla giurisprudenza di merito (cfr., indicativa
mente, App. Milano 30 giugno 1961, id., Rep. 1961, voce Titoli di credito, n. 74; App. Torino 15 settembre 1960, ibid., n. 75, e App. Milano 7
aprile 1959, id., Rep. 1959, voce cit., n. 59). Molto più, si fa leva sull'im
possibilità di riportare la pattuizione in discorso allo schema del pegno irregolare — stante l'insussistenza del diritto del supposto creditore pi gnoratizio a chiedere la restituzione dei contenitori —, quasi che ciò con
ducesse, per ineludibile esclusione, all'alveo della vendita condizionata
e, quindi, alla dimostrazione dell'insussistenza di un credito di interessi
corrispettivi. Su questo punto, però, ci si affida soprattutto alla cogenza di un «patto contrario al carattere fruttifero delle somme versate a titolo cauzionale». Si tratta, evidentemente, di una forzatura. Se la complessa intesa fra produttore e distributore (riconducibile, con ogni probabilità, allo schema del contratto-quadro, su cui v., da ultimo, la diffusa tratta zione di M. S. Zaki, Le formalisme conventionnel: illustration de la no tion de contratcadre, in Rev. int. dr. comp., 1986, 1043) recasse per tabulas un'indicazione specifica nel senso indicato, non vi sarebbe ragione di stro
logare. È certo, però — e qui sta, presumibilmente, il senso dell'idea
propugnata dal collegio giudicante — che la prassi applicativa andasse
proprio nella direzione che si vorrebbe consegnata ad un patto; e che, anzi, proprio contro tale prassi fosse indirizzata, a costo di sbagliare obiet
tivo, l'iniziativa processuale dei distributori (cfr. Pardolesi, cit.). L'argomentazione s'arresta qui. Né la corte si fa carico alcuno delle
obiezioni sollevate — in primis, quella relativa alla mancata corrispon denza tra somma depositata a titolo cauzionale e prezzo delle bottiglie per non dire dei dieta contrattuali sul permanere della proprietà dei con tenitori in capo al produttore — contro la qualificazione alla stregua di
compravendita sottoposta a condizione risolutiva potestativa. Più che di un'astratta eleganza concettuale, la Cassazione sembra, nella circostanza,
preoccuparsi della concretezza del verdetto. [R. Pardolesi]
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